Imposte Dirette - Irpef - Rimborso - Redditi esteri - Tassazione del paese

L'ipotesi della doppia imposizione è esclusa, sul piano della disciplina interna, in forza principio generale del divieto della doppia imposizione (v. D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 126 (T.U.I.R.), nel testo vigente fino al 31 dicembre 2003, D.P.R. n. 600 del 1973, ora art. 163, e art. 67, per i quali "La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto neppure nei confronti di soggetti diversi"), e, sul piano dei rapporti internazionali, nella specie con la Confederazione Svizzera, dalla convenzione bilaterale ratificata e resa esecutiva con L. 23 dicembre 1978, n. 943, intesa appunto a "evitare le doppie imposizioni", come si legge nel suo titolo e nel suo preambolo.

Sent. n. 3556 del 13 febbraio 2009 (Ud. del 30 ottobre 2008) della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Miani Canevari, Rel. Meloncelli



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Sent. n. 3556 del 13 febbraio 2009 (Ud. del 30 ottobre 2008)
della Corte Cass., Sez. tributaria – Pres. Miani Canevari, Rel. Meloncelli
Imposte Dirette – Irpef – Rimborso – Redditi esteri – Tassazione  del  paese

d’origine - D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex artt. 2, 3 e 20

Svolgimento del processo - 1. Il 21-22 settembre 2005  è  notificato  al
signor V.F.  un  ricorso  dell’Agenzia  per  la  cassazione  della  sentenza
descritta in epigrafe, che ha  rigettato  l’appello  dell’Ufficio  di  Cantù
dell’Agenzia contro la sentenza  della  Commissione  tributaria  provinciale
(CTP) di Como n. 110/05/2002, che aveva parzialmente accolto il ricorso  del
contribuente contro il silenzio  rifiuto  formatosi  sulla  sua  istanza  di
rimborso dell’Irpef 1991-1998.
    2.1 fatti di causa sono i seguenti:
    a)   nel   periodo   1991-1998   il   signor   F.V.   presta    servizio
continuativamente, quale dipendente delle Ferrovie dello Stato  italiano,  a
Chiasso (Svizzera), ove risiede, risultando iscritto nell’AIRE (Anagrafe dei
cittadini italiani residenti all’estero);
    b) sulla sua retribuzione sono effettuate  le  ritenute  Irpef,  che  il
contribuente considera non dovute e di cui, pertanto, chiede il rimborso;
    c) il silenzio  rifiuto  formatosi  sulla  sua  istanza  è  parzialmente
accolto dalla CTP di Como, che riconosce dovute soltanto le ritenute operate
dal 1 luglio 1997;
    d) l’appello dell’Ufficio è, poi, respinto dalla CTR con la sentenza ora
impugnata per cassazione.
    3. La sentenza della CTR, oggetto del ricorso  per  cassazione,  è  così
motivata: la trasformazione in società per azioni dell’Ente  Ferrovie  dello
Stato sottrae al regime della  convenzione  italo-elvetica  il  rapporto  di
lavoro del signor V., e lo sottopone  alla  normativa  statale  italiana  in
quanto produttivo di reddito di lavoro dipendente di soggetto non  residente
in Italia; che il contribuente svolgesse la propria attività  lavorativa  in
Svizzera, e precisamente a Chiasso, ove risiedeva con la  famiglia,  risulta
dimostrato dalla documentazione agli atti.
    4. Il ricorso per cassazione dell’Agenzia è  sostenuto  con  due  motivi
d’impugnazione e si conclude con la richiesta che sia  cassata  la  sentenza
impugnata, con ogni conseguente statuizione,  anche  in  ordine  alle  spese
processuali.
    5. L’intimato non si costituisce in giudizio.
    Motivi della decisione - 6.1. Con  il  primo  motivo  d’impugnazione  si
denunciano la violazione e la falsa applicazione:  del  D.P.R.  22  dicembre
1986, n. 917, artt. 1, 48; del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597,
art. 2; della L. 23 dicembre 1978, n. 943; del loro combinato disposto.
