L'inclusione nel cosiddetto "pro rata" Iva va verificata in relazione alla effettiva attività svolta dall'azienda e non quella indicata dallo statuto

L'inclusione nel cosiddetto "pro rata" Iva va verificata in relazione non tanto all'astratta definizione di attività contenuta nell'oggetto sociale, quanto all'effettiva attività materialmente posta in essere dal contribuente. Per verificare, infatti, se una determinata operazione attiva rientri o meno nell'attività propria di una società, ai fini dell'inclusione nel calcolo della percentuale di imposta detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti (cosiddetto "pro rata"), occorre avere riguardo non già all'attività definita nell'atto costitutivo, ma a quella effettivamente svolta dall'impresa. Pertanto, l'adozione - seppure non formalmente comunicata - di una contabilità separata, giustifica l'impresa dall'esclusione dal pro rata di alcune operazioni attive non proprie dell'effettiva attività esercitata.

Corte di Cassazione Sezione Tributaria Civile, Sentenza del 10 settembre 2009, n. 19484



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente

Dott. BOGNANNI Salvatore - rel. Consigliere

Dott. BERNARDI Sergio - Consigliere

Dott. MARIGLIANO Eugenia - Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19675/2005 proposto da:

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

- ricorrenti -

contro

PE. G. SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell'avvocato D'AYALA VALVA FRANCESCO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 13/2002 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 28/01/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/07/2009 dal Consigliere Dott. BOGNANNI SALVATORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con due distinti ricorsi alla commissione tributaria provinciale di Roma la societa' Pe. G. srl. proponeva opposizione avverso due avvisi di rettifica che le erano stati notificati per gli anni 1984 e 1985, dopo che il competente ufficio provinciale Iva di questa citta' aveva appurato che la contribuente aveva omesso di optare per la contabilita' separata, con la conseguente applicazione del c.d. pro-rata, da cui scaturiva l'indetraibilita' dell'imposta, che invece era stata detratta dal coacervo delle operazioni compiute. Essa esponeva che si occupava di locazione di immobili, oltre che di costruzione e vendita di altri, tenendo di fatto pero' una contabilita' separata, per la quale la detrazione riguardava solamente la seconda collaterale attivita'; percio' chiedeva l'annullamento di quegli atti impositivi.

Instauratosi il contraddittorio, l'ufficio Iva eccepiva l'infondatezza dei ricorsi, in quanto il meccanismo invocato scaturiva necessariamente dalla mancata opzione, per la quale nessuna rilevanza poteva attribuirsi alla dedotta contabilita' separata, con la conseguenza che nessuna detrazione poteva essere operata relativamente ai fitti percepiti dalle locazioni; percio' chiedeva il rigetto dell'impugnativa.

Quella commissione, riuniti i ricorsi, annullava gli avvisi.

Avverso la relativa decisione l'agenzia delle entrate proponeva appello, cui la Pe. G. resisteva con controdeduzioni, dinanzi alla commissione tributaria regionale del Lazio, la quale rigettava il gravame.

Contro quest'altra decisione l'ufficio proponeva ricorso principale, cui la societa' intimata resisteva, svolgendo a sua volta quello incidentale, dinanzi alla commissione tributaria centrale la quale, in riforma di quella impugnata, accoglieva l'impugnazione dell'agenzia, osservando che il giudice di secondo grado non poteva ritenere applicabile il condono di cui alla Legge n. 413 del 1991, nel caso in esame, giacche' la PE. non aveva avanzato alcuna domanda in tal senso.

Avverso questa pronuncia la contribuente proponeva ricorso per cassazione cui l'amministrazione resisteva e la Corte cassava la decisione impugnata con sentenza n. 4556 del 2001, in quanto fondata sull'insussistente presupposto della presentazione di domanda di condono ai sensi della Legge n. 413 del 1991 e non gia', come dedotto, a mente della Legge n. 154 del 1989, articolo 21; affidava quindi, al giudice del rinvio il compito di pronunciare sulla declaratoria di estinzione, invocata dalla contribuente ai sensi della norma da ultimo richiamata.

