Registro Agevolazioni tributarie Enti creditizi operazioni straordinarie

Massime - L'art. 7, L. n. 218/1990 (legge Amato), secondo cui ai conferimenti di un'azienda bancaria in un'altra, come alle fusioni e alle incorporazioni si applicano le imposte di registro, ipotecarie e catastali nella misura dell'uno per mille e sino ad un importo massimo non superiore a cento milioni di lire, va interpretato nel senso che ogni imposta conserva la propria autonomia, con la conseguenza che continuano ad applicarsi le tre imposte, per ciascuna delle quali viene applicata l'aliquota dell'uno per mille (con il tetto di cento milioni di lire). Godono dell'agevolazione di cui all'art. 7, L. n. 218/1990 solo quei conferimenti e quei conseguenti aumenti di capitale sociale che siano funzionali agli scopi di cui all'art. 1 della stessa legge e cioè determinino la trasformazione o l'assorbimento in società per azioni degli enti pubblici creditizi indicati nel medesimo art. 1.

Sent. n. 16056 del 20 dicembre 2001 (ud. del 20 settembre 2001) della Corte Cass.



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Sent. n. 16056 del 20 dicembre 2001 (ud. del 20 settembre 2001) della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Reale, Rel. Cicala Registro - Agevolazioni  tributarie  -  Enti  creditizi  -  Legge  Amato  - Operazioni straordinarie - Imposte di registro  ipotecarie  e  catastali  - Aliquota dell'uno per mille - Limite di cento milioni di lire  -  Vale  per ogni singola imposta - Art. 7, L. 30 luglio 1990, n. 218 Registro - Agevolazioni  tributarie  -  Enti  creditizi  -  Legge  Amato  - Operazioni straordinarie - Imposte di registro  ipotecarie  e  catastali  - Aliquota dell'uno per mille - Limite di cento milioni di lire - Si  applica agli aumenti di capitale sociale funzionali agli scopi di cui  all'art.  1, L. n. 218/1990 - 7, L. 30 luglio 1990, n. 218     Massime - L'art. 7, L.  n.  218/1990  (legge  Amato),  secondo  cui  ai conferimenti di un'azienda bancaria in un'altra, come alle fusioni  e  alle incorporazioni si applicano le imposte di registro, ipotecarie e  catastali nella misura dell'uno per mille e sino ad un importo massimo non  superiore a cento milioni di  lire,  va  interpretato  nel  senso  che  ogni  imposta conserva la  propria  autonomia,  con  la  conseguenza  che  continuano  ad applicarsi le  tre  imposte,  per  ciascuna  delle  quali  viene  applicata l'aliquota dell'uno per mille (con il tetto di cento milioni di lire).     Godono dell'agevolazione di cui all'art. 7, L. n.  218/1990  solo  quei conferimenti e quei conseguenti  aumenti  di  capitale  sociale  che  siano funzionali agli  scopi  di  cui  all'art.  1  della  stessa  legge  e  cioè determinino la trasformazione o l'assorbimento in società per azioni  degli enti pubblici creditizi indicati nel medesimo art. 1.
