In materia di revocatoria fallimentare le diverse previsioni contenute nei due commi dell'articolo 67 della legge fallimentare configurano ipotesi differenti di revoca,a cui corrispondono azioni autonome

In materia di revocatoria fallimentare le diverse previsioni contenute nei due commi dell'articolo 67 della legge fallimentare configurano ipotesi differenti di revoca,a cui corrispondono azioni autonome, con la conseguenza che il passaggio dall'una all'altra ipotesi implica il mutamento della causa petendi e perciò la prospettazione di una domanda nuova. (Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 11 giugno 2008, n. 15543)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente

Dott. RORDORF Renato - Consigliere

Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere

Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere

Dott. SCHIRO' Stefano - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

DI. CO. GI. e DI. CO. LU., elettivamente domiciliati in Roma, via Cola Di Rienzo 149, presso l'avv. Sergio Fidenzio, rappresentati e difesi dall'avv. OLIVIERI GIUSEPPE per procura in atti;

- ricorrenti -

contro

FALLIMENTO D'. VI., in persona del curatore pro tempore, elettivamente domiciliato Roma, via Crescenzio 43, presso l'avv. Fabrizio Bisagni, rappresentata e difesa dall'avv. MEGALE GIULIO per procura in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 3098/2003 della Corte di appello di Napoli in data 3 novembre 2003;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18 febbraio 2008 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schiro';

udito, per il controricorrente, l'avv. Giulio Megale, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale, Dott. UCCELLA Fulvio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 3098 del 3 novembre 2003, la Corte di appello di Napoli respingeva l'appello proposto da Di. Co.Gi. e da Di. Co.Lu. nei confronti del Fallimento D'. Vi. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli in data 7 marzo 2001, con la quale era stata dichiarata l'inefficacia della compravendita di un rustico di tre piani avvenuta il 17 marzo 1995, con condanna dei convenuti alla restituzione dell'immobile.

A fondamento della decisione, la Corte territoriale cosi' motivava: 1.a. il principio dell'autonomia di ciascuna delle ipotesi di revocatoria fallimentare previste dal primo e dal secondo comma della L.F., articolo 67, va coordinato con quello della "riqualificazione officiosa della domanda da parte del giudice", secondo cui, dedotto in causa nei suoi estremi materiali l'atto di cui si chiede la revocazione, pur se erroneamente sussunto dalla parte in una delle ipotesi normative previste dall'art, 61 citato, diversa da quella che gli e' propria, non incorre in vizio di extrapetizione il giudice che, di ufficio, nel rilevi l'esatta qualificazione e decida la causa secondo la regola di diritto a questa corrispondente; in particolare, una volta che la curatela abbia univocamente e chiaramente indicato l'atto giuridico i cui effetti si intendano neutralizzare e tutti gli altri elementi che caratterizzano la fattispecie, non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che, sulla base degli elementi forniti dall'attore ed eventualmente ricorrendo d'ufficio a presunzioni, accolga la domanda di revocazione, ritenendo sussistenti gli elementi di cui al secondo comma, anziche' quelli di cui al primo comma, come richiesto dalla curatela;

1.b. inoltre - con riferimento alla censura degli appellanti secondo cui il trasferimento del cespite sarebbe avvenuto con il contratto di opzione di vendita stipulato il 31 gennaio 1991 e con il successivo esercizio dell'opzione contenuto nella nota 20 febbraio 1991 - doveva rilevarsi che ne' il contratto di opzione del 31 gennaio 1991, ne' l'accettazione del 20 febbraio 1991 contenevano alcuna indicazione circa la concessione edilizia, con la conseguenza che nessun effetto traslativo poteva essere ricollegato al contratto in questione a causa della nullita' comminata dalla Legge 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 40, agli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, qualora privi degli estremi della concessione edilizia, di quella in sanatoria o della relativa domanda.

2. Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso Gi. e Di. Co.Lu. sulla base di due motivi, illustrati con memoria. Resiste con controricorso il Fallimento D'. Vi..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti - denunciando nullita' della sentenza per violazione dell'articolo 2907 c.c., articoli 99, 112 e 115 c.p.c., in relazione alla L.F., articolo 67, commi 1 e 2 - deducono che nell'atto di appello essi avevano prospettato la violazione dell'articolo 112 c.p.c., perche', pur avendo la curatela posto a base della sua domanda la sproporzione tra il valore del cespite e il prezzo pagato, individuando la causa petendi nella fattispecie di cui alla L.F., articolo 67, comma 1, il Tribunale aveva deciso il giudizio prendendo in considerazione una causa, petenti del tutto diversa, riferita al secondo comma della L.F., articolo 67, e che la Corte di appello, nel rigettare l'impugnazione, aveva illegittimamente qualificato la domanda non sulla base dei fatti allegati nell'atto di citazione, ma in virtu' di altri fatti desunti da risultanze processuali diverse da quelle emergenti dalla citazione, in violazione del principio in base al quale il potere di qualificazione della pretesa consiste unicamente nell'attribuire la corretta qualificazione giuridica ai fatti allegati dalle parti nella domanda o desunti dai documenti in quella indicati e con quella prodotti, nonche' in violazione dei principi relativi alla distinzione tra potere di allegazione dei fatti, che compete alla parte, e quello della identificazione dei temi di prova, che compete al giudice, e all'esigenza del contraddittorio, avendo il giudice del merito pronunciato su fatti, in particolare sulla conoscenza dello stato d'insolvenza, per i quali il convenuto non aveva avuto possibilita' di difesa, non essendo stati dedotti dall'attore, la cui domanda era univocamente fondata sulla fattispecie di cui alla L.F., articolo 67, comma 1, e in particolare sullo squilibrio fra le prestazioni.

2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della Legge n. 47 del 1985, articolo 40 articoli 1363, 1367 e 1419 c.c., nonche' omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e si censura la sentenza di appello per avere la Corte di merito affermato la nullita' del contratto conclusosi il 20 febbraio 1991 con l'accettazione dell'opzione, contenente proposta irrevocabile, del 31 gennaio 1991, non contenendo ne' l'opzione ne' l'accettazione menzione degli estremi della concessione edilizia. Affermano i ricorrenti che l'opzione di vendita e la relativa accettazione si riferiscono ad un terreno agricolo con sovrastante costruzione, con la conseguenza che la nullita' degli atti Legge n. 47 del 1985, ex articolo 40, prevista solo per gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali su edifici o loro parti, avrebbe potuto essere dichiarata soltanto per la parte del contratto che riguardava il trasferimento della costruzione, nel rispetto del principio di conservazione del negozio giuridico affetto da nullita' parziale, non risultando da alcun elemento di causa che le parti non avrebbero stipulato l'atto ove non fosse stata trasferita anche la costruzione.

3. Il primo motivo e' fondato.

Dall'esame diretto degli atti del giudizio di merito - esame che il collegio ha il potere-dovere di compiere essendo stato dedotto un error in procedendo (Cass. 2004/1170; 2005/8575; 2006/11039) - risulta che il Fallimento attore, con la domanda introdotta con atto di citazione notificato il 4 giugno 1996, ha promosso azione revocatoria fallimentare (in relazione all'immobile alienato da D'.Vi., poi dichiarato fallito con sentenza del 24 maggio 1995, a Gi. e Di. Co.Lu. con rogito notarile del 17 marzo 1995) facendo espresso riferimento, come fatto costitutivo della domanda stessa e sia pure attraverso un generico richiamo alla L.F., articoli 66 e 67, e all'articolo 2901 c.c., al "notevole squilibrio tra le rispettive prestazioni in considerazione del prezzo pagato dagli acquirenti", in conformita' alla fattispecie normativa delineata dalla L.F., articolo 67, comma 1, n. 1, essendo l'atto revocando intervenuto nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento del venditore. Invece il Tribunale, senza in alcun modo pronunciarsi sulla dedotta sproporzione di valore tra il valore del cespite e il prezzo pagato, ha accolto la domanda ritenendo provata la sussistenza dei presupposti stabiliti dalla L.F., articolo 67, comma 2, in quanto l'atto di compravendita era stato comunque stipulato nel rispetto del termine annuale dalla dichiarazione di fallimento del venditore previsto dalla norma da ultimo citata e dal momento che era rimasta provata, sulla base di presunzioni, la conoscenza da parte dell'acquirente dello stato d'insolvenza del venditore. I giudici di primo grado hanno quindi posto a base della propria decisione elementi di fatto diversi da quelli su cui si fondava la domanda introduttiva del giudizio ed enunciati dall'attore nella comparsa conclusionale del 21 gennaio 2001.

