In caso di interposizione nelle prestazioni di lavoro, il datore di lavoro apparente non concorre al pagamento dei contributi dovuti agli enti previdenziali

In ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali; rimane, tuttavia, salva l'incidenza satisfattiva di pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi dell'articolo 1180 c.c., comma 1, ivi compreso lo stesso datore di lavoro fittizio (Cass., n. 1666 del 2008), rilevando altresi', con riferimento all'argomento apparentemente ostativo tratto dall'articolo 2036 c.c., comma 1, secondo cui chi ha pagato un debito altrui, credendosi debitore in base ad un errore scusabile, puo' ripetere cio' che ha pagato in tal modo eliminando l'effetto satisfattivo a favore del terzo, che deve escludersi che possa considerarsi scusabile l'errore sull'identita' dell'effettivo debitore di chi e' corresponsabile della violazione della Legge n. 1369 del 1960, articolo 1.

Corte di Cassazione, Sezione L civile, Sentenza 24 novembre 2015, n. 23962



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STILE Paolo - Presidente

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere

Dott. MANNA Antonio - Consigliere

Dott. DORONZO Adriana - Consigliere

Dott. TRICOMI Irene - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:
 

SENTENZA

sul ricorso 28997/2010 proposto da:

I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro' tempore, in proprio e quale mandatario della (OMISSIS) S.P.A. (OMISSIS) I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

- ricorrenti -

contro

(OMISSIS) S.R.L. C.F. (OMISSIS), (OMISSIS) S.P.A. - (OMISSIS) s.p.a. - Concessionario del servizio nazionale di riscossione contributi per la Provincia di (OMISSIS);

- intimati -

e contro

I.N.A.I.L - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) che lo rappresentano e difendono giusta procura in calce al ricorso;

- resistente con procura -

Nonche' da:

(OMISSIS) S.R.L. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, gia' elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti e da ultimo domiciliata presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro' tempore, in proprio e quale mandatario della (OMISSIS) S.P.A. (OMISSIS) I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

- controricorrente al ricorso incidentale -

e contro

I.N.A.I.L - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, (C.F. (OMISSIS)), (OMISSIS) s.p.a. Concessionario del servizio nazionale di riscossione contributi per la Provincia di (OMISSIS);

- intimati -

avverso la sentenza n. 950/2009 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 30/11/2009 r.g.n. 2066/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/10/2015 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l'Avvocato (OMISSIS) per delega verbale (OMISSIS);

udito l'Avvocato (OMISSIS);

uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d'Appello di Milano, con la sentenza n. 950 del 30 novembre 2009, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Pavia n. 210/2006, in accoglimento dell'appello proposto dall'INPS nei confronti della societa' (OMISSIS) srl, (OMISSIS) spa ed INAIL, condannava la suddetta societa' a pagare per contributi, la somma di euro 37.574,00, oltre interessi e sanzioni civili dalle scadenze al 5 luglio 2002. Confermava nel resto.

La contestazione era fondata sul ritenuto illecito ricorso, da parte della societa', a prestazioni di manodopera di personale formalmente dipendente da una societa' cooperativa, con violazione della Legge 23 ottobre 1960, n. 1369, articolo 1.

2. Il Tribunale di Pavia, accogliendo l'opposizione, aveva annullato la cartella esattoriale emessa nei confronti della societa' (OMISSIS) srl per la riscossione dei contributi e delle sanzioni relativi alla ritenuta interposizione di manodopera nei confronti di 19 lavoratori della Cooperativa (OMISSIS) scarl, violazione accertata con verbale del 15 giugno 2001.

3. La Corte d'Appello, dopo aver affermato che il pagamento del debito contributivo effettuato dall'intermediario (Cooperativa (OMISSIS) scarl) aveva effetto estintivo, rilevava che residuava un credito per contributi pari a euro 37.574,00, e che, quanto alle sanzioni ed interessi, gli stessi erano dovuti sino alla data del 5 luglio 2002, data in cui perveniva all'INPS la richiesta di ricalcolo degli importi recati dall'avviso bonario.

4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre l'INPS prospettando un motivo di ricorso.

5. Resiste con controricorso e ricorso incidentale articolato in due motivi, la societa' (OMISSIS) srl.

6. L'INPS resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la medesima sentenza di appello.

1.1. Sempre in via preliminare, va disattesa l'eccezione di inammissibilita' del ricorso principale proposta dalla societa' in quanto lo stesso, in ragione dell'esposizione dei fatti, che ripercorre le vicende di causa, e delle censure, soddisfa i requisiti di cui all'articolo 366 c.p.c., comma 1.

