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Imposte Dirette - Irpef - Rimborso - Redditi esteri - Tassazione del paese
Pubblicata il 18/04/2010
Sent. n. 3556 del 13 febbraio 2009 (Ud. del 30 ottobre 2008) della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Miani Canevari, Rel. Meloncelli
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Sent. n. 3556 del 13 febbraio 2009 (Ud. del 30 ottobre 2008)
della Corte Cass., Sez. tributaria – Pres. Miani Canevari, Rel. Meloncelli
Imposte Dirette – Irpef – Rimborso – Redditi esteri – Tassazione del paese
d’origine - D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex artt. 2, 3 e 20
Svolgimento del processo - 1. Il 21-22 settembre 2005 è notificato al
signor V.F. un ricorso dell’Agenzia per la cassazione della sentenza
descritta in epigrafe, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio di Cantù
dell’Agenzia contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale
(CTP) di Como n. 110/05/2002, che aveva parzialmente accolto il ricorso del
contribuente contro il silenzio rifiuto formatosi sulla sua istanza di
rimborso dell’Irpef 1991-1998.
2.1 fatti di causa sono i seguenti:
a) nel periodo 1991-1998 il signor F.V. presta servizio
continuativamente, quale dipendente delle Ferrovie dello Stato italiano, a
Chiasso (Svizzera), ove risiede, risultando iscritto nell’AIRE (Anagrafe dei
cittadini italiani residenti all’estero);
b) sulla sua retribuzione sono effettuate le ritenute Irpef, che il
contribuente considera non dovute e di cui, pertanto, chiede il rimborso;
c) il silenzio rifiuto formatosi sulla sua istanza è parzialmente
accolto dalla CTP di Como, che riconosce dovute soltanto le ritenute operate
dal 1 luglio 1997;
d) l’appello dell’Ufficio è, poi, respinto dalla CTR con la sentenza ora
impugnata per cassazione.
3. La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è così
motivata: la trasformazione in società per azioni dell’Ente Ferrovie dello
Stato sottrae al regime della convenzione italo-elvetica il rapporto di
lavoro del signor V., e lo sottopone alla normativa statale italiana in
quanto produttivo di reddito di lavoro dipendente di soggetto non residente
in Italia; che il contribuente svolgesse la propria attività lavorativa in
Svizzera, e precisamente a Chiasso, ove risiedeva con la famiglia, risulta
dimostrato dalla documentazione agli atti.
4. Il ricorso per cassazione dell’Agenzia è sostenuto con due motivi
d’impugnazione e si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza
impugnata, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese
processuali.
5. L’intimato non si costituisce in giudizio.
Motivi della decisione - 6.1. Con il primo motivo d’impugnazione si
denunciano la violazione e la falsa applicazione: del D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917, artt. 1, 48; del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597,
art. 2; della L. 23 dicembre 1978, n. 943; del loro combinato disposto.
6.2. La ricorrente Agenzia sostiene, al riguardo, che al fatto
controverso dovrebbe applicarsi la L. 23 dicembre 1978, n. 943, art. 19, che
sarebbe una norma speciale rispetto alle norme generali D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917, ex artt. 2, 3 e 20.
6.3. Il motivo è fondato.
6.3.1. Posto nei suoi corretti termini, il quesito di diritto, al quale
questa Corte deve rispondere, è il seguente: "se i redditi derivanti da
lavoro dipendente prestato all’estero, nella specie in Svizzera (paese a
fiscalità privilegiata), da parte di cittadini italiani iscritti
nell’anagrafe dei cittadini residenti all’estero (AIRE) e asseritamene
residenti all’estero, dipendenti delle Ferrovie dello Stato ora TRENITALIA
S.P.A., siano soggetti a prelievo fiscale:
a) in Italia;
b) nella Confederazione svizzera;
c) in entrambi gli Stati;
d) in nessuno dei due Stati".
Si tratta, come oggi si dice, di un quesito con risposte multiple, delle
quali una soltanto è quella corretta.
