L'obbligazione di pagamento della provvigione spettante all'agente per l'attività svolta deve essere corrisposta al domicilio del creditore

Le obbligazioni del preponente, per il pagamento di provvigioni e di altri diritti previsti dalla legge o dal contratto in favore dell'agente, in quanto determinabili mediante semplici operazioni di calcolo, devono considerarsi liquide ed esigibili e vanno, quindi, adempiute - a norma dell'articolo 1182 comma 3, del Cc - presso il domicilio del creditore, dove si radica, conseguentemente, il forum destinatae solutionis, agli effetti della competenza per territorio, ai sensi dell'articolo 20 del Cpc. In senso contrario non depone la necessità - per la determinazione di dette obbligazioni - di disporre degli accertamenti in corso di causa, atteso che il riferimento alla semplicità delle operazioni di calcolo va inteso nel senso che siano precostituiti nella legge o nel titolo i criteri per l'esecuzione delle operazioni e gli astratti elementi di calcolo e non anche che questi ultimi siano certi per essere incontroversi o già concretamente accertati. (Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 3 marzo 2008, n. 5743)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonio -

Dott. MALZONE Ennio - Consigliere

Dott. ODDO Massimo - rel. Consigliere

Dott. SCHERILLO Giovanna - Consigliere

Dott. ATRIPALDI Umberto - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto il 11 dicembre 2003 da:

La Primavera s.n.c. - in persona del suo legale rappresentante De. Ma. Li. - rappresentata e difesa in virtu' di procura speciale in calce al ricorso dall'avv. RAGOGNA Pietro del foro di Pordenone e dall'avv. Gianfranco Graziarli, presso il quale e' elettivamente domiciliata in Roma, al Piazzale Clodio, n. 14;

- ricorrente -

contro

L'Ancora di Marcon Vittorio & C. s.n.c. - in persona del liquidatore Ma. Vi. - rappresentata e difesa dall'avv. Gigli Giuseppe, presso il quale e' elettivamente domiciliata in Roma, alla via Pisanelli, n. 4;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Corte d'Appello di Venezia n. 642 del 29 aprile 2003 - non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21 dicembre 2007 dal Consigliere dott. Massimo Oddo;

udito per la controricorrente l'avv. Giuseppe Gigli; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'Ancora di Marcon Vittorio & C. s.n.c. (di seguito: L'Ancora) con atto notificato il 23 maggio 1995 a La Primavera s.n.c. espose che: dal 1974 aveva svolto l'attivita' di agente in favore de L'Ancora; nel 1991 la preponente aveva consentito la prosecuzione del rapporto anche dopo il recesso di uno dei suoi due soci, a condizione che l'intera zona gia' affidatale continuasse ad essere coperta dai soci originari; alla fine dell'anno 1991 aveva comunicato a L'Ancora il suo inten-dimento di proseguire l'attivita' solo in alcune delle province costituenti l'originaria zona di competenza e la copertura delle altre da parte dell'ex socio; successivamente la preponente aveva richiesto per regolarizzare le modifiche l'invio di una formale comunicazione di recesso dal rapporto di agenzia, retrodatato alla fine dell'anno 1991, ed aveva provveduto il 1 aprile 1992 al rilascio di un nuovo mandato, contemplante un periodo di prova di quattro mesi; il 29 luglio 1992 L'Ancora le aveva comunicato la cessazione del rapporto di agenzia al 31 luglio 1992, data di scadenza del periodo di prova. Tanto esposto, L'Ancora convenne contestualmente La Primavera davanti al Tribunale di Treviso e, prospettando l'unicita' tra il rapporto di agenzia iniziato del 1974 e quello cessato il 31 luglio 1991, domando' la corresponsione delle indennita' a lei dovute per fine rapporto e mancato preavviso, oltre accessori di legge.

La Primavera si costitui' e, eccepita preliminarmente l'incompetenza per territorio del giudice adito, per essere competente il Tribunale di Pordenone, chiese il rigetto della domanda, deducendo che a seguito del recesso di uno dei due soci e dell'ingresso nella compagine sociale del figlio dell'altro, L'Ancora rappresentava un soggetto diverso dal precedente con il quale era intervenuto l'originario rapporto di agenzia e che l'oggettiva novita' del rapporto successivo alla comunicazione del recesso era desumibile dalla diversita' della zona riservata, dalla previsione di un periodo di prova e dall'avere l'attrice operato in proprio nell'intervallo tra i due rapporti; prospettata, inoltre, la diversita' della compagine sociale come giusta causa di cessazione del rapporto, domando' la condanna de L'Ancora al pagamento in suo favore dell'indennita' di mancato preavviso.

