Ai fini del diritto alla provvigione del mediatore, per "conclusione dell'affare" deve intendersi il compimento di un atto in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l'adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per

Per "conclusione dell'affare", dalla quale a norma dell'art. 1755 cod. civ. sorge il diritto alla provvigione del mediatore, deve intendersi il compimento di un'operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto cioè in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l'adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno; sicché, anche la stipulazione di un contratto preliminare di compravendita di un immobile è sufficiente a far sorgere tale diritto, sempre che si tratti di contratto validamente concluso e rivestito dei prescritti requisiti e, quindi, della forma scritta richiesta "ad substantiam" (artt. 1350 e 1351 cod. civ.). (Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza del 19 ottobre 2007, n. 22000)





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SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CO. SRL in persona del suo Amministratore Unico sig. Mo. Gu., elettivamente domiciliata in ROMA VIA BISSOLATI 76, presso lo studio dell'avvocato GARGANI BENEDETTO, difesa dall'avvocato BENUSSI FERMO, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

PO. BI., elettivamente domiciliata in ROMA VIA MARIA CRISTINA 8, presso lo studio dell'avvocato GOBBI LUISA, che la difende unitamente all'avvocato MARINIELLO ALESSANDRO, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1106/03 della Corte d'Appello di MILANO Prima Sezione Civile emessa il 19.03.03, depositata il 01/04/03; rg. 1106/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/09/07 dal Consigliere Dott. FILADORO Camillo;

udito l'Avvocato GOBBI Luisa;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 19 marzo - l aprile 2003 la Corte d'Appello di Milano accoglieva l'appello principale della titolare della ditta individuale Me., Po. Bi., ed in riforma della decisione del locale Tribunale, confermava il decreto ingiuntivo emesso dal Pretore in data 1 settembre 1997 su richiesta della stessa (per provvigioni maturate in base al contratto preliminare per la vendita di un immobile dalla s.s. Ro. alla s.r.l. Co.).

I Giudici di appello rilevavano che era stato concluso un contratto preliminare di vendita tra queste due ultime societa'. In base allo stesso Co. si era impegnata all'acquisto di un immobile in Milano, per il prezzo complessivo di lire 600.000.000.

Poiche' il contratto definitivo non era stato stipulato per inadempimento imputabile al promettente acquirente, legittimamente la controparte (Ro.) aveva trattenuto la caparra confirmatoria di lire duemilioni.

La mancata stipula del contratto definitivo non impediva, tuttavia, il riconoscimento delle provvigioni in capo alla agenzia immobiliare che aveva agito da intermediaria (Me. di Po.).

La Corte territoriale riconosceva che la agenzia immobiliare non aveva alcuna responsabilita' per le informazioni fornite in ordine alla situazione dell'immobile. Nello stesso preliminare del 18 luglio 1996 era chiaramente indicato che la unita' era accatastata come deposito - magazzino.

Avverso tale decisione Co. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da due motivi. Resiste la Po., titolare della ditta individuale Me., con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1341, 1342, 1362, 1367, 1370 e 1755 c.c. nonche' vizio della motivazione (in relazione all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

I Giudici di appello, ad avviso della societa' ricorrente, avevano male interpretato la situazione contrattuale complessiva, ben piu' complessa di quella riassunta nella sentenza impugnata.

In particolare, la Corte territoriale non aveva tenuto nel debito conto il comportamento della parti, precedente e successivo alla stipulazione del contratto.

Numerose circostanze consentivano di concludere che Co. aveva inteso presentare solo una offerta di acquisto, in modo da garantirsi dell'effettivo mutamento di destinazione dell'immobile (che doveva essere utilizzato come ufficio) e del rilascio dell'immobile da parte della conduttrice UN., previsto appunto per 31 maggio 1997 (data indicata per la stipulazione del contratto preliminare di acquisto).

In questo senso, del resto, si era gia' espresso il primo giudice, valutando tutte le circostanze che avevano preceduto e seguito la sottoscrizione del primo contratto.

La sentenza di secondo grado aveva attribuito un ingiusto vantaggio alla Me., che non aveva svolto alcuna attivita' utile in favore della societa' Co. : l'acquisto dell'immobile, in effetti, non era seguito e la caparra era stata incamerata dalla promettente venditrice.

Con il secondo motivo la societa' ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 1755 e 1759 c.c., nonche' vizi della motivazione (in relazione all'articolo 360 c.p.c. nn. 3 e 5).