Ritiene il Collegio che debba escludersi a priori che le risposte sub e)
e d) possano essere corrette.
Infatti, l’ipotesi della doppia imposizione è esclusa, sul piano della
disciplina interna, in forza principio generale del divieto della doppia
imposizione (v. D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 126 (T.U.I.R.), nel
testo vigente fino al 31 dicembre 2003, D.P.R. n. 600 del 1973, ora art.
163, e art. 67, per i quali "La stessa imposta non può essere applicata più
volte in dipendenza dello stesso presupposto neppure nei confronti di
soggetti diversi"), e, sul piano dei rapporti internazionali, nella specie
con la Confederazione Svizzera, dalla convenzione bilaterale ratificata e
resa esecutiva con L. 23 dicembre 1978, n. 943, intesa appunto a "evitare le
doppie imposizioni", come si legge nel suo titolo e nel suo preambolo.
Anche la soluzione che si tratti di reddito sottratto ad imposizione in
entrambi gli Stati non può essere presa in considerazione, perché si
risolverebbe in una esenzione non prevista dalla legge, in contrasto con il
principio della tassazione in base alla capacità contributiva (art. 53
Cost.). È noto che le esenzioni, in quanto derogano al regime generale del
prelievo fiscale, devono essere espressamente previste dal legislatore (né
sono suscettibili di applicazione analogica), e sono legittime in quanto
siano giustificate da ragioni di equità o di politica fiscale, che non le
ponga in rotta di collisione con i principi di uguaglianza (art. 3 Cost.),
di capacità contributiva (art. 23
Cost.). Proprio per impedire che, nell’intento di evitare le doppie
imposizioni, le convenzioni relative possano essere utilizzate invece per
eludere gli obblighi fiscali, è previsto (almeno con riferimento ai rapporti
tra Italia e Confederazione Svizzera) che, quando uno degli Stati contraenti
abbia riscosso mediante ritenuta un’imposta in ipotesi non dovuta, l’istanza
di rimborso presentata allo Stato contraente dev’essere accompagnata da un
"attestato ufficiale", rilasciato dall’altro Stato contraente, che
certifichi che sussistono le condizioni richieste per avere diritto al
rimborso (art. 19, paragrafi 1 e 2, della convenzione italo-svizzera). Nella
specie non risulta che il contribuente (sul quale gravava il relativo onere
di allegazione e di prova, trattandosi di circostanza di fatto costitutiva
del fondamento del diritto fatto valere in giudizio) abbia corredato la
istanza di restituzione con la richiesta documentazione.
6.3.2. Restano soltanto le prime due soluzioni: tassazione in Italia o
tassazione in Svizzera.
Posto che il sig. V. non ha mai sostenuto di aver subito un qualche
prelievo fiscale in Svizzera, basterebbe questo per concludere, sulla base
delle osservazioni già svolte, che legittimamente il prelievo è stato
effettuato in Italia e che nessun rimborso è dovuto al contribuente. Giova,
però, effettuare una più analitica ricognizione normativa per verificare,
anche sul piano della specifica disciplina positiva, la correttezza di tale
conclusione, al fine di escludere che possano esistere "sacche" normative
inesplorate che legittimino una qualsiasi forma di esenzione per i redditi
in esame.
Le norme interne da esaminare sono quelle che definiscono, in materia di
imposte sui redditi, il presupposto dell’imposta, i soggetti passivi che
subiscono il prelievo fiscale e la base imponibile incisa dal tributo; norme
che la parte ricorrente assume che siano state violate o falsamente
applicate, anche per vizi logici nella ricostruzione dei fatti controversi.
Il presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è
costituito dal "possesso di redditi in denaro o in natura", "proveniente da
qualsiasi fonte" (secondo quanto disponeva il D.P.R. n. 597 del 1973, art.
