L'inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso

Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessaria che sia accertata una chiara e comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro. La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso mentre grava sul datore di lavoro l’onere di provare le circostanze dalle quali possa desumer la volontà chiara e certa delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro.

Corte di Cassazione, Sezione L civile, Sentenza 22 ottobre 2015, n. 21521



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico - Presidente

Dott. NOBILE Vittorio - rel. Consigliere

Dott. TORRICE Amelia - Consigliere

Dott. LORITO Matilde - Consigliere

Dott. GHINOY Paola - Consigliere

ha pronunciato la seguente:
 

SENTENZA

sul ricorso 11365-2010 proposto da:

(OMISSIS) c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) S.P.A. c.f. (OMISSIS);

- intimata -

Nonche' da:

(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

(OMISSIS) c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente al ricorso incidentale -

avverso la sentenza n. 4018/2009 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 26/11/2009 R.G.N. 5056-2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/09/2015 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito l'Avvocato (OMISSIS) per delega verbale (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giacalone Giovanni che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 31-5-2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti della s.p.a. (OMISSIS), dichiarava la nullita' del termine apposto al primo contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 1-7-2000 al 30-9-2000 per "esigenze eccezionali" ex articolo 8 ccnl 1994 come integrato dall'acc. 25-9-97 e succ, con la conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 1-7-2000, e condannava la societa' al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni dal 18-1-2005 oltre accessori.

La societa' proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto della domanda.

La (OMISSIS) si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d'Appello di Roma, con sentenza depositata il 26-11-2009, in parziale accoglimento dell'appello e in parziale riforma della impugnata sentenza, limitava il risarcimento del danno alle retribuzioni maturate dal 18-1-2005 al 30-4-2005, confermando nel resto e compensando le spese del grado.

Per la cassazione di tale sentenza la (OMISSIS) ha proposto ricorso con dodici motivi (gli ultimi due indicati entrambi come "11 ").

La societa' ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con tre motivi.

La (OMISSIS), dal canto suo, ha resistito con controricorso al ricorso incidentale di controparte ed infine ha depositato memoria ex articolo378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ai sensi dell'articolo 335 c.p.c..

In ordine logico, poi, va dapprima esaminato il ricorso incidentale della s.p.a. (OMISSIS).

Con il primo motivo la societa' censura l'impugnata sentenza nella parte in cui ha respinto l'eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito, nonostante la mancanza di una qualsiasi manifestazione di interesse alla funzionalita' di fatto del rapporto, per un apprezzabile lasso di tempo anteriore alla proposizione della domanda e la conseguente presunzione di estinzione del rapporto stesso, con onere, in capo al lavoratore, di provare le circostanze atte a contrastare tale presunzione.

Il detto motivo e' infondato.

Come questa Corte ha piu' volte affermato "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinche' possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, e' necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonche' del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volonta' delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo" (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonche' da ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, "e' di per se' insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso" (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre "grava sul datore di lavoro", che eccepisca tale risoluzione, "l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volonta' chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro" (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070e fra le altre da ultimo Cass. 1-2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887).

Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli articolo 1372 e 1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, cosi' confermandosi l'indirizzo prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volonta' in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all'uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operativita' del rapporto. Al riguardo, infatti, non puo' condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il "piano oggettivo" nel quadro di una presupposta valutazione sociale "tipica" (v. Cass. 6-7-2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n. 14209), prescinde del tutto dal presupposto che la risoluzione per mutuo consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale, anche se tacita (v. da ultimo Cass. 28-1-2014 n. 1780).

Orbene nella fattispecie la Corte di merito, premesso che all'uopo "occorre che l'ampiezza dell'interruzione oppure altre modalita' di fatto lascino intendere senza alcun dubbio tale intento", ha affermato che "dalla scadenza del secondo contratto (30-4-2002) a quella della offerta delle prestazioni lavorative (gennaio 2005) e' intercorso un periodo inferiore a tre anni, lasso temporale che questa Corte ritiene comunque inidoneo a integrare i presupposti della risoluzione per mutuo consenso".

Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta altresi' congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente.

Con il secondo e il terzo motivo la societa' censura, poi, sotto i profili di violazione di legge e di vizio di motivazione; l'impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto la nullita' del termine apposto al contratto de quo in quanto stipulato (per "esigenze eccezionali...") oltre la scadenza ultima fissata dagli accordi collettivi attuativi dell'acc. az. 25-9-1997 ed all'uopo sostiene la insussistenza di tale scadenza e la natura meramente ricognitiva dei detti accordi.

Anche tali motivi risultano infondati e vanno respinti.

In base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, "in materia di assunzioni a termine dei dipendenti postali, la Legge 28 febbraio 1987, n. 56, articolo 23, nel consentire anche alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, ha consentito il ricorso ad assunzione di personale straordinario nei soli limiti temporali previsti dalla contrattazione collettiva, con conseguente esclusione della legittimita' dei contratti a termine stipulati oltre i detti limiti; resta altresi' escluso che le parti sociali, mediante lo strumento dell'interpretazione autentica delle vecchie disposizioni contrattuali ormai scadute (volta ad estendere l'ambito temporale delle stesse), possano autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti non piu' legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita, tanto piu' che il diritto del lavoratore si era gia' perfezionato e le organizzazioni sindacali non possono disporre dello stesso." (v. fra le altre Cass. 1641-2010 n. 23120).

In particolare, come e' stato precisato, "con l'accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell'articolo 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto il 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell'ente e alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve escludersi la legittimita' delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998 per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l'ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della Legge 18 aprile 1962, n. 230, articolo 1" (v. Cass. 18-11-2011 n. 24281, cfr. Cass. 28-11-2008 n. 28450, 4-8-2008 n. 21062, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

Il ricorso incidentale della societa' va, pertanto, respinto, rilevandosi, peraltro che nessuna altra censura e' stata avanzata dalla stessa societa'.

Passando all'esame del ricorso principale della (OMISSIS), va rilevato che lo stesso, con dodici motivi, sotto vari profili (violazione dell'articolo112 c.p.c., vizio di motivazione e violazione degli articoli 1226, 2729, 1218, 1223, 1227, 1175, 2697 e 1225 c.c., articoli 432 e 114 c.p.c.) lamenta che, pur non essendo stato specificamente impugnato dalla societa' appellante il capo risarcitorio, erroneamente e senza adeguata motivazione la Corte di merito ha limitato il risarcimento del danno alle retribuzioni maturate nel periodo che va dalla messa in mora (18-1-2005) alla scadenza del triennio successivo (30-4-2005) alla cessazione del secondo contratto (periodo ritenuto ragionevole per reperire altra occupazione di analogo livello).

Innanzitutto va rilevato che in ordine alle conseguenze risarcitorie non puo' ritenersi che sia intervenuto il giudicato sulla decisione di primo grado, avendo la societa' appellante chiesto il rigetto integrale della domanda introduttiva e appellato la sentenza di primo grado sulle questioni concernenti l'an della pretesa azionata (cfr. Cass. 15-9-2009 n. 19870, Cass. 7-2-2013 n. 2894) - in specie la risoluzione per mutuo consenso tacito, per la inerzia protrattasi per oltre tre anni, e la asserita legittimita' della apposizione del termine -.

Tanto premesso, osserva, poi, il Collegio che (a prescindere da ogni considerazione sulla correttezza o meno della statuizione impugnata in base alla disciplina previgente, sulla quale ovviamente sono incentrati i motivi del ricorso della lavoratrice) nella fattispecie e' intervenuto lo ius superveniens, rappresentato dalla Legge 4 nove 2010, n. 183, articolo 32, commi 5, 6 e 7, i quali dispongono che: "5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennita' onnicomprensiva nella misura compresa tra uni minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella Legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo 8.

6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori gia' occupati con contratto a termine nell‘ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell‘indennita' fissata dal comma 5 e' ridotto alla meta'.

7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennita' di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l'eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell'articolo 421 c.p.c.".