    6.2.  La  ricorrente  Agenzia  sostiene,  al  riguardo,  che  al   fatto
controverso dovrebbe applicarsi la L. 23 dicembre 1978, n. 943, art. 19, che
sarebbe una norma speciale rispetto alle norme generali D.P.R.  22  dicembre
1986, n. 917, ex artt. 2, 3 e 20.
    6.3. Il motivo è fondato.
    6.3.1. Posto nei suoi corretti termini, il quesito di diritto, al  quale
questa Corte deve rispondere, è il seguente:  "se  i  redditi  derivanti  da
lavoro dipendente prestato all’estero, nella specie  in  Svizzera  (paese  a
fiscalità  privilegiata),  da   parte   di   cittadini   italiani   iscritti
nell’anagrafe dei  cittadini  residenti  all’estero  (AIRE)  e  asseritamene
residenti all’estero, dipendenti delle Ferrovie dello Stato  ora  TRENITALIA
S.P.A., siano soggetti a prelievo fiscale:
    a) in Italia;
    b) nella Confederazione svizzera;
    c) in entrambi gli Stati;
    d) in nessuno dei due Stati".
    Si tratta, come oggi si dice, di un quesito con risposte multiple, delle
quali una soltanto è quella corretta.
    Ritiene il Collegio che debba escludersi a priori che le risposte sub e)
e d) possano essere corrette.
    Infatti, l’ipotesi della doppia imposizione è esclusa, sul  piano  della
disciplina interna, in forza principio generale  del  divieto  della  doppia
imposizione (v. D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art.  126  (T.U.I.R.),  nel
testo vigente fino al 31 dicembre 2003, D.P.R. n. 600  del  1973,  ora  art.
163, e art. 67, per i quali "La stessa imposta non può essere applicata  più
volte in dipendenza  dello  stesso  presupposto  neppure  nei  confronti  di
soggetti diversi"), e, sul piano dei rapporti internazionali,  nella  specie
con la Confederazione Svizzera, dalla convenzione  bilaterale  ratificata  e
resa esecutiva con L. 23 dicembre 1978, n. 943, intesa appunto a "evitare le
doppie imposizioni", come si legge nel suo titolo e nel suo preambolo.
    Anche la soluzione che si tratti di reddito sottratto ad imposizione  in
entrambi gli Stati  non  può  essere  presa  in  considerazione,  perché  si
risolverebbe in una esenzione non prevista dalla legge, in contrasto con  il
principio della tassazione in  base  alla  capacità  contributiva  (art.  53
Cost.). È noto che le esenzioni, in quanto derogano al regime  generale  del
prelievo fiscale, devono essere espressamente previste dal  legislatore  (né
sono suscettibili di applicazione analogica), e  sono  legittime  in  quanto
siano giustificate da ragioni di equità o di politica fiscale,  che  non  le
ponga in rotta di collisione con i principi di uguaglianza (art.  3  Cost.),
di capacità contributiva (art.  23
Cost.).  Proprio  per  impedire  che,  nell’intento  di  evitare  le  doppie
imposizioni, le convenzioni relative possano essere  utilizzate  invece  per
eludere gli obblighi fiscali, è previsto (almeno con riferimento ai rapporti
tra Italia e Confederazione Svizzera) che, quando uno degli Stati contraenti
abbia riscosso mediante ritenuta un’imposta in ipotesi non dovuta, l’istanza
di rimborso presentata allo Stato contraente dev’essere accompagnata  da  un
"attestato  ufficiale",  rilasciato   dall’altro   Stato   contraente,   che
certifichi che sussistono le  condizioni  richieste  per  avere  diritto  al
rimborso (art. 19, paragrafi 1 e 2, della convenzione italo-svizzera). Nella
specie non risulta che il contribuente (sul quale gravava il relativo  onere
di allegazione e di prova, trattandosi di circostanza di  fatto  costitutiva
del fondamento del diritto fatto valere  in  giudizio)  abbia  corredato  la
istanza di restituzione con la richiesta documentazione.
