Il sindacalista non può essere discriminato nè avvantaggiato nell'accesso ad avanzamenti di carriera

Nella regolamentazione dei concorsi (o prove selettive) interni basati su criteri comparativi, comportanti la valutazione delle attitudini dei singoli aspiranti a ricoprire qualifiche superiori, spetta all’autonomia negoziale delle parti sociali, nel rispetto di quanto emerge dalla Costituzione, procedere – nelle ipotesi di partecipazione a detti concorsi (o prove selettive) di candidati che hanno svolto il mandato sindacale per tempi suscettibili per la durata di incidere sulla loro valutabilità – ad un bilanciamento tra il diritto di tali candidati a non ricevere dall’effettuato esercizio dell’attività sindacale discriminazioni o ingiustificati pregiudizi capaci di disincentivare in futuro la propensione a svolgere compiti di indubbia rilevanza sociale, ed il diritto degli altri concorrenti, che hanno svolto con continuità la loro attività mostrando invece di privilegiare, sopra ogni altro pure encomiabile compito, l’impegno lavorativo. Ne consegue che nella interpretazione delle disposizioni del contratto collettivo (o del regolamento del personale) disciplinante la materia deve, nell’applicazione dei generali criteri ermeneutici codicistici, attribuirsi il dovuto rilievo ex art. 1366 cod. civ. al principio di buona fede da intendersi, in un’ottica costituzionalmente indirizzata, come bilanciamento tra diritti ugualmente tutelati a livello costituzionale, al fine della individuazione di un giusto equilibrio tra gi stessi che valga ad impedire che l’esercizio dell’attività sindacale non sia ragione né di atti discriminatori o penalizzanti del diritto agli avanzamenti professionali, né nello stesso tempo configuri un criterio di valutazione privilegiata ai danni di coloro che hanno svolto, a tempo pieno, il proprio lavoro acquisendo esperienza e capacità professionali attestanti indubbie attitudini a superiori qualifiche. (Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile
Sentenza del 14 aprile 2008, n. 9813)



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SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AZ. SP. AM., in persona del Direttore Generale dott. Dr. Do., legale rappresentante pro' tempore, elettivamente domiciliata in ROMA CIRCONVALLAZIONE CLODIA 36/A, presso lo studio dell'avvocato PISANI FABIO, rappresentata e difesa dall'avvocato EQUIZZI AGOSTINO, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

VI. RU., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GRAMSCI 20, presso lo studio dell'avvocato PERONE GIAN CARLO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

e contro

CA. CA., CI. GI., DI. FI. VI., MA. MA., UR. GI.;

- intimati -

avverso la sentenza n. 999/04 della Corte d'Appello di PALERMO, depositata il 29/09/04 - R.G.N. 1202/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/02/08 dal Consigliere Dott. VIDIRI Guido;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 27 giugno 2001, l' Az. sp. AM. proponeva appello avverso la sentenza emessa dal Giudice del lavoro del Tribunale di Palermo che l'aveva condannata, in accoglimento della domanda proposta dal Vi. in via subordinata, a pagare allo stesso a titolo di risarcimento del danno una somma corrispondente al 50% della differenza tra il trattamento retributivo previsto per il dirigente e quello dal Vi. percepito, quale funzionario superiore di primo livello, il tutto a decorrere dal 1 novembre 1987 e sino al suo collocamento in quiescenza, oltre interessi come per legge. L'AM. deduceva l'erroneita' della statuizione adottata dal primo Giudice sotto vari profili.

