Se la festività cade di domenica, il dipendente pubblico non ha diritto al compenso aggiuntivo

L' articolo 1, comma 224, della Legge n. 266 del 2005, laddove dispone che la Legge n. 260 del 1949, articolo 5, comma 3, come successivamente modificato, e' una fra le disposizioni divenute inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 69, comma 1, ha escluso, con portata retroattiva (e dunque non con effetti solo per il futuro), il riconoscimento del diritto dei dipendenti ad un compenso aggiuntivo, in caso di coincidenza con la festivita' della domenica. In tali termini questa Corte si e' gia' piu' volte pronunciata. Si vedano, infatti, Cass. 5 aprile 2011, n. 7740, Cass. 25 febbraio 2011, n. 4661, Cass. 27 ottobre 2009, n. 22653, Cass. 17 giugno 2009, n. 14048, Cass. 22 febbraio 2008, n. 4667 con le quali si e' evidenziato che la suddetta disposizione, mirando a risolvere dubbi interpretativi sull'ambito dell'inefficacia determinata dalla stipulazione della seconda tornata di contratti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, e' qualificabile come norma di interpretazione autentica, siccome fatto palese, del resto, dalla specifica disposizione di salvezza dei giudicati formatisi anteriormente alla sua entrata in vigore. norma che, laddove dispone che la Legge n. 260 del 1949, articolo 5, comma 3, come successivamente modificato, e' una fra le disposizioni divenute inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 69, comma 1, ha escluso, con portata retroattiva (e dunque non con effetti solo per il futuro), il riconoscimento del diritto dei dipendenti ad un compenso aggiuntivo, in caso di coincidenza con la festivita' della domenica. In tali termini questa Corte si e' gia' piu' volte pronunciata. Si vedano, infatti, Cass. 5 aprile 2011, n. 7740, Cass. 25 febbraio 2011, n. 4661, Cass. 27 ottobre 2009, n. 22653, Cass. 17 giugno 2009, n. 14048, Cass. 22 febbraio 2008, n. 4667 con le quali si e' evidenziato che la suddetta disposizione, mirando a risolvere dubbi interpretativi sull'ambito dell'inefficacia determinata dalla stipulazione della seconda tornata di contratti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, e' qualificabile come norma di interpretazione autentica, siccome fatto palese, del resto, dalla specifica disposizione di salvezza dei giudicati formatisi anteriormente alla sua entrata in vigore.

Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, Ordinanza 4 gennaio 2016, n. 11



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro - Presidente

Dott. ARIENZO Rosa - Consigliere

Dott. FERNANDES Giulio - Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia - Consigliere

Dott. MAROTTA Caterina - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:
 

ORDINANZA

sul ricorso 6886/2013 proposto da:

(OMISSIS) ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ((OMISSIS)), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 3410/2012 della CORTE D'APPELLO di ROMA del 16/4/2012, depositata il 13/6/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2015 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;

udito l'Avvocato (OMISSIS) (delega verbale) difensore del ricorrente che si riporta agli scritti.

FATTO E DIRITTO

1 - Considerato che e' stata depositata relazione del seguente contenuto:

"Con ricorso al giudice del lavoro del Tribunale di Roma il Ministero della Giustizia proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con cui lo stesso Tribunale gli aveva ingiunto di pagare, in favore del suo dipendente, (OMISSIS). Somme a titolo di compenso aggiuntivo per due festivita' di cui alla legge n. 260/1949 - come modificata dalla legge n. 90/1954 - coincidenti con la domenica. Il Tribunale accoglieva l'opposizione e revocava il decreto ingiuntivo. A seguito di impugnazione da parte del lavoratore, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado. Riteneva la Corte territoriale che la fonte primaria fosse divenuta nella materia in questione la disciplina contrattualistica, ed in specie quella desumibile dal c.c.n.l. del Comparto Ministeri 1998/2001, che nulla disponeva con riguardo al compenso preteso dal lavoratore e che la Legge n. 260 del 1949, articolo 5, dovesse considerarsi inapplicabile prevedendo un incremento retributivo non contemplato dal contratto collettivo. Valorizzava la Corte territoriale lo ius superveniens, costituito dalla Legge 23 dicembre 2005, n. 266, che, all'articolo 1, comma 224, ha stabilito, che: Tra le disposizioni riconosciute inapplicabili dall'articolo 69, comma 1, secondo periodo, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, e' ricompreso la Legge 27 maggio 1949, n. 260, articolo 5, comma 3, come sostituito dalla Legge 31 marzo 1954, n. 90, articolo 1, in materia di retribuzione nelle festivita' civili nazionali ricadenti di domenica. E fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge" ed escludeva la sussistenza di profili di illegittimita' costituzionale per disparita' di trattamento.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione (OMISSIS) con tre motivi di impugnazione.

