Sulla definizione di impresa artigiana

La definizione di impresa artigiana deve essere realizzata ritenendo che i principi codicistici (art 2083 c.c.) valgano per la identificazione dell'impresa artigiana nei rapporti interprivati, mentre quelli posti dalla legge speciale siano necessari per fruire delle provvidenze previste dalla legislazione di sostegno, con la conseguenza che l'iscrizione all'albo di un'impresa artigiana non spiega alcuna influenza, ex se - neppure quale presunzione iuris tantum della natura artigiana dell'impresa - ai fini dell'applicazione dell'art. 2751 bis, n.5 c.c. (privilegio del credito), dettato in tema di privilegi, dovendosi, a tal fine, ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati, in via generale, dall'art. 2083 c.c.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 9 aprile 2015, n. 7116



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME' Giuseppe - Presidente

Dott. CHIARINI Maria Margherita - Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12906/2011 proposto da:

(OMISSIS) S.N.C. (OMISSIS) in persona del Sig. (OMISSIS) quale socio ed amministratore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), domiciliato ex lege presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), con studio in (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;

- controricorrente -

e contro

(OMISSIS);

- intimato -

avverso la sentenza n. 194/2010 della CORTE D'APPELLO di TRIESTE, depositata il 07/05/2010, R.G.N. 429/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/01/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l'Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza depositata il 7 maggio 2010, la Corte d'Appello di Trieste accoglieva l'appello proposto da (OMISSIS) nei confronti della societa' (OMISSIS) contro la sentenza del Tribunale di Udine, sezione di Cividale del Friuli, emessa in una controversia distributiva insorta nella procedura esecutiva mobiliare ai danni di (OMISSIS) (rimasto contumace). La Corte, in riforma della sentenza di primo grado, accertava e dichiarava che il credito vantato dalla societa' appellata nei confronti del (OMISSIS) non gode del privilegio di cui all'articolo 2751 bis c.p.c., n. 5, e condannava quest'ultima al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore dell'appellante (OMISSIS).

2.- Avverso la sentenza la societa' (OMISSIS) s.n.c. propone ricorso straordinario affidato a tre motivi, illustrati da memoria.

(OMISSIS) si difende con controricorso e memoria.

L'intimato (OMISSIS) non si difende.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Preliminarmente, vanno rigettate le eccezioni di carenza di interesse all'impugnazione e di giudicato esterno sollevate dalla parte resistente con la memoria depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c..

Entrambe si fondato sulla sopravvenuta ordinanza del giudice dell'esecuzione con la quale si e' dato corso alla distribuzione del ricavato con attribuzione a (OMISSIS) della somma contestata di euro 9.589,67, in quanto unico creditore privilegiato.

E' vero infatti che l'ordinanza con la quale il giudice procede alla distribuzione del ricavato ha un effetto preclusivo, per certi versi, assimilabile a quello del giudicato (cfr. Cass. n. 5580/03, nel senso che "il provvedimento che chiude il procedimento esecutivo, pur non avendo, stante la mancanza di contenuto decisorio, efficacia di giudicato, e' tuttavia caratterizzato da una definitivita' insita nella chiusura di un procedimento esplicato col rispetto delle forme atte a salvaguardare gli interessi delle parti, incompatibile con qualsiasi sua revocabilita', sussistendo un sistema di garanzie di legalita' per la soluzione di eventuali contrasti, all'interno del processo esecutivo, desumibile dagli articoli 485, 512 e 615 c.p.c."; cfr., nello stesso senso, Cass. n. 16369/09 e n. 17371/11). Tuttavia, questo effetto in tanto si produce in quanto il debitore esecutato o un'altra parte del processo esecutivo - come nel caso di specie uno dei creditori concorrenti - non si sia avvalso dei rimedi endoesecutivi che consentono di (ri)mettere in discussione l'accertamento, pur sempre sommario, che e' proprio del giudice dell'esecuzione. Ove un siffatto rimedio sia stato esperito - si tratti di un'opposizione esecutiva ovvero di un'opposizione distributiva - in mancanza di provvedimento di sospensione, la distribuzione del ricavato non e' certo impedita. Tuttavia, l'accoglimento dell'opposizione ne comporta il venir meno degli effetti, con l'insorgenza, se del caso, di obbligazioni restitutorie.