La causa veniva riassunta dinanzi alla CTR del Lazio, la quale con sentenza, n. 72 del 13.12.2002, ha dichiarato l'estinzione del processo per condono, osservando che si trattava di irregolarita', per le quali la contribuente aveva provveduto alla relativa sanatoria ai fini del condono, anche se non di carattere strettamente formale, come il mancato esercizio della facolta' di opzione, del resto giusta anche la chiara previsione del Decreto Legge n. 89 del 1988, convertito dalla Legge n. 154 del 1989, peraltro applicabile in tale materia rispetto agli anni d'imposta in questione, e non invece la Legge n. 413 del 1991, del resto come comprovato dalla appellata mediante la produzione della relativa dichiarazione integrativa.

Inoltre la societa' aveva dimostrato di avere tenuto di fatto una contabilita' separata per gli anni d'imposta in contestazione, e tanto bastava perche' essa avesse diritto alla detrazione dei relativi costi.

Avverso tale decisione il Ministero dell'economia e delle finanze e l'agenzia delle entrate hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.

La societa' Pe. G. , ora in liquidazione, ha resistito con controricorso, ed ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Innanzitutto va esaminata l'eccezione proposta dalla controricorrente circa la inammissibilita' del ricorso per tardivita', trattandosi di' questione avente carattere pregiudiziale.

Essa e' infondata.

Dall'esame degli atti risulta che la sentenza della CTR e' stata pubblicata il 28.1.2003, e che il ricorso e' stato consegnato all'ufficiale giudiziario per la notifica alla controricorrente il 16.7.2005, e quindi in tempo utile per la regolare proposizione dell'impugnazione, per la quale il termine scadeva solo il 18.7.2005, a fronte di quello a disposizione dei ricorrenti, tenuto conto ovviamente della sospensione del termine stesso.

Infatti ai sensi dell'articolo 16, comma 6, secondo periodo (che, per quanto riguarda la sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione, riproduce, meglio esplicitandoli, i contenuti dell'abrogato comma 7), della Legge 27 dicembre 2002, n. 289, i termini per la proposizione del ricorso per cassazione, concernenti liti che possono essere definite ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 3 della medesima disposizione, sono sospesi a decorrere dal 1 gennaio 2003 (data di entrata in vigore della Legge n. 289 del 2002) fino al 1 giugno 2004. Il computo del termine e' eseguito secondo la regola ordinaria stabilita' per le diverse ipotesi dagli articoli 325 o 327 c.p.c., (e, analogamente, dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 51 e articolo 38, comma 3) e della Legge n. 742 del 1969, articolo 1. Se, per effetto di tale recupero, il termine effettivo d'impugnazione (tenuto conto della sospensione prevista dalla Legge n. 289 del 2002, articolo 16) dovesse scadere nel periodo di sospensione feriale dal 1 agosto al 15 settembre 2004 o in data successiva al medesimo, la scadenza del termine stesso deve essere spostata di tanti giorni quanti sono necessari per completarne il computo (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 22091 del 11/11/2005, n. 21779 del 09/11/2005).

Del resto in tema di condono fiscale, qualora il contribuente, anche se aveva proposto istanza di definizione agevolata ai sensi della Legge n. 154 del 1989 e aveva impugnato pure gli avvisi di rettifica, la controversia investe non solo la legittimita' degli stessi, ma anche l'imposta accertata e le sanzioni. Poiche', per quest'ultimo profilo, essa era suscettibile di definizione agevolata ai sensi della Legge 27 dicembre 2002, n. 289, articolo 16, non essendo stato definito il procedimento relativo al precedente condono, allora trova applicazione, ai fini dell'impugnazione della relativa sentenza, la proroga dei termini prevista dal comma 6 di tale disposizione, la quale si estende anche alla pronuncia in tema di condono, dovendo ogni sentenza essere sottoposta ad un unico termine d'impugnazione, preventivamente individuabile e non dipendente dalla parte della sentenza che forma oggetto di contestazione (V. pure Cass. Sentenza n. 2280 del 02/02/2007).

Inoltre va rilevato che in tema di condono fiscale, costituisce controversia in materia di IVA definibile ai sensi della Legge n. 413 del 1991, articolo 47, configurando invece un errore giuridico di natura sostanziale (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 21506 del 06/10/2006, n. 15843 del 12/07/2006).

Pertanto l'eccezione in questione va disattesa.

