L'iva è dovuta dai rappresentanti di commercio se non riescono a dimostrare l'esistenza di un accordo per cui debbono anticipare il prezzo dei beni acquistati per conto di altri

L'iva è dovuta dai rappresentanti di commercio se non riescono a dimostrare l'esistenza di un accordo per cui debbono anticipare il prezzo dei beni acquistati per conto di altri.
Difatti, è necessaria la dimostrazione di un patto che facesse carico all'uno di anticipare i prezzi dovuti dall'altro: solo un accordo in tale senso avrebbe potuto superare la presuntiva riferibilità di quei movimenti ad attività commerciale soggetta ad IVA del titolare dei conti correnti.



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NONE DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Enrico PAPA Presidente

Dott. Giuseppe Vito Antonio MAGNO Consigliere

Dott. Francesco RUGGIERO Consigliere

Dott. Massimo SCUFFI Consigliere Rap.

Dott. Giuseppe MARINUCCI Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23334/02 proposto da: MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro in carica e, per quanto possa occorrere, dell'AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici sono legalmente domiciliati in Ro., via De.Po. n. (...);

- ricorrenti-

contro

Sig. Be.Ma., nato a Pa. il (...) e residente in Se.De. (...), via Vi.Em.(...). (...), titolare dell'omonima ditta individuale, esercente l'attività di mediatore, rappresentato e difeso, in via disgiunta, dall'avv. Prof. Fr.Mo. del Foro di Pa. e dall'Avv. Lu.Ma. del Foro di Ro., domiciliato presso quest'ultimo, in Ro., alla via F. Co. (...);

- controresistenti -

e sul ricorso n. 26424/02 proposto da:

Sig. Be.Ma., nato a Pa. il (...) e residente in Se.De. (...), Via Vi.Em. (...). (...), titolare dell'omonima ditta individuale, esercente l'attività di mediatore, rappresentato e difeso, in via disgiunta, dall'avv. Prof. Fr.Mo. del Foro di Pa. e dall'avv. Lu.Ma. del Foro di Ro., domiciliato presso quest'ultimo, in Ro., alla via F. Co. (...);

- ricorrente -

- contro -

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, nonché l'AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, entrambi rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato con domicilio eletto presso gli uffici siti in Ro., alla via De.Po. n. (...);

- intimati -

avverso la sentenza n. 31/18/01 pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Venezia, Sez. 18, il 12 febbraio 2001, depositata il 19 giugno 2001 e non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 12/02/2008 dal Relatore Cons. Dott. Giuseppe Marinucci;

udito, per il resistente sig. Ma., l'avv. Ca.Al. (per delega dell'avv. Ma.) che ha chiesto il rigetto del ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Wladimiro De Nunzio, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale o, in subordine, per il rigetto.

1. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di processo verbale redatto dalla Polizia Tributaria di Pa., l'Ufficio IVA notificava al Sig. Ma., in data 16.10.1987, un avviso di rettifica per il recupero della maggiore imposta accertata e irrogazione delle sanzioni pecuniarie.

Il contribuente impugnava tale avviso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Padova, eccependo la questione di illegittimità derivata dell'avviso per carenza di previa autorizzazione all'utilizzo e trasmissione degli atti acquisiti dalla Guardia di Finanza, nonché per difetto di motivazione dell'autorizzazione.

Il sig. Ma. proponeva anche eccezione di illegittimità derivata dell'avviso per violazione degli artt. 51 e 51 bis DPR 633/72, in quanto il procedimento penale sarebbe stato iniziato dopo l'acquisizione della documentazione bancaria, per cui l'attività svolta antecedentemente avrebbe richiesto una preventiva autorizzazione.

La Commissione adita, con la sentenza n. 344 del 31.07. 1998, accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo l'imponibile ai fini IVA e, di conseguenza, anche le pene pecuniarie.

Entrambe le parti ricorrevano in appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Venezia che, con la sentenza n. 31/18/01 pronunciata il 12 febbraio 2001 e depositata il 19 giugno 2001, rigettava entrambi gli appelli.

Avverso tale sentenza, l'Amministrazione proponeva ricorso per cassazione sorretto da un motivo.

Resisteva con controricorso e proponeva ricorso incidentale condizionato, corroborato da due motivi, il sig. Ma.

2. MOTIVI DELLA DECISIONE

In primo luogo la Corte procede alla riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c.

Con il primo ed unico motivo del ricorso, l'Amministrazione ha lamentato "violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento, in particolare, agli artt. 1754 e segg. c.c., 2697 c.c.

Motivazione insufficiente e contraddittoria".

Il punto dirimente della controversia verterebbe, a parere della ricorrente Amministrazione, sulla qualifica da attribuire all'attività professionale svolta dal Sig. Ma.

La Commissione Provinciale, con sentenza apoditticamente condivisa dalla Commissione Regionale, avrebbe valutato la sostanza di tale attività come "intermediazione" e non come "compravendita".

Ma, sebbene l'art. 1761 c.c. renda legittima la previsione di fattispecie di rappresentanza (per cui sarebbe perfettamente legittimo che il "mediatore" provveda all'acquisto di bestiame per conto del proponente), tuttavia, nel caso concreto, l'esistenza di tale facoltà e del conferimento di tale facoltà avrebbe dovuto essere rigorosamente provato.