Ne consegue che il creditore, procedente o intervenuto, che abbia contestato il progetto di distribuzione introducendo una controversia distributiva ai sensi dell'articolo 512 c.p.c., nei confronti di un altro creditore concorrente ha interesse all'impugnazione della sentenza di merito che abbia rigettato la sua opposizione anche se frattanto si sia proceduto al riparto del ricavato in base al progetto di distribuzione opposto.

Vanno percio' esaminati i tre motivi di ricorso.

2.- Col primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., anche in relazione alla Legge n. 443 del 1985, articoli 2, 3, 4, 5 e 7, perche' la Corte d'Appello ha negato la natura di impresa artigiana alla societa' odierna ricorrente, ai fini del riconoscimento del privilegio di cui all'articolo 2751 bis c.c., n. 5 (nel testo anteriore alla sostituzione attuata con il Decreto Legge n. 5 del 2012, articolo 36, convertito con modificazioni nella Legge n. 35 del 2012), accollando alla societa' l'onere della prova della propria natura di impresa artigiana.

La ricorrente sostiene che questa statuizione sarebbe in violazione dell'articolo 2697 c.c., in relazione alle disposizioni della legge speciale indicate in rubrica, che disciplinano le modalita' e l'efficacia dell'iscrizione all'albo delle imprese artigiane. Secondo la ricorrente, avendo prodotto in giudizio la certificazione attestante questa iscrizione, in forza dei detti articoli dellaLegge n. 443 del 1985, si sarebbe dovuta ritenere l'efficacia costitutiva dell'iscrizione, con portata generale e non limitata alla concessione delle agevolazioni in favore di tale categoria di imprese. Il corollario sarebbe dovuto essere che la Corte d'Appello non avrebbe potuto gravare la societa' dell'onere della prova, spettando invece al creditore concorrente (OMISSIS) l'onere di allegare, e provare, elementi atti a dimostrare, al contrario, la natura non artigiana dell'impresa; con la conseguenza che l'eventuale incertezza probatoria sul punto non avrebbe potuto risolversi a danno della societa'.

2.1.- Il motivo e' infondato.

Per superarne le ragioni e' sufficiente ribadire l'indirizzo giurisprudenziale richiamato nel controricorso, espresso da questa Corte, nel senso che "in tema di impresa artigiana, il coordinamento tra la disciplina codicistica e quella contenuta nella legge speciale (Legge n. 443 del 1985) deve essere realizzato (tenuto conto che, alla luce delle rispettive normative, un'impresa puo' avere i requisiti previsti dalla Legge n. 443 del 1985, e non essere purtuttavia conforme al modello delineato dall'articolo 2083 c.c.) ritenendo che i criteri richiesti dall'articolo 2083 c.c., ed in genere dal codice civile, valgano per la identificazione dell'impresa artigiana nei rapporti interprivati, mentre quelli posti dalla legge speciale siano, invece, necessari per fruire delle provvidenze previste dalla legislazione (regionale) di sostegno, con la conseguenza che l'iscrizione all'albo di un'impresa artigiana, legittimamente effettuata ai sensi dell'articolo 5 della ricordata Legge n. 443 del 1985, pur avendo natura costitutiva, nei limiti sopra indicati, non spiega alcuna influenza, ex se - neppure quale presunzione iuris tantum della natura artigiana dell'impresa - ai fini dell'applicazione dell'articolo 2751 bis c.c., n. 5, dettato in tema di privilegi, dovendosi, a tal fine, ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati, in via generale, dall'articolo 2083 c.c." (Cass. n. 19508/05).

Con la precisazione che "in tema di privilegio generale sui mobili, la norma dell'articolo 2751 bis c.c., comma 1, n. 5, come sostituito dal Decreto Legge n. 5 del 2012, articolo 36, conv. in Legge n. 35 del 2012, laddove accorda il privilegio ai crediti dell'impresa artigiana definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti, non ha natura interpretativa e valore retroattivo, facendo difetto sia l'espressa previsione nel senso dell'interpretazione autentica, sia i presupposti di incertezza applicativa che ne avrebbero giustificato l'adozione. Pertanto, riguardo al periodo anteriore all'entrata in vigore della novella, resta fermo che l'iscrizione all'albo delle imprese artigiane Legge n. 443 del 1985, ex articolo 5, non spiega alcuna influenza sul riconoscimento del privilegio, dovendosi ricavare la nozione di impresa artigiana dai criteri generali dell'articolo 2083 c.c." (Cass. n. 11154/12 e n. 18966/13).

