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Ai fini della commissione del reato di bancarotta semplice per aver aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento, va anche provata la colpa grave

Il fatto che la norma qualifichi nel segno della "altra grave colpa" le condotte diverse da quella di ritardato fallimento non implica necessariamente che quest'ultima sia intesa da legislatore come manifestazione tipica di colpa grave. E' altresi' praticabile una lettura che sottintende tale condotta come punibile in quanto in concreto connotata da colpa grave, al pari di altri comportamenti non tipicizzati altrimenti che per la loro efficienza causale rispetto all'aggravamento del dissesto; e per la quale, in altri termini, la tardiva richiesta di fallimento assume la consistenza di un'omissione penalmente rilevante ove oggetto di una scelta caratterizzata da colpa di livello grave. Questa opzione interpretativa, non incorrendo nei difetti di ragionevolezza rilevabili nella tesi per la quale la gravita' della colpa sarebbe assolutamente presunta nell'ipotesi in esame, deve pertanto essere privilegiata laddove, per quanto appena detto, non incompatibile con il dato letterale. Ne' la stessa contrasta con l'orientamento, anche recentemente ribadito da questa Corte, per il quale la norma incriminatrice non richiede comportamenti ulteriori che concorrano con la mancata richiesta di fallimento ed il conseguente aggravamento del dissesto, anche solo per effetto del mero proseguimento dell'attivita' di impresa (Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013, Viale, Rv. 254986). Qui non si vuoi sostenere infatti che comportamenti del genere siano necessari, ma che la scelta di ritardare la dichiarazione di fallimento in proprio debba essere in se' stessa determinata da un atteggiamento gravemente colposo.

Corte di Cassazione, Sezione 5 penale, Sentenza 24 ottobre 2013, n. 43414



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REATI FALLIMENTARI - BANCAROTTA SEMPLICE
 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano - Presidente

Dott. FUMO Maurizio - Consigliere

Dott. ZAZA Carlo - rel. Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Trieste;

e da:

1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);

2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);

3. (OMISSIS), nata ad (OMISSIS);

nel procedimento nei confronti dei predetti e di:

4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 13/03/2012 della Corte d'Appello di Trieste;

visti gli atti, il provvedimento impugnato, i ricorsi e la memoria presentata dagli imputati ricorrenti;

udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso proposto dagli imputati e per l'accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore generale;

udito per gli imputati l'avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Pordenone del 13/01/2010, veniva confermata l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato di cui al Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 217, commesso da (OMISSIS) quale presidente del consiglio di amministrazione, da (OMISSIS) quale consigliere delegato e dal (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) quali consiglieri della (OMISSIS) s.p.a., dichiarata fallita in (OMISSIS), omettendo di richiedere il fallimento fino al (OMISSIS) e cosi aggravando il dissesto della societa', in stato di insolvenza dal 31/12/2005. I predetti imputati venivano invece assolti per insussistenza del fatto dall'imputazione del reato di cui all'articolo 2621 c.c., e L.F., articolo 223, loro contestato nell'aver concorso a cagionare il dissesto della societa' esponendo fatti non rispondenti al vero nel bilancio al 2004, in particolare omettendo di svalutare una partecipazione nella (OMISSIS) s.r.l., iscritta per euro 210.000 a fronte di un patrimonio netto della partecipata ridotto ad euro 78.595, e di conseguenza un credito vantato nei confronti della (OMISSIS) per euro 1.380.928, ed omettendo altresi' di svalutare crediti iscritti per euro 550.328 nei confronti della (OMISSIS) s.p.a., sottoposta ad amministrazione straordinaria, e per euro 600.000 della (OMISSIS) s.r.l., il cui patrimonio netto era ridotto ad un passivo di euro 982.232. La pena inflitta agli imputati era di conseguenza rideterminata in mesi otto di reclusione per ciascuno.

Il Procuratore generale e gli imputati ricorrono sui punti e per i motivi di seguito indicati.

1. Sull'assoluzione dall'imputazione di bancarotta impropria da reato societario, il Procuratore generale ricorrente deduce contraddittorieta' della motivazione, nell'esclusione del fine di ingannare i soci o il pubblico e di conseguire un ingiusto profitto in base al ritenuto intento degli amministratori di preservare l'assetto patrimoniale della societa' nelle auspicate prospettive di crescita, censurando la confusione in tal modo ingenerata fra il movente della speranza nel miglioramento patrimoniale ed il dolo specifico inevitabilmente derivante dalla consapevolezza delle alterazioni del bilancio. Ulteriore contraddittorieta' della motivazione e' dedotta con riferimento all'esclusione del rapporto causale fra il reato societario e l'aggravamento del dissesto alla luce dell'essersi gli imputati attivati nel 2006 per ristrutturare il capitale e ridurre gli oneri finanziari, lamentando il ricorrente anche a questo proposito la confusione fra il movente che animava gli imputati e la consapevolezza dell'aggravamento del dissesto in conseguenza degli artifici contabili.

