La rottura della promessa di matrimonio formale e solenne - cioè risultante da atto pubblico o scrittura privata, o dalla richiesta delle pubblicazioni matrimoniali non può considerarsi comportamento lecito allorché avvenga senza giustificato motivo

La rottura della promessa di matrimonio formale e solenne - cioè risultante da atto pubblico o scrittura privata, o dalla richiesta delle pubblicazioni matrimoniali non può considerarsi comportamento lecito allorché avvenga senza giustificato motivo. E' indubbio che tale comportamento non genera l'obbligazione civile di contrarre il matrimonio, ma il recesso senza giustificato motivo configura pur sempre il venir meno alla parola data ed all'affidamento creato nel promissario, quindi la violazione di regole di correttezza e di autoresponsabilità, che non si possono considerare lecite o giuridicamente irrilevanti. Poiché, tuttavia, la legge vuol salvaguardare fino all'ultimo la piena ed assoluta libertà di ognuno di contrarre o non contrarre le nozze, l'illecito consistente nel recesso senza giustificato motivo non è assoggettato ai principi generali in tema di responsabilità civile, contrattuale od extracontrattuale, né alla piena responsabilità risarcitoria che da tali principi consegue, poiché un tale regime potrebbe tradursi in una forma di indiretta pressione sul promittente nel senso dell'accettazione di un legame non voluto. Ma neppure si vuole che il danno subito dal promissorio incolpevole rimanga del tutto irrisarcito. Il componimento fra le due opposte esigenze ha comportato dunque la previsione a carico del recedente ingiustificato non di una piena responsabilità per danni, ma di un'obbligazione ex lege a rimborsare alla controparte quanto meno l'importo delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio. Non sono invece risarcibili voci di danno patrimoniale diverse da queste e men che mai gli eventuali danni non patrimoniali. (Fattispecie ove il ricorrente ha esercitato il recesso solo due giorni prima della data fissata per la celebrazione delle nozze).

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE VI - 3 CIVILE, Ordinanza 2 gennaio 2012, n. 9



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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE - 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARIO FINOCCHIARO - Presidente -

Dott. MAURIZIO MAS SERA - Consigliere -

Dott. ANTONIO SEGRETO - Consigliere -

Dott. ROBERTA VIVALDI - Consigliere -

Dott. RAFFAELLA LANZILLO - Rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 22480-2010 proposto da:

elettivamente domiciliato in Roma presso la Cassazione,
rappresentato e difeso dall'avv. Giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

- intimata -

avverso la sentenza n. 145/2010 della CORTE D'APPELLO di CATANIA, del 14.1.2010,depositata il 15/02/2010; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

è presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO.

La Corte,

premesso in fatto:

- Il 7 novembre 2011 è stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell'art. 380bis cod. proc. civ.:

"1.- Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza con cui il tribunale di Catania-Sez. dist. di Paternò- ha condannato al risarcimento dei danni in favore di........,per ingiustificata rottura della promessa di matrimonio, nella misura di € 9.875,45, somma corrispondente alle spese fatte ed alle obbligazioni contratte dalla fidanzata in previsione delle nozze. In accoglimento dell'appello incidentale proposto dalla la Corte di appello ha poi condannato i al risarcimento dei danni non patrimoniali, liquidati in € 30.000,00. Quest'ultimo propone sette motivi di ricorso per cassazione. L'intimata non ha depositato difese.

2.- I primi due motivi, con cui il ricorrente lamenta vizi di motivazione e violazione degli art. 79, 80 e 81 cod. civ. nel capo in cui la sentenza impugnata lo ha condannato al rimborso delle spese, sono inammissibili perché generici ed apoditticamente formulati.

Il ricorrente lamenta che la Corte di merito non abbia preso in esame le sue deduzioni circa il giusto motivo della rottura del fidanzamento e non abbia tenuto conto, nella quantificazione dei danni, della misura in cui dette spese avrebbero potuto essere recuperate, ma non fa alcun riferimento alla concreta motivazione della sentenza, che ha ritenuto non provate le eccezioni da lui sollevate, né illustra le ragioni per cui la motivazione si dovrebbe ritenere insufficiente, illogica o contraddittoria.

3.- Con il terzo e il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione degli art. 81 e 2059 cod. civ. e vizi di motivazione, sul rilievo che il risarcimento dei danni conseguenti all'ingiustificata rottura della promessa di matrimonio va circoscritto alle spese fatte ed alle obbligazioni contratte dal promissario; non può essere esteso oltre questi limiti - e men che mai al risarcimento dei danni non patrimoniali - poiché il recesso dalla promessa non costituisce illecito, in quanto la legge vuol salvaguardare fino all'ultimo la piena libertà delle parti di decidere se contrarre o non contrarre matrimonio. Richiama a conforto la recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. Civ, Sez. 3, 15 aprile 2010 n. 9052).