Riferiva che nessun vizio procedurale era rinvenibile nella selezione dalla quale il Vi. era stato escluso per non avere conseguito alcun punteggio nella valutazione concernente l'attitudine alla qualifica da conseguire", che l'articolo 8 del regolamento delle promozioni riserva al direttore con carattere di discrezionalita' e senza l'obbligo di motivazione. Rilevava ancora che l'assenza del Vi. dal servizio sin dal mese di gennaio del 1979, per essere lo stesso impegnato in mandato sindacale, non aveva consentito al Direttore nessuna possibile valutazione in ordine alle sue attitudini alle mansioni corrispondenti alla qualifica da conseguire, donde il punteggio "zero" attribuitogli. Aggiungeva infine che il Vi., contrariamente a quanto asserito dal primo Giudice, non aveva fornito la prova della perdita di chance - nella procedura concorsuale da essa azienda indetta - del suo diritto alla promozione a dirigente in ragione alla mancata assegnazione dei punti rivendicati e del suo mancato collocamento in posizione prioritaria rispetto al dipendente Ci., ultimo dei promossi, con la conseguenza che in assenza di una siffatta prova risultava violato il disposto di cui all'articolo 1226 c.c., che conferisce al Giudice il potere di quantificare il danno in via equitativa ove ne sia certa l'esistenza. Chiedeva, pertanto, in riforma della impugnata sentenza, il rigetto della domanda attrice. Dopo la ricostituzione del contraddittorio e nella contumacia degli altri litisconsorti del Vi., la Corte d'appello di Palermo confermava la impugnata sentenza e condannava l'AM. al pagamento delle spese del giudizio.

Avverso tale sentenza la Az. Sp. Am. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso Vi.Ru..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l' Az. Sp. AM. denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 1223 e 2697 c.c., nonche' omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione dell'articolo 112 c.p.c.. Osserva a tale riguardo che deve distinguersi - nel caso in cui per la promozione ad una qualifica superiore sia prevista una procedura concorsuale - il danno da mancata promozione da quella da perdita di chance in quanto nel primo caso il lavoratore che agisce per il risarcimento deve provare sia l'illegittimita' della procedura concorsuale sia che, in caso di legittimo espletamento, sarebbe stato certamente incluso nell'elenco dei promossi, mentre nel secondo caso il lavoratore fa valere il danno associato alla perdita di una probabilita' non trascurabile di conseguire il risultato utile. Orbene, mentre nel ricorso depositato in data 7 novembre 1996 il Vi. aveva chiesto, come deduce, in via principale la declaratoria del suo diritto ad essere promosso, in occasione degli scrutini del 31 ottobre 1988 o del 16 dicembre 1988, alla qualifica di dirigente (con la condanna dell'Azienda al risarcimento dei danni), e solo subordine il risarcimento del danno per perdita di chance, in altro giudizio aveva richiesto il risarcimento dei danni sempre per perdita di chance per mancata partecipazione ad altro e diverso scrutinio da effettuare entro il 31 dicembre 1990; domanda quest'ultima nemmeno presa in considerazione dalla impugnata sentenza. Ne conseguiva che il Giudice d'appello aveva esteso la sua indagine ad una tipologia di danni (perdita di chance), diversa dal pregiudizio per il quale era stato chiesto il risarcimento (danno da mancata promozione).

1.2. Il motivo e' infondato e, pertanto, va rigettato.

Ed invero, l'AM. ha evidenziato in questa sede numerose circostanze di fatto che, in ragione del principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, dovevano essere nel suddetto ricorso indicate come gia' proposte in primo grado, per poi tradursi in specifici motivi di gravame, al fine di consentire a questa Corte di Cassazione sulla base del solo atto impugnatorio - e senza la necessita' di procedere, quindi, all'esame del complesso iter procedurale seguito e degli atti ad esso relativi - di accertare la decisivita' del punto della controversia oggetto di contestazione (cfr. sull'autosufficienza del ricorso per cassazione : Cass. 19 marzo 2007 n. 6440, secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere in se' tutti gli elementi necessari a rappresentare le ragioni per cui si chiede la riforma della sentenza di merito, e permettere cosi' la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessita' di dovere fare ricorso o accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito; ed, ancora piu' di recente, ex plurimis vedi; Cass. 17 luglio 2007 n. 15952).

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 1126 e 2697 c.c., nonche' omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Assume al riguardo l'AM. che se i Giudici di merito avessero deciso, in conformita' ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimita' in ordine alla quantificazione in via equitativa dei danni da liquidarsi, avrebbero dovuto - in assenza di criteri certi dai quali desumere la sussistenza del danno - astenersi dal procedere alla liquidazione ai sensi dell'articolo 1126 c.c., presupponendo infatti tale norma che sia stata raggiunta la dimostrazione della esistenza effettiva del danno; circostanza questa non riscontrabile nella presente controversia.