    6.3.2. Restano soltanto le prime due soluzioni: tassazione in  Italia  o
tassazione in Svizzera.
    Posto che il sig. V. non ha mai sostenuto  di  aver  subito  un  qualche
prelievo fiscale in Svizzera, basterebbe questo per concludere,  sulla  base
delle osservazioni già  svolte,  che  legittimamente  il  prelievo  è  stato
effettuato in Italia e che nessun rimborso è dovuto al contribuente.  Giova,
però, effettuare una più analitica ricognizione  normativa  per  verificare,
anche sul piano della specifica disciplina positiva, la correttezza di  tale
conclusione, al fine di escludere che possano  esistere  "sacche"  normative
inesplorate che legittimino una qualsiasi forma di esenzione per  i  redditi
in esame.
    Le norme interne da esaminare sono quelle che definiscono, in materia di
imposte sui redditi, il presupposto dell’imposta,  i  soggetti  passivi  che
subiscono il prelievo fiscale e la base imponibile incisa dal tributo; norme
che la  parte  ricorrente  assume  che  siano  state  violate  o  falsamente
applicate, anche per vizi logici nella ricostruzione dei fatti controversi.
    Il  presupposto  dell’imposta  sul  reddito  delle  persone  fisiche   è
costituito dal "possesso di redditi in denaro o in natura", "proveniente  da
qualsiasi fonte" (secondo quanto disponeva il D.P.R. n. 597 del  1973,  art.
1), ovvero rientranti in una  delle  nelle  categorie  previste  dal  citato
T.U.I.R. (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 1). Quindi, il possesso  del  reddito
comporta di per sé la nascita dell’obbligazione tributaria in Italia,  salvo
che non si tratti di redditi esenti in forza di specifiche  disposizioni  di
legge. Le altre disposizioni legislative, intese ad individuare il  soggetto
passivo dell’obbligazione tributaria e le modalità di  calcolo  dell’imposta
(base  imponibile  ed  aliquota),  non  influiscono  sulla  sussistenza  del
presupposto d’imposta, sull’ari debeatur, ma servono soltanto ad individuare
il soggetto obbligato al  pagamento  del  tributo  e  il  quantum  debeatur.
Soggetto attivo è in ogni caso lo Stato  italiano,  salvo  che,  in  base  a
specifiche disposizioni di  diritto  internazionale  interno  o  di  diritto
internazionale pattizio, non sia diversamente stabilito. Infatti,  in  forza
del principio della tassazione del reddito mondiale  sono  soggetti  passivi
d’imposta, in Italia, tutte "le persone fisiche residenti  e  non  residenti
nel territorio dello Stato" (D.P.R. n. 597 del 1973,  art.  2,  comma  1,  e
D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 1), purché, per i  non  residenti,  si
tratti di redditi "posseduti" in Italia; rectius, "prodotti  nel  territorio
dello Stato" (D.P.R. n. 597 del 1973, art. 2, comma 3, e D.P.R. n.  917  del
1986, art. 3, comma 1). Si considerano sempre prodotti nel territorio  dello
Stato, e quindi soggetti al  prelievo  territoriale,  i  redditi  di  lavoro
dipendente prestato nello Stato stesso (art. 20, comma  1,  lett.  c),  cit.
T.U.I.R.). Di converso,  erano  sempre  esclusi  dalla  base  imponibile  in
Italia, "i redditi derivanti da lavoro dipendente prestato all’estero in via
continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto" (art. 3, comma 3,  lett.
c),  vigente  fino  al  31.12.2000).  L’  esclusione  aveva  come  implicito
presupposto la tassazione nello Stato di produzione del  reddito  di  lavoro
dipendente, speculare rispetto all’omologa disposizione già ricordata  (art.