1), ovvero rientranti in una delle nelle categorie previste dal citato
T.U.I.R. (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 1). Quindi, il possesso del reddito
comporta di per sé la nascita dell’obbligazione tributaria in Italia, salvo
che non si tratti di redditi esenti in forza di specifiche disposizioni di
legge. Le altre disposizioni legislative, intese ad individuare il soggetto
passivo dell’obbligazione tributaria e le modalità di calcolo dell’imposta
(base imponibile ed aliquota), non influiscono sulla sussistenza del
presupposto d’imposta, sull’ari debeatur, ma servono soltanto ad individuare
il soggetto obbligato al pagamento del tributo e il quantum debeatur.
Soggetto attivo è in ogni caso lo Stato italiano, salvo che, in base a
specifiche disposizioni di diritto internazionale interno o di diritto
internazionale pattizio, non sia diversamente stabilito. Infatti, in forza
del principio della tassazione del reddito mondiale sono soggetti passivi
d’imposta, in Italia, tutte "le persone fisiche residenti e non residenti
nel territorio dello Stato" (D.P.R. n. 597 del 1973, art. 2, comma 1, e
D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 1), purché, per i non residenti, si
tratti di redditi "posseduti" in Italia; rectius, "prodotti nel territorio
dello Stato" (D.P.R. n. 597 del 1973, art. 2, comma 3, e D.P.R. n. 917 del
1986, art. 3, comma 1). Si considerano sempre prodotti nel territorio dello
Stato, e quindi soggetti al prelievo territoriale, i redditi di lavoro
dipendente prestato nello Stato stesso (art. 20, comma 1, lett. c), cit.
T.U.I.R.). Di converso, erano sempre esclusi dalla base imponibile in
Italia, "i redditi derivanti da lavoro dipendente prestato all’estero in via
continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto" (art. 3, comma 3, lett.
c), vigente fino al 31.12.2000). L’ esclusione aveva come implicito
presupposto la tassazione nello Stato di produzione del reddito di lavoro
dipendente, speculare rispetto all’omologa disposizione già ricordata (art.
20, comma 1, lett. c), cit. T.U.I.R.) che prevede la tassazione in Italia, e
che era intesa ad attuare il principio del divieto della doppia imposizione.
Si tratta di disposizioni di diritto internazionale interno di carattere
generale, rispetto alle quali, però, prevalgono le speciali disposizioni
stabilite con le convenzioni bilaterali, che contengono appunto le norme di
disciplina particolare calibrate sulle reciproche esigenze degli Stati
contraenti. Proprio per fornire una disciplina differenziata, in relazione
alle peculiarità degli ordinamenti tributari degli Stati, la prassi
internazionale registra il fenomeno degli accordi bilaterali, piuttosto che
trattati internazionali multilaterali da valere per tutti gli Stati. Nella
specie, pur in presenza della norma interna (valida comunque nei confronti
degli altri Stati, in mancanza di convenzioni bilaterali) che limitava il
potere impositivo dello Stato italiano attraverso il meccanismo della
esclusione del reddito di lavoro dipendente (che abbia il carattere della
continuità e della esclusività) dalla base imponibile (senza però sancirne
l’esenzione assoluta), lo Stato italiano, in sede convenzionale, si è
riappropriato del potere impositivo e l’altro Stato contraente ha rinunciato
ad esercitare il proprio potere impositivo, altrimenti riconosciuto dalla
norma interna italiana. La norma convenzionale, dunque, non ha introdotto un
nuovo presupposto impositivo (che rimane il possesso del reddito), ma ha
solamente ricostituito in capo allo Stato italiano il potere impositivo,
facendo rientrare nella base imponibile un reddito comunque generatore di
obbligazione tributaria, riconducibile nella fattispecie del presupposto
d’imposta definita dall’art. 1 T.U.I.R..