Con il terzo motivo l'Azienda ricorrente lamenta ancora violazione e falsa applicazione dell'articolo 1226 c.c., sotto un ulteriore profilo, nonche' omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Ed invero i Giudici di secondo grado, una volta riconosciuto l'esistenza del diritto al risarcimento dei danni, avrebbero dovuto, nel quantificare nel 50% la perdita da chance, verificare, innanzitutto, il numero dei candidati alla promozione, il numero dei posti messi a concorso e, da ultimo, la probabilita' del candidato escluso ad ottenere la promozione, indicando in maniera puntuale tutti gli elementi ai quali ancorare la quantificazione dei danni.

Con il quarto motivo l'AM. denunzia, da ultimo, violazione e falsa applicazione dell'articolo 1362 c.c., e ss., in relazione agli articoli 3, 8 e 12 del regolamento delle promozioni del personale, nonche' motivazione contraddittoria e violazione e falsa applicazione degli articoli 1175 e 1375 c.c.. Rimarca la ricorrente che i Giudici di appello nell'affermare che l'Azienda - nel non avere motivato attraverso il suo Direttore Generale in alcun modo l'esercizio del potere valutativo assegnatogli dall'alt 8 del regolamento -non aveva dato prova dell'osservanza dei suddetti canoni di correttezza e buona fede. Ed infatti, l'AM. non aveva rispettato i codicistici criteri ermeneutici in quanto se era vero che il Direttore Generale non aveva l'obbligo di attribuire il punteggio aggiuntivo ex articolo 8 del regolamento ("Il direttore ... puo' attribuire agli agenti, un punteggio in aggiunta, nella misura massima del 10% rispetto a quello assegnato nel rapporto informativo di cui all'articolo 2"), essendo il riconoscimento di tale punteggio devoluto alla sua discrezionalita', era altrettanto vero pero' che - contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici palermitani - l'atto valutativo del Direttore non poteva considerarsi privo di adeguata motivazione atteso che l'aspettativa per motivi sindacali del Vi. si era protratta dal 1 gennaio 1979, si' da rendere oggettivamente impossibile una corretta e compiuta valutazione della "sua attitudine alla qualifica da conferire" e delle sue "capacita' professionali".

2.1. Risulta opportuno esaminare congiuntamente il secondo, terzo e quarto motivo, per riguardare detti motivi questioni tra loro strettamente connesse perche' attengono alla rivendicazione della fondatezza del diritto azionato dal Vi.. Detto esame conduce all'accoglimento del ricorso nei termini e per le ragioni che si vanno ad esporre.

3. L' esigenza di seguire un ordinato iter argomentativo induce a riportare il contenuto delle clausole regolamentari, sulla cui base l'AM. ha proceduto alla nomina, a seguito di concorso interno, di alcuni suoi dipendenti ad una posizione dirigenziale, cui aspirava anche il Vi..

3.1 Va ribadito che il concorso - la cui legittimita' finisce per rappresentare il thema decidendum della presente controversia - si configura come un concorso interno volto a ricoprire delle posizioni dirigenziali nell'ambito dell'Azienda.

3.2. Sulla base del regolamento del personale riportato - per le parti che rilevano in questa sede - nel ricorso dall'Azienda senza alcuna contestazione del Vi., la Commissione di scrutinio era chiamata a formulare una graduatoria in base ad un punteggio complessivo degli scrutinandi in cui doveva tenersi conto - come dettato dall'articolo 12 del regolamento stesso - oltre "che della valutazione del rapporto informativo" e di quello discrezionale "di cui al precedente articolo 8" anche di altri elementi(titolo di studio, anzianita' di qualifica, titoli professionali e vari).

L'articolo 8 del regolamento, a sua volta disponeva testualmente, "In relazione all'attitudine della qualifica da conferire, alle capacita' professionali, ai titoli professionali di specializzazione tecnica e amministrativa, alle conseguenti idoneita' nei concorsi a qualifiche superiori il Direttore in aggiunta al giudizio finale di qualificazione, sentiti i Dirigenti ed i Funzionari preposti ai servizi di appartenenza del dipendente, puo' attribuire agli agenti, un punteggio in aggiunta, nella misura massima del 10% rispetto a quello assegnato nel rapporto informativo di cui all'articolo 2".