    Fatto - Con atto in data 28 dicembre 1991, registrato presso  l'Ufficio del Registro di Savona il 13 gennaio 1992  al  n.  578,  l'Ente  Creditizio C.R.S. costituiva ai sensi della L. 30  luglio  1990,  n.  218,  la  C.R.S. S.p.a. e, in riferimento a quanto disposto  dall'art.  7,  comma  1,  prima parte  di  detta   legge,   versava,   all'atto   della   formalità   della registrazione, l'importo complessivo di lire 100.000.000.     Con avviso di liquidazione notificato il 12  febbraio  1992,  l'Ufficio del Registro di Savona elevava supplemento per lire 200.000.000, applicando l'imposta dell'1 per mille nella misura  massima  di  lire  100.000.000,  a ciascuno dei tre tributi: registro, trascrizione e catasto.     La S.p.a. C.R.S. versava detto importo e  contemporaneamente  ricorreva alla Commissione tributaria di primo grado,  chiedendo  il  rimborso  della somma, con contestuale annullamento della pretesa erariale.     Con successivi atti di aumento di capitale sociale in data  15  ottobre 1993, registrato il 19 ottobre 1993 al n. 2347 (per lire 20.400.000.000)  e in data 31 gennaio 1995, registrato il 6 febbraio 1995 al n. 203 (per  lire 52.631.500.000) riservati alla C.R.G., la S.p.a. C.R.S. portava il capitale sociale a lire 183.031.500.000.     Alle relative denunzie ex art. 19, comma 3, del D.P.R. n.  131/1986  di avvenuta sottoscrizione dell'aumento di capitale l'Ufficio del Registro  di Savona applicava l'imposta di registro nella misura dell'1% ex art.  4,  n. 5, Tariffa All. D.P.R. n. 131/1986.     Avverso i relativi avvisi di liquidazione la  S.p.a.  C.R.S.  ricorreva alla Commissione tributaria di primo grado di Savona, la quale con sentenza n. 55 del 30 marzo 1996, in parziale accoglimento del ricorso della  stessa società, dichiarava applicabile l'imposta di registro nella  misura  dell'1 per mille ex art. 7, comma 1, della L. n. 218/1990.     L'Ufficio del Registro di Savona e la contribuente proponevano appello. La Commissione tributaria regionale per la Liguria  con  sentenza  n.  113, pronunciata il 12 maggio 1998 e depositata l'11 novembre  1998,  accoglieva l'appello incidentale proposto dalla società contribuente  e  rigettava  le tesi  dell'Amministrazione  ritenendo  applicabile  l'imposta   sostitutiva dell'1% con il limite massimo di lire 100.000.000.     Contro tale sentenza della  Commissione  tributaria  regionale  propone ricorso l'Amministrazione  delle  finanze  deducendo  un  unico  articolato motivo.     La C.R.S. S.p.a. resiste con controricorso  ed  un  motivo  di  ricorso incidentale per non essersi il giudice di merito pronunciato  sulle  spese. Deduce la inammissibilità del ricorso dell'Ufficio del Registro di  Savona. La contribuente ha anche depositato memoria.       Diritto - La intestazione del ricorso anche all'Ufficio del registro di Savona non determina  un  autonomo  ricorso  che  debba  essere  dichiarato inammissibile.     Con il motivo di ricorso la Amministrazione deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto; omessa, contraddittoria e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 del codice di procedura civile, in relazione agli 7,  comma  1, della L. 30 luglio 1990, n. 218).     In realtà sotto un unico motivo di ricorso la Amministrazione  contesta tutti i  profili  della  pronuncia  impugnata,  che  coinvolge  almeno  due problemi.     Il primo è di stabilire se quando la L. n.  218/1990  prevede  che  per determinate operazioni "le imposte di registro, ipotecarie e  catastali  si applicano nella misura dell'uno per mille e sino ad un importo massimo  non superiore a cento milioni di lire" impone un unico tetto di  cento  milioni di lire applicabile al cumulo delle tre imposte, oppure  preveda  un  tetto alla applicazione di ciascuna delle imposte.     In proposito la Corte non vede ragione  di  discostarsi  dall'indirizzo espresso dalla sentenza n. 7571 del 17 luglio 1999, e ribadito da Cass.  30 giugno 2000, n. 8829, secondo cui l'art. 7 della legge "Amato" n.  218  del 1990  (disposizioni  in  materia   di   ristrutturazione   e   integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico) secondo cui  ai conferimenti di un'azienda bancaria in un'altra, come alle fusioni  e  alle incorporazioni si applicano le imposte di registro, ipotecarie e  catastali nella misura dell'uno per mille e sino ad un importo massimo non  superiore a cento milioni di  lire,  va  interpretato  nel  senso  che  ogni  imposta conserva la  propria  autonomia,  con  la  conseguenza  che  continuano  ad applicarsi le  tre  imposte,  per  ciascuna  delle  quali  viene  applicata l'aliquota dell'uno per mille (con il "tetto" di cento milioni di lire).  