In definitiva, la norma interna che escludeva dalla base imponibile i
redditi in questione resta valida nei rapporti con gli Stati con i quali non
vi fossero diverse disposizioni convenzionali. Nei confronti della
Confederazione svizzera, deve trovare applicazione la disposizione speciale
contenuta nell’art. 19 della convenzione, la quale, peraltro, non è
totalmente sovrap-ponibile alla norma interna. In forza del citato art. 19,
par. 1. "Le remunerazioni, comprese le pensioni, pagate da uno Stato
contraente o da una sua suddivisione politica o amministrativa o da un suo
ente locale, oppure ancora da una persona giuridica o da un ente autonomo di
diritto pubblico di detto Stato, sia direttamente sia mediante prelevamento
da un fondo speciale, a una persona fisica che ha la nazionalità di detto
Stato a titolo di servizi resi presentemente o precedentemente, sono
imponibili soltanto nello Stato contraente da dove provengono dette
remunerazioni". Il par. 2, poi, precisa che "Ai fini del presente articolo
l’espressione “persona giuridica o ente autonomo di diritto pubblico”
designa: a) per quanto riguarda l’Italia: 1) le Ferrovie dello Stato (F.S.);
... b) per quanto riguarda la Svizzera: 1) le Ferrovie federali svizzere
(FFS); ...". La norma convenzionale, dunque, si attaglia perfettamente alla
fattispecie in esame.
La norma interna resta applicabile, ratione temporis, quando il reddito
derivante da lavoro dipendente prestato in Svizzera in via continuativa e
come oggetto esclusivo del rapporto, non sia costituito da remunerazioni
pagate da enti ed amministrazioni pubbliche a favore di persone fisiche che
abbiano la stessa nazionalità e per particolari attività. Infatti, la
somiglianza tra le due norme (art. 3, comma 3, lett. c), cit. T.U.I.R. e
art. 19 della convenzione) è soltanto apparente, nel senso che vi possono
essere fattispecie sussumibili ad entrambe le previsioni normative in
relazione alle quali vale il principio di specialità, ma vi sono anche casi
in cui le due disposizioni non si pongono in termini di concorso. In altri
termini, dal quadro normativo di riferimento, costituito dalla normativa
interna e da quella convenzionale, risulta che il legislatore ha individuato
tre criteri di collegamento territoriale per disciplinare l’esercizio della
"sovranità fiscale":
a) il criterio della residenza, in forza del quale il reddito mondiale
del residente deve essere tassato in Italia, salvo le deroghe espressamente
previste;
b) il criterio della territorialità del reddito prodotto, in forza del
quale il reddito viene tassato nel luogo di produzione;
c) il criterio della origine del reddito, in forza del quale la
tassazione avviene sulla base della nazionalità dell’ente pagatore.
Nella specie, dunque, occorre procedere all’analisi comparativa delle
due disposizioni in ipotesi applicabili e non v’è dubbio che la soluzione
della controversia debba passare attraverso l’applicazione della norma
convenzionale.
L’art. 3, comma 3, lett. c), cit. T.U.I.R., prevedeva che fossero
esclusi dalla base imponibile i redditi imponibili derivanti da lavoro
dipendente prestato all’estero a certe condizioni. L’unica possibile ragione
giustificativa della sottrazione di questa tipologia reddituale dalla base
imponibile era costituita dal suo carattere di extraterritorialità (si badi
che la norma prescinde anche dalla residenza del dipendente). Testimoniava
dunque la volontà di autolimitazione del potere impositivo dello Stato
italiano che, come già rilevato, costituisce il reciproco del potere
impositivo sui redditi comunque prodotti sul territorio italiano. La norma
non presentava indici che facessero pensare ad un’agevolazione/esenzione
fiscale (la quale peraltro sarebbe di difficile compatibilità
costituzionale), anche perché l’esclusione dalla base imponibile dei redditi
esenti (in contrapposizione a quelli soltanto esclusi dalla base imponibile
"italiana") è espressamente prevista nella lett. a) del medesimo art. 3,
comma 3, T.U.I.R.. La riprova che la disposizione limitativa della base
imponibile in Italia fosse dovuta alla considerazione che il reddito
prodotto all’estero era esposto alla tassazione dello Stato in cui veniva
svolto è data dal fatto che assieme alla sua abrogazione è stato introdotto
un meccanismo di credito d’imposta pari all’ammontare delle ritenute
gravanti sul reddito di lavoro dipendente prestato all’estero (D.Lgs. 23
dicembre 1999, n. 505, art. 15).