Tale disciplina (v. fra le altre Cass. 31-1-2012 n. 1409, Cass. 29-2-2012 n. 3056), applicabile a tutti i giudizi pendenti, anche in grado di legittimita' (v. gia' Cass. Ord. 28-1-2011 n. 2112), alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 303 del 2011, e' fondata sulla ratio legis diretta ad "introdurre un criterio di liquidazione del danno di piu' agevole, certa ed omogenea applicazione", rispetto alle "obiettive incertezze verificatesi nell'esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente".

La norma, che "non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato", in base ad una "interpretazione costituzionalmente orientata" va intesa nel senso che "il danno forfetizzato dall'indennita' in esame copre soltanto il periodo cosiddetto "intermedio", quello, cioe', che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullita' di esso e dichiara la conversione del rapporto", con la conseguenza che a partire da tale sentenza "e' da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva" (altrimenti risultando "completamente svuotata" la "tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato").

Nel contempo, sempre alla luce della citata pronuncia della Corte Costituzionale, "il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione dell'aliunde perceptum. Sicche' l'indennita' onnicomprensiva assume una chiara valenza sanzionatoria. Essa e' dovuta in ogni caso, al limite anche in mancanza di danno, per avere il lavoratore prontamente reperito un'altra occupazione".

Peraltro, "la garanzia economica in questione non e' ne' rigida, ne' uniforme" e, "anche attraverso il ricorso ai criteri indicati dalla Legge n. 604 del 1966, articolo 8, consente di calibrare l'importo dell'indennita' da liquidare in relazione alle peculiarita' delle singole vicende.

Cosi' interpretata, la norma citata, risultata "nell'insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi", ha superato il giudizio di costituzionalita' sotto i vari profili sollevati, con riferimento agli articoli 3, 4, 11, 24, 101, 102 e 111 Cost. e articolo 117 Cost., comma 1.

Successivamente, e' stata emanata la Legge 28 giugno 2012, n. 92 (in G.U. n. 153 del 3-7-2012), che all'articolo 1, comma 13, con chiara norma di interpretazione autentica (in senso conforme a quanto gia' affermato dalla Corte Costituzionale e da questa Corte di legittimita'), ha cosi' disposto: "La disposizione di cui alla Legge 4 novembre 2010, n. 183, articolo 32, comma 5, si interpreta nel senso che l'indennita' ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro".

Infine, in attuazione della delega di cui alla Legge n. 183 del 2014, il recente Decreto Legislativo n. 81 del 2015, nel disporre un riordino del contratto di lavoro a tempo determinato dettando una disciplina organica dello stesso, tra l'altro, per quanto qui interessa, all'articolo 28, commi 2 e 3, ha regolato l'indennita' prevista per i casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato e all'articolo 55 lettera f) ha abrogato la Legge n. 183 del 2010, commi 5 e 6.

A seguito di tale ulteriore ultimo intervento legislativo si pone, quindi, la questione se nella fattispecie in esame - nella quale questa Corte, con riguardo alle conseguenze risarcitorie, e' investita da validi e pertinenti motivi di ricorso (cfr. fra le altre Cass. 1-10-2012 n. 16642) da parte della lavoratrice - debba trovare applicazione la Legge n. 183 del 2010, articolo 32 ovvero il Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 28.

La soluzione di tale questione non puo' che partire dalla verifica del carattere innovativo (o comunque modificativo) della nuova disciplina, come tale idoneo a configurare una reale ipotesi di successione di leggi e non una mera riformulazione della medesima disciplina pregressa.

Orbene, dalla analisi letterale delle due disposizioni, seppure alcune difformita' possono ricondursi ad una semplice riformulazione stilistica (ad es. "il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore" di cui all'articolo 32, comma 5, diventa "il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore" nel cit. articolo 28, comma 2), ovvero all'intento di ricomprendere in un unico testo la norma interpretativa sul valore omnicomprensivo dell'indennita' (gia' prevista dalla Legge n. 92 del 2012, articolo 1, comma 13 ed ora inserita nella seconda parte del cit. articolo 28, comma 2), si evincono chiaramente almeno due modifiche sostanziali: 1) l'indennita' non e' piu' commisurata alla "ultima retribuzione globale di fatto", bensi' alla "ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto" (in conformita' al parametro prescelto per il contratto a tutele crescenti di cui al Decreto Legislativo n. 23 del 2015); 2) il rinvio ai contratti collettivi per il riconoscimento della riduzione dell'indennita' previsto dall'articolo 28, comma 3 non e' piu' qualificato come quello gia' previsto dall'articolo 32, comma 6 (che richiede la stipula con le organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale).

