La trascrizione delle sentenze di nullità

La via alternativa al divorzio civile: la trascrizione della sentenza canonica di nullità del matrimonio.

Generalità

Una via alternativa al divorzio civile è oggi la trascrizione della sentenza canonica di nullità del matrimonio. Teoricamente i coniugi potrebbero evitare anche la fase della separazione ed adire direttamente il giudice ecclesiastico domandando la dichiarazione di nullità del matrimonio. La sentenza del tribunale canonico, al pari di una sentenza di uno stato straniero, munita di tutti i requisiti richiesti dalla legge italiana, è infatti idonea ad essere trascritta e produrre gli effetti di una sentenza italiana di nullità. Nella pratica tuttavia si suole prima regolare i rapporti patrimoniali (casa coniugale, beni mobili ed immobili) e familiari (figli eventualmente nati durante il matrimonio, affidamento e visite del genitore non affidatario) mediante la separazione civile, e solo successivamente adire il tribunale ecclesiastico.
Questa opportunità della trascrizione della sentenza canonica, ebbe inizio con l’accordo del 18 febbraio 1984 avvenuto tra Santa Sede e Stato italiano, consacrato poi nella legge n. 121 del 1985 e successivamente integrato dalla legislazione attinente al diritto internazionale privato circa dieci anni più tardi. Il rapporto esistente infatti tra Stato Italiano e Santa Sede è né più né meno quello che attiene due stati stranieri.
E’ da precisare tuttavia che nel rapporto tra lo Stato Italiano e la Chiesa, a differenza che tra lo Stato Italiano ed altri Stati stranieri, la reciprocità è univoca. Invero lo Stato riconosce le sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio trascritto, ma la Chiesa non riconosce le sentenze di nullità di tale negozio che fossero pronunciate dal giudice dello Stato.
A tale riguardo nell’ordinamento canonico vige un principio risalente al Concilio di Trento del XVI sec., secondo il quale, data la natura sacramentale del matrimonio tra battezzati, la nullità di detto vincolo è pronunciabile solo dal giudice ecclesiastico.

I Patti lateranensi del 1929 avevano accolto tale principio, riconoscendo come “riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici” le cause concernenti la nullità del matrimonio canonico.
Con gli accordi di Villa Madama del 1984 si attuò definitivamente il superamento del principio di esclusiva giurisdizione ecclesiastica sui matrimoni canonici trascritti nei registri dell’Ufficio dello Stato civile. Peraltro negli anni settanta era già avvenuta la rivoluzione della legge sul divorzio (c.d. “cessazione degli effetti civili del matrimonio”) e della riforma del diritto di famiglia e dunque, anche alla luce di queste innovazioni legislative, andavano rivisti i rapporti tra Stato e Chiesa in materia matrimoniale regolati da norme ormai risalenti a più di mezzo secolo prima.

Il procedimento di delibazione

A seguito di detti Accordi, venne pertanto stabilito il procedimento che riconosceva la sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale nello stato italiano che prese il nome di “procedimento di delibazione”. Detto procedimento si svolge (tutt’oggi) avanti alla corte d’appello competente territorialmente. (Il territorio è quello del comune presso il quale è stato trascritto il matrimonio canonico. La corte d’appello competente è quella a capo del distretto che comprende il suddetto comune).
Al procedimento di delibazione viene dato impulso dalle parti private, tant’è che senza la volontà di queste è impossibile che il procedimento abbia inizio.
Presupposto della domanda di delibazione è l’esecutività della sentenza ecclesiastica. Nel caso che ci interessa, l’esecutività di una sentenza di nullità è data dalla conferma in appello di altra sentenza canonica (c.d. doppia sentenza conforme). Il decreto di esecutività è emanato dal Supremo Tribunale della segnatura Apostolica.
Secondo la legge del 121/1985, che richiamava poi degli articoli (oggi abrogati) del codice di procedura civile, nel procedimento di delibazione, la Corte d’Appello doveva:

  • accertare sia l’esistenza che l’autenticità dei provvedimenti ecclesiastici circa la nullità del matrimonio e del decreto della Segnatura Apostolica;
  • accertare inoltre che il matrimonio dichiarato nullo era un matrimonio concordatario e cioè un matrimonio canonico trascritto nei registri dello stato civile.
    Il giudice ecclesiastico doveva essere competente a conoscere la causa;
  • Nel giudizio inoltre era stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio nei termini garantiti dalla costituzione della Repubblica italiana. Questa norma è stata introdotta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 18/1982 e confermata dall’Accordo. Il diritto di difesa veniva rispettato quando il convenuto fosse stato regolarmente citato a comparire ed avesse avuto un termine congruo per potersi difendere, in modo tale che la sua eventuale contumacia sia stata frutto di una libera scelta e non derivata da impedimenti processuali interposti dal Tribunale ecclesiastico.
  • Le nuove norme in materia di riconoscimento di sentenze straniere
    A seguito della promulgazione della legge n. 218/1995, avente per oggetto i rapporto di diritto internazionale privato, sono stati abrogati gli artt. da 796 a 805 del codice di procedura civile, concernenti tra l’altro il riconoscimento delle sentenze straniere, a far data dal 31 dicembre 1996. E’ opportuno pertanto integrare la normativa della legge 121/1985, che come abbiamo visto dava attuazione agli accordi di Villa Madama, riguardo alla delibazione delle sentenze straniere con la L. 218/1995.

Di regola per la legge 218/1995, la sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza necessità di fare ricorso a procedure particolari, ma può succedere che il possesso, da parte della sentenza canonica, dei requisiti analiticamente indicati dall’art. 64 della legge sia contestato, ovvero che, comunque, la sentenza non sia osservata, con conseguente necessità di procedere ad esecuzione forzata. In entrambi i casi è possibile chiedere alla Corte d’Appello competente per territorio l’accertamento dei requisiti di riconoscimento (c.d. procedimento di delibazione)
Affinché la sentenza straniera possa essere direttamente riconosciuta in Italia e produrre i suoi effetti di cosa giudicata sono necessarie una serie di condizioni indicate nell’art. 64 della legge.

La sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando:

  1. il giudice che l'ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano;

  2. l'atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa; il contraddittorio deve pertanto risultare integro;

  3. le parti devono essersi costituite in giudizio;

  4. luogo dove si è svolto il processo ovvero la contumacia è stata dichiarata in conformità a tale legge;

  5. la sentenza deve essere passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata;

  6. la sentenza non deve essere contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato;

  7. non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero;

  8. le disposizioni della sentenza non producono effetti contrari all'ordine pubblico.

In conclusione il nuovo sistema introdotto dalla legge 218/1995 non modifica quasi per nulla le condizioni stabilite dal previgente art. 797 c.p.c. per la delibazione elle sentenze straniere. Tuttavia il “riconoscimento automatico” non comporta l’indiscriminato accoglimento di qualsiasi provvedimento straniero, ivi comprese le sentenze di nullità canonica, ma che il controllo dei requisiti avviene in un tempo successivo e comunque eventualmente, qualora le condizioni lo richiedano.


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