Rispetto alla previsione interna, che riguarda in generale soltanto il
reddito di lavoro subordinato, la norma convenzionale prevede espressamente
una diversa disciplina che riguarda però tutte le "remunerazioni" (anche non
dipendenti da lavoro subordinato), le quali sono imponibili "soltanto nello
Stato contraente da dove provengono dette remunerazioni", quando il soggetto
percipiente ed il soggetto erogante abbiano determinati requisiti: l’ente
pagatore deve essere un ente pubblico in senso lato e il lavoratore deve
avere la stessa nazionalità dell’ente. Quando si verifica questa specifica
fattispecie, il prelievo fiscale va effettuato secondo la norma
convenzionale. Questa, disciplinando fiscalmente tutte le tipologie
reddituali, copre un’area di rapporti molto più ampia, rispetto a quella
disciplinata dall’art. 3, comma 3, lett. c), cit. T.U.I.R.. Nell’ambito del
lavoro dipendente, invece, la norma convenzionale disciplina esclusivamente
i rapporti tra enti pubblici, in senso lato, e dipendenti che abbiano la
stessa nazionalità e, quindi, si pone, per questo verso, in rapporto di
specialità con la norma interna. Di qui la prevalenza della norma
convenzionale in forza appunto del principio di specialità.
Né rileva, nella specie, quanto dispone l’art. 15 della medesima
convenzione, invocato dalla parte ricorrente, che prevede una specifica
disciplina per i redditi da lavoro dipendente, in forza del quale "i salari,
gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato
contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili
soltanto in detto Stato", Infatti, a parte altre considerazioni
sull’effettivo tenore della norma, la stessa esordisce facendo salvo quanto
dispone l’art. 19, che qui interessa.
In definitiva, va affermato il principio che i redditi derivanti da
lavoro dipendente prestato all’estero che abbiano i requisiti di cui
all’art. 19 della convenzione italo-svizzera, ratificata e resa esecutiva
con L. 23 dicembre 1978, n. 943, sono disciplinati da tale convenzione e
quindi vanno tassati nello Stato di origine.
6.3.3. Occorre ora esaminare se, nella specie, ricorrano tutti i
presupposti e le condizioni previste dalla norma convenzionale per la sua
applicazione. È pacifico che la vicenda riguarda la tassazione dei redditi
rappresentati dalle remunerazioni erogate dalle Ferrovie dello Stato, prima,
e da Trenitalia s.p.a., poi, in favore di un cittadino italiano, benché
residente all’estero. Quindi, si tratta di una fattispecie perfettamente
sussumibile alla previsione convenzionale, la quale chiarisce espressamente
che l’espressione "persona giuridica o ente autonomo di diritto pubblico",
le cui remunerazioni sono soggette alla disciplina dell’art. 19, comprende,
per quanto riguarda l’Italia "le ferrovie dello Stato (FS)" (art. 19, par.
2, lett. a), n. 1) e, per quanto riguarda la Svizzera "le Ferrovie federali
Svizzere (FFSS). Pertanto, non v’è dubbio che i due Stati hanno stabilito la
regola della tassazione domestica (collegata alla nazionalità dell’ente
pagatore e del soggetto percipiente) dei redditi in questione in regime di
reciprocità, regime che non può essere modificato unilateralmente.