2. Ha priorita' logico-giuridica l'esame del ricorso incidentale, in quanto volto a contestare la ritenuta interposizione illecita di manodopera.

3. Con il primo motivo del ricorso incidentale e' prospettata la violazione e falsa applicazione della Legge n. 1369 del 1960, articolo 1, e degli articoli 1411, 1655 e 2909 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3). Omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5).

La ricorrente incidentale censura la statuizione con la quale la Corte d'Appello ha ritenuto sussistere l'interposizione illecita. Ed infatti, il giudice di secondo grado avrebbe posto a fondamento della propria decisione l'inesistenza di un contratto di appalto in forza del quale (OMISSIS) avrebbe reso la propria prestazione di servizi, per il tramite dei suoi soci, a vantaggio della (OMISSIS), senza valutare ne' motivare, in modo sufficiente ed adeguato, in merito.

Sussisteva, infatti, un contratto di appalto tra altra societa', la (OMISSIS) e (OMISSIS), e poiche' (OMISSIS) era unica cliente di (OMISSIS), era evidente che quest'ultima aveva interesse a che parte dei servizi appaltati ad (OMISSIS) fossero resi a vantaggio di (OMISSIS), venendo in rilievo un contratto a favore di terzi.

Peraltro, l'INPS non aveva impugnato la sentenza del Tribunale di Pavia n. 182/06, emessa nei confronti della (OMISSIS) e passata in giudicato, che riteneva esistente un contratto di appalto tra (OMISSIS) ed (OMISSIS). Ne', come invece ritenuto dalla Corte d'Appello, poteva assumere rilievo dirimente la circostanza che i soci della cooperativa svolgessero attivita' pertinenti il ciclo produttiva della societa'.

In modo contraddittorio, il giudice di appello contestava la natura del rapporto associativo dei 19 lavoratori di cui al rapporto ispettivo, senza spiegare a quale titolo, se non erano soci, gli stessi partecipavano ad assemblee e riunione della cooperativa, tenuto conto, altresi', che il teste (OMISSIS) riferiva che i soci pagavano la quota associativa. Apoditticamente, poi, era stato negato dalla Corte d'Appello che per (OMISSIS) sussistesse il rischio di impresa, atteso che indice evidente di cio' poteva essere considerata la stipula di un assicurazione contro i danni cagionabili a terzi. Nessun teste, infine, aveva riferito circa l'esercizio del potere disciplinare da parte di (OMISSIS) nei confronti dei soci (OMISSIS).

4. Con il secondo motivo del ricorso incidentale e' dedotta violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3). Insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5).

La societa' censura la statuizione con la quale la Corte d'Appello ha ritenuto che non era dimostrato che la cooperativa, che non si discuteva fosse in se' dotata di mezzi strumentali, avesse utilizzato, per l'attivita' svolta in (OMISSIS), mezzi e attrezzature proprie. Poiche' vi era il riconoscimento della natura genuina dell'imprenditore (OMISSIS), si sarebbe dovuto riconoscere che tale imprenditore era libero di organizzare autonomamente l'esecuzione dei servizi appaltati, non potendo il giudice sindacare le scelte imprenditoriali, e spettando all'INPS di provare la pretesa creditoria.

5. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.

5.1. La nozione di appalto di manodopera o di mere prestazioni di lavoro, vietato dalla Legge n. 1369 del 1960, articolo 1, in mancanza di una definizione normativa, va ricavata tenendo anche conto della previsione dell'articolo 3 della stessa legge, concernente l'appalto (lecito) di opere e servizi all'interno dell'azienda con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore; ne consegue che l'ipotesi di appalto di manodopera e' configurabile sia in presenza degli elementi presuntivi considerati dal terzo comma del citato articolo 1 (impiego di capitale, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante), sia quando il soggetto interposto manchi di una gestione di impresa a proprio rischio e di un'autonoma organizzazione - da verificarsi con riguardo alle prestazioni in concreto affidategli -, in particolare nel caso di attivita' esplicate all'interno dell'azienda appaltante, sempre che il presunto appaltatore non dia vita, in tale ambito, ad un'organizzazione lavorativa autonoma e non assuma, con la gestione dell'esecuzione e la responsabilita' del risultato, il rischio di impresa relativo al servizio fornito.

