E' legittimo il licenziamento del medico del lavoro, assente per malattia, scoperto ad aiutare la moglie

Lo svolgimento di altra attività' lavorativa da parte del dipendente assente per malattia e' idonea a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà', ove tale attività' esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per se' sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolente simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l'attività' stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore, ferma restando la necessita' che, nella contestazione dell'addebito, emerga con chiarezza il profilo fattuale, cosi' da consentire una adeguata difesa da parte del lavoratore. Conforme Cass. n. 17128 del 2002.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Sentenza 1 agosto 2017, n. 19089



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio - Presidente

Dott. MANNA Antonio - Consigliere

Dott. DE GREGORIO Federico - rel. Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia - Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:
 

SENTENZA

sul ricorso 5146-2015 proposto da:

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta delega in atti; (comparsa di costituzione del 11/1/2017);

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 5567/2014 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 13/08/2014 R.G.N. 7603/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2017 dal Consigliere Dott. DE GREGORIO FEDERICO;

udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito l'Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI FRANCESCA che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso, in subordine rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 9 giugno - 13 agosto 2014 la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame interposto da (OMISSIS) avverso la pronuncia con la quale il locale giudice del lavoro aveva respinto la domanda del medesimo (OMISSIS), volta ad ottenere invalidazione del licenziamento per giusta causa intimato in data 10 marzo 2009 dalla convenuta (OMISSIS) S.p.a., con ogni conseguente tutela.

Secondo la Corte distrettuale, in base all'espletata attivita' istruttoria emergeva la prova della giusta causa del recesso, avuto riguardo all'attivita' svolta dal (OMISSIS) durante il periodo in cui era rimasto assente per malattia e/o infortunio.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), affidato a due motivi, cui ha resistito la societa' (OMISSIS) mediante controricorso.

Le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va premesso che il ricorrente aveva conferito procura speciale, come da mandato in calce all'originale dell'atto notificato in data 11 -16 febbraio 2015, agli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), eleggendo domicilio presso il loro studio in Roma, ai quali sono stati dati regolari comunicazioni, tramite posta elettronica certificata in data 28-11-2016, dell'udienza pubblica fissata al 19 gennaio 2017. Peraltro, a seguito della nomina dell'avv. prof. (OMISSIS) a giudice della Corte Costituzionale, con conseguente rinuncia al mandato da parte del medesimo e sua cancellazione dall'albo degli avvocati, il (OMISSIS), revocato il mandato all'avv. (OMISSIS), ha nominato suo difensore l'avv. (OMISSIS), che quindi ha depositato comparsa di costituzione e memoria.

Orbene, con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato la violazione e la falsa applicazione della L. n. 67 del 1988, articolo 12, nonche' degli articoli 2110, 2119 e 2700 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3. Ha osservato che egli rimase coinvolto in un grave infortunio in itinere nel settembre 2007, per cui secondo l'attestazione del medico INAIL avrebbe dovuto riprendere servizio il primo marzo 2009, percio' mediante certificazione fidefaciente fino a querela di falso, che non poteva essere messa in discussione da investigazioni private, di modo che, inoltre, l'infortunato non avrebbe potuto riprendere il lavoro di sua iniziativa. La sentenza impugnata, pero', senza alcun accertamento medico - legale, sebbene richiesto dall'attore, aveva ritenuto di adottare un criterio d'invalidita' temporanea, che non teneva conto della fase di convalescenza e di graduale ripresa fisiologica della completa funzionalita'. La sentenza de qua, inoltre, aveva errato nel ritenere che l'attivita' svolta dal ricorrente presso la farmacia della moglie potesse aver pregiudicato e ritardato la guarigione, nonche' il rientro in servizio, reputando incompatibile con l'accertamento dell'INAIL il fatto che il ricorrente deambulasse e potesse trattenersi anche in piedi nella farmacia della moglie, laddove il concetto d'inabilita' temporanea non poteva essere riferito ad un'assoluta incapacita' di movimento, ma piuttosto ad un fisiologico processo di guarigione "sino ad un punto nel quale e' opinabile il completo recupero funzionale a fronte di un'apparente completa guarigione; il tutto prescindendo dalla nozione rimessa alla comune esperienza per la quale la fase di convalescenza e di riabilitazione rientra pur sempre nella valutazione INAIL".