Il Tribunale con sentenza del 30 marzo 2000 rigetto' l'eccezione d'incompetenza territoriale e, dichiarata inammissibile la domanda riconvenzionale, accolse la domanda principale condannando La Primavera al pagamento in favore de L'Ancora della somma complessiva di L. 77.313.537, oltre interessi e rivalutazione, per indennita' di mancato preavviso e suppletiva di clientela.

La decisione, gravata da La Primavera, venne confermata il 29 aprile 2003 dalla Corte di appello di Venezia, che rigetto' l'impugnazione e condanno' l'appellante al pagamento delle spese del grado. Premesso che l'eccepita incompetenza territoriale del giudice di primo grado non esimeva quello del gravame dal decidere il merito della controversia e che la tardivita' della costituzione del convenuto a-veva comportato l'inammissibilita' della domanda riconvenzionale da lui proposta davanti al Tribunale, osservo' la corte territoriale che l'originario rapporto di agenzia era proseguito in termini sostanzialmente immutati, sotto il profilo tanto soggettivo che oggettivo, per il primo periodo dell'anno 1992, non assumendo alcun rilievo il mutamento della compagine sociale dell'agente per il recesso di uno dei soci, formalizzato peraltro solo nel marzo 1992, e la ripartizione interna delle zone di competenza, essendo stata da tempo attuata dai consoci, e che la dichiarazione di recesso del 31 dicembre 1991, inviata il 25 marzo 1992, ed il contratto di agenzia dell'aprile 1992 dovevano ritenersi simulati, sia in ragione delle emergenze documentali attestanti l'acquisizione e l'evasione di ordini dell'agente successivamente al recesso ed anteriormente alla stipula del nuovo contratto e sia delle risultanze della prova testimoniale, alla cui ammissione in primo grado la convenuta non si era opposta ed aveva fatto acquiescenza ed avverso la quale la stessa non aveva formulato specifiche censure in appello; aggiunse che correttamente il c.t.u. aveva calcolato l'indennita' sostitutiva di preavviso e di clientela con riferimento ai ratei di competenza delle provvigioni maturate nell'anno antecedente la revoca del mandato e che il ristoro dei danni sofferti dall'agente poteva liquidare in misura corrispondente alla misura della rivalutazione monetaria dei suoi crediti.

La Primavera e' ricorsa per la cassazione della sentenza con cinque motivi, illustrati da successiva memoria, e l'intimata L'Ancora ha resistito con controricorso notificato il 16 gennaio 2004.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorso, deducendo la violazione dell'art. 1182 c.c., e art. 20 c.p.c., ripropone in sede di legittimita' l'eccezione d'incompetenza territoriale del Tribunale di Treviso, nel cui circondario aveva sede l'agente, e di competenza del Tribunale di Pordenone per essere stato stipulato il contratto di agenzia ed effettuati i pagamenti dei corrispettivi nella sede della preponente in (OMESSO) e per non potere essere considerati liquidi ed esigibili crediti per la cui determinazione era stato necessario disporre una c.t.u..

Il motivo e' infondato.

Secondo una costante giurisprudenza di legittimita', le obbligazione del preponente per il pagamento di provvigioni e di altri diritti previsti dalla legge o dal contratto in favore dell'agente, in quanto determinabili mediante semplici operazioni di calcolo, debbono considerarsi liquide ed esigibili e vanno, quindi, adempiute, a norma dell'art. 1182 c.c., comma 3 presso il domicilio del creditore, dove si radica conseguentemente il forum destinatae solutionis agli effetti della competenza per territorio, ai sensi dell'art. 20, c.p.c., (cfr.. cass. civ., sez. 3, sent. 3 dicembre 1994, n. 10422; cass. civ., sez. 2, sent. 19 maggio 1976, n. 1795).

Ne' in senso contrario depongono l'affermata necessita' per la determinazione di dette obbligazioni di disporre degli accertamenti in corso di causa, atteso che il riferimento alla semplicita' delle operazioni di calcolo va inteso nel senso che siano precostituiti nella legge o nel titolo i criteri per l'esecuzione delle operazioni e gli astratti elementi di calcolo e non anche che questi ultimi siano certi per essere incontroversi ovvero gia' concretamente accertati (cfr.: cass. civ., sez. in ord. 14 ottobre 2005, n. 19958) o la prospettazione da parte della ricorrente solo nella memoria illustrativa di un sussidiario argomento ostativo alla individuazione del forum destinatele solutionis nel domicilio del creditore, il cui esame e' precluso dalla sua inammissibilita'.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione dell'art. 112 c.p.c., sotto il profilo del vizio di ultrapetizione e/o extrapetizione, lamenta che la sentenza abbia ritenuto simulati il recesso dell'attrice al 31 dicembre 1991 dall'originario contratto e la stipula di un nuovo contratto di agenzia nell'aprile 1992, nonostante la domanda formulata in giudizio dall'agente mancasse completamente del petitum e ne fosse incerta la causa petendi e l'azione implicitamente spiegata in giudizio dall'agente potesse al piu' configurarsi come diretta a fare valere un irrilevante errore sugli effetti dei negozi ovvero ad ottenerne l'annullamento per errore o dolo.

