Disapprovare la nomina del lavoratore a sindacalista non prova che il licenziamento è antisindacale

E' legittima la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame., purche' il giudice d'appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Deve viceversa essere cassata la sentenza d'appello allorquando la laconicita' della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che alla affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame(Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 20 marzo 2009, n. 6912)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATTONE Sergio - Presidente

Dott. LAMORGESE Antonio - Consigliere

Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere

Dott. CURZIO Pietro - rel. Consigliere

Dott. MELIADO' Giuseppe - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CH. PI. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.B. VICO 31, presso lo studio dell'avvocato SCOCCINI ENRICO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato BASTIANINI PAOLO giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

PE. S.a.s. di PE. DO. GI. , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9, presso lo studio dell'avvocato SPALLINA BARTOLO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato TOSI ANDREA giusta delega in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 968/2005 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 17/06/2005 R.G.N. 1645/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/02/2009 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l'Avvocato SPALLINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Ch.Pi. impugno' il licenziamento intimatogli dalla " Pe. sas di Pe. do. Gi. " con lettera del (OMESSO), assumendo che era stato disposto per motivi sindacali in ragione della sua nomina a rappresentante sindacale aziendale e chiedendo che ne venisse dichiarata la nullita' con condanna della societa' alla reintegrazione ed al risarcimento dei danni. In via subordinata chiese che il licenziamento venisse dichiarato illegittimo per carenza di giusta causa o di giustificato motivo e che la convenuta fosse condannata a riassumerlo o a risarcirgli il danno versandogli una indennita' pari a sei mensilita'.

Il tribunale di Grosseto accolse la domanda subordinata.

Il Ch. propose appello.

L'impugnazione e' stata respinta dalla Corte d'Appello di Firenze.

Il lavoratore ricorre per cassazione, per i seguenti motivi.

Il primo concerne un vizio della motivazione ed e' cosi' rubricato: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

La censura consiste nel fatto che la sentenza di secondo grado e' motivata per relationem, riportando buona parte della sentenza del tribunale e nessun riferimento e' rinvenibile in motivazione alle censure avanzate in sede di appello.

Il secondo motivo riguarda la violazione e falsa applicazione della Legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo 4, della Legge n. 300 del 1970, articolo 15, della Legge n. 108 del 1990, articolo 3, e degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c..

Si sostiene che, fermo restando che la prova dei fatti che dimostrano l'esistenza di un motivo discriminatorio nel licenziamento grava sul lavoratore, tuttavia nel caso in esame era stata raggiunta la prova di una serie di fatti noti che consentono di risalire in via presuntiva al fatto ignoto costituito dall'intento discriminatorio.

Tali fatti sono:

- il Ch. era delegato sindacale dal (OMESSO) e la azienda ne era a conoscenza - le sentenze di primo e di secondo grado hanno accertato che il licenziamento da lui subito il (OMESSO) era illegittimo perche' del tutto svincolato quanto ai presupposti dalla contestazione effettuata il (OMESSO); - l'episodio contestatogli con tale lettera era di modesta portata tale da risultare insignificante anche ai fini del rapporto fiduciario. In sostanza, in mancanza di una ragione seria per licenziare, deve presumersi che la vera ragione sia costituita dalla attivita' sindacale del ricorrente.

Con il terzo motivo si denunzia un vizio di motivazione circa la valutazione di prove decisive: la sentenza sarebbe da cassare nella parte in cui ritiene non provata l'attivita' di ritorsione svolta dalla Pe. sas prima del licenziamento; tale attivita' risulterebbe invece provata dai seguenti fatti: il Ch. fu spostato dal reparto falegnameria ed assegnato alla funzione di Jolly, sino ad essere inviato nel (OMESSO) - unico uomo - alla cassa; era l'unico dipendente a dover chiedere le ferie per iscritto; era stato oggetto di vari richiami disciplinari rivelatisi del tutto infondati. Infine, si censura la decisione per non aver dato rilievo alla testimonianza della teste Mi. la quale avrebbe riferito che la moglie del datore di lavoro le disse che il suo (della Mi. ) licenziamento era stato determinato dalla sua amicizia con il Ch. e che avrebbe potuto essere riassunta se avesse dichiarato che la causa del suo licenziamento era imputabile al Ch. .

La societa' si e' costituita con controricorso, con il quale ha, in primo luogo, contestato che la sentenza non abbia specificamente motivato e non abbia esaminato i motivi di impugnazione. Secondo la controricorrente, poi, le critiche contenute nel secondo motivo sono infondate perche' la Corte ha applicato con precisione il principio per cui, ai fini della dimostrazione del motivo illecito del licenziamento ai sensi della Legge n. 604 del 1966, articolo 4 e successive disposizioni, non e' sufficiente l'allegazione di fatti in astratto rilevanti ma e' necessaria la prova di un rapporto di causalita' tra le circostanze dedotte e l'asserito intento di rappresaglia, che grava sul lavoratore. La societa', ha, infine, eccepito che con il secondo ed il terzo motivo si chiede in realta' di rivalutare i fatti di causa.

Il ricorso e' infondato.

Per giurisprudenza costante "E' legittima la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame., purche' il giudice d'appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Deve viceversa essere cassata la sentenza d'appello allorquando la laconicita' della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che alla affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame" (Cass., Sezione 3 civile, sentenza n. 15483 del 11/06/2008 (Rv. 603367).

Nel caso in esame la Corte d'Appello rileva che i motivi di appello ripropongono le tesi avanzate in primo grado, riporta le risposte del giudice di primo grado a tali censure e, quindi, spiega perche' tali risposte sono rispondenti alle risultanze istruttorie (viene considerata anche la testimonianza Mi. ) e convincenti. In particolare, rivalutando il merito, la Corte esamina i risultati dell'istruttoria e spiega perche' i vari comportamenti indicati come ritorsivi sono risultati o insussistenti o sussistenti ma neutri e non rilevanti ai fini della motivazione discriminatoria del licenziamento, pervenendo alla conclusione di un complessivo ed imponente ridimensionamento in fatto delle allegazioni attrici in tema di presunti comportamenti ritorsivi del datore. Secondo la Corte cio' che residua della tesi del ricorrente e' il non gradimento della sua funzione di rappresentante sindacale, circostanza che e' inidonea da sola a fondare la presunzione di un licenziamento motivato da intenti ritorsivi.

La Corte ribadisce quindi che il licenziamento determinato dalla chiusura anticipata della cassa e' illegittimo per le ragioni indicate dal giudice di primo grado con giudizio non valutabile non essendovi stato appello sul punto, ma conclude che non vi sono elementi probatori idonei per affermare che si sia trattato di un licenziamento per finalita' antisindacali.

Non puo' certo dirsi, pertanto, che la motivazione sia assente o insufficiente.

Con riferimento alle censure del terzo e del secondo motivo del ricorso, oltre a quanto gia' rilevato esaminando il primo motivo, deve osservarsi che, gli stessi ripropongono le affermazioni fatte nei gradi precedenti, senza dare conto delle ragioni per le quali i giudici hanno ritenuto tali circostanze o insussistenti o neutre ai fini della motivazione del licenziamento.

Il ricorso non individua contraddizioni o violazioni di legge nel ragionamento della sentenza impugnata, ma si limita a chiedere al giudice di legittimita' una rivalutazione del quadro probatorio e una diversa valutazione dei fatti, il che non e' consentito in questa sede.

Il ricorso pertanto deve essere respinto. Sussistono congrui motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimita'.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

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