Con il secondo motivo, e' stata dedotta la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 2119 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che il comportamento posto a fondamento del licenziamento non integrava comunque la giusta causa di recesso, laddove la pronuncia de qua avrebbe dovuto descrivere quale sarebbe dovuto essere il corretto comportamento del ricorrente, anche in relazione al primo motivo d'impugnazione circa la possibilita' di rientrare anticipatamente in servizio rispetto alla prescrizione INAIL, mentre i citati precedenti giurisprudenziali riguardavano casi di palese malafede del lavoratore licenziato. Inoltre, nel caso di specie non era stata svolta alcuna attivita' usurante, che potesse ritardare la guarigione ed il licenziamento era intervenuto ancor prima del termine fissato dall'INAIL per il rientro in servizio, poiche' l'attivita' svolta presso la farmacia del coniuge comportava movimenti compatibili con l'attivita' fisioterapica in corso di svolgimento, peraltro gratuitamente e senza vincolo di subordinazione.

Ad ogni modo,la ripresa dell'attivita' non poteva avvenire autonomamente prima del completamento del ciclo di fisioterapia e prima di quanto stabilito dalla certificazione INAIL. Nella specie, inoltre, era evidente l'assenza di proporzionalita' tra il recesso intimato e la condotta contestata, non emergendo la presunta gravita' dell'inadempimento in capo al dipendente, che non era mai venuto meno agli obblighi di fedelta' di buona fede nei confronti del suo datore di lavoro.

Dunque, la decisione gravata aveva errato nel qualificare come giusta causa di licenziamento il recesso comunicato dalla societa', senza tener conto delle implicazioni psicologiche e morali poste alla base del censurato comportamento, con conseguente assoluta sproporzione. Il problema dell'errato esercizio del potere di valutare nel merito la fattispecie trovava comunque il suo presupposto in una evidente errata concezione della giusta causa, valutata sia con riferimento alla rottura del rapporto fiduciario, sia con riferimento ai principi di etica sociale, che la clausola generale ricomprende, con conseguente errore di diritto.

Orbene, il ricorso va disatteso in forza delle seguenti considerazioni.

Invero, quanto al primo motivo, va osservato preliminarmente come il ricorrente abbia omesso di riprodurre, contrariamente a quanto prescritto dall'articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il testo del certificato INAIL, sul quale fonda in buona parte le sue censure, sicche' non e' possibile valutare se ed in quali effettivi limiti tale attestato risulti incompatibile con gli accertamenti e le valutazioni compiuti dai giudici di merito. D'altro canto, l'efficacia probatoria, fino a querela di falso, ex articolo 2700 c.c., come testualmente recita la norma, e' limitata alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato ed alle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che lo stesso pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Ne deriva che la prognosi della guarigione, certificata dal medico pubblico ufficiale, non rientra di certo tra i fatti avvenuti in sua presenza, o da lui compiuti, come tale percio' non fidefaciente nei sensi contemplati dall'articolo 2700, comportando soltanto una manifestazione di scienza in relazione allo stato morboso, verificato alla data dell'attestazione (peraltro spesso anche in base alle mere dichiarazioni rese dal soggetto direttamente interessato, come non di rado capita nella pratica), rapportata ad un momento successivo e quindi futuro, percio' necessariamente al di fuori della contestuale percezione, invece pure richiesta dalla norma. Ne deriva che anche il giudizio prognostico costituisce una mera presunzione di fatto, quindi ben liberamente e prudentemente apprezzabile dal giudice adito (cfr. tra l'altro Cass. 1 pen. n. 2207 del 18/01 - 03/03/1995: in tema di reati di falso, dalla categoria degli atti pubblici vanno distinti i certificati e le autorizzazioni amministrative, per i quali il legislatore ha previsto, in caso di falsificazione, autonome figure di reato. In particolare, i certificati sono atti che, pur provenendo da pubblici funzionari e pur essendo destinati anch'essi alla prova, o hanno natura di documenti "secondari" o "derivati", perche' contengono dichiarazioni di scienza cioe' l'attestazione di fatti e dati che sono noti al pubblico ufficiale in quanto provengono da altri documenti ufficiali o dalle sue conoscenze tecniche- ovvero implicano giudizi e valutazioni che, come tali, non possono essere oggetto di documentazione fidefaciente.