Dato quanto sopra, va altresi' affermato, in applicazione dell'articolo 2697 c.c., che in materia di distribuzione del ricavato dell'espropriazione mobiliare, sul creditore che chiede il riconoscimento di un privilegio generale sui mobili grava l'onere di dimostrare l'esistenza dei presupposti di fatto del privilegio (cfr. Cass. n. 13758/05 e n. 24651/11).

Pertanto, e' corretta la decisione della Corte d'Appello di gravare la societa', che rivendica il riconoscimento del privilegio, dell'onere di provarne il fatto costitutivo, quale e' la natura artigiana dell'impresa, mediante elementi di fatto ulteriori rispetto all'iscrizione all'albo delle imprese artigiane ai sensi della Legge n. 443 del 1985.

Il primo motivo di ricorso va rigettato.

3.- Col secondo motivo si lamenta carenza o contraddittorieta' della motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dai presupposti dimensionali per la qualificazione come impresa artigiana della societa' ricorrente.

Quest'ultima critica l'apprezzamento in fatto della Corte territoriale, che ha ritenuto non sufficientemente provata la natura artigiana dell'impresa.

La ricorrente riporta il contenuto del libro matricola relativo alla consistenza dimensionale dell'impresa e critica la sentenza impugnata per avere ritenuto rilevante la mancanza di data sul frontespizio; per non avere considerato questo libro sufficiente a dimostrare la consistenza dimensionale dell'impresa; per non avere attribuito alcuna rilevanza all'atteggiamento di non contestazione dello (OMISSIS); per avere dato una lettura illogica alle dichiarazioni dei redditi quanto al numero degli apprendisti ivi indicato.

3.1.- Col terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell'articolo 167 cod. proc. civ. nel testo applicabile al presente giudizio anche in relazione all'articolo 116 c.p.c., comma 2, ed all'articolo 342 c.p.c., perche', avendo il giudice di primo grado ritenuto sufficienti le produzioni dell'impresa al fine di giudicarne la natura artigiana, e non avendo l'appellante specificamente contestato le risultanze relative al requisito dimensionale della societa', la Corte d'Appello avrebbe errato nel non ritenere provate per non contestazione le circostanze relative al detto requisito dimensionale.

4.- I motivi, che vanno esaminati congiuntamente, perche' connessi, non meritano di essere accolti.

In primo luogo, va escluso che, come sostenuto col terzo, si sia avuta la violazione dell'articolo 167 c.p.c., laddove prevede che il convenuto debba "proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti a fondamento della domanda" e/o violazione dell'articolo 342 c.p.c., laddove prevede che l'appellante debba formulare specifici motivi d'appello avverso la sentenza di primo grado.

Come osservato nel controricorso, ma come risulta anche dal testo dell'atto di appello riportato nel ricorso, la parte appellante contesto' che la societa' appellata avesse le caratteristiche d'impresa di cui all'articolo 2083 c.c., in particolare contesto' che avesse provato di esercitare "un'attivita' organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia".

La specificita' del motivo d'appello non puo' certo essere riesaminata in questa sede, per di piu' in mancanza di censure svolte dalla ricorrente in punto di correttezza del procedimento interpretativo seguito dal giudice di secondo grado (cfr. Cass. n. 2217/07, nonche' da ultimo Cass. n. 11828/14, citata anche dal resistente, nel senso che spetta al giudice d'appello interpretare i motivi di gravame, potendo la Corte di legittimita' soltanto controllare la correttezza di tale attivita' interpretativa).