3.- I motivi sono fondati.

Va premesso che la rottura della promessa di matrimonio formale e solenne - cioè risultante da atto pubblico o scrittura privata, o dalla richiesta delle pubblicazioni matrimoniali (come nel caso di specie, ove il ricorrente ha esercitato il recesso solo due giorni prima della data fissata per la celebrazione delle nozze) - non può considerarsi comportamento lecito, come assume il ricorrente, allorché avvenga senza giustificato motivo.

E' indubbio che tale comportamento non genera l'obbligazione civile di contrarre il matrimonio, ma il recesso senza giustificato motivo configura pur sempre il venir meno alla parola data ed all'affidamento creato nel promissario, quindi la violazione di regole di correttezza e di autoresponsabilità, che non si possono considerare lecite o giuridicamente irrilevanti.

Poiché, tuttavia, la legge vuol salvaguardare fino all'ultimo la piena ed assoluta libertà di ognuno di contrarre o non contrarre le nozze, l'illecito consistente nel recesso senza giustificato motivo non è assoggettato ai principi generali in tema di responsabilità civile, contrattuale od extracontrattuale, né alla piena responsabilità risarcitoria che da tali principi consegue, poiché un tale regime potrebbe tradursi in una forma di indiretta pressione sul promittente nel senso dell'accettazione di un legame non voluto. Ma neppure si vuole che il danno subito dal promissorio incolpevole rimanga del tutto irrisarcito.

Il componimento fra le due opposte esigenze ha comportato la previsione a carico del recedente ingiustificato non di una piena responsabilità per danni, ma di un'obbligazione ex lege a rimborsare alla controparte quanto meno l'importo delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio. Non sono risarcibili voci di danno patrimoniale diverse da queste e men che mai gli eventuali danni non patrimoniali.

La motivazione della sentenza impugnata, circa la rilevanza degli interessi non patrimoniali, degli affetti e dei diritti della persona del promesso sposo incolpevole, che sarebbero anche costituzionalmente protetti e che risulterebbero lesi dalla rottura della promessa, è irrilevante e non congruente con la disciplina giuridica della materia, poiché tralascia il presupposto ineliminabile per poter attribuire rilevanza ai suddetti diritti e interessi: cioè l'assoggettamento della promessa di matrimonio e del suo inadempimento ai principi generali in tema di responsabilità, contrattuale od extracontrattuale, anziché ai soli effetti espressamente previsti dall'art. 81 cod. civ.

4.- Gli altri motivi, che censurano i criteri dì liquidazione del danno non patrimoniale, risultano assorbiti.

4.- Propongo che il ricorso sia deciso con procedura in camera di consiglio, nel senso dell'accoglimento del terzo e quarto motivo; dei rigetto del primo e del secondo motivo, assorbiti gli altri motivi".

- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti.

-Il PM. non ha depositato conclusioni scritte.

Considerato in diritto:

II Collegio, all'esito dell'esame del ricorso, ha condiviso la soluzione e gli argomenti prospettati dal relatore.

In accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata nella parte in cui ha condannato il ricorrente al risarcimento dei danni non patrimoniali. Il primo e il secondo motivo vanno rigettati e gli altri motivi risultano assorbiti.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384, 2° comma, cod. proc. civ.

Il capo della sentenza di appello che ha accolto l'appello incidentale della condannando il al risarcimento dei danni non patrimoniali, deve essere annullato, mentre va confermata la condanna del ricorrente a rimborsare alla le spese fatte e le obbligazioni contratte in vista del matrimonio, nell'importo quantificato dal Tribunale e confermato dalla Corte di appello.

Considerata la reciproca soccombenza delle parti le spese del giudizio di appello si compensano per intero.

Le spese del presente giudizio vanno poste a carico della soccombente e si liquidano complessivamente in € 1.500,00, di cui € 200,00 per esborsi ed € 1.300,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso; rigetta il primo e il secondo motivo e dichiara assorbiti gli altri motivi.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da con l'atto di appello incidentale e conferma il rigetto dell'appello principale, proposto da

Compensa per intero le spese del giudizio di appello.
Condanna a rimborsare al ricorrente le spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in € 1.500,00, oltre alle spese generali, ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Cosi deciso in Roma, il 15 dicembre 2011

Il Presidente

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