Cfr., parimenti, Cass. sez. un. civ. n. 577 - 11/01/2008, secondo cui i verbali della Commissione medico-ospedaliera di cui all'articolo 4 della L. 25 febbraio 1992, n. 210 fanno piena prova, ai sensi dell'articolo 2700 c.c., dei fatti che la Commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essi contenuti costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale puo' valutarne l'importanza ai fini della prova ma non puo' mai attribuire loro il valore di vero e proprio accertamento.

Allo stesso modo, v. Cass. lav. n. 9175 del 15/09/1997, n. 5707 del 12/11/1984 e n. 5712 del 5/11/1979. Analogamente, v. ancora Cass. lav. n. 185 del 10/01/1984, conforme Cass. n. 1840 del 1981.

Inoltre, Cass. 3 civ. n. 25568 del 30/11/2011 similmente si e' pronunciata pure riguardo alle attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da un'azienda ospedaliera pubblica, o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico, nel senso che restano, invece, non coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse. Conforme Cass. n. 7201 del 2003.

Cass. 2 civ. n. 6090 del 12/05/2000 ha poi confermato l'esclusione della efficacia probatoria privilegiata di un atto pubblico, a norma dell'articolo 2700 c.c., per quanto attiene alla veridicita' e alla esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti in presenza del pubblico ufficiale, le quali, di conseguenza, possono essere contrastate ed accertate con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge, senza che all'uopo occorra o possa proporsi querela di falso. Conforme Cass. n. 3776 del 1987).

Orbene, nel caso in esame la Corte di merito, dopo aver piu' che sufficientemente ripercorso i fatti e le risultanze di causa, ha motivatamente ritenuto che la prova orale aveva confermato la sussistenza delle condotte contestate in via disciplinare al (OMISSIS), soprattutto laddove emergeva che costui rimaneva occupato (per la maggior parte del tempo in piedi, servendo e consigliando i clienti, rilasciando gli scontrini fiscali e parlando con i rappresentanti) presso la farmacia della moglie, complessivamente per circa sei ore al giorno. "Impegno certamente gravoso, quasi un orario di lavoro full-time (8 ore), circostanza non di poco conto considerate le asserite condizioni di salute dell'appellante. Comunque un lasso di tempo tale, poco meno di un orario di lavoro ordinario, che non poteva non stancarlo e, quindi, ragionevolmente pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio".

Le anzidette argomentazioni, peraltro aderenti alle acquisite emergenze processuali ed istruttorie, sono pienamente corrette sotto il profilo logico-giuridico, e non appaiono, quindi, meritevoli di censura alcuna, segnatamente poi in questa sede di legittimita', il cui controllo e' ammesso nei soli rigorosi limiti fissati dall'articolo 360 del codice di rito.

In punto di diritto, come gia' affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. lav. n. 16465 del 5/8/2015), costituisce illecito disciplinare l'espletamento di attivita' extralavorativa durante il periodo di assenza per malattia non solo se da tale comportamento derivi un'effettiva impossibilita' temporanea della ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa sia solo messa in pericolo dalla condotta imprudente (in motivazione Cass. 16465 cit. ha osservato che la Corte d'Appello nella specie era incorsa nei denunciati errori di diritto -violazione degli articoli 1175, 1176 e 2119 c.c., - e nel conseguente omesso esame della rilevata sequenza temporale. Il comportamento indisciplinato in questione, ossia lo svolgimento di attivita' extralavorativa in periodo di assenza dal lavoro per malattia, costituisce illecito di pericolo e non di danno. Questo sussiste percio' non soltanto se quell'attivita' abbia effettivamente provocato un'impossibilita' temporanea di ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa sia stata posta in pericolo, ossia quando il lavoratore si sia comportato in modo imprudente.

In particolare, Cass. lav. n. 6236 del 3/5/2001 ha avuto modo di affermare che le disposizioni della L. n. 300 del 1970, articolo 5, sul divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermita' per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facolta' dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermita' solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l'insussistenza della malattia o la non idoneita' di quest'ultima a determinare uno stato di incapacita' lavorativa, e quindi a giustificare l'assenza, e, in particolare, ad accertamenti circa lo svolgimento da parte del lavoratore di un'altra attivita' lavorativa, peraltro valutabile anche quale illecito disciplinare sotto il profilo dell'eventuale violazione del dovere del lavoratore di non pregiudicare la guarigione o la sua tempestivita'. In senso conforme, Cass. lav. n. 25162 del 26/11/2014. V. ancora Cass. lav. n. 17625 del 05/08/2014, secondo cui lo svolgimento di altra attivita' lavorativa da parte del dipendente assente per malattia e' idonea a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedelta', ove tale attivita' esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per se' sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolente simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l'attivita' stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore, ferma restando la necessita' che, nella contestazione dell'addebito, emerga con chiarezza il profilo fattuale, cosi' da consentire una adeguata difesa da parte del lavoratore. Conforme Cass. n. 17128 del 2002.

