La circostanza che il creditore abbia tenuto un comportamento contrario al dovere di buona fede e correttezza contrattuale può essere provata con ogni mezzo

La circostanza che il creditore abbia tenuto un comportamento contrario al dovere di buona fede e correttezza contrattuale, tale da comportare la possibile liberazione del fideiussore dai propri obblighi di garanzia nei riguardi del creditore medesimo, puo' essere provata con ogni mezzo consentito, ivi compreso il ricorso a presunzioni, secondo la regola generale stabilita dagli articoli 2727 e 2729 c.c.. (Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 1 ottobre 2012, n. 16667)

Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 1 ottobre 2012, n. 16667



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato - Presidente

Dott. RORDORF Renato - Consigliere

Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere

Dott. BERNABAI Renato - Consigliere

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30478/2006 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A. (P.I. (OMISSIS)), societa' incorporante della (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l'avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS), nella qualita' di Amministratore di sostegno di (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l'avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 363/2006 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 10/06/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/06/2012 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 16 gennaio 1987 il presidente del Tribunale di Ascoli Piceno, accogliendo un ricorso della (OMISSIS) s.p.a. (poi incorporata dalla (OMISSIS), e che d'ora innanzi verra' sempre designata come (OMISSIS)), emise un decreto ingiuntivo nei confronti della locale (OMISSIS) e nei confronti di alcuni fideiussori, tra i quali il sig. (OMISSIS), ordinando a quest'ultimo di pagare alla ricorrente la somma di lire 40.000.000, a fronte di uno scoperto di conto corrente di piu' elevato importo.

L'opposizione al decreto ingiuntivo proposta dal sig. (OMISSIS) fu accolta dal tribunale, la cui decisione fu in seguito confermata dalla Corte d'appello di Ancona.

Quest'ultima, con sentenza depositata in cancelleria il 10 giugno 2006, condivise la valutazione del primo giudice in ordine al fatto che la banca, ampliando il credito concesso alla debitrice principale ormai palesemente insolvente, aveva violato i propri doveri di buona fede verso il fideiussore, e ritenne che, cosi' giudicando, il tribunale non avesse esorbitato dai limiti della domanda, giacche' la censura in ordine al., comportamento della banca, pur se non accompagnata, nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo dall'espresso richiamo al disposto dell'articolo 1956 c.c., appariva comunque riconducibile al principio di buona fede cui detta norma e' ispirata. Che poi il comportamento dell'istituto creditore fosse davvero incompatibile col rispetto dell'obbligo di agire secondo buona fede, la corte territoriale lo dedusse non solo dalle modalita' con cui la banca aveva modulato l'estensione delle garanzie richieste ai diversi fideiussori, nell'evidente convinzione dell'ormai acquisita insolvenza della cooperativa, ma soprattutto dall'ingiustificato e repentino ampliamento dell'entita' dell'erogazione di credito in una situazione che non lasciava supporre alcuna possibilita' di rientro da parte della debitrice principale.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la (OMISSIS), formulando due motivi di doglianza.

Il sig. (OMISSIS), rappresentato in giudizio dalla figlia (OMISSIS) in qualita' di amministratrice di sostegno, si e' difeso con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Giova premettere che, essendo stata la sentenza impugnata resa pubblica nel giugno del 2006, al presente ricorso risulta ratione temporis applicabile la disposizione dell'articolo 366 bis c.p.c., introdotta con il Decreto Legislativo n. 40 del 2006, e poi abrogata dalla Legge n. 69 del 2009.

A norma di detto articolo, com'e' noto, occorre che, a pena d'inammissibilita', ciascun motivo di ricorso volto a denunciare errores in procedendo o in iudicando sia corredato da un adeguato quesito di diritto, e che i motivi di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio contengano, sempre a pena di inammissibilita', un momento di sintesi omologo al quesito di diritto.

Quest'ultimo rilievo conduce subito a considerare inammissibili le doglianze prospettate in entrambi i motivi di ricorso con riferimento alla previsione dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, perche' in nessun punto del ricorso medesimo e' dato rinvenire il suindicato momento di sintesi.

2. Anche gli errori di diritto ed i vizi processuali denunciati nel primo motivo del ricorso risultano, peraltro, inammissibili.

Detto motivo si conclude con un quesito di diritto, volto a sapere se il giudice puo' pronunciare d'ufficio su una domanda non enucleabile dalle difese della parte. Ma e' quesito palesemente inadeguato e non conforme al modello legale, perche' per un verso assolutamente astratto e, per altro verso, del tutto ovvio e percio' tale da risolversi in un interrogativo retorico.

Infatti, la decisione impugnata non si fonda certo su un principio di diritto contrario a quello che il ricorrente vorrebbe fosse affermato - il principio, del tutto ovvio, secondo cui il giudice non puo' pronunciare oltre i limiti delle domande e delle eccezioni di parte - bensi' sulla constatazione in concreto della piena possibilita' di desumere dal contenuto della domanda proposta nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo l'eccezione di comportamento contrario a buona fede della banca creditrice che nel merito e' stata ritenuta fondata.

3. Pure i primi due quesiti di diritto posti a corredo del secondo motivo di ricorso sono inadeguati, perche' anch'essi, ruotando entrambi intorno al concetto della non accoglibilita' di un'eccezione che si assume non sia stata formulata ne' sufficientemente provata dalla parte, rivestono un carattere inammissibilmente retorico e muovono da un presupposto - la mancata proposizione ed il difetto di prova dell'eccezione - incompatibile con quello posto a base dell'impugnata sentenza, da cui la ricorrente dissente non per ragioni di diritto bensi' di fatto.

Conserva un qualche margine di astratta plausibilita' solo il quesito accluso all'esposizione del secondo, motivo del ricorso che sembra postulare un principio di diritto a tenore del quale, quando si tratti per il fideiussore di dare la prova di un comportamento del debitore principale contrario al principio di buona fede, dovrebbe escludersi la possibilita' che tale prova sia fornita mediante presunzioni. Ma un siffatto principio di diritto e' privo di qualsiasi base, giacche' nulla consente di affermare che il thema probandum sopra ipotizzato soffra di particolari limitazioni legali, sia quanto agli strumenti mediante i quali la parte interessata puo' assolvere il proprio onere sia in ordine alle risultanze sulle quali il giudice e' in grado di radicare il proprio convincimento.

Contrariamente a quanto prospetta la parte ricorrente, quindi, deve enunciarsi il principio di diritto per il quale la circostanza che il creditore abbia tenuto un comportamento contrario al dovere di buona fede e correttezza contrattuale, tale da comportare la possibile liberazione del fideiussore dai propri obblighi di garanzia nei riguardi del creditore medesimo, puo' essere provata con ogni mezzo consentito dall'ordinamento, ivi compreso il ricorso a presunzioni, secondo la regola generale stabilita dagli articoli 2727 e 2729 c.c..

4. A tale principio si e' attenuto il giudice d'appello ed il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita', liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita', che liquida in euro 1.500,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

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