20, comma 1, lett. c), cit. T.U.I.R.) che prevede la tassazione in Italia, e
che era intesa ad attuare il principio del divieto della doppia imposizione.
Si tratta di disposizioni di diritto  internazionale  interno  di  carattere
generale, rispetto alle quali, però,  prevalgono  le  speciali  disposizioni
stabilite con le convenzioni bilaterali, che contengono appunto le norme  di
disciplina particolare  calibrate  sulle  reciproche  esigenze  degli  Stati
contraenti. Proprio per fornire una disciplina differenziata,  in  relazione
alle  peculiarità  degli  ordinamenti  tributari  degli  Stati,  la   prassi
internazionale registra il fenomeno degli accordi bilaterali, piuttosto  che
trattati internazionali multilaterali da valere per tutti gli  Stati.  Nella
specie, pur in presenza della norma interna (valida comunque  nei  confronti
degli altri Stati, in mancanza di convenzioni bilaterali)  che  limitava  il
potere impositivo  dello  Stato  italiano  attraverso  il  meccanismo  della
esclusione del reddito di lavoro dipendente (che abbia  il  carattere  della
continuità e della esclusività) dalla base imponibile (senza  però  sancirne
l’esenzione assoluta), lo  Stato  italiano,  in  sede  convenzionale,  si  è
riappropriato del potere impositivo e l’altro Stato contraente ha rinunciato
ad esercitare il proprio potere impositivo,  altrimenti  riconosciuto  dalla
norma interna italiana. La norma convenzionale, dunque, non ha introdotto un
nuovo presupposto impositivo (che rimane il possesso  del  reddito),  ma  ha
solamente ricostituito in capo allo Stato  italiano  il  potere  impositivo,
facendo rientrare nella base imponibile un reddito  comunque  generatore  di
obbligazione tributaria, riconducibile  nella  fattispecie  del  presupposto
d’imposta definita dall’art. 1 T.U.I.R..
    In definitiva, la norma interna che escludeva dalla  base  imponibile  i
redditi in questione resta valida nei rapporti con gli Stati con i quali non
vi  fossero  diverse  disposizioni  convenzionali.   Nei   confronti   della
Confederazione svizzera, deve trovare applicazione la disposizione  speciale
contenuta  nell’art.  19  della  convenzione,  la  quale,  peraltro,  non  è
totalmente sovrap-ponibile alla norma interna. In forza del citato art.  19,
par. 1. "Le  remunerazioni,  comprese  le  pensioni,  pagate  da  uno  Stato
contraente o da una sua suddivisione politica o amministrativa o da  un  suo
ente locale, oppure ancora da una persona giuridica o da un ente autonomo di
diritto pubblico di detto Stato, sia direttamente sia mediante  prelevamento
da un fondo speciale, a una persona fisica che ha la  nazionalità  di  detto
Stato a  titolo  di  servizi  resi  presentemente  o  precedentemente,  sono
imponibili  soltanto  nello  Stato  contraente  da  dove  provengono   dette
remunerazioni". Il par. 2, poi, precisa che "Ai fini del  presente  articolo
l’espressione “persona  giuridica  o  ente  autonomo  di  diritto  pubblico”
designa: a) per quanto riguarda l’Italia: 1) le Ferrovie dello Stato (F.S.);
... b) per quanto riguarda la Svizzera: 1)  le  Ferrovie  federali  svizzere
(FFS); ...". La norma convenzionale, dunque, si attaglia perfettamente  alla
fattispecie in esame.