3.1. Ritiene infatti il collegio, in conformita' ad un orientamento gia' enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte e che in questa sede si intende ribadire, che in materia di revocatoria fallimentare le diverse previsioni contenute nei due commi dell'articolo 67, L.F., configurano ipotesi differenti di revoca, a cui corrispondono azioni autonome, con la conseguenza che il passaggio dall'una all'altra ipotesi implica il mutamento della causa petendi e percio' la prospettazione di una domanda nuova (Cass. 1975/1626; 1991/9603; 2004/1079. Nello stesso senso cfr. anche Cass. 1997/2936). Non si discosta da tale orientamento neppure quella giurisprudenza, erroneamente interpretata e applicata al caso di specie dai giudici di appello, la quale - ribadita l'autonomia e la reciproca distinzione delle singole ipotesi di revocatoria previste dal primo e dalla L.F., articolo 67, comma 2, in relazione alle "peculiari individualita' dei singoli atti revocandi ed alla loro specifica causa pretendi", che verrebbe mutata e diversamente prospettata nel casi di passaggio dalle ipotesi di cui all'articolo 67, comma 1, a quelle di cui alla L.F., articolo 67, comma 2, - ha chiarito che detto principio va coordinato con quello della «riqualificazione officiosa della domanda da parte del giudice», secondo il quale, dedotto in causa, nei suoi estremi materiali, l'atto di cui si chiede la revocazione, pur se erroneamente sussunto dalla parte in una delle ipotesi previste dall'articolo 67, citato anziche' in un'altra, diversa da quella che nella specie gli e' propria, non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che d'ufficio ne rilevi l'esatta qualificazione e decida la causa secondo la "regula iuris" a questa corrispondente, atteso che, una volta chiaramente ed univocamente indicato, da parte della curatela, l'atto giuridico i cui effetti si intendano neutralizzare, il problema dell'esatta individuazione "sub specie iuris" della domanda a tal fine proposta diviene una questione di mera qualificazione giuridica del "petitum" attoreo, correlata a quella dell'esatta denominazione dell'atto, dall'attore pur sempre puntualmente indicato nella sua materialita' e nei suoi effetti (Cass. 2003/4126). Osserva al riguardo il collegio che, come si evince dalla motivazione della richiamata sentenza, il potere del giudice di riqualificare d'ufficio la domanda puo' essere esercitato qualora siano "rimasti fermi ed immutati gli aspetti fattuali enunciati dal curatore nella esposizione fattane con l'atto di citazione" (nello stesso senso cfr. anche Cass. 1999/7198, secondo la quale non viola il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice che, senza modificare i fatti posti a fondamento della domanda, proceda alla qualificazione giuridica della stessa pervenendo ad una qualificazione diversa da quella prospettata dalla parte).

3.1.1. Nel caso di specie risulta invece pacificamente che il giudice di primo grado ha accolto la domanda revocatoria sulla base di un presupposto di fatto (compimento dell'atto revocando nella consapevolezza da parte dell'acquirente dello stato d'insolvenza del venditore) diverso da quello prospettato dall'attore nella domanda introduttiva del giudizio (stipula di un atto di compravendita caratterizzato da una situazione di sproporzione tra il valore del cespite ed il prezzo pagato). La Corte di appello di Napoli, erroneamente applicando nella fattispecie il principio della riqualificazione d'ufficio della domanda da parte del giudice sulla base di una diversa prospettazione dei fatti posti a base della pretesa fatta valere, non si e' uniformata ai principi in precedenza enunciati e la relativa sentenza, qui impugnata, deve essere annullata sul punto, restando assorbita l'ulteriore censura sollevata con il secondo motivo di ricorso, attinente a questione non piu' decisiva ai fini della definizione della controversia.

4. Poiche' non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo' essere decisa nel merito, secondo l'articolo 384 c.p.c., comma 1, e, considerato che il Fallimento non ha proposto appello incidentale per chiedere l'accoglimento della originaria domanda formulata ai sensi dell'articolo 67 c.p.c., comma 1, n. 1, ne' ha riproposto la questione nella comparsa di costituzione in appello, deve dichiararsi inammissibile, in quanto domanda nuova tardivamente proposta nella comparsa conclusionale del 21 gennaio 2001 e comunque in violazione delle preclusioni di cui all'articolo 183 c.p.c., (Cass. 2004/14581; 2005/17699), la domanda di revoca formulata L.F., ex articolo 67, comma 2.

5. Le spese dell'intero giudizio comprese quelle di consulenza tecnica d'ufficio, seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda proposta dal Fallimento D'. Vi. ai sensi della L.F., articolo 67, comma 2. Pone a carico del menzionato Fallimento le spese di consulenza tecnica d'ufficio. Condanna il Fallimento medesimo al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, che si liquidano in euro 3.250,00, di cui euro 2.500,00 per onorali, euro 500,00 per diritti ed euro 250,00 per spese, di quelle del processo di appello, che si liquidano in euro 4.770,00, di cui euro 3.500,00 per onorali, euro 800,00 per diritti ed euro 470,00 per spese, e di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in euro 3.600,00, di cui euro 3.500,00 per onorati ed euro 100,00 per spese, oltre a spese generali e accessori di legge.

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