3.3 Nel corso del giudizio il Vi., senza nulla addebitare alla parte datoriale in relazione al contenuto del rapporto informativo ex articolo 2 del regolamento, ha di contro costantemente lamentato - ed in cio' si sono concretizzate le sue doglianze - che il Direttore generale ha ad esso assegnato il punteggio "zero" nell'esercizio del potere allo stesso devoluto ex articolo 8 del regolamento, cosi' negandogli, con un esercizio arbitrario di detto potere, ogni possibilita' di collocarsi in posizione prioritaria rispetto al dipendente Ci., ultimo dei promossi.

4. In tale contesto - in cui le nome regolamentari fungono come atti volti ad autolimitare i poteri del datore di lavoro nelle procedure concorsuali ai fini di un corretto esercizio della scelta dei vincitori ed a garantire in tal modo una imparziale valutazione delle posizione dei singoli aspiranti - la Corte d'appello di Palermo ha ritenuto illegittima la interpretazione e, quindi, l'applicazione delle sopra riportate clausole regolamentari da parte dell'AM. ed ha, per l'effetto, accolto seppure in parte le richieste del Vi., che aveva - dopo essere stato collocato in pensione - rivendicato le differenze retributive tra il trattamento economico corrispostogli per la qualifica riconosciutagli, quale funzionario di primo livello, ed il trattamento, a suo parere spettategli, del dirigente per l'intero periodo corrente dal lontano 1 novembre 1987 sino al tempo dell'avvenuta cessazione dal servizio.

4.1. Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale ha messo in evidenza in primo luogo che nel sistema di avanzamento "per merito comparativo congiunto all'anzianita'" operante nella specie, la Commissione di scrutinio era tenuta a formulare, ai sensi dell'articolo 12 del regolamento delle promozioni, una graduatoria degli scrutinandi in base ad un punteggio complessivo in cui si doveva tenere conto "oltre che della valutazione del rapporto informativo" anche "di quello discrezionale" di cui all'articolo 8 del regolamento medesimo, e ha sottolineato che il Vi., in base alla valutazione del rapporto informativo si era collocato al secondo posto della graduatoria e, pertanto, in posizione utile ai fini della promozione, ma non aveva ottenuto alcun punteggio aggiuntivo sicche', a seguito della valutazione discrezionale riservata al Direttore, era retrocesso al sesto posto, dopo l'ultimo dei vincitori.

4.1. A fronte dell'assunto datoriale, secondo cui non era stato attribuito alcun punteggio al Vi. stante l'impossibilita' - come si e' gia' detto - di esprimere una valutazione in ordine "alla qualifica da conferire" ed "alle capacita' professionali" - costituenti parametri di valutazione alla stregua dell'articolo 8 del regolamento - stante la lunga sua aspettativa per mandato sindacale, il Giudice d'appello ha osservato, nel disattendere il gravame dell'Azienda, che il datore di lavoro non poteva esimersi, nell'espletamento della procedura concorsuale, dall'osservanza dei criteri di correttezza e buona fede sicche' nel caso di specie doveva motivare il punteggio "zero" assegnato al Vi. al fine di consentire allo stesso di valutare, a tutela della sua posizione lavorativa, la legittimita' della valutazione comparativa.

4.2. Nel caso di specie l'articolo 8 del regolamento prevedeva, come detto, per gli scrutinandi un punteggio nella misura massima del 10% rispetto a quello assegnato nel rapporto informativo "in relazione alla attitudine, alla qualifica da conferire, alle capacita' professionali, ai titoli professionali di specializzazione tecnica ed amministrativa, alle conseguite idoneita' nei concorsi a qualifiche superiori". Tale potere discrezionale, e non arbitrario, non era stato pero' correttamente esercitato perche' l'Azienda, e per essa il suo direttore, non aveva attribuito al Vi. alcun punteggio discrezionale e per converso aveva riconosciuto poi sei punti al Ma. ed al Ci., cinque punti al Ca. C. e quattro punti all'Ur. senza motivare in alcun modo la valutazione comparativa.

