Gli organi delle società in house devono essere considerati legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di servizio come avviene per i dirigenti preposti ai servizi direttamente erogati dall'ente pubblico.

Le società in house si caratterizzano per tre caratteristiche fondamentali. La prima è rappresentata dalla titolarità delle partecipazioni sociali a enti pubblici, con il conseguente divieto disposto dallo statuto della possibilità di cessione a privati delle relative quote. Serve poi che, almeno in misura prevalente anche se non esclusiva, l'attività sia prestata a favore dell'ente o degli enti partecipanti della società. L'attività accessoria non deve cioè avere come conseguenza una significativa presenza della società come concorrente di altre imprese sul mercato di beni e servizi. Infine, l'ente pubblico partecipante deve avere, per statuto, il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della società in house. Così, gli organi amministrativi si vengono a trovare in una posizione di vera e propria subordinazione gerarchica. L'espressione "controllo" non allude, perciò, in questo caso all'influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è di regola in grado di esercitare sull'assemblea della società e, di riflesso, sulla scelta degli organi sociali; si tratta, invece, di un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell'ente come modalità e con un'intensità non riconducibili ai diritti e alle facoltà che normalmente spettano al socio. Tali elementi mettono in evidenza l'anomalia del fenomeno dell'in house nel panorama del diritto societario. E a mitigarla non soccorrono aspetti come l'eterodirezione conosciuta nell'ambito delle holding: in questi casi, infatti, il potere di direzione e coordinamento che spetta alla capogruppo non annulla del tutto l'autonomia gestionale della controllata. E allora, i limiti alla giurisdizione contabile non possono valere nei confronti di enti che della società hanno solo l'involucro esteriore, ma che, in realtà, rappresentano delle vere e proprie articolazioni della pubblica amministrazione. Gli organi di queste società dunque, assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente a un rapporto di natura negoziale instraurato con la medesima società. Possono pertanto essere considerati legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di servizio come avviene per i dirigenti preposti ai servizi direttamente erogati dall'ente pubblico.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile, Sentenza 25 novembre 2013, n. 26283

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