Il Ministero resiste con controricorso.

Con i motivi di ricorso viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione della Legge n. 266 del 2005, articolo 1, comma 224, posta questione di costituzionalita' di tale norma e formulata richiesta di quesito interpretativo alla Corte di Giustizia, CE, ex articolo 234 del Trattato CE.

I motivi, da trattarsi congiuntamente, in ragione della intrinseca connessione, sono manifestamente infondati.

La Corte territoriale ha correttamente applicato lo jus superveniens costituito dalla Legge n. 266 del 2005, articolo 1, comma 224, norma che, laddove dispone che la Legge n. 260 del 1949, articolo 5, comma 3, come successivamente modificato, e' una fra le disposizioni divenute inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 69, comma 1, ha escluso, con portata retroattiva (e dunque non con effetti solo per il futuro), il riconoscimento del diritto dei dipendenti ad un compenso aggiuntivo, in caso di coincidenza con la festivita' della domenica. In tali termini questa Corte si e' gia' piu' volte pronunciata. Si vedano, infatti, Cass. 5 aprile 2011, n. 7740, Cass. 25 febbraio 2011, n. 4661, Cass. 27 ottobre 2009, n. 22653, Cass. 17 giugno 2009, n. 14048, Cass. 22 febbraio 2008, n. 4667 con le quali si e' evidenziato che la suddetta disposizione, mirando a risolvere dubbi interpretativi sull'ambito dell'inefficacia determinata dalla stipulazione della seconda tornata di contratti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, e' qualificabile come norma di interpretazione autentica, siccome fatto palese, del resto, dalla specifica disposizione di salvezza dei giudicati formatisi anteriormente alla sua entrata in vigore. E' stato anche rimarcato, con l'espresso richiamo alla pronuncia della Corte costituzionale n. 146 del 16 maggio 2008 (cosi' Cass. n. 7740/2011, Cass. n. 4661/2001, Cass. n. 14048/2009 citate), come i dubbi di legittimita' costituzionale, prospettati sotto il profilo della pretesa violazione del principio di uguaglianza, sono privi di fondamento.

Sulla questione, a seguito di ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 1040 del 20 gennaio 2014, resa in un giudizio nel quale, come nel presente, si sosteneva che l'efficacia retroattiva della Legge n. 266 del 2005, articolo 1, comma 224, non appariva giustificata, sul piano costituzionale, da una finalita' realmente interpretativa della disposizione stessa, la quale attribuisce alla norma interpretata (il Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 69, comma 1, secondo periodo) non gia' uno dei significati possibili bensi' un significato del tutto nuovo e si poneva, altresi', il problema che la detta retroattivita' avrebbe violato il divieto di ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, influendo sulla definizione delle controversie giudiziarie in corso (articolo 117 Cost., comma 1 e 6 CEDU), ledendo l'autonomia e indipendenza della magistratura (articolo 104 Cost.) ed il principio di imparzialita' della pubblica amministrazione (articolo 97 Cost.) -, e' tornata la Corte costituzionale. Nella recente decisione n. 150 del 14 luglio 2015, il Giudice delle leggi ha definitivamente fugato ogni dubbio di costituzionalita' e di contrasto con il giusto ed equo processo e con i connessi principi della parita' delle armi e della certezza del diritto (articolo 6 CEDU) affermando che: l'intervento interpretativo del legislatore non solo non contrasta con il principio di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento (sentenza n. 209 del 2010), escluse da questa Corte gia' nella sentenza n. 146 del 2008 in considerazione della peculiarita' del regime del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni delineato dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, e dai contratti collettivi ivi richiamati, ma neppure determina una lesione dell'affidamento. Il testo originario rendeva, sin dall'inizio, plausibile, come si e' gia' rilevato, una lettura diversa da quella che i destinatari della norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare (sentenza n. 170 del 2008), coerente con i principi ai quali e' informato il rapporto di lavoro pubblico. Ne' si ravvisa una lesione delle attribuzioni del potere giudiziario. La norma in esame, infatti, avendo natura interpretativa, ha operato sul piano delle fonti, senza toccare la potesta' di giudicare, limitandosi a precisare la regola astratta ed il modello di decisione cui l'esercizio di tale potesta' deve attenersi, definendo e delimitando la fattispecie normativa oggetto della medesima (sentenza n. 170 del 2008), proprio al fine di assicurare la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico (sentenza n. 209 del 2010).

Si propone, pertanto, il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell'articolo 375 c.p.c., n. 5".