Il motivo e' inammissibile.

Il giudice di secondo grado, rispondendo al rilievo della preponente che l'agente non aveva formulato alcuna impugnativa della dichiarazione di recesso e del nuovo contratto di agenzia per vizi della volonta' o per simulazione, ha affermato che, "a ben vedere, ove si esamini il tenore complessivo delle difese dell'avversaria e delle correlate deduzioni istruttorie, dovra' concludersi che, almeno in relazione all'istituto disciplinato dall'art. 1414 e segg. del codice sostanziale (simulazione: n.d.r.) la pretesa dell'odierna appellata si e' sviluppata attraverso la prospettazione di tale fattispecie".

Per contrastare detta conclusione, che trova il suo fondamento in una interpretazione complessiva e coordinata dell'atto introduttivo del giudizio, il ricorso avrebbe dovuto preliminarmente evidenziare il contenuto della citazione nell'intera parte in cui erano articolati l'oggetto e le ragioni delle domande dell'attrice e, onde consentire un vaglio della doglianza formulata, e trascriverne il testo integrale e non gia', come invece accaduto, una sintesi incompleta realizzata mediante un collage di frammenti dell'esposizione dei fatti, non consente per la sua parzialita' alcuna verifica della sussistenza della violazione denunciata.

E' vero, infatti che il vizio di ultrapetizione, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, integra un error in procedendo, in relazione al quale la Suprema Corte ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa e, in particolare, le istanze e le deduzioni formulate in giudizio dalle parti, tuttavia, il dovere del riesame del fatto processuale non implica anche quello della sua ricerca, salvo che non vengano denunciati vizi rilevabili d'ufficio, tra i quali non rientra quello di ultra od extrapetizione (cfr.: cass. civ., sez. 3, sent. 26 luglio 2005, n. 15629; cass. civ., sez. 3, sent. 4 gennaio 2000, n. 21).

La parte che chiede un tale riesame ha, quindi, l'onere per il principio di autosufficienza del ricorso, al quale e' condizionato il potere-dovere inquisitorio del giudice di legittimita', di specificare tutti i riferimenti necessari per individuare l'asserita violazione processuale, onde evitare che la sua censura si risolva, come in specie, in una affermazione apodittica priva di qualsiasi sussidio fattuale e logico riscontrabile nel ricorso (cfr: cass. civ., sez. 3, sent. 3 agosto 2005, n. 16245; cass. civ., sez. 3, sent. 4 maggio 2005, n. 9275; cass. civ., sez. 2, sent. 26 aprile 2005, n. 8575).

Va aggiunto che, avendo questa Corte ripetutamente affermato che la domanda giudiziale deve essere interpretata non solo nella sua formulazione letterale, ma anche, e soprattutto, nel suo sostanziale contenuto e con riguardo alle finalita' che la parte intende perseguire, anche una istanza non espressamente e formalmente proposta puo' ritenersi implicitamente introdotta e virtualmente contenuta nella domanda dedotta in giudizio quando si trovi, come rilevato dal giudice di merito, in rapporto di connessione necessaria con il petitum e la causa petendi e non ne estenda l'ambito soggettivo di riferimento. Con il terzo motivo, lamenta la violazione degli artt. 99 e 101 c.p.c., e del principio della domanda e del contraddittorio, giacche' non risultando dall'atto di citazione se l'attrice avesse lamentato un errore irrilevante sugli effetti degli atti, un errore ostativo od un errore riconoscibile, una simulazione ovvero un dolo od una culpa in contraendo della mandante, la convenuta non era stata posta in grado di difendersi dalla domanda proposta nei suoi confronti.

Il motivo e' inammissibile.

