Ai fini del risarcimento del danno da mobbing non sono sufficienti le continue vessazioni ma occorre provare la sussistenza di un danno alla salute

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 26 marzo 2010, n. 7382

Per "mobbing", riconducibile alla violazione degli obblighi derivanti al datore di lavoro dall'articolo 2087 c.c, deve intendersi una condotta nei confronti del lavoratore tenuta dal datore di lavoro, o del dirigente, protratta nel tempo e consistente in reiterati comportamenti ostili, che assumono la forma di discriminazione o di persecuzione psicologica da cui consegue la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente nell'ambiente di lavoro, con effetti lesivi dell'equilibrio fisiopsichico e della personalita' del medesimo. E' stato quindi precisato che ai fini della configurabilita' della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti: a) la molteplicita' di comportamenti di carattere persecutorio posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalita' del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del dirigente e il pregiudizio all'integrita' psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioe' dell'intento persecutorio. E' stato infine ritenuto che la valutazione degli elementi di fatto emersi nel corso del giudizio, ai fini dell'accertamento della sussistenza del mobbing e della derivazione causale da detto comportamento illecito del datore di lavoro di danni alla salute del lavoratore, costituisce apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimita' se adeguatamente e correttamente motivato (cfr. Cass. n. 3785/2009, n. 22893/2008, n. 22858/2008).
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico - Presidente

Dott. D'AGOSTINO Giancarlo - rel. Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere

Dott. MORCAVALLO Ulpiano - Consigliere

Dott. CURZIO Pietro - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 30463-2006 proposto da:

GI. FR. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GEROLAMO BELLONI 88, presso lo studio dell'avvocato PROSPERETTI GIULIO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati RUSSO CARLO, ROLANDO BARBARA, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

CA. LU. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICASOLI N. 7, presso lo studio dell'avvocato MUGGIA ROBERTO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

LA. FO. SA. S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell'avvocato PERILLI MARIA ANTONIETTA, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato CURTI MAURIZIO, giusta delega in calce al controricorso;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 931/2006 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 20/06/2006 R.G.N. 1134/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/02/2010 dal Consigliere Dott. GIANCARLO D'AGOSTINO;

uditi gli Avvocati PROSPERETTI GIULIO e RUSSO CARLO; uditi gli Avvocati MUGGIA ROBERTO, PERILLI MARIA ANTONIETTA e CURTI MAURIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOGLIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del gennaio 2001 la soc. Gi. Fr. s.r.l. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Pinerolo il dipendente Ca. Lu. , addetto allo stabilimento di laterizi, per accertare la legittimita' del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (riduzione della produzione) intimatogli in data 14.2.2000.

Con ricorso del 5.2.2001 Ca. Lu. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Torino la societa' Gi. Fr. s.r.l. per l'accertamento della nullita' del predetto licenziamento e la condanna della societa' al risarcimento del danno biologico subito per violazione dell'articolo 2087 c.c. (mobbing).

Il Tribunale di Pinerolo, dichiarata la connessione tra le due cause, rimetteva le parti avanti al Tribunale di Torino, il quale pero', riuniti i due procedimenti, dichiarava la propria incompetenza per territorio in favore del Tribunale di Pinerolo.

Riassunta la causa davanti al Tribunale di Pinerolo, la societa' chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa a garanzia la Fo. As. s.p.a. con la quale aveva stipulato una polizza per l'assicurazione della responsabilita' civile cui fosse tenuta nei confronti dei dipendenti in seguito ad infortuni sul lavoro. La compagnia di assicurazioni si costituiva e chiedeva il rigetto della domanda di manleva, contestandone il fondamento.

Il Tribunale di Pinerolo, espletata l'istruzione, con sentenza del 20.7.2004 dichiarava l'illegittimita' del licenziamento; condannava la Gi. F. a riassumere il lavoratore o, in mancanza, a risarcirgli i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti fino al 28.12.2000; condannava la Fo. a tenere indenne la Gi. F. di quanto questa fosse chiamata a pagare al Ca. a titolo di danno biologico nei limiti del massimale.

La Gi. F. s.r.l. proponeva impugnazione chiedendo il rigetto di tutte le domande avanzate dal dipendente. La Fo. Sa. proponeva appello incidentale chiedendo di essere assolta dalla domanda di manleva.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza depositata il 20.6.2006, respingeva l'appello principale della Gi. F. e, in accoglimento dell'appello incidentale della Fo. , rigettava la domanda di manleva.

Per la cassazione di tale sentenza la societa' Gi. F. ha proposto ricorso con quattro motivi. Ca. Lu. e Fo. Sa. hanno resistito con controricorso. Le societa' Gi. F.lli e Fo. hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la societa' Gi. denuncia violazione dell'articolo 2087 c.c. e vizi di motivazione e censura la sentenza impugnata per aver ravvisato un grave inadempimento contrattuale da parte del datore di lavoro ed una situazione di "mobbing" ai danni del Ca. produttiva di danni alla persona. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale non ha chiarito cosa debba intendersi per mobbing ne' ha chiarito quali sono state le concrete violazioni asseritamente poste in essere dalla Gi. F. ai danni del Ca. e riconducibili a tale figura di inadempimento contrattuale.