5.2. Come questa Corte ha gia' avuto modo di affermare (Cass., n. 1676 del 2005) con riguardo al suddetto divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, occorre di volta in volta - al di la' della richiamata ipotesi di presunzione di interposizione fittizia prevista dal terzo comma dell'articolo 1 cit. (per il caso di fornitura all'appaltatore da parte del committente di capitale, macchine ed attrezzature) - procedere ad una dettagliata analisi di tutti gli elementi che caratterizzano il rapporto instaurato tra le parti allo scopo di accertare se l'impresa appaltatrice, assumendo su di se' il rischio economico dell'impresa, operi concretamente in condizioni di reale autonomia organizzativa e gestionale rispetto all'impresa committente; se sia provvista di una propria organizzazione d'impresa; se in concreto assuma su di se' l'alea economica insita nell'attivita' produttiva oggetto dell'appalto; infine se i lavoratori impiegati per il raggiungimento di tali risultati siano effettivamente diretti dall'appaltatore ed agiscano alle sue dipendenze e nel di lui interesse. Quando tutti questi elementi siano riscontrati come presenti ed i risultati dell'accertamento processuale convergano nel senso che l'impresa appaltatrice sia sprovvista di effettiva autonomia imprenditoriale ed abbia struttura e capitali del tutto inadeguati all'importanza dell'opera, i poteri decisionali siano riservati al committente e sia sottratta all'appaltatore ogni autonomia, sicche' questo sia un semplice strumento per celare la realta' dei rapporti, il fatto che egli abbia anche potuto impiegare, nell'esecuzione dei lavori, capitale, attrezzature e mezzi propri, diventa circostanza del tutto marginale ed irrilevante ai fini del riconoscimento della sussistenza della situazione interpositoria ipotizzata dalla Legge n. 1369 del 1960, articolo 1, comma 1.

5.3. Si e', altresi', affermato (Cass., n. 11720 del 2009) che il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (Legge 23 ottobre 1960, n. 1369, articolo 1), in riferimento agli appalti "endoaziendali", caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attivita', ancorche' strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all'appaltatore - datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuita' della prestazione), senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, non essendo necessario, per realizzare un'ipotesi di intermediazione vietata, che l'impresa appaltatrice sia fittizia, atteso che, una volta accertata l'estraneita' dell'appaltatore all'organizzazione e direzione del prestatore di lavoro nell'esecuzione dell'appalto, rimane priva di rilievo ogni questione inerente il rischio economico e l'autonoma organizzazione del medesimo.

5.4. Nella fattispecie in esame, la Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, senza invertire l'onere della prova, con congrua e adeguata motivazione che si sottrae alle censure denunciate con le quali, peraltro, per come prospettate in relazione alla valutazione delle risultanze istruttorie, documentali e per testi, si chiede alla Corte un inammissibile riesame nel merito.

In proposito, si puo' rilevare che il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non puo' essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si puo' proporre con esso un preteso migliore e piu' appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalita' di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5; in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, percio', in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalita' del giudizio di cassazione (Cass., sentenza n. 9233 del 2006).

Ed infatti, in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonche' la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che e' insindacabile, in sede di legittimita', il "peso probatorio" di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass., n. 13054 del 2014).

Pertanto, la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull'attendibilita' dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu' idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale e' libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga piu' attendibili (Cass., n. 11511 del 2014).

5.5. La Corte d'Appello di Milano ha rilevato la mancanza di un contratto di appalto tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS).

Tale circostanza, in se', non e' stata contestata dalla ricorrente incidentale, la quale ha fatto un generico e non decisivo riferimento, richiamando la sentenza n. 182/06 del Tribunale di Pavia, al contratto di appalto stipulato tra (OMISSIS) e altra societa', la (OMISSIS), contratto del quale assume apoditticamente la concorrente natura di contratto a favore di terzo.

Il giudice di secondo grado, in ragione di un'accurata disamina delle risultanze istruttorie, rilevava la presenza, al momento della visita ispettiva, dei soci lavoratori in tutti i reparti produttivi; lo svolgimento da parte degli stessi dell'attivita' di montaggio sia manuale che mediante l'uso di macchine; la circostanza che i soci addetti al montaggio (nove lavoratori) riferivano che, per problemi nella lavorazione, si rivolgevano al sig. (OMISSIS) dipendente della (OMISSIS) srl.; la non attendibilita' della testimonianza del teste (OMISSIS), secondo il quale, i soci della cooperativa svolgevano esclusivamente operazioni di movimentazione dei pezzi manualmente e anche di pulizia, in quanto la stessa era rimastra priva di riscontri e in contrasto con le altre testimonianze.

Quanto al reparto zincatura dall'esito delle testimonianze emergeva che i soci della cooperativa caricavano e scaricavano i pezzi, o in alcune occasioni si occupavano della zincatura di piccoli pezzi. Tali risultanze consentivano di validare quanto riferito dal teste (OMISSIS), operaio di (OMISSIS) srl: "i soci della cooperativa aiutavano gli operai della (OMISSIS) srl per permettere una maggiore produzione di raccordi. (OMISSIS) e (OMISSIS) erano i capi reparto che fornivano le istruzioni a noi operai e ai soci della cooperativa".