L'omessa indicazione degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della domanda postula la totale omissione o l'assoluta incertezza della causa petendi, che non ricorre quando la sua individuazione sia comunque possibile attraverso un esame complessivo dell'atto introduttivo del giudizio, non limitato alla parte di esso destinata a contenere le conclusioni, ma esteso anche alla parte espositiva, e l'apprezzamento della possibilita' della sua identificazione costituisce una valutazione di fatto riservata al giudice di merito che, oltre ad essere sanata dall'eventuale omessa impugnazione sul punto della decisione di primo grado, e' censurabile in sede di legittimita' soltanto sotto il profilo della congruita' o correttezza della motivazione. La mancata prospettazione nel ricorso della formulazione in primo grado dell'eccezione di indeterminatezza od indeterminabilita' della causa petendi e dell'impugnazione della pronuncia del Tribunale che eventualmente l'ha rigettata preclude, pertanto, l'esame della questione in sede di legittimita', mentre, quanto alla denuncia di violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, il motivo incorre nella medesima carenza di autosufficienza evidenziata relativamente al motivo esaminato in precedenza, giacche' la mancata trascrizione dell'atto di citazione non consente alcun vaglio in ordine alla concreta decisivita' della doglianza.

Con il quarto motivo, denunciando la violazione dell'art. 1417 c.c., deduce che la sentenza ha ritenuto provata la simulazione del recesso e del nuovo contratto mediante una non consentita prova per testi, nonostante sia nella comparsa di risposta che in quella conclusionale del giudizio di primo grado e nell'atto di appello la convenuta avesse eccepito che l'accertamento della simulazione "dovrebbe scontare la mancanza di prova scritta della simulazione e la prova del contenuto del negozio dissimulato", ed erroneamente ravvisato una acquiescenza all'assunzione di detta prova nel mancato esperimento avverso di essa del reclamo facoltativo al collegio.

Il motivo e' inammissibile.

La decisione impugnata, premesso che i limiti della prova per testimoni della simulazione involge interessi disponibili, ha ritenuto dimostrata la simulazione dell'interruzione del rapporto di agenzia e della stipula di un nuovo contratto sulla base di emergenze documentali, attestanti che nel periodo intercorso tra la data di efficacia dei due atti l'agente aveva acquisito ordini e gli stessi erano stati sollecitamente evasi, sia pure in parte ad opera del preponente, e dei riscontri testimoniali, acquisiti senza che la parte avesse dato seguito alle obiezioni svolte nella comparsa di risposta in ordine al divieto posto dall'art. 1417 c.c., od attivato i rimedi previsti contro l'ammissione di quelle istanze istruttorie, ne' articolato in grado di appello specifiche censure avverso l'ammissione.

Da un lato, quindi, facendo applicazione del disposto dell'art. 2724 c.c., n. 1, ha ritenuto che, in presenza di un principio di prova per i-scritto, proveniente dal preponente, che faceva apparire verosimile la dedotta simulazione, alla dimostrazione della nullita' dei negozi poteva validamente concorrere anche la prova testimoniale, dall'altro, oltre a prospettare una acquiescenza all'assunzione della prova testimoniale in primo grado, ha rilevato l'inammissibilita' per genericita' delle doglianze proposte in appello avverso la sua assunzione. Nessuna di tali autonome ed autosufficiente rationes decidendi e' stata censurata dal ricorso, giacche' per contrastare la rilevata genericita' del motivo di gravame, l'atto si limita a trascrivere l'espressione contenuta nel gravame che lo "accertamento della simulazione ... dovrebbe scontare la mancanza di prova scritta della simulazione e la prova del contenuto del negozio dissimulato", ritenuta dal giudice di appello priva della specificita' necessaria a censurare l'ammissione della prova in primo grado, e nessun argomento adduce per contrastare l'affermazione dell'ammissibilita' della prova per testi della simulazione in presenza di un principio di prova documentale.

Con il quinto motivo, dolendosi della violazione dell'art. 1224 c.c., si duole della cumulativa condanna al pagamento degli interessi e della svalutazione monetaria, nonostante la natura di crediti di valuta delle somme liquidate in favore dell'attrice.

Il motivo e' inammissibile.

La Corte di appello, pur rigettando integralmente l'appello del preponente, ha corretto la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto all'agente tanto gli interessi legali quanto la rivalutazione monetaria sugli importi liquidati per indennita' di mancato preavviso e suppletiva di clientela ed ha affermato che la pretendibilita' del risarcimento del danno, pur non essendo applicabile ratione temporis la previsione del novellato art. 1751 c.c., non privava comunque l'agente del diritto ad un risarcimento del danno e che lo stesso poteva essere determinato in misura pari alla maturata rivalutazione dei crediti.

Non attinge, quindi, la ratio decidendi il richiamo del motivo alla non cumulabilita' nei crediti di valuta degli interessi legali e della rivalutazione monetaria e la sua non pertinenza si risolve in una carenza di specificita' sanzionata dall'art. 366 c.p.c., n. 4.

All'inammissibilita' od infondatezza dei motivi seguono il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento della spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltre spese generali, iva, epa ed altri accessori di legge.

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