L'onere probatorio di superare la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad un'attività di compravendita, soggetta ad IVA ed alla tenuta dei libri i contabili, spettante, ex adverso, al contribuente, non sarebbe stato assolto e, al riguardo, nulla vi sarebbe nella sentenza impugnata.

Pertanto, rimarrebbe senza giustificazione alcuna il fatto che una tale attività di mediatore possa giustificare, di per sé, gli ingenti movimenti finanziari del contribuente, atteso che non sarebbe stata fornita la necessaria dimostrazione di un patto o di un accordo, con un eventuale proponente, che facesse carico al sig. Ma. di anticipare i prezzi dovuti dall'altro.

Le censure meritano accoglimento.

Nella sentenza impugnata si legge "il giudice di prime cure ha correttamente qualificato l'attività svolta dal contribuente come intermediazione, ravvisando nelle risultanze istruttorie di causa gli elementi che caratterizzano detta attività nello specifico settore, avente proprie indubbie, peculiarità, del commercio del bestiame vivo".

Detta motivazione è censurabile sotto distinti profili. In primo luogo perché non adempie il dovere di motivazione il giudice del gravame che si richiami per relationem alla sentenza impugnata, di cui condivida le argomentazioni, senza dar conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento censurato, sia le censure proposte (ex multis, Cass. 3547/02).

Quanto poi ai criteri ermeneutici che debbono sorreggere la motivazione in ordine alla qualificazione dell'attività svolta dal Ma., è opportuno richiamare i principi enunciati da questa Corte, in altra controversia che interessava lo stesso Ma.

Il rappresentante di commercio, come delineato dalla legge 3 maggio 1985 n. 204, è dotato di potere rappresentativo, in quanto incaricato dal proponente di "concludere contratti", non dunque soltanto di promuovere la conclusione di contratti (come invece l'agente), ma non è tenuto, ove provveda ad acquisti, ad anticipare le somme dovute, operando la regola generale dell'art. 1719 cod. civ. sul diritto del mandatario di ricevere la provvista necessaria per l'espletamento dell'incarico.

Ne consegue che la veste di rappresentante di commercio da sola non consentiva di affermare che i movimenti sui conti bancari del Ma. fossero ascrivibili a contratti stipulati in rappresentanza del Bo., anziché ad acquisti e rivendite in proprio, essendo, all'uopo, necessaria la dimostrazione di un patto che facesse carico all'uno di anticipare i prezzi dovuti dall'altro: solo un accordo in tale senso avrebbe potuto superare la presuntiva riferibilità di quei movimenti ad attività commerciale soggetta ad IVA del titolare dei conti bancari (Cass. 7500/01).

Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato, il sig. Ma., invece, ha censurato la sentenza impugnata per "ultrapetizione quanto alla ricostruzione del contenuto dell'avviso di rettifica impugnato. Difetto di motivazione quanto alla percentuale del 10% applicata dal giudice per la quantificazione del nuovo maggior imponibile accertato a titolo di provvigioni. Eccessiva per fatto notorio e contraria agli usi del settore la percentuale del 10%". Con la decisione di secondo grado, sarebbe venuta meno l'ipotesi accusatoria secondo cui il sig. Ma. avrebbe esercitato attività di compravendita in proprio di bestiame.

Ma l'esclusione dell'esistenza di tale ipotesi, fondamento dell'avviso di rettifica, avrebbe dovuto aver come necessario corollario, l'annullamento, sic et simpliciter, di tale avviso.

Invece, il giudice, sostituendosi all'Ufficio Tributario, avrebbe riformulato l'accertamento sia in ordine alla qualifica, sia riquantificando l'imponibile sulla base dell'applicazione di una immotivata percentuale di ricarico del 10&, notoriamente spropositata per un'intermediazione.

Ma in tal modo, il giudice avrebbe introdotto un fatto nuovo, non contenuto nell'avviso di rettifica per cui è causa (maggiore imponibile a titolo di provvigione) e si sarebbe pronunciato ultra ed extra petita, in violazione dell'art. 112 c.p.c.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale, il sig. Ma., in via del tutto subordinata, lamenta la "violazione della sopravvenuta normativa sulle pene pecuniarie (in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c.", atteso che, nel caso di specie, avrebbero dovuto trovare applicazione le nuove disposizioni in materia sanzionatoria, previste con i D.L.vi 1997 nn. 471 e 472, con cui, tra l'altro, veniva abrogato l'art. 41, 4 comma, DPR n. 633/72 che sanzionava l'omessa autofatturazione.

Con effetto dal 01.04.1998, per la violazione in contestazione sarebbe stata prevista, invece, dall'art. 6 comma 8, D.Lgs. n. 471/97, l'applicazione di una sanzione amministrativa pari al 15% del corrispettivo. Pertanto, in ossequio al principio del favor rei, la violazione avrebbe dovuto essere sanzionata con una soprattassa di L. 82.415.250 in luogo di L. 197.796.000.

Inoltre, avrebbe dovuto trovare applicazione l'art. 12 del D.Lgs. 472/97, in base a cui, in presenza di più violazioni commesse con una sola azione od omissione, si sarebbe dovuta sanzionare solo quella più grave, aumentata di un quarto.

L'accoglimento del ricorso principale comporta l'assorbimento del ricorso incidentale.

Consegue l'accoglimento del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale, la cassazione della sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto ed il rinvio della causa ad altra sezione della C.T.R. del Veneto che provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale, assorbito l'incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della C.T.R. Veneto.

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