Dalle risultanze istruttorie risultava che tutti i soci avevano dichiarato di non aver mai pagato una quota associativa, alcuni avevano partecipato a riunione o assemblee, altri no. Tale esito istruttorio non e' adeguatamente censurato dalla ricorrente incidentale che, in proposito, richiamava la testimonianza del solo teste (OMISSIS), procuratore speciale di (OMISSIS).

I soci a fine giornata dichiaravano il numero di ore lavorato al responsabile di (OMISSIS) srl, (OMISSIS), che le annotava su un foglio.

Proprio in ragione dell'ampia e articolata istruttoria, la Corte d'Appello, disattendendo la decisione del giudice di primo grado, atteso che, in particolare, non risultava provato che per l'attivita' svolta presso la (OMISSIS) srl la cooperativa utilizzasse mezzi propri, e dunque fosse soggetta ad un rischio economico diverso da quello di retribuire le ore lavorate, emergeva che i soci della cooperativa svolgevano attivita' appartenenti al ciclo produttivo della societa' in stretta collaborazione con gli operai della stessa, con un impegno non marginale nell'ambito dei singoli reparti, impegno protratto negli anni e coordinato dai capi reparto (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), di (OMISSIS) srl; agli operai dipendenti residuavano solo le mansioni piu' qualificate.

Ne', da un lato, la mancata prova dell'utilizzo di mezzi propri puo' essere sopperita con il richiamo all'autonomia organizzativa dell'imprenditore, secondo quanto dedotto in particolare nel secondo motivo del ricorso incidentale; dall'altro il rischio d'impresa non puo' sostanziarsi nella stipula di un'assicurazione contro i danni a terzi.

Correttamente e con congrua motivazione, non adeguatamente censurata con i motivi di - ricorso incidentale, la Corte d'Appello ha ritenuto che la mancanza di qualsivoglia organizzazione tecnica da parte della cooperativa, sia in termini di organizzazione dei mezzi di produzione, che di controllo tecnico del risultato, demandato esclusivamente ai dipendenti della (OMISSIS) che svolgevano la costante verifica del lavoro anche dei soci della cooperativa, escludeva che si potesse parlare di appalto di opere o di servizi e quindi che potesse trovare applicazione la Legge n. 1369 del 1960, articolo 3, comma 1.

6. Con l'unico motivo del ricorso principale l'INPS prospetta violazione e falsa applicazione della Legge n. 1369 del 1960, articolo 1.

L'INPS censura la statuizione della sentenza della Corte d'Appello che attribuisce effetti liberatori al versamento effettuato dalla c.d. societa' interposta Cooperativa (OMISSIS) scarl.

Ed infatti, ad avviso dell'Istituto, il pagamento dei contributi da parte dell'intermediario e cioe' del datore di lavoro apparente, non avrebbe effetto estintivo rispetto al debito contributivo del datore di lavoro effettivo, nella specie societa' (OMISSIS) srl.

In tal senso depone la natura pubbliche delle obbligazioni contributive e delle relative sanzioni, che evidenzia l'interesse degli Istituti preposti alla funzione assistenziale e previdenziale a che dette obbligazioni siano adempiute proprio dai soggetti specificatamente indicati dalla legge, senza che sia ipotizzabile una fungibilita' in merito. Ne', e' configurabile l'adempimento del terzo ex articolo 1180 c.c., laddove si consideri che l'effetto estintivo si puo' avere solo se il solvens e' consapevole di essere estraneo al rapporto obbligatorio, mentre il terzo effettua il pagamento nell'erronea convinzione di esservi tenuto.

L'INPS contesta, quindi la giurisprudenza di legittimita' richiamata nella sentenza della Corte d'Appello (Cass., n. 12509 del 2004, n. 657 del 2008, n. 1666 del 2008), che fa leva sulla circostanza dell'affidamento del terzo e sull'apparenza della situazione giuridica, omettendo di rilevare che il sistema di interessi fondante la teoria dell'apparenza e' di natura solo privatistica.

Infine il ricorrente richiama Cass., n. 20143 del 2010 che si e' discostata dall'orientamento secondo il quale i pagamenti effettuati dall'intermediario avrebbero effetto estintivo.