2 - Preliminarmente va rigetta l'istanza, presentata da parte ricorrente, di rinvio a nuovo ruolo per trattazione congiunta della presente causa con il procedimento n. 30358/2010 avente oggetto analogo.

Questa Corte ha gia' avuto modo di precisare che il rispetto del diritto fondamentale a una ragionevole durata del processo impone al giudice, ai sensi degli articoli 175 e 127 c.p.c., di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attivita' processuali e formalita' superflue perche' non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parita', dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale e' destinato a esplicare i suoi effetti.

Ne deriva che l'istanza per la trattazione congiunta di una pluralita' di giudizi relativi alla medesima vicenda, non espressamente contemplata dagli articoli 115 e 82 disp. att. c.p.c., deve essere sorretta da ragioni idonee ad evidenziare i benefici suscettibili di bilanciare gli inevitabili ritardi conseguiti all'accoglimento della richiesta, bilanciamento che deve essere effettuato con particolare rigore nel giudizio di cassazione in considerazione dell'impulso d'ufficio che lo caratterizza (Cass. 1 marzo 2012, n. 3189 e Cass. 21 novembre 2012 n. 20422; Cass. 29 maggio 2013, n. 13406; Cass. 3 luglio 2015, n. 13684).

3 - Tanto premesso, questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimita' in materia e non scalfite dalla memoria con la quale la ricorrente, si limita a richiamare alcune decisioni della Corte Europea (cosi', tra le altre, la sentenza n. del 31 maggio 2011 nella causa Maggio ed altri c. Italia; la sentenza del 7 giugno 2011 nella causa Agrati ed altri c. Italia; la sentenza del 14 febbraio 2012 nella causa Arras ed altri c. Italia) che hanno considerato emesse in violazione dell'articolo 6 della CEDU norme di interpretazione autentica che pure avevano superato il vaglio di legittimita' costituzionale da parte del giudice delle leggi. Del resto ogni vicenda va contestualizzata ed anche l'ipotizzato pregiudizio in ragione dell'inutilita' di proseguire una lite a causa della sopravvenuta normativa va rapportato allo specifico interesse generale sotteso all'intervento legislativo. Nel caso in esame non sono stati offerti argomenti ulteriori rispetto a quelli gia' vagliati dalla stessa Corte costituzione nella sopra citata sentenza n. 150 del 14 luglio 2015 nella parte in cui e' stato escluso ogni contrasto con il giusto ed equo processo e con i connessi principi della "parita' delle armi" e della certezza del diritto (articolo 6 CEDU). In tale decisione si e', infatti, precisato: - che "al legislatore non e' ... precluso di emanare ... norme retroattive (sia innovative che di interpretazione autentica), purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU (sentenza n. 264 del 2012)" (sentenza n. 156 del 2014; cosi' anche, ex plurimis, sentenze n. 78 del 2012, n. 15 del 2012); - che cio' accade allorquando una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto o di ristabilire un'interpretazione piu' aderente all'originaria volonta' del legislatore (sentenza n. 311 del 2009; cosi' anche Corte Europea dei diritti dell'uomo, sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society ed altri contro Regno Unito), nonche' di riaffermare l'intento originale del Parlamento (Corte Europea dei diritti dell'uomo, sentenza 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas e altri contro Francia) a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini; - che la Legge n. 266 del 2005, articolo 1, comma 224, nell'escludere l'applicabilita' ai lavoratori pubblici della norma recante la previsione del diritto ad una retribuzione aggiuntiva nel caso in cui le festivita' ricorrano di domenica, all'indomani della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, non ha fatto altro che dare attuazione ad uno dei principi ispiratori dell'intero Decreto Legislativo n. 165 del 2001, (inapplicabilita' "delle norme generali e speciali del pubblico impiego", a seguito appunto della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997); - che, inoltre, la norma in questione ha chiarito - risolvendo una situazione di incertezza testimoniata dalla presenza di pronunce di segno contrastante (Cass. 28 marzo 1981, n. 1803; Cass. 10 gennaio 2011, n. 258; Cass. 5 luglio 2006, n. 15331); - che la Legge n. 260 del 1949, articolo 5, comma 3, ha carattere imperativo; - che l'intervento interpretativo del legislatore non solo non contrasta con il principio di ragionevolezza, ma neppure determina una lesione dell'affidamento (rendendo il testo originario della norma, sin dall'inizio, plausibile una lettura diversa da quella che i destinatati della norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare).

Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell'articolo 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 - Conseguentemente, il ricorso va rigettato.

5- Il recente intervento della Corte costituzionale sulla questione oggetto di causa consente di compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimita'.

6 - La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilita' del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiche' l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non e' collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (cosi' Cass. Sez. un. n. 22035/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimita'.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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