2. Sull'affermazione di responsabilita' per il reato di bancarotta semplice, gli imputati ricorrenti deducono violazione di legge in merito ai presupposti della fattispecie contestata, che deve ritenersi incriminare il ritardo nella richiesta di fallimento non in quanto tale, ma rispetto al momento del conclamato stato di insolvenza. Lamentano illogicita' della motivazione in quanto fondata sulle altrettanto illogiche conclusioni del perito contabile, in ordine alla sussistenza dello stato di insolvenza della fallita al (OMISSIS), tratte all'esito di un ragionamento meramente ipotetico sull'insorgenza della necessita' di ricapitalizzare o scegliere la societa' a quella data ove fosse stata data un'esatta rappresentazione della situazione finanziaria della stessa, e non su un'analisi reale delle condizioni effettive della (OMISSIS). Denunciano mancanza di motivazione sull'assenza, alla data indicata, dei dati tipicamente sintomatici di uno stato di insolvenza, ossia dell'impossibilita' di far fronte alle obbligazioni, piuttosto che di un mero squilibrio patrimoniale fra attivo e passivo; nonche' su quanto riferito dal teste (OMISSIS), incaricato dagli amministratori della redazione di un progetto di ristrutturazione aziendale, dal consulente della difesa e perfino dal curatore e dal perito in ordine alla serieta' del predetto piano e di quello di ristrutturazione del debito bancario, venuto meno solo alla fine del 2006 per la mancata adesione della (OMISSIS), all'esistenza di plusvalenze immobiliari ed al convincimento degli amministratori di poter risanare la situazione della societa'. Deducono infine violazione di legge ed illogicita' della motivazione sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato di bancarotta semplice in quanto individuato nella colpa consistita nella mera imprudenza nel confidare sulla disponibilita' degli istituti di credito ad aderire al piano di ristrutturazione del debito, tale da non configurare la colpa grave richiesta dalla norma incriminatrice.

3. Sulla determinazione della pena, gli imputati ricorrenti deducono contraddittorieta' della quantificazione della pena-base in anni uno e mesi sei di reclusione rispetto al riconosciuto carattere colposo della condotta, alla mancanza di qualsiasi finalita' di lucro personale, al modesto precedente penale di (OMISSIS) ed all'incensuratezza degli altri imputati.

Nell'interesse degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e' stata depositata memoria a sostegno del ricorso proposto dai predetti indagati e della richiesta di rigetto del ricorso proposto dal Procuratore generale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso proposti dal Procuratore generale ricorrente sull'assoluzione degli imputati dall'addebito di bancarotta impropria da reato societario sono infondati.

La sentenza impugnata veniva congruamente motivata con riferimento in primo luogo alla mancanza del dolo specifico costituito dal fine di trarre in inganno i soci e i terzi e, soprattutto, di conseguire un ingiusto profitto, necessario per la compiuta realizzazione del reato di false comunicazioni sociali anche in quanto presupposto del delitto di bancarotta impropria (Sez. 5, n. 854 del 18/02/1999, Galli, Rv. 212857; Sez. 5, n. 28508 del 12/04/2013, Mannino, Rv. 255575); osservandosi a tale proposito che dal bilancio e dalla relazione emergeva l'intento degli amministratori di preservare l'assetto patrimoniale della societa' nella prospettiva del risanamento della stessa, che veniva specificamente indicata. Ne' in tale argomentazione e' ravvisabile il vizio di contraddittorieta' lamentato dal ricorrente nella dedotta confusione fra i diversi elementi del movente e del dolo specifico. Il primo di detti elementi veniva invero nella specie coerentemente valutato nei suoi riflessi sulla ravvisabilita', in concreto esclusa, della finalita' di ingiusto profitto.