E giova ribadire che siffatta interpretazione manifestamente non si  pone  in contrasto con gli 53, comma 1, della Costituzione.     Il ricorso solleva però anche un secondo profilo, cioè pone il problema se questo sistema impositivo agevolato si applichi complessivamente a tutte le operazioni poste in essere dalla contribuente (in quanto  ipoteticamente inserite in un quadro unitario volto alla così detta  "privatizzazione")  o se invece le operazioni di aumento del capitale sociale vadano  considerate e tassate separatamente. Ed anche questo profilo merita accoglimento.     Invero l'art. 7, comma  1  della  citata  legge  "Amato"  riconosce  il diritto al trattamento agevolato alle fusioni, alle  trasformazioni  ed  ai conferimenti effettuati a norma dell'art. 1. E questa Corte ritiene che  il termine "conferimenti" debba essere inteso alla luce dell'art. 1 e non come comprensivo di tutte le ipotesi di aumento di capitale.     Il citato art. 1, al suo comma 1, prevede, nel testo vigente al momento della esecuzione degli aumenti di capitale: "gli  enti  creditizi  pubblici iscritti nell'albo di cui all'art. 29 del R.D.L. 12  marzo  1936,  n.  375, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 marzo 1938, n. 141, e  successive modificazioni e integrazioni, nonché le casse comunali di credito agrario e i monti di credito  su  pegno  di  seconda  categoria  che  non  raccolgono risparmio tra il pubblico possono effettuare trasformazioni ovvero  fusioni con altri enti creditizi di qualsiasi natura, da cui, anche  a  seguito  di successive trasformazioni o conferimenti, risultino  comunque  società  per azioni operanti nel settore del credito". La legge  mirava  a  favorire  le così dette privatizzazioni, cioè la trasformazione  degli  "enti  creditizi pubblici" in società per azioni. Tale trasformazione poteva certo  avvenire per "conferimento", ma per conferimento della intera azienda o di  un  ramo di essa in una preesistente società per azioni (magari formata da  istituti pubblici di credito già "privatizzati"). Il "conferimento" cioè in tanto  è funzionale  alla  privatizzazione  in  quanto  trasformi  una   istituzione pubblica in istituzione privata; ed in questo quadro  la  agevolazione  ben può assistere l'aumento di capitale sociale che consegue  al  conferimento. Ma non vi è ragione per agevolare il  mero  aumento  di  capitale  sociale, deliberato dall'ente ormai "privatizzato" per reperire  sul  mercato  mezzi economici.     Cioè un aumento di capitale sociale che non nasce dal venir meno di una attività pubblica d'impresa, ma dal concorso economico di privati,  rientra fra le comuni operazioni economiche della società  ed  i  conferimenti  che danno luogo a tale incremento del capitale sociale non sono  "effettuati  a norma dell'art. 1" della legge, e perciò non sono agevolati.     La controversia deve dunque essere rimessa al giudice di merito che  si atterrà alle seguenti massime:       - l'art. 7 della legge "Amato"  n.  218  del  1990  (disposizioni  in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli  istituti  di credito di diritto pubblico) secondo  cui  ai  conferimenti  di  un'azienda bancaria in un'altra, come alle fusioni e alle incorporazioni si  applicano le imposte di registro, ipotecarie e catastali nella  misura  dell'uno  per mille e sino ad un importo massimo non superiore a cento milioni  di  lire, va interpretato nel senso che ogni imposta conserva la  propria  autonomia, con la conseguenza  che  continuano  ad  applicarsi  le  tre  imposte,  per ciascuna delle quali viene applicata l'aliquota dell'uno per mille (con  il "tetto" di cento milioni di lire).     Godono delle agevolazioni di cui all'art 7 della legge "Amato"  n.  218 del 1990 solo quei conferimenti e  quei  conseguenti  aumenti  di  capitale sociale che siano funzionali agli scopi di  cui  all'art.  1  della  stessa legge e cioè determinino la trasformazione o l'assorbimento in società  per azioni degli enti creditizi pubblici indicati nel medesimo art. 1.       P.Q.M. - La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il  ricorso  principale, assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e  rinvia  la controversia ad altra sezione della Commissione tributaria regionale per la Liguria che deciderà anche per le spese.

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