Né varrebbe eccepire che in forza della trasformazione delle Ferrovie
dello Stato in Trenitalia S.p.a., la convenzione non sarebbe più
applicabile, sul solo versante italiano, in relazione alle remunerazioni
erogate da tale ente. Ritiene il Collegio che sia invece da condividere la
tesi, secondo la quale la trasformazione delle Ferrovie dello Stato nella
società pubblica a partecipazione statale "Trenitalia s.p.a." non incide
sulla operatività e funzionalità della convenzione internazionale sia per il
tenore letterale dell’art. 19 della convenzione stessa, laddove si
individuano come enti autonomi di diritto pubblico (come è da ritenersi
tuttora "Trenitalia s.p.a.") interessati dalla convenzione e ad essa
soggetti, le Ferrovie dello Stato e le Ferrovie federali indipendentemente
dalla struttura giuridica che tali enti abbiano assunto all’interno dei
singoli Stati, sia perché, essendo comunque (e dovendo essere comunque)
osservata quella convenzione dalla parte che non ne avrebbe modificato
unilateralmente il contenuto, si perverrebbe alla illogica conclusione che
essa determinerebbe l’assoluta completa sottrazione dei redditi in questione
da qualsiasi imposizione tributaria. Per loro natura le modifiche agli
accordi bilaterali contro le doppie imposizioni devono essere anch’esse
bilaterali, perché lo spostamento della materia imponibile da una ad
un’altra area della sovranità fiscale, se non è concordata, comporta
necessariamente o la totale sottrazione al prelievo fiscale o il doppio
prelievo, che le convenzioni intendono prevenire.
La tesi della irrilevanza della trasformazione nella vicenda in esame
trova conforto anche nella giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale,
dopo la trasformazione stessa dell’ente, non è mutato il regime fiscale del
reddito dei lavoratori dipendenti (Cass. n. 10087/2003) e nella circostanza
che nelle convenzioni stipulate dopo la trasformazione non è mutata la
dizione per individuare l’ente in questione.
Quindi, ai fini dell’applicazione dell’art. 19 della convenzione citata,
non rileva la trasformazione delle FF.SS. in Trenitalia s.p.a..
6.3.4. In base alle considerazioni svolte, risulta evidente che nella
vicenda in esame non rileva il requisito della residenza, posto che l’art.
19 della convenzione collega il potere impositivo al diverso presupposto
dell’origine della retribuzione e della cittadinanza. Quindi, è irrilevante
la dimostrazione della propria residenza estera in base all’iscrizione
all’AIRE.
Giova, inoltre, chiarire che, comunque, nei rapporti con i Paesi a
fiscalità privilegiata, qual è la Confederazione Svizzera (v. D.M. 4 maggio
1999, art. 1, che individua, con norma ricognitiva, gli Stati e i territori
aventi un regime fiscale privilegiato), in base all’art. 2, comma 2 bis,
cit. T.U.I.R. (norma di interpretazione autentica, e quindi ad efficacia
retroattiva, introdotta dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 10, comma
1), si considerano residenti in Italia i cittadini anche dopo che siano
stati cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e che risultino
emigrati in tali Stati o territori e, quindi, "l’iscrizione del cittadino
nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per
escludere la residenza fiscale in Italia" (Cass. 13803/2001). Pertanto,
anche nel merito la censura risulta fondata.
7.1. Con il secondo motivo si denunciano l’omissione, l’insufficienza e
la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata su un punto
decisivo della controversia.
7.2. Nessuna argomentazione è addotta dalla ricorrente Agenzia a
sostegno dei vizi ipotizzati.
7.3. Il motivo è inammissibile, perché privo di motivazione.
8. Le precedenti considerazioni comportano l’accoglimento del primo
motivo d’impugnazione, inammissibile il secondo, e, sulla base
dell’accoglimento, la cassazione della sentenza impugnata.
Inoltre, poiché la risoluzione della controversia non richiede alcun
altro accertamento di fatto, la causa può esser decisa nel merito, ex art.
384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.
9. La natura della questione di diritto sottoposta all’esame della Corte
induce a compensare tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.
P.Q.M. - La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente,
compensando tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.