Con il secondo motivo, denunciando omessa e contraddittoria motivazione, la ricorrente sostiene che la Corte territoriale non ha assolutamente spiegato quali sono i ripetuti comportamenti di mobbing posti in essere dal datore di lavoro, ne' da quali elementi probatori abbia tratto il convincimento di un intento persecutorio della societa'. Non costituiscono infatti comportamenti illeciti ne' il rimprovero subito nel 1996 da parte del direttore dello stabilimento per una errata manovra, ne' la saltuaria assegnazione del Ca. ai forni dello stabilimento di laterizi; la Corte peraltro non poteva ignorare i favori ricevuti dal Ca. dall'azienda, quali la concessione in comodato gratuito di un appartamento e di un locale adibito dal lavoratore a falegnameria, ne' il comportamento del lavoratore che si rifiutava di svolgere i compiti a lui non graditi.

Con il terzo motivo la societa' denuncia violazione della Legge n. 604 del 1966, articolo 3 e vizi di motivazione e censura la sentenza impugnata per aver escluso l'esistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento invocato dal datore di lavoro e l'impossibilita' di adibire il lavoratore allo svolgimento di mansioni analoghe. Sostiene la ricorrente di aver provato in giudizio sia l'esigenza di riassetto organizzativo atto a fronteggiare il perdurante andamento negativo del mercato, sia l'impossibilita' di adibire il Ca. a mansioni equivalenti. Tali prove, non valutate dalla Corte torinese, sono date dai bilancio dell'anno 1999, dal quale risulta una consistente perdita di esercizio, e dal libro matricola, dal quale si ricava che la societa' non ha rinnovato i contratti di lavoro in scadenza e non ha assunto altri dipendenti per sostituire i dimissionari, fino alla cessazione dell'attivita' avvenuta nel 2005.

Con il quarto motivo di ricorso, denunciando violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e violazione dell'articolo 1917 c.c., nonche' omessa motivazione, la societa' censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha qualificato come "doloso" il comportamento del suo legale rappresentante ed ha escluso l'applicabilita' del contratto di assicurazione per i danni per malattia professionale e biologici subiti dai dipendenti, respingendo la domanda di manleva avanzata nei confronti della Fo. SA. . Osserva la ricorrente che il Ca. aveva lamentato un comportamento persecutorio tenuto, non gia' dal legale rappresentante della societa', bensi' dal direttore dello stabilimento, sicche' nel corso dei due giudizi di merito il comportamento del legale rappresentante non era mai venuto in considerazione. Rileva altresi' che la Corte territoriale non ha affatto spiegato sulla base di quali elementi probatori abbia tratto il convincimento del "dolo" del legale rappresentante. Rileva che a norma dell'articolo 1917 c.c. la garanzia assicurativa si estende anche ai danni recati dall'assicurato a terzi per fatto colposo.

I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

Questa Corte ha gia' avuto modo di precisare che per "mobbing", riconducibile alla violazione degli obblighi derivanti al datore di lavoro dall'articolo 2087 c.c, deve intendersi una condotta nei confronti del lavoratore tenuta dal datore di lavoro, o del dirigente, protratta nel tempo e consistente in reiterati comportamenti ostili, che assumono la forma di discriminazione o di persecuzione psicologica da cui consegue la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente nell'ambiente di lavoro, con effetti lesivi dell'equilibrio fisiopsichico e della personalita' del medesimo. E' stato quindi precisato che ai fini della configurabilita' della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti: a) la molteplicita' di comportamenti di carattere persecutorio posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalita' del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del dirigente e il pregiudizio all'integrita' psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioe' dell'intento persecutorio. E' stato infine ritenuto che la valutazione degli elementi di fatto emersi nel corso del giudizio, ai fini dell'accertamento della sussistenza del mobbing e della derivazione causale da detto comportamento illecito del datore di lavoro di danni alla salute del lavoratore, costituisce apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimita' se adeguatamente e correttamente motivato (cfr. Cass. n. 3785/2009, n. 22893/2008, n. 22858/2008).

Nella specie la Corte territoriale ha tenuto correttamente presenti gli elementi costitutivi della figura del "mobbing", come delineati dalla giurisprudenza, ne' dal motivo di ricorso e' dato comprendere sotto quale profilo il giudizio della Corte si sia allontanato dalla fattispecie astratta delineata dall'elaborazione giurisprudenziale, sicche' la censura di violazione dell'articolo 2087 c.c. si rivela destituita di fondamento.