4.3. Sulla base di tali premesse fattuali la Corte d'appello di Palermo ha concluso poi rilevando "come il regolamento delle promozioni non escludeva l'avanzamento in carriera degli assenti per motivi sindacali" e che per costoro il regolamento del personale - nell'avere previsto all'articolo 3, il giudizio sulla qualificazione (quello di cui al rapporto informativo) coincide con la valutazione dell'anno precedente non aveva certamente esentato, con l'articolo 8 citato, il Direttore dalla valutazione discrezionale della loro capacita' e competenza; giudizio - aggiungeva la Corte testualmente - "da portarsi avanti, in tal caso, con riferimento alle specifiche attitudini manifestate in esecuzione del mandato sindacale".

5. La decisione impugnata si presenta, cosi' come denunziato in ricorso, carente sul piano motivazione perche' non spiega in maniera adeguata come possa farsi riferimento all'articolo 3 del regolamento, avente ad oggetto il rapporto informativo, in funzione dell'interpretazione del successivo articolo 8, che lascia alla discrezionalita' - anche se non all'arbitrarieta' - del Direttore Generale il potere di riconoscere un punteggio aggiuntivo come ulteriore ed autonomo criterio di valutazione ai fini selettivi. E la carenza sul piano motivazionale emerge, con ancora maggiore chiarezza, quanto si fa dipendere, come ha fatto il giudice d'appello, la valutazione sulla "attitudine alla qualifica da conferire" e sulle "capacita' professionali" - richiesta dall'articolo 8 del regolamento per saggiare l'idoneita' dei concorrenti alle piu' qualificanti mansioni da svolgere (nel caso delle qualifiche dirigenziali non di rado di particolare rilevanza nel perseguimento degli obiettivi datoriali) - dalle "specifiche attitudini manifestate in esecuzione del mandato sindacale";

esecuzione quest'ultima che si traduce in concreto in compiti che non consentono per la loro specificita' e peculiarita' alcun accostamento con quelli che sono chiamati a svolgere all'interno di una Azienda coloro che rivestono qualifiche dirigenziali.

6. Ma la sentenza impugnata si presenta viziata per violazione di norme di diritto anche nella parte in cui per supportare le conclusioni prese finisce per sanzionare la condotta della Azienda, senza chiedersi se detta condotta, da un lato, e l'interpretazione del regolamento del personale, dall'altro, abbiano o meno rispettato i criteri della correttezza e buona fede.

6.1. L' Az. Sp. AM. ha, infatti, in ricorso sostenuto che la sentenza impugnata ha fatto una non corretta applicazione nell'interpretazione delle clausole regolamentari dei criteri ermeneutici di cui all'articolo 1362 c.c. e ss., tra cui va incluso anche il disposto dell'articolo 1366 c.c., cui ha fatto espresso riferimento la decisione della Corte d'appello di Palermo.

6.2. E' stato piu' volte affermato dalla giurisprudenza di legittimita' che il regolamento aziendale adottato per disciplinare il rapporto di lavoro del personale dipendente di un ente, pur essendo espressione di autonomia organizzativa dell'ente, non contiene una disciplina autoritativa del rapporto ma rappresenta un atto di autonomia privata, espressione del potere organizzativo proprio di qualsiasi impresa, pubblica o privata per cui l'interpretazione delle disposizioni regolamentari e' soggetta alle regole ermeneutiche previste dall'articolo 1362 c.c., e ss., per i contratti collettivi di diritto comune e, in generale, per gli atti negoziali di diritto privato. Tale interpretazione e', quindi, devoluta al Giudice del merito ed e' censurabile in sede di legittimita' soltanto per vizio di motivazione o per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (Cass. 29 aprile 2003 n. 6685 n. 6685 ed ancora tra le altre Cass. 10 luglio 1999 n. 7311, secondo cui il principio secondo cui il regolamento per il personale di un ente - nel caso di specie: Ba. di. Na. - ha la natura negoziale dei regolamenti aziendali oppure dei contratti collettivi aziendali, con la conseguenza che l'interpretazione delle sue disposizioni e' riservata al giudice di merito).