    La norma interna resta applicabile, ratione temporis, quando il  reddito
derivante da lavoro dipendente prestato in Svizzera in  via  continuativa  e
come oggetto esclusivo del rapporto, non  sia  costituito  da  remunerazioni
pagate da enti ed amministrazioni pubbliche a favore di persone fisiche  che
abbiano la stessa  nazionalità  e  per  particolari  attività.  Infatti,  la
somiglianza tra le due norme (art. 3, comma 3, lett.  c),  cit.  T.U.I.R.  e
art. 19 della convenzione) è soltanto apparente, nel senso  che  vi  possono
essere fattispecie  sussumibili  ad  entrambe  le  previsioni  normative  in
relazione alle quali vale il principio di specialità, ma vi sono anche  casi
in cui le due disposizioni non si pongono in termini di concorso.  In  altri
termini, dal quadro normativo di  riferimento,  costituito  dalla  normativa
interna e da quella convenzionale, risulta che il legislatore ha individuato
tre criteri di collegamento territoriale per disciplinare l’esercizio  della
"sovranità fiscale":
    a) il criterio della residenza, in forza del quale il  reddito  mondiale
del residente deve essere tassato in Italia, salvo le deroghe  espressamente
previste;
    b) il criterio della territorialità del reddito prodotto, in  forza  del
quale il reddito viene tassato nel luogo di produzione;
    c) il criterio  della  origine  del  reddito,  in  forza  del  quale  la
tassazione avviene sulla base della nazionalità dell’ente pagatore.
    Nella specie, dunque, occorre procedere  all’analisi  comparativa  delle
due disposizioni in ipotesi applicabili e non v’è dubbio  che  la  soluzione
della controversia  debba  passare  attraverso  l’applicazione  della  norma
convenzionale.
    L’art. 3, comma 3,  lett.  c),  cit.  T.U.I.R.,  prevedeva  che  fossero
esclusi dalla base imponibile  i  redditi  imponibili  derivanti  da  lavoro
dipendente prestato all’estero a certe condizioni. L’unica possibile ragione
giustificativa della sottrazione di questa tipologia reddituale  dalla  base
imponibile era costituita dal suo carattere di extraterritorialità (si  badi
che la norma prescinde anche dalla residenza del  dipendente).  Testimoniava
dunque la volontà di  autolimitazione  del  potere  impositivo  dello  Stato
italiano che,  come  già  rilevato,  costituisce  il  reciproco  del  potere
impositivo sui redditi comunque prodotti sul territorio italiano.  La  norma
non presentava indici che  facessero  pensare  ad  un’agevolazione/esenzione
fiscale   (la   quale   peraltro   sarebbe   di   difficile    compatibilità
costituzionale), anche perché l’esclusione dalla base imponibile dei redditi
esenti (in contrapposizione a quelli soltanto esclusi dalla base  imponibile
"italiana") è espressamente prevista nella lett. a)  del  medesimo  art.  3,
comma 3, T.U.I.R.. La riprova che  la  disposizione  limitativa  della  base
imponibile in  Italia  fosse  dovuta  alla  considerazione  che  il  reddito
prodotto all’estero era esposto alla tassazione dello Stato  in  cui  veniva
svolto è data dal fatto che assieme alla sua abrogazione è stato  introdotto
un  meccanismo  di  credito  d’imposta  pari  all’ammontare  delle  ritenute
gravanti sul reddito di lavoro dipendente  prestato  all’estero  (D.Lgs.  23
dicembre 1999, n. 505, art. 15).