Quanto poi al concreto apprezzamento dei fatti emersi nel corso del giudizio, va osservato che la Corte territoriale ha dato compiuta ragione della sua decisione partendo da un attento esame di tutte le testimonianze raccolte, valutate sia nel loro complesso che singolarmente. Il giudice di appello, sulla scorta delle varie testimonianze, e' pervenuto al convincimento che il Ca. , a partire dal 1995, fu preso di mira dal direttore dello stabilimento e fatto oggetto di continui insulti e rimproveri, umiliato e ridicolizzato avanti ai colleghi di lavoro, adibito sempre piu' spesso ai lavori piu' gravosi (addetto ai forni) rispetto a quelli svolti in passato (addetto alla pulizia degli uffici), nella indifferenza, tolleranza e complicita' del legale rappresentate della societa'. In questa complessiva valutazione negativa del comportamento datoriale non ha inciso in senso limitativo o riduttivo la circostanza, non ignorata dal giudice di appello, che al Ca. dalla societa' fosse stato concesso in comodato un appartamento. In definitiva deve ritenersi che la Corte di Appello abbia correttamente valutato tutti gli elementi probatori acquisiti ed abbia motivato in modo ampio e privo di contraddizioni e vizi logici il proprio giudizio, con la conseguenza che le valutazioni del giudice di appello, risolvendosi in apprezzamenti di fatto, non sono suscettibili di riesame in sede di legittimita'.

Infondato e' anche il terzo motivo di ricorso. La Corte di Appello ha osservato che la societa' non aveva provato la riduzione della produzione ed il riassetto organizzativo che aveva posto a base del licenziamento del Ca. . Ha rilevato, anzi, che le testimonianze raccolte inducevano a ritenere che nell'anno del licenziamento la crisi del settore edilizio era ormai superata, tanto che la societa' aveva assunto un altro operaio da adibire ai forni. Ma soprattutto il giudice di appello ha rilevato che la societa' non aveva in alcun modo provato di non poter utilizzare il Ca. all'interno dell'azienda in mansioni equivalenti, tenuto conto in particolare del fatto che il lavoratore, come riferito dai testi, era in grado di lavorare su tutte le macchine di produzione e di svolgere anche lavori di manutenzione degli impianti. Il mancato assolvimento dell'obbligo di repechage, in ordine al quale la societa' non deduce specifiche censure, costituisce autonoma ragione di illegittimita' del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed e' di per se' sufficiente a giustificare la conferma della pronuncia dei giudici di merito.

Infondato, infine, e' anche il quarto motivo di ricorso.

La societa' lamenta in primo luogo che il giudice di appello avrebbe qualificato come "doloso" il comportamento del legale rappresentante benche' il Ca. non avesse mai allegato e provato un siffatto atteggiamento psicologico del datore di lavoro. La censura e' priva di fondamento ove si consideri che nella specie si discute del rapporto assicurativo intercorso tra la Gi. e la Fo. , per cui non ha senso lamentare una violazione del principio di corrispondenza ex articolo 112 c.p.c. con riferimento ad una domanda di accertamento della illegittimita' del licenziamento e di risarcimento danni posta da altro soggetto in relazione a diverso rapporto giuridico.

La societa' lamenta in secondo luogo che il giudice di appello ha erroneamente escluso la garanzia assicurativa benche' mancasse del tutto la prova che l'evento dannoso fosse conseguenza del comportamento doloso del rappresentante della societa'. La censura e' priva di fondamento. Nella specie, come si evince dalla clausola contrattuale trascritta in memoria dalla compagnia, si tratta di polizza di assicurazione per la responsabilita' civile della societa' verso i propri dipendenti per infortuni sul lavoro derivanti da fatti commessi dall'assicurato o da suoi dipendenti. Trattasi dunque di contratto di assicurazione stipulato a norma dell'articolo 1917 c.c., per il quale opera la disposizione di cui al primo comma della norma citata, secondo cui dalla copertura assicurativa "sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi". A quest'ultima disposizione ha fatto espresso riferimento la Corte di Appello per respingere la domanda di garanzia avanzata dalla Gi. nei confronti della Fo. .

La Corte territoriale ha rilevato che dal materiale probatorio emergeva incontestabilmente anche il dolo del sig. Gi. Fr. , amministratore unico della societa' omonima. A giudizio della Corte, che ha richiamato le testimonianze di tali G. , Bo. , G. e B. , e' risultato provato che lo stesso Gi.Fr. fu sempre consapevole dei comportamenti aggressivi e vessatori tenuti dal Lo. nei confronti del Ca. e che tollero' e assecondo' detti comportamenti senza far nulla per farli cessare, cosi' accettando consapevolmente il rischio che da tali comportamenti illeciti potessero derivare conseguenze dannose a carico dei dipendenti. Questa valutazione delle suddette testimonianze non ha formato oggetto di alcuna censura da parte dell'attuale ricorrente sotto il profilo di eventuali vizi logici o incongruenze del ragionamento del giudice, essendosi limitato il ricorrente a lamentare la mancanza di prove del dolo, in insostenibile contrasto con quanto affermato nella sentenza impugnata.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto con conseguente condanna della Gi. F. s.r.l. al pagamento in favore di Ca. Lu. e della Fo. Sa. s.p.a. delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Delle spese liquidate in favore del sig. Ca. va disposta la distrazione all'avv. Roberto Muggia che si e' dichiarato anticipatario.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 45,00 per esborsi ed in euro tremila per onorari in favore di ciascuna parte resistente, con distrazione in favore dell'avv. Roberto Muggia delle spese liquidate al resistente Ca. Lu. .

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