I Giudici di appello avevano completamente trascurato gli obblighi di informazione che, per legge, gravano sul mediatore.

Piu' in generale, ricorda la ricorrente, i soggetti del contratto sono tenuto all'obbligo generale e reciproco della buona fede, che si traduce per il mediatore nell'obbligo di fornire tutte le informazioni delle quali egli sia a conoscenza. In caso di violazione di tale obbligo, la parte tenuta al pagamento della provvigione puo' far valere l'inadempimento del mediatore per sottrarsi al pagamento.

Osserva il Collegio:

I due motivi, da esaminare congiuntamente perche' connessi tra di loro, non sono fondati.

Con motivazione adeguata e logica i Giudici di appello hanno esaminato il contratto stipulato dalle parti ed hanno concluso che lo stesso doveva essere qualificato come contratto preliminare di vendita.

A fronte di tale, motivato accertamento si infrangono tutte le censure della societa' ricorrente (Cass. n. 2916 del 1990).

La Corte territoriale ha spiegato chiaramente le ragioni per le quali la scrittura del 18 luglio 1996 doveva essere qualifica come contratto preliminare di vendita anziche' come semplice proposta di acquisto.

Quanto alla mancata conclusione del contratto definitivo ed alla dedotta violazione dell'obbligo di informazione da parte della Me. (che ha dato anche origine ad una richiesta di risarcimento di danni ribadita davanti alla Corte d'Appello e ad un motivo di appello incidentale proposto da Co.), i Giudici di appello hanno sottolineato che Co. non poteva lamentare alcunche' poiche' nel contratto preliminare, sottoscritto dalla stessa era chiaramente specificato l'accatastamento dell'unita come magazzino/deposito. In ogni caso Co. non aveva dimostrato la sussistenza di eventuali danni derivanti dal comportamento della mediatrice.

Infine non rilevante e' la considerazione relativa al fatto che le parti poi non conclusero il negozio definitivo; rileva infatti la conclusione del contratto preliminare, in ordine al quale risulta esplicata l'attivita' di mediazione, da parte del mediatore imparziale (Cfr. Cass. 2002 n. 12022; 1995 n. 87; 1992 n. 7400 tra le piu' significative).

La giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che negli articoli 1754 e 1755 c.c., il legislatore ha inteso usare una generica ed ampia espressione, di uso comune ed atecnica, che fa riferimento, soprattutto, al contenuto di una operazione economica, la quale puo' essere realizzata tanto mediante la stipulazione di uno o piu' contratti che attraverso uno o piu' negozi giuridici unilaterali.

E'stato quindi precisato che per conclusione dell'affare deve intendersi il compimento di una "operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti", "di un atto in virtu' del quale si sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l'adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno" (Cass. 9 aprile 1984, n. 2277; Cass. 18 maggio 1977, n. 2030).

Nel concetto rientra quindi anche la stipulazione di un Preliminare.

L'affare puo' ritenersi concluso, peraltro, allorche' il negozio stipulato sia idoneo a realizzare l'interesse delle parti, sia stato, cioe', esso stesso validamente concluso, e sia, in particolare, rivestito dei requisiti previsti dall'articolo 1325 c.c., ne sussista, piu' in generale, alcun vizio che, a norma dell'articolo 1418 c.c., lo rende nullo.

La nullita', giuridicamente accertata, anche se incidenter tantum, rende, infatti, il negozio insuscettibile di effetti giuridici ed inidoneo, pertanto, a realizzare l'interesse delle parti.

Allorche' l'"affare" abbia ad oggetto un contratto - definitivo o preliminare - per il quale e' imposta la forma scritta ad substantiam (articoli 1350 e 1351 c.c.), il diritto alla provvigione sorge solo se ed in quanto lo stesso sia rivestito dalla forma prescritta: una qualsiasi altra forma sarebbe inidonea a produrre gli effetti che gli sono propri e quindi a realizzare l'interesse delle parti.

Non e'esatto affermare, del resto, che, in tal modo, vengono traslati nella mediazione i principi propri di un'altro istituto, quale il contratto stipulato, poiche' non e' tanto sulla forma - libera - del contratto di mediazione che qui si discute, bensi' sui requisiti propri del negozio stipulato, necessari perche' si possa affermare che sia stato concluso un "affare".

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con la condanna dalla ricorrente al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 1.600,00, (milleseicento/00) di cui euro 1.500,00, (millecinquecento/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

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