    Rispetto alla previsione interna, che riguarda in generale  soltanto  il
reddito di lavoro subordinato, la norma convenzionale prevede  espressamente
una diversa disciplina che riguarda però tutte le "remunerazioni" (anche non
dipendenti da lavoro subordinato), le quali sono imponibili "soltanto  nello
Stato contraente da dove provengono dette remunerazioni", quando il soggetto
percipiente ed il soggetto erogante abbiano  determinati  requisiti:  l’ente
pagatore deve essere un ente pubblico in senso lato  e  il  lavoratore  deve
avere la stessa nazionalità dell’ente. Quando si verifica  questa  specifica
fattispecie,  il  prelievo  fiscale   va   effettuato   secondo   la   norma
convenzionale.  Questa,  disciplinando  fiscalmente   tutte   le   tipologie
reddituali, copre un’area di rapporti molto più  ampia,  rispetto  a  quella
disciplinata dall’art. 3, comma 3, lett. c), cit. T.U.I.R.. Nell’ambito  del
lavoro dipendente, invece, la norma convenzionale disciplina  esclusivamente
i rapporti tra enti pubblici, in senso lato, e  dipendenti  che  abbiano  la
stessa nazionalità e, quindi, si pone, per  questo  verso,  in  rapporto  di
specialità  con  la  norma  interna.  Di  qui  la  prevalenza  della   norma
convenzionale in forza appunto del principio di specialità.
    Né rileva,  nella  specie,  quanto  dispone  l’art.  15  della  medesima
convenzione, invocato dalla parte  ricorrente,  che  prevede  una  specifica
disciplina per i redditi da lavoro dipendente, in forza del quale "i salari,
gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato
contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili
soltanto  in  detto  Stato",   Infatti,   a   parte   altre   considerazioni
sull’effettivo tenore della norma, la stessa esordisce facendo salvo  quanto
dispone l’art. 19, che qui interessa.
    In definitiva, va affermato il principio  che  i  redditi  derivanti  da
lavoro dipendente  prestato  all’estero  che  abbiano  i  requisiti  di  cui
all’art. 19 della convenzione italo-svizzera, ratificata  e  resa  esecutiva
con L. 23 dicembre 1978, n. 943, sono disciplinati  da  tale  convenzione  e
quindi vanno tassati nello Stato di origine.
    6.3.3. Occorre  ora  esaminare  se,  nella  specie,  ricorrano  tutti  i
presupposti e le condizioni previste dalla norma convenzionale  per  la  sua
applicazione. È pacifico che la vicenda riguarda la tassazione  dei  redditi
rappresentati dalle remunerazioni erogate dalle Ferrovie dello Stato, prima,
e da Trenitalia s.p.a., poi, in favore  di  un  cittadino  italiano,  benché
residente all’estero. Quindi, si tratta  di  una  fattispecie  perfettamente
sussumibile alla previsione convenzionale, la quale chiarisce  espressamente
che l’espressione "persona giuridica o ente autonomo di  diritto  pubblico",
le cui remunerazioni sono soggette alla disciplina dell’art. 19,  comprende,
per quanto riguarda l’Italia "le ferrovie dello Stato (FS)" (art.  19,  par.
2, lett. a), n. 1) e, per quanto riguarda la Svizzera "le Ferrovie  federali
Svizzere (FFSS). Pertanto, non v’è dubbio che i due Stati hanno stabilito la
regola della tassazione  domestica  (collegata  alla  nazionalità  dell’ente
pagatore e del soggetto percipiente) dei redditi in questione in  regime  di
reciprocità, regime che non può essere modificato unilateralmente.
    Né varrebbe eccepire che in forza della  trasformazione  delle  Ferrovie
dello  Stato  in  Trenitalia  S.p.a.,  la  convenzione   non   sarebbe   più
applicabile, sul solo versante italiano,  in  relazione  alle  remunerazioni
erogate da tale ente. Ritiene il Collegio che sia invece da  condividere  la
tesi, secondo la quale la trasformazione delle Ferrovie  dello  Stato  nella
società pubblica a partecipazione statale  "Trenitalia  s.p.a."  non  incide
sulla operatività e funzionalità della convenzione internazionale sia per il
tenore  letterale  dell’art.  19  della  convenzione  stessa,   laddove   si
individuano come enti autonomi di diritto  pubblico  (come  è  da  ritenersi
tuttora  "Trenitalia  s.p.a.")  interessati  dalla  convenzione  e  ad  essa
soggetti, le Ferrovie dello Stato e le Ferrovie  federali  indipendentemente
dalla struttura giuridica che tali  enti  abbiano  assunto  all’interno  dei
singoli Stati, sia perché, essendo  comunque  (e  dovendo  essere  comunque)
osservata quella convenzione dalla  parte  che  non  ne  avrebbe  modificato
unilateralmente il contenuto, si perverrebbe alla illogica  conclusione  che
essa determinerebbe l’assoluta completa sottrazione dei redditi in questione
da qualsiasi imposizione tributaria.  Per  loro  natura  le  modifiche  agli
accordi bilaterali contro le  doppie  imposizioni  devono  essere  anch’esse
bilaterali, perché  lo  spostamento  della  materia  imponibile  da  una  ad
un’altra area  della  sovranità  fiscale,  se  non  è  concordata,  comporta
necessariamente o la totale sottrazione al  prelievo  fiscale  o  il  doppio
prelievo, che le convenzioni intendono prevenire.