In ordine poi al motivo addotto a sostegno del ricorso i correnti deducono violazione e/o falsa applicazione della Legge n. 154 del 1989, articolo 21, Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 36 e succ. modif., e Decreto del Presidente della Repubblica n. 442 del 1997, articolo 1, oltre che omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto i giudici di merito non hanno considerato che la contabilita' tenuta dalla societa' non poteva considerarsi affetta soltanto da vizi formali, ma era tale che le operazioni esenti, che costituivano l'esplicazione dell'oggetto sociale per gli anni di imposta in questione, erano la totalita' dell'attivita', sicche', in mancanza di opzione, scattava il sistema del pro-rata, che rendeva indetraibile tutti i costi di beni e servizi necessari per quel tipo di operazioni. Pertanto tali risultanze non potevano costituire la base per la determinazione dell'Iva, come peraltro emergeva chiaramente dal processo verbale della Guardia di finanza e dalla documentazione esibita dalla stessa Pe. . Ne' la CTR ha indicato i documenti da cui avrebbe tratto il convincimento che si trattasse solo di vizi formali o che l'imposta fosse determinabile.

Il motivo e' infondato.

Appare opportuno premettere che solo l'esercizio esclusivo di operazioni esenti da parte di un imprenditore comporta la totale indetraibilita' dell'imposta assolta sugli acquisti, atteso che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 19, comma 3, (nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alla sostituzione operata dal Decreto Legislativo 2 settembre 1997, n. 313, articolo 2), la riduzione proporzionale della detrazione dell'imposta assolta sugli acquisti (cosiddetta "pro rata") non e' limitata all'ipotesi in cui l'impresa compia congiuntamente operazioni esenti e non esenti, ma e' applicabile - in tal caso nella misura del 100 per cento - anche quando l'impresa compia esclusivamente operazioni esenti (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 14315 del 26/09/2003, n. 4419 del 2003).

Cio' posto, va rilevato che in tema di IVA, per verificare se una determinata operazione attiva rientri o meno nell'attivita' propria di una societa', ai fini dell'inclusione nel calcolo della percentuale d'imposta detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti (cosiddetto "pro rata"), occorre avere riguardo non gia' all'attivita' previamente definita dall'atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall'impresa. Infatti ai fini dell'imposta, rileva il volume d'affari del contribuente, costituito dall'ammontare complessivo delle cessioni di' beni e delle prestazioni di' servizi dallo stesso effettuate, e quindi l'attivita' in concreto esercitata (V. pure Cass. Sentenze n. 6574 del 12/03/2008, n. 17226 del 2006).

Nella specie, con la sentenza impugnata la CTR ha rilevato che la societa', pur non avendo comunicato l'opzione per la contabilita' separata, tuttavia ha di fatto operato contabilmente in modo da consentire il controllo dell'inerenza degli acquisti alle diverse attivita' di costruzione e locazione. Tale statuizione, fondata sul principio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 442 del 1997, articolo 1, (secondo cui l'opzione e la revoca di regimi di determinazione dell'imposta o di altri si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalita' di tenuta delle scritture contabili), e' corretta dall'accertamento di fatto, non censurato dalla ricorrente, relativo alla documentazione acquisita, da cui risulta che gli acquisti registrati nel 1984 e nel 1985 sono riferibili solo all'attivita' di costruzione e non anche a quella di locazione di immobili.

Peraltro va rilevato che i ricorrenti denunziano la mancata valutazione del materiale probatorio acquisito secondo la loro prospettazione difensiva, mentre invece non e' possibile prospettare un vaglio alternativo degli elementi acquisiti dal giudice di merito, atteso che il vizio di omessa, o insufficiente o contraddittoria motivazione, deducibile in sede di legittimita' ex articolo 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non puo' invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perche' la citata norma non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all'uopo, valutarne le prove, controllarne l'attendibilita' e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (V. pure Cass. Sez. U Sent. 05802 del 11/06/1998).

Alla luce di quanto piu' sopra enunciato, la sentenza impugnata risulta motivata in modo adeguato, oltre che giuridicamente corretto.

Ne deriva che il ricorso va rigettato.

Quanto alle spese di questa fase, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso, e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese a favore della controricorrente, e che liquida - in complessivi euro 3.200,00, (tremiladuecento/00), di cui euro 200,00, per esborsi, ed euro 3.000,00, per onorari, oltre a quelle generali ed agli accessori di legge.

 

INDICE
DELLA GUIDA IN Iva

OPINIONI DEI CLIENTI

Vedi tutte

ONLINE ADESSO 714 UTENTI