A prescindere da queste considerazioni, la sentenza impugnata conteneva comunque un'adeguata motivazione in ordine all'assenza dell'ulteriore componente costitutiva del reato contestato, rappresentata dal rapporto di causalita' fra la condotta di false comunicazioni sociali e l'evento. Pur dando correttamente atto che quest'ultimo puo' essere rappresentato, oltre che dal dissesto della societa' fallita, anche dal mero aggravamento dello stesso, la Corte territoriale evidenziava tuttavia, senza incorrere in vizi logici, come il nesso causale fosse stato nel caso in esame interrotto dall'essersi gli amministratori attivati, successivamente all'esposizione del bilancio con i dati contestati, per la ristrutturazione dell'attivita' produttiva del gruppo e del debito bancario, con un intervento protrattosi per due anni attraverso la riduzione del personale ed il ricorso alla cassa integrazione, da un lato, e costanti trattative con gli istituti di credito dall'altro, il cui esito negativo finale non consentiva comunque di far rivivere il legame di causalita' fra i pregressi fatti di false comunicazioni sociali e l'aggravamento del dissesto in conseguenza del proseguimento dell'attivita' della societa'. Ed anche a questo proposito, peraltro con evidenza ancor maggiore rispetto al profilo precedentemente trattato, appare insussistente la contraddittorieta' lamentata dal ricorrente in un'indebita utilizzazione probatoria del movente degli imputati, laddove l'argomentazione dei giudici di merito veniva invece condotta sul diverso piano dell'incidenza sul rapporto causale di un'attivita' materiale, quale la complessa e prolungata operazione di risanamento produttivo e finanziario effettivamente realizzata nel periodo intermedio fra l'approvazione del bilancio oggetto dell'imputazione e la dichiarazione di fallimento. Il ricorso del procuratore generale deve pertanto essere rigettato.

2. I motivi proposti dagli imputati ricorrenti sull'affermazione di responsabilita' per il reato di bancarotta semplice sono invece fondati nei termini di seguito esposti.

2.1. La fattispecie incriminatrice contestata, lo si rammenta, e' descritta dalla L.F., articolo 217, comma 1, n. 4, nella condotta dell'imprenditore che "ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa".

Per quanto concerne l'oggettiva esistenza di un ritardo nella dichiarazione di fallimento, idoneo a configurare un'astensione dalla richiesta di detta dichiarazione che abbia inciso sull'aggravamento del dissesto della fallita, la Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, valutava per il vero tale elemento con specifico riguardo al momento in cui poteva dirsi realizzato lo stato di insolvenza della societa' fallita, correttamente definito, secondo la previsione di cui alla L.F., articolo 5, nell'incapacita' di soddisfare con mezzi ordinari le proprie obbligazioni. Ed infondata e' la censura per la quale la sentenza impugnata sarebbe fondata in proposito su un ragionamento meramente ipotetico del perito contabile, riferito all'esatta rappresentazione in bilancio delle condizioni economiche della societa'. I giudici di merito articolavano viceversa la loro argomentazione su piu' elementi indicativi della descritta condizione di insolvenza; adottando peraltro il criterio di attribuire rilevanza a dati ritenuti per l'appunto dimostrativi di detta condizione, a prescindere dal costituirne gli stessi o meno manifestazioni esteriormente percepibili. E cosi' nella sentenza impugnata si evidenziavano la critica situazione finanziaria emergente dai bilanci dal 2003 al 2005; la discontinuita' della, commesse successivamente pervenute; la perdita del capitale sociale, per effetto di perdite, gia' nel 2004; il verificarsi nel corso del 2005 di eventi significativi quali la decozione delle partecipate e delle altre societa' riconducibili al gruppo, il mancato pagamento di imposte e contributi previdenziali, il congelamento dei debiti bancari, l'emissione di decreti ingiuntivi, le escussioni da parte di fidejussori, le revoche di affidamenti bancari, l'immobilizzazione di crediti verso le partecipate e l'abbattimento del valore delle partecipazioni; ed infine, nel corso dell'anno 2006, la crescita del debito bancario a breve e l'aggravamento del deficit patrimoniale, in conseguenza di perdite per almeno euro 2.300.000 e dell'aumento degli oneri finanziari, da euro 4.276.617,92 ad euro 11.965.166,08. Elementi, questi, dai quali veniva coerentemente desunta la sussistenza, a partire dal 31/12/2005, di un vero e proprio stato di insolvenza e non di un mero squilibrio finanziario.

2.2. Dove viceversa il ricorso trova fondatezza e' sul punto relativo alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato; ed in particolare nel presupposto giuridico dell'argomentazione del ricorrente, per il quale detto elemento deve essere individuato nella colpa grave.

Il richiamo ad una colpa cosi' qualificata compare espressamente, come abbiamo pocanzi ricordato, nella struttura della norma incriminatrice; testualmente contrassegnando le condotte diverse da quella della mancata richiesta del fallimento in proprio.

Si discute in dottrina se la funzione di detto riferimento si esaurisca in quella di dato identificativo delle predette condotte, che si aggiungerebbe a quello della loro causalita' orientata all'aggravamento del dissesto; ovvero se la colpa grave connoti in realta' il complesso dei fatti riconducibili alla previsione incriminatrice in esame, investendo pertanto anche la condotta di omessa o ritardata richiesta di fallimento. La questione e' evidentemente innescata dalla presenza nella norma dell'attributo "altra", determina la colpa grave immediatamente dopo la descrizione della condotta appena indicata. Tanto puo' astrattamente significare, come si e' sostenuto, che il legislatore abbia considerato come intrinsecamente ed inderogabilmente grave la colpa di chi ometta di richiedere tempestivamente il proprio fallimento, ponendo tale comportamento quale parametro del livello di colpa da ricercarsi invece di volta in volta nelle diverse condotte contestate alla stregua della stessa incriminazione; ma puo' significare altresi', come pure e' stato prospettato, che in quanto coefficiente psicologico comune a tutte le condotte riconducibili alla norma in esame, la colpa grave debba essere accertata anche nell'ipotesi del ritardato fallimento.