Parimenti, secondo Cass. n. 21253 del 29/11/2012, lo svolgimento di altra attivita' da parte del dipendente assente per malattia puo' giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedelta', anche nel caso in cui la medesima attivita', valutata con giudizio "ex ante" in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio, con conseguente irrilevanza della tempestiva ripresa del lavoro alla scadenza del periodo di malattia. Conforme n. 14046 del 2005).

Le precedenti considerazioni valgono, altresi', per quanto concerne le doglianze relative alla giusta causa di cui al secondo motivo di ricorso, laddove la Corte distrettuale ha tenuto conto altresi' dell'attivita' lavorativa o comunque extralavorativa svolta dal (OMISSIS) presso la farmacia della moglie, indice di scarsa attenzione non solo alla propria salute, ma anche ai doveri di cura e di non ritardata guarigione, tale da far presumere, in relazione alla natura della patologia e alla gravosita' dell'attivita' espletata, di poter pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio. Ne derivava che la gravita' della condotta posta in essere ben giustificava il licenziamento intimato il 10 marzo 2009, inoltre giudicato proporzionato in relazione al venir meno del rapporto fiduciario tra le parti, tenuto conto nello specifico della peculiarita' della societa' datrice di lavoro, operante sull'intero territorio nazionale con ogni possibile risonanza del singolo rapporto in caso di grave violazione del particolare vincolo fiduciario, della consapevolezza del (OMISSIS) dell'importanza dell'azienda per la quale lavorava e della piena e consapevole violazione degli obblighi assunti, della non affidabilita' del dipendente con mansioni tuttavia particolarmente delicate, quale medico di medicina del lavoro, di peculiare rilievo in ambito aziendale, dell'assenza di valide spiegazioni circa il comportamento tenuto nei fatti indicati nelle giustificazioni, perche' sconfessati pienamente dalle risultanze istruttorie, che viceversa confermavano la particolare intensita' dell'elemento intenzionale. Tutto cio' aveva minato il rapporto fiduciario. La condotta tenuta dal dipendente aveva posto in dubbio la futura correttezza nell'adempimento della prestazione lavorativa e quindi aveva fatto venir meno il vincolo necessario alla prosecuzione del rapporto.

Dunque, a fronte di quanto sopra rilevato e soprattutto motivatamente apprezzato dalla Corte di merito, sono inammissibili in questa sede di legittimita' le diverse opinioni espresse al riguardo da parte ricorrente in ordine alla sussistenza della giusta causa nel caso di specie, ricorrente che, peraltro, solo apoditticamente e senza aver, come gia' detto, riprodotto ex articolo 366 c.p.c., n. 6, la certificazione INAIL, asserisce l'impossibilita' di rientrare in servizio prima della data ivi indicata. Ne deriva altresi' l'inconferente rilievo probatorio delle perizie di parte, menzionate a pag. 8 del ricorso (d'altro canto, il provvedimento che dispone una consulenza tecnica di ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, a norma dell'articolo 61 c.p.c.: "Quando e' necessario, il giudice puo' farsi assistere...". Cfr. tra le varie Cass. 1 civ. n. 15219 del 05/07/2007: la consulenza tecnica d'ufficio e' mezzo istruttorio -e non una prova vera e propria- sottratta alla disponibilita' delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell'ausiliario giudiziario e la motivazione dell'eventuale diniego puo' anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dallo stesso giudice. Conforme Cass. lav. n. 9461 del 21/04/2010. V. altresi' analogamente Cass. 3 civ. n. 6155 del 13/03/2009).

Le assorbenti considerazioni che precedono ostano, pertanto, all'accoglimento del ricorso, con conseguente condanna del soccombente alle spese, dovendosi altresi' dar atto dei presupposti di legge per il versamento dell'ulteriore contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte RIGETTA il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore della societa' controricorrente in Euro 4500,00 (quattromilacinquecento/00) per compensi ed in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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