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Il lavoratore ingiustamente licenziato non ha diritto al danno morale a meno che le modalità dell’interruzione del rapporto non siano state ingiuriose e tali da ledere la sua immagine di fronte ai colleghi
Pubblicata il 30/11/2008
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAVAGNANI Erminio - Presidente
Dott. BATTIMIELLO Bruno - Consigliere
Dott. CELLERINO Giuseppe - Consigliere
Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere
Dott. MAMMONE Giovanni - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MI. FR. , elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato COSTANTINO FRANCESCO, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
FR. SU. SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore Pa. Da. , elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell'avvocato ANTONINI MARIO, rappresentata e difesa dall'avvocato ANDRONICO FRANCESCO, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 198/2006 della CORTE D'APPELLO di CALTANISSETTA del 26/04/06, depositata il 05/05/2006.
E' presente il P.G. in persona del Dr. DESTRO Carlo.
RITENUTO IN FATTO E DIRITTO
Mi. Fr. impugnava dinanzi al Giudice del lavoro di Nicosia il licenziamento per giusta causa irrogatogli dal datore di lavoro Fr. Su. s.p.a. chiedendo la reintegrazione ed il risarcimento del danno, ivi compreso quello morale. Accertata la mancanza della giusta causa, il Giudice, per quello che qui ancora rileva, accoglieva parzialmente la domanda in sede cautelare e di merito, rigettandola solo a proposito della richiesta di risarcimento del danno morale.
Proponeva appello il Mi. lamentando il rigetto della richiesta di risarcimento del danno morale. Costituitasi l'appellata, la Corte di appello di Caltanissetta con sentenza 26.4 - 5.5.06, rilevava che il licenziamento, pur illegittimo, non puo' essere ritenuto di per se' ingiurioso; non avendo il lavoratore fornito prova di ulteriore danno all'immagine ed all'onore, riteneva la domanda sul punto non provata e rigettava l'impugnazione.
Proponeva ricorso per cassazione il Mi. deducendo due motivi: a) omessa motivazione circa un fatto controverso, non avendo il giudice di merito tenuto conto del contenuto della lettera di contestazione, di tenore lesivo della sua dignita' del lavoratore; b) violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., per omessa valutazione della circostanza che indebitamente il datore gli aveva ascritto un danneggiamento del patrimonio aziendale, con il quesito "se il giudice sia obbligato a valutare le prove, secondo il suo prudente apprezzamento, ex articolo 115 c.p.c., motivando in misura congrua e adeguata, anche se non necessariamente esplicita". Si costituiva con controricorso la societa' intimata.
Il consigliere relatore redigeva relazione ex articolo 380 bis c.p.c., che veniva comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti unitamente al decreto di fissazione dell'odierna adunanza in Camera di consiglio.
Il ricorso e' infondato.
Quanto al primo motivo, il Giudice di merito ha applicato il principio che l'ingiuriosita' del licenziamento non consiste nella contestazione di un fatto lesivo del decoro del lavoratore (essendo tale contestazione dovuta dal datore), bensi' nella forma del provvedimento e nella pubblicita' che gli venga eventualmente data, ne' consiste nel mero difetto di giustificazione o nella genericita' della contestazione, essendo sempre necessaria la prova che il licenziamento, per le forme adottate o per altre peculiarita', sia lesivo della dignita' e dell'onore del lavoratore. Inoltre il licenziamento ingiustificato o non motivato e' illegittimo e produce un danno risarcibile a norma di legge, ma non per questo e' anche ingiurioso, onde il lavoratore non puo' pretendere a tale titolo un ulteriore risarcimento ove non provi di aver subito anche un danno diverso da quello derivante dall'essere stato illegittimamente licenziato (Cass. 14.5.03 n. 7479).
Il Giudice nell'applicare tale principio ha tenuto presente il contenuto della lettera di contestazione, riportandone anche testualmente il contenuto, ritenendo, pero', insussistente la prova di quelle ulteriori circostanze (la forma del provvedimento e la pubblicita' eventualmente datagli) richiesta dalla giurisprudenza. Trattasi di valutazione di merito congruamente motivata, su cui non e' consentito tornare in sede di legittimita'.
Quanto al secondo motivo, deve rilevarsi che il quesito imposto dall'articolo 366 bis c.p.c., "deve consistere in una chiara sintesi logico - giuridica della questione sottoposta al vaglio del Giudice di legittimita', formulata in termini tali per cui dalla risposta - negativa o affermativa - che ad esso si dia, discenda in modo univoco l'accoglimento o il rigetto del gravame", di modo che "e' inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato il modo inconferente rispetto all'illustrazione dei motivi di impugnazione" (v. tra le tante, Cass. S.U. 28.9.07 n. 20360).
Nel caso di specie il quesito e' inconferente in quanto chiede l'affermazione di principi del tutto ovvi, non rapportabili al reale tenore delle questioni sollevate con il ricorso, con cui si intende censurare una pretesa omissione del Giudice di merito in tema di valutazione della prova sotto il profilo della violazione dell'obbligo di decidere iuxta probata et alligata, senza indicare peraltro compiutamente il tenore giuridico della contestazione.
Il primo motivo e' pertanto infondato ed il secondo inammissibile; il ricorso deve essere di conseguenza rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in euro 30,00, per esborsi ed in euro 1.500,00, per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.