In merito, poi, all'idoneita' del motivo d'appello a contestare i fatti posti dal primo giudice a fondamento della decisione favorevole all'impresa, va evidenziato come la contestazione non appare affatto generica, tanto da potersi ritenere quale clausola di stile (arg. a contrario da Cass. n. 10860/11), poiche' indica specificamente il fatto costitutivo che intende contestare - vale a dire il fatto, previsto dall'articolo 2083 c.c., in riferimento all'articolo 2751 bis c.c., n. 5, della prevalenza del lavoro del titolare dell'impresa e dei suoi famigliari (o dei soci dell'impresa esercitata in forma societaria).

Va infatti affermato che affinche' venga rispettato l'onere imposto al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della sua domanda, ai sensi dell'articolo 167 c.p.c., comma 1, e' sufficiente che siano contestati i fatti costitutivi, in se' considerati, e non che sia specificamente contestata l'efficacia probatoria (di ciascuno) degli elementi di prova dedotti dall'attore per dimostrarne la sussistenza.

Ne' puo' sostenersi che il giudice d'appello abbia violato il principio di non contestazione solo perche' - contestati dall'appellante i fatti costitutivi della pretesa dell'attore, senza muovere specifiche censure sulla portata probatoria delle risultanze istruttorie - siano state valutate insufficienti in secondo grado quelle stesse prove che, in primo grado, erano state ritenute sufficienti all'accoglimento della domanda.

4.1.- In merito a quest'ultima valutazione, si osserva che la gran parte delle censure di cui al secondo motivo di ricorso attiene all'attivita' di apprezzamento dei fatti e delle prove che e' riservata al giudice di merito.

Quanto agli errori asseritamente commessi nella lettura delle risultanze documentali - non solo quello afferente il numero degli autocarri in possesso della societa' (per il quale e' la stessa ricorrente a dichiarare di avere proposto ricorso per revocazione ai sensi dell'articolo 395 c.p.c., n. 4), ma anche quello afferente il numero degli apprendisti indicato nella dichiarazione dei redditi - si tratta di errori rilevanti ai sensi, appunto, dell'articolo 395 c.p.c., n. 4, percio' non denunciabili sotto il profilo del vizio di motivazione.

Infatti, il giudice d'appello ha assunto acriticamente come esistenti i detti dati di fatto come se fossero indicati nei documenti, mentre la parte assume che, in merito a questi dati, i documenti sarebbero stati letti male, cioe' sostanzialmente travisati.

Il travisamento del fatto e' denunciabile soltanto con istanza di revocazione, e non come vizio di motivazione (cfr., tra le altre, Cass. n. 1427/05 e n. 19921/12).

D'altronde - non risultando intervenuta una decisione positiva sull'impugnazione per revocazione, relativamente al primo dei detti dati di fatto - fermi restando gli altri elementi documentali su cui la Corte territoriale ha basato il proprio giudizio, la motivazione non presenta i profili di contraddittorieta' ed insufficienza sostenuti dalla ricorrente.

Il vizio di contraddittorieta' non sussiste perche' esso presuppone mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte, e quindi un'assoluta incompatibilita' razionale degli elementi (cfr., tra le altre, Cass. n. 5066/07), che, nel caso di specie, non e' stata nemmeno esplicitata nell'illustrare il motivo.

Quanto al vizio di insufficienza, il giudizio della Corte territoriale circa la mancanza di prova della natura artigiana dell'impresa gestita dalla societa' odierna ricorrente risulta fondato sull'esame, oltre che del certificato di iscrizione all'albo delle imprese artigiane, dei modelli delle dichiarazioni fiscali del 2000, 2001, 2002 e del libro matricola, considerati non solo atomisticamente (come sembrano presupporre le censure della ricorrente aventi ad oggetto, in parte, l'esame del libro matricola ed, in parte, l'esame delle dichiarazioni dei redditi), ma anche nelle reciproche interazioni.

Siffatta valutazione dei dati documentali non puo' certo essere ripetuta in sede di legittimita'.

Il secondo motivo di ricorso e', sotto questo profilo, inammissibile poiche' si risolve in censure di fatto non consentite in sede di legittimita', in quanto, sotto l'apparente denunzia di vizi di motivazione, richiede una valutazione dei documenti diversa da quella data dal giudice di merito e conforme a quella soggettiva della deducente (cfr. Cass. n. 5537/97).

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore del resistente, nell'importo complessivo di euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.
 

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