6.1. Il motivo non e' fondato e deve essere rigettato.

La vicenda attiene alla rilevanza e agli effetti del pagamento da parte del terzo - interposto o cosiddetto datore di lavoro fittizio - nell'ambito di una fattispecie vietata dalla legge (divieto di interposizione di manodopera Legge n. 1369 del 1960, ex articolo 1).

Con la sentenza n. 8451 del 2010, ai cui principi, enunciati anche tenendo conto di quanto statuito dalle Sezioni Unite con la sentenza 22910 del 2006, si intende dare continuita', si e' affermato che "per quel che riguarda la problematica concernente la dedotta esistenza di effetti liberatori in relazione al versamento dei contributi effettuato dalla societa' c.d. interposta, questa Corte ha gia' avuto modo di evidenziare, sin dalla sentenza n. 12509 del 2004 che alla luce del disposto di cui all'articolo 1180 c.c., deve ritenersi che l'obbligazione puo' essere adempiuta con effetti satisfattivi anche da un terzo; ed ha altresi' rilevato, con riferimento ai pagamenti di contributi effettuati dal datore di lavoro fittizio (appaltatore o interposto), l'irripetibilita' da parte dello stesso dei contributi gia' versati, non essendo possibile ritenere (ai sensi dell'articolo 2036 c.c.) la scusabilita' dell'errore sulla identita' dell'effettivo debitore, e non potendosi consentire, nell'ottica di assicurare al lavoratore una maggiore protezione, che sia annullata la posizione contributiva costituita a suo favore da parte del datore di lavoro apparente. In particolare questa Corte, esaminando analoga fattispecie, di contributi previdenziali pagati dal datore di lavoro apparente, ed identica questione di diritto, ha affermato il principio che in ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non e configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali; rimane, tuttavia, salva l'incidenza satisfattiva di pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi dell'articolo 1180 c.c., comma 1, ivi compreso lo stesso datore di lavoro fittizio (Cass., n. 1666 del 2008), rilevando altresi', con riferimento all'argomento apparentemente ostativo tratto dall'articolo 2036 c.c., comma 1, secondo cui chi ha pagato un debito altrui, credendosi debitore in base ad un errore scusabile, puo' ripetere cio' che ha pagato in tal modo eliminando l'effetto satisfattivo a favore del terzo, che deve escludersi che possa considerarsi scusabile l'errore sull'identita' dell'effettivo debitore di chi e' corresponsabile della violazione della Legge n. 1369 del 1960, articolo 1. Ed ha rilevato che tale conclusione e' conforme alle finalita' della Legge n. 1369 del 1960, che mira ad assicurare al lavoratore una maggiore protezione e non certo intende esporre lo stesso ad azioni di ripetizione delle retribuzioni gia' corrispostegli, ne, con riferimento ai contributi previdenziali, intende consentire che sia annullata la posizione contributiva costituita a suo favore da parte del datore di lavoro apparente (Cass., n. 1666 del 2008). A tale conclusione non osta il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 22910 del 2006, secondo cui gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonche' gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, gravano solo sull'appagante (o interponente), sicche' non puo' configurarsi una concorrente responsabilita' del'appaltatore (o interposto) in virtu' dell'apparenza del diritto e dell'apparente titolarita' del rapporto di lavoro, stante la specificita' del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi ad esso sottesi. Tale principio, tenuto presente sia dalla sentenza impugnata sia dalla giurisprudenza di legittimita' citata, esclude una responsabilita' concorrente dell'interposto, ma non impinge sulla norma dell'articolo 1180 c.c., comma 1, relativa all'effetto liberatorio del pagamento del terzo, quale deve ritenersi l'interposto, proprio in conseguenza di quanto affermato dalle Sezioni Unite".

Ne', a diverse considerazioni induce la sentenza n. 20143 del 2010, richiamata dall'INPS, rispetto alla quale si sono distaccate le successive sentenze n. 23844 del 2011, n. 28061 del 2011, n. 463 del 2012, n. 17516 del 2015, che hanno riaffermato che, in tema di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, non e' configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali, rimanendo tuttavia salva l'incidenza satisfattiva ai sensi dell'articolo 1180 c.c., comma 1, dei pagamenti eventualmente eseguiti, dal datore di lavoro fittizio, nei confronti del quale, per la sua posizione di corresponsabile della violazione della Legge n. 1369 del 1960, articolo 1, deve essere esclusa la scusabilita' dell'errore sull'identita' dell'effettivo debitore, con conseguente irripetibilita' della somma eventualmente versata a titolo di contributi.

7. Entrambi i ricorsi devono essere rigettati.

8. In ragione della reciproca soccombenza sono compensate tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimita'.

 
Riferimenti: Legge(6) - Giurisprudenza(14) - Tutti(20)

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