Il punto in discussione non e', a ben guardare, se la colpa grave sia elemento psicologico che caratterizza l'intera fattispecie incriminatrice; conclusione sulla quale le opinioni riportate finiscono per concordare. Il quesito e' se la gravita' della colpa debba o meno ritenersi presunta laddove il fallimento non sia tempestivamente richiesto dall'imprenditore in stato di insolvenza.

Orbene, la soluzione affermativa di una siffatta presunzione appare per un verso priva di ragionevolezza, e per altro non essere l'unica autorizzata dal testo normativo.

Per il primo aspetto, non e' difficile comprendere come il ritardo nell'adozione della senza dubbio grave decisione dell'imprenditore di richiedere il proprio fallimento possa essere ricollegato ad una vasta gamma di dinamiche gestionali; che si estende dall'estremo dell'assoluta noncuranza per gli effetti del possibile aggravamento del dissesto a quello dell'opinabile valutazione sull'efficacia di mezzi ritenuti idonei a procurare nuove risorse. L'eterogeneita' di queste situazioni rende improponibile una loro automatica sussunzione nella piu' intensa dimensione della colpa. Il dato oggettivo del ritardo nella dichiarazione di fallimento, in altre parole, e' ancora troppo generico perche' dallo stesso possa farsi derivare una presunzione assoluta di colpa grave; dipendendo tale carattere dalle scelte che lo hanno determinato.

Per il secondo profilo, il fatto che la norma qualifichi nel segno della "altra grave colpa" le condotte diverse da quella di ritardato fallimento non implica necessariamente che quest'ultima sia intesa da legislatore come manifestazione tipica di colpa grave. E' altresi' praticabile una lettura che sottintende tale condotta come punibile in quanto in concreto connotata da colpa grave, al pari di altri comportamenti non tipicizzati altrimenti che per la loro efficienza causale rispetto all'aggravamento del dissesto; e per la quale, in altri termini, la tardiva richiesta di fallimento assume la consistenza di un'omissione penalmente rilevante ove oggetto di una scelta caratterizzata da colpa di livello grave. Questa opzione interpretativa, non incorrendo nei difetti di ragionevolezza rilevabili nella tesi per la quale la gravita' della colpa sarebbe assolutamente presunta nell'ipotesi in esame, deve pertanto essere privilegiata laddove, per quanto appena detto, non incompatibile con il dato letterale. Ne' la stessa contrasta con l'orientamento, anche recentemente ribadito da questa Corte, per il quale la norma incriminatrice non richiede comportamenti ulteriori che concorrano con la mancata richiesta di fallimento ed il conseguente aggravamento del dissesto, anche solo per effetto del mero proseguimento dell'attivita' di impresa (Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013, Viale, Rv. 254986). Qui non si vuoi sostenere infatti che comportamenti del genere siano necessari, ma che la scelta di ritardare la dichiarazione di fallimento in proprio debba essere in se' stessa determinata da un atteggiamento gravemente colposo.

2.3. Una volta stabilito che anche la condotta di ritardato fallimento e' punibile in quanto caratterizzata da colpa grave, ne risulta fondata la censura di mancanza di motivazione, in questa prospettiva, della sentenza impugnata. La Corte territoriale argomentava infatti esplicitamente nei termini di una colpa non ulteriormente qualificata, laddove individuava quest'ultima nel l'aver gli imputati confidato oltremisura in un esito positivo della difficile trattativa con gli istituti di credito per il ripianamento del debito bancario e in un progetto di ristrutturazione complessiva del gruppo inevitabilmente rallentato dalle difficolta' finanziarie delle societa' collegate. La motivazione e' pertanto carente nell'esame della possibilita' di ravvisare nella descritta situazione una colpa tale da poter essere ritenuta come grave, in presenza, quanto in particolare ai rapporti con le banche, di un accordo per la ristrutturazione del debito venuto meno solo a seguito del dissenso espresso nel 2006 dalla (OMISSIS) e per effetto della condizione, alla quale l'accordo era subordinato, dell'adesione di tutti gli istituti interessati.

La sentenza deve pertanto essere annullata, limitatamente all'affermazione di responsabilita' degli imputati per il reato di bancarotta semplice, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Trieste per nuovo esame sui decritti profili motivazionali, rimanendo assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Trieste per nuovo esame.

Rigetta il ricorso del Procuratore generale.

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