Imposta donazioni/successioni: coacervo del "donatum" con il "relictum"

La sentenza afferma che in materia di imposta sulle successioni, il D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 8, comma 4, che prevede il cosiddetto coacervo (o cumulo) del "donatum" con il "relictum", non è finalizzato a ricomprendere nella base imponibile e nella imposizione anche il "donatum", ma stabilisce una forma di riunione fittizia dei beni donati alla massa ereditaria ai soli fini della determinazione delle aliquote da applicare per calcolare l'imposta sui beni relitti (cfr. anche Cass. Sentenza n. 8335 del 2006).

Sentenza Cassazione civile n. 12938 del 21 maggio 2008



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria di primo grado di Trento presentato in data 21 luglio 1999 G.L., G., M., Mi., E. ed A. proponevano opposizione avverso l'avviso di liquidazione relativo alla dichiarazione di successione n. .../97, vol. ..., nella qualità di eredi di N. A., e che l'ufficio del registro, settore successioni, di Rovereto aveva fatto notificare loro; col medesimo esso chiedeva un supplemento di imposta nella misura di L. 17.110.000, oltre agli interessi e alle sanzioni.

I contribuenti esponevano che l'asse ereditario in realtà sarebbe stato solo di L. 226.815.000, senza che avessero potuto comprendersi i beni oggetto di donazione in vita da parte della dante causa, per la determinazione della maggiore imposta; perciò chiedevano l'annullamento di quell'avviso.

Instauratosi il contraddittorio, l'ufficio del registro eccepiva l'infondatezza dell'opposizione, atteso che occorreva formare il coacervo di tutto il patrimonio della defunta anche mediante la somma delle donazioni al valore attuale, al fine di stabilire l'aliquota progressiva da applicare per il patrimonio relitto; il tutto considerando le varie aliquote al fine di stabilire l'importo complessivo dell'imposta, detratte quelle corrisposte con riferimento ai beni ormai ceduti prima dell'apertura della successione, e perciò chiedeva il rigetto dell'opposizione.

Quella commissione accoglieva il ricorso dei contribuenti con decisione n. 18 del 2000.

Avverso quella sentenza l'agenzia delle entrate proponeva impugnazione, cui gli appellati G. resistevano, dinanzi alla commissione tributaria di secondo grado della stessa sede. Il giudice dell'appello, con pronuncia del 23 gennaio 2003, lo rigettava, osservando che il coacervo del donato con il relitto andava effettuato al solo fine di determinare l'aliquota, e siccome il secondo non superava la soglia massima prevista, allora esso beneficiava dell'esenzione.

Contro quest'altra decisione il Ministero dell'economia e delle finanze e l'agenzia delle entrate interponevano ricorso per cassazione, sulla base di un unico articolato motivo.

I sei G. non hanno svolto alcuna difesa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che il ricorso del Ministero va dichiarato inammissibile, in quanto esso non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l'appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall'ufficio periferico dell'agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle Finanze nel corso del giudizio di primo grado, e i contribuenti avevano accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, questo si svolgeva soltanto nei confronti dell'agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle Finanze fosse stato evocato in giudizio, allora l'unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale era solamente l'agenzia delle entrate. Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).

Pertanto il ricorso del Ministero va dichiarato inammissibile, per carenza di legittimazione.

In ordine poi alla posizione dell'altra ricorrente, e cioè l'agenzia, col motivo addotto a sostegno del ricorso l'amministrazione deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 4, artt. 112, 115 e 116 c.p.c., con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la commissione di appello non ha considerato che l'operazione effettuata dall'ufficio era corretta, giacchè il coacervo era finalizzato a determinare l'asse globale, per stabilire l'aliquota progressiva da applicare, detratte le parti dell'imposta già versate con le donazioni, e giusta il risultato finale emergente dal calcolo di quelle precedenti, tenuto conto ovviamente della quota esente.

Il motivo è fondato.

Va premesso che in materia di imposta sulle successioni, il D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 8, comma 4, che prevede il cosiddetto coacervo (o cumulo) del "donatum" con il "relictum", non è finalizzato a ricomprendere nella base imponibile e nella imposizione anche il "donatum", ma stabilisce una forma di riunione fittizia dei beni donati alla massa ereditaria ai soli fini della determinazione delle aliquote da applicare per calcolare l'imposta sui beni relitti (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 8335 del 2006).

Invero le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, artt. 7 e 8, comma 4, come ripetutamente osservato in dottrina ed in giurisprudenza, muovendo dal presupposto della sostanziale unitarietà dell'imposizione fiscale a carico delle donazioni e delle successioni "mortis causa", facenti capo ad un medesimo soggetto, erede o legatario, mirano a ricostruire fittiziamente, ai fini tributari, il coacervo dei beni oggetto e dell'una e delle altre in modo da assicurare la progressività delle imposte, in presenza di una successione "mortis causa" susseguente ad una o più donazioni.

Una volta perciò ricostruito il coacervo predetto, nel caso di specie andava computata la imposta astrattamente dovuta sull'intero, per poi procedere alla liquidazione in concreto di quella corrispondente al "relictum", detraendo, dall'importo complessivo del tributo così ottenuto, un ammontare d'importo pari a quello che risulterebbe dall'applicazione delle aliquote vigenti al valore dei beni precedentemente donati, rivalutato con riferimento alla data di apertura della successione. La diversa interpretazione per la quale la somma dei valori in questione varrebbe ad individuare la scala delle aliquote da applicare al "relictum" dopo, però, aver detratto la quota esente dai singoli addendi, appare contraria all'obiettivo della progressività dell'imposta, perchè consentirebbe per ciascuna donazione effettuata, nonchè all'atto della successione "mortis causa", di fruire della quota esente, finendosi in tal guisa coll'attenuare detta progressività e, al limite, col sottrarre completamente i trasferimenti al tributo, ove conseguenti a donazioni e ad una successione finale, ciascuna delle quali ricompresa entro quella quota (V. pure Decis. Comm. Centrale n. 04441 del 10/07/1992, con nota di Fabio Massimo Aureli, in rivista Il fisco, 1993, 458).

In sostanza la base imponibile doveva essere costituita con il valore netto dell'asse ereditario e delle singole quote, posto che del valore delle donazioni soggette a collazione si tenesse conto soltanto ai fini della determinazione delle aliquote, da applicarsi al solo valore dei beni caduti in successione. L'istituto della collazione pertanto non trovava applicazione nella determinazione della base imponibile, la quale era costituita esclusivamente dall'incremento patrimoniale verificatosi in favore dei successori, senza che assumesse alcun rilievo il valore dei beni già appartenenti a questi ultimi, il cui assoggettamento a tassazione si sarebbe tradotto d'altronde in una duplicazione d'imposta, trattandosi di beni sui quali, nella normalità dei casi, è stata già pagata l'imposta sulle donazioni (V. pure Cass. Sentenze n. 8489 del 1997).

Sul punto perciò la decisione impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

Ne deriva che il ricorso dell'agenzia va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata con rinvio alla commissione tributaria di secondo grado di Trento, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà al suindicato principio di diritto.

Quanto alle spese di questa fase, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.

P.Q.M.

La corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria di secondo grado di Trento, altra sezione, per nuovo esame.

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