    La tesi della irrilevanza della trasformazione nella  vicenda  in  esame
trova conforto anche nella giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale,
dopo la trasformazione stessa dell’ente, non è mutato il regime fiscale  del
reddito dei lavoratori dipendenti (Cass. n. 10087/2003) e nella  circostanza
che nelle convenzioni stipulate dopo  la  trasformazione  non  è  mutata  la
dizione per individuare l’ente in questione.
    Quindi, ai fini dell’applicazione dell’art. 19 della convenzione citata,
non rileva la trasformazione delle FF.SS. in Trenitalia s.p.a..
    6.3.4. In base alle considerazioni svolte, risulta  evidente  che  nella
vicenda in esame non rileva il requisito della residenza, posto  che  l’art.
19 della convenzione collega il potere  impositivo  al  diverso  presupposto
dell’origine della retribuzione e della cittadinanza. Quindi, è  irrilevante
la dimostrazione della  propria  residenza  estera  in  base  all’iscrizione
all’AIRE.
    Giova, inoltre, chiarire che, comunque,  nei  rapporti  con  i  Paesi  a
fiscalità privilegiata, qual è la Confederazione Svizzera (v. D.M. 4  maggio
1999, art. 1, che individua, con norma ricognitiva, gli Stati e i  territori
aventi un regime fiscale privilegiato), in base all’art.  2,  comma  2  bis,
cit. T.U.I.R. (norma di interpretazione autentica,  e  quindi  ad  efficacia
retroattiva, introdotta dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448,  art.  10,  comma
1), si considerano residenti in Italia i  cittadini  anche  dopo  che  siano
stati cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e che  risultino
emigrati in tali Stati o territori e, quindi,  "l’iscrizione  del  cittadino
nell’anagrafe dei residenti  all’estero  non  è  elemento  determinante  per
escludere la residenza fiscale  in  Italia"  (Cass.  13803/2001).  Pertanto,
anche nel merito la censura risulta fondata.
    7.1. Con il secondo motivo si denunciano l’omissione, l’insufficienza  e
la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata su un  punto
decisivo della controversia.
    7.2.  Nessuna  argomentazione  è  addotta  dalla  ricorrente  Agenzia  a
sostegno dei vizi ipotizzati.
    7.3. Il motivo è inammissibile, perché privo di motivazione.
    8. Le precedenti  considerazioni  comportano  l’accoglimento  del  primo
motivo   d’impugnazione,   inammissibile   il   secondo,   e,   sulla   base
dell’accoglimento, la cassazione della sentenza impugnata.
    Inoltre, poiché la risoluzione della  controversia  non  richiede  alcun
altro accertamento di fatto, la causa può esser decisa nel merito,  ex  art.
384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.
    9. La natura della questione di diritto sottoposta all’esame della Corte
induce a compensare tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.
    P.Q.M. - La Corte accoglie il ricorso, cassa la  sentenza  impugnata  e,
decidendo nel merito, rigetta  il  ricorso  introduttivo  del  contribuente,

compensando tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.

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