6.2. Alla stregua della ricordata statuizione nessun dubbio puo', dunque permanere circa l'operativita', anche in sede di interpretazione dei regolamenti, del principio di buona fede, che pero' nella fattispecie in oggetto deve trovare applicazione in una direzione diversa da quella percorsa dalla Corte d'appello di Milano. 6.3. E' ormai un dato acquisito e del tutto pacifico nella dottrina giuslavoristica e, piu' in generale, nella cultura giuridica l'avvenuto passaggio dalla concezionale tradizionale della liberta' sindacale come liberta' associativa, individuale e collettiva, ad una concezione piu' estesa della liberta' sindacale volta a maggiormente garantirne gli aspetti organizzativi in un ottica di piu' intensa tutela dell'azione e delle singole attivita' sindacali, sino a ricomprendervi anche la specifica tutela dell'azione contrattuale. Ed e' considerazione di comune condivisione che il legislatore abbia inteso assicurare una garanzia di effettivita' alla tutela dell'azione sindacale. Emerge pero' dai principi della nostra Carta costituzionale che l'esercizio della liberta' sindacale non puo' ledere, senza una razionale giustificazione, altri valori che trovano anche essi copertura costituzionale, quale ad esempio la liberta' di iniziativa economica (articolo 41 Cost.), il diritto al lavoro ed la liberta' e la dignita' del cittadino - lavoratore(articolo 35 Cost.), la proprieta' pubblica e privata in funzione della sua funzione sociale (articolo 41 Cost.).

In un sistema contrassegnato dal rilievo fondante dei valori a copertura costituzionale e dalla regola del bilanciamento di interessi, che con felice espressione si e' detto tradursi in una "gerarchia mobile" - perche' volta ad individuare di volta in volta la regola su cui parametrare interessi aventi analoga tutela - il difficile compito della individuazione di un giusto equilibrio tra due contrapposti diritti, tutelati al piu' alto livello normativo, e' stato assolto talvolta dalla giurisprudenza, come e' accaduto con riferimento alla indicazione dei limiti incontrati dal diritto di sciopero (cfr. al riguardo Cass. 17 dicembre 2004 n. 23552, secondo cui il diritto di sciopero, riconosciuto dall'articolo 40 Cost. direttamente ai lavoratori, non puo' concretizzarsi in condotte che risultino lesive, in particolare, dell'incolumita' e della liberta' delle persone, o di diritti di proprieta' o della capacita' produttiva delle aziende cui adde, in epoca piu' risalente tra le altre Cass. 30 gennaio 1980 n. 711), e talvolta dal legislatore ordinario, come emerge da molte disposizioni dello statuto dei lavoratori capaci di dimostrare come l'attivita' da parte delle rappresentanze sindacali incontri - in ragione delle esigenze tecniche, organizzative o produttive dell'impresa - limiti riguardanti ad esempio i suoi tempi di esercizio(cfr. in materia di assemblea l'articolo 20 stat. lav.; di permessi retribuiti e non retribuiti, gli articoli 23 e 24 stat. lav.), o gli spazi o locali entro i quali essa debba svolgersi (cfr. in materia di referendum l'articolo 21 stat. lav.).

7. Quanto ora esposto fornisce un criterio metodologico capace di apprestare parametri utili anche alla individuazione - in caso di concorsi interni o di altre prove selettive per merito comparativo per l'acquisizione di piu' alti livelli categoriali (per il cui approdo non puo' prescindere dal concreto svolgimento di una attivita' lavorativa idoneo a saggiare l'attitudine del lavoratore a superiori qualifiche) - di un giusto equilibrio tra il diritto di colui che per mandato sindacale (e, quindi per l'esercizio della consequenziale attivita') si assenta dal posto di lavoro, e il diritto di colui che proprio perche' ha spiegato senza interruzioni la propria attivita' lavorativa riveli (in forza dell'esperienza acquisita e della capacita' professionale mostrata) una chiara attitudine all'esercizio di superiori mansioni.