Tanto rilevato, atteso che si pone quindi una questione di successione di leggi, deve considerarsi in primo luogo la assenza, nella specie, di una specifica disposizione transitoria, che riconosca espressamente una efficacia retroattiva alla nuova norma di cui all'articolo 28 cit., laddove, invece, la norma pregressa del cit. articolo 32, comma 7 prevede espressamente la applicabilita' del medesimo articolo 32, commi 5 e 6 a "tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data della entrata in vigore " della legge n. 183 del 2010.

Vero e', poi, che il citato comma 7 non e' stato abrogato dal Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 55, ma e' pur vero che lo stesso e' espressamente riferito e riferibile soltanto all'articolo 32, commi 5 e 6 e non anche alla "nuova" disciplina di cui all'articolo 28 cit..

Inoltre, se si considera che tale ultima norma, riguardante le "tutele" "nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato", ha senza dubbio natura di diritto sostanziale ed e' inserita nella nuova "disciplina organica" del contratto di lavoro a tempo determinato dettata dagli Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 19 e ss. (cfr. anche cit. Decreto Legislativo, articolo 55 lettera b), deve concludersi nel senso della irretroattivita' della stessa e della applicabilita' della nuova disciplina di cui all'articolo 28 cit. soltanto ai contratti di lavoro stipulati dalla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo citato (25-6-2015), cosi' perdurando la applicazione della pregressa disciplina di cui alla Legge n. 183 del 2010, articolo 32, in relazione ai "giudizi pendenti" relativi ai contratti precedenti.

D'altra parte, in mancanza, appunto, di un qualsiasi riferimento nella nuova norma ai "giudizi pendenti" e ad una qualche retroattivita', stante l'assenza di una qualsiasi disposizione di carattere transitorio, non puo' in alcun modo ritenersi trasponibile nella nuova disciplina (che riguarda i nuovi contratti a tempo determinato) la previsione dell'articolo 32 cit., comma 7, che concerne espressamente la "tutela" di cui al articolo 32, commi 5 e 6 (prevista in relazione ai contratti pregressi). In altre parole, anche la abrogazione dei detti commi 5 e 6 (strettamente correlati al 7), non puo' che essere riferita ai nuovi contratti.

Del resto anche la interpretazione costituzionalmente orientata conforta tale conclusione, giacche' ove si riconoscesse alla nuova disciplina (che potrebbe risultare talora meno favorevole al lavoratore) una efficacia retroattiva, tanto da farne applicazione ai giudizi pendenti, dovrebbe comunque esserne vagliata la legittimita' costituzionale, anche rispetto ai parametri europei, in specie con riferimento all'articolo 6 CEDU, al fine di verificare la sussistenza delle stringenti condizioni cui la giurisprudenza della Corte costituzionale e delle Corti europee subordina la legittimita' della retroattivita' in materia civile.

Pertanto, nella fattispecie, ratione temporis, deve applicarsi la Legge n. 183 del 2010, articolo 32, per cui, nei sensi e nei limiti di tale ius superveniens va accolto il ricorso principale della (OMISSIS), in tal modo risultando assorbita ogni questione riguardante la normativa previgente, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e con rinvio, sul punto, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, la quale provvedere, nei limiti del divieto di reformatio in peius rispetto a quanto gia' riconosciuto nell'impugnata sentenza, (v. fra le altre Cass. n. 1321/2014), alla determinazione del dovuto ex Legge n. 183 del 2010, articolo 32, statuendo anche sulle spese di legittimita'.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso incidentale della societa', accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso principale della (OMISSIS), cassa l'impugnata sentenza in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

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