In questo difficile compito regolatore deve certamente rifuggirsi - in sede di contrattazione collettiva o di regolamenti del personale - da soluzioni capaci di penalizzare in qualche misura in sede concorsuale chi spiega una attivita', quale quella sindacale, di innegabile utilita' sociale - come emerge dal plesso normativo volto a sanzionarne severamente gli atti lesivi (cfr. articoli 15 e 28 stat. lav.) - perche' tutto cio' si tradurrebbe in un deprecabile e dannoso disincentivo per quanti intendano svolgere la suddetta attivita'. Sul versante opposto risulta pero' ugualmente priva di qualsiasi giustificazione una soluzione che intendesse assicurare nella comparazione valutativa tra aspiranti un migliore e privilegiato trattamento al lavoratore che - avendo spiegato il mandato sindacale per un lasso di tempo talmente lungo da impedire qualsiasi possibilita' di valutazione delle sue doti attitudinali - abbia con la sua condotta dimostrato di volere assegnare una posizione prioritaria anche nelle sue scelte di vita all'assolvimento delle funzioni sindacali, perche' tutto cio' finirebbe per penalizzare quanti - seguendo una opzione diversa, ma altrettanto meritoria -siano riusciti - lavorando senza alcuna sospensione e con diligenza e cura - a dimostrare capacita' e doti che devono essere oggetto di attento e compiuto esame in sede valutativa.

8. Alla tregua di quanto sinora detto puo' enunciarsi il presente principio di diritto: "Nella regolamentazione dei concorsi (o prove selettive) interni basati su criteri comparativi, comportanti la valutazione delle attitudini dei singoli aspiranti a ricoprire qualifiche superiori, spetta all'autonomia negoziale delle parti sociali, nel rispetto di quanto emerge dalla Costituzione, procedere - nelle ipotesi di partecipazioni a detti concorsi (o prove selettive) di candidati che hanno svolto il mandato sindacale per tempi suscettibili per la durata di incidere sulla loro valutabilita' - ad un bilanciamento tra il diritto di tali candidati a non ricevere dall'effettuato esercizio dell'attivita' sindacali discriminazioni o ingiustificati pregiudizi capaci di disincentivare in futuro la propensione a svolgere compiti di indubbia rilevanza sociale ed il diritto degli altri concorrenti, che hanno svolto con continuita' la loro attivita' mostrando invece di privilegiare, sopra ogni altro pur encomiabile compito, l'impegno lavorativo. Ne consegue che nella interpretazione delle disposizioni del contratto collettivo (o del regolamento del personale) disciplinante la materia deve, nell'applicazione dei generali criteri ermeneutici codicistici, attribuirsi il dovuto rilievo ex articolo 1366 c.c., al principio di buona fede da intendersi, in un ottica costituzionalmente indirizzata, come bilanciamento tra diritti ugualmente tutelati a livello costituzionale, al fine della individuazione di un giusto equilibrio tra gli stessi che valga ad impedire che l'esercizio dell'attivita' sindacale non sia ragione ne' di atti discriminatori o penalizzanti del diritto agli avanzamenti professionali, ne' nello stesso tempo configuri un criterio di valutazione privilegiata ai danni di coloro che hanno svolto, a tempo pieno, il proprio lavoro acquisendo esperienza e capacita' professionali attestanti indubbie attitudini a superiori qualifiche".

9. Consegue da quanto ora detto che la sentenza impugnata per le ragioni esposte nel quarto motivo, va cassata perche' essa - nella parte in cui ha ritenuto che ai fini concorsuali dovesse ricavarsi "l'attitudine alla qualifica da conferire" ai fini dell'assegnazione del punteggio aggiuntivo ex articolo 8 "dalle attitudini manifestate in esecuzione del mandato sindacale" e nella parte in cui non ha tenuto in alcun conto dell'assunto dell'AM. che il Vi. aveva svolto il suo mandato sindacale ininterrottamente dal 1979 - ha violato il suddetto principio.

10. Va, pertanto, rigettato il primo motivo di ricorso e va accolto il quarto motivo con assorbimento degli altri.

11. Il nuovo giudice d'appello - cui va rimessa la causa ex articolo 384 c.p.c., (essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto) - che si designa nella Corte d'appello di Catania dovra', dunque, in applicazione dei dieta innanzi enunciati, riesaminare la controversia al fine di valutare la condotta dell'Azienda alle stregua di una corretta interpretazione del regolamento per le promozioni del personale.

12. Al Giudice di rinvio vanno rimesse anche le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il quarto e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di Catania anche per le spese del presente giudizio di cassazione.








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