Al di fuori dei casi previsti dalla legge solamente la lesione di un diritto inviolabile della persona che sia concretamente individuato può essere fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale.

Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 19 agosto 2011, n. 17427

Per procedere alla liquidazione equitativa di cui all'articolo 1226 del Cc occorre verificare con certezza l'esistenza del danno, non essendo configurabile il danno biologico in assenza della lesione dell'integrità psico-fisica del danneggiato, rendendosi necessaria la dimostrazione dell'entità del danno, ossia della perdita conseguente alla lesione. Il danno non patrimoniale è connotato da tipicità, essendo risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nelle ipotesi in cui esso sia cagionato da un evento consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona, atteso che, fuori dai casi determinati dalla legge, è offerta tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente protetto. Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, non potendosi accogliere la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso ovvero non potendosi postulare che che il danno sarebbe in re ipsa, perché detta teorica snatura la funzione del risarcimento, il quale, diversamente, verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino - Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio - rel. Consigliere

Dott. D'ASCOLA Pasquale - Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AR. AN. (OMESSO), PI. AN. (OMESSO), IM. PA. 20. DI. PI. AN. SS (OMESSO) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEI QUIRITI 3, presso lo studio dell'avvocato PROIETTI FABRIZIO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato TREVISAN CLAUDIO;

- ricorrenti -

e contro

DI. CA. MA. , PE. SI. , VO. MA. ;

- intimati -

sul ricorso 792-2006 proposto da:

VO. MA. (OMESSO), DI. CA. MA. (OMESSO), PE. SI. (OMESSO), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CIRENAICA 15, presso lo studio dell'avvocato PICARDI NICOLA, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato BONUOMO NICOLA;

- controricorrenti ricorrenti incidentali -

contro

AR. AN. (OMESSO), PI. AN. (OMESSO), IM. PA. 20. DI. PI. AN. SS (OMESSO) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEI QUIRITI 3, presso lo studio dell'avvocato PROIETTI FABRIZIO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato TREVISAN CLAUDIO;

- controricorrenti al ricorso incidentale -

avverso la sentenza n. 2046/2005 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 01/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/05/2011 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l'Avvocato TREVISAN Claudio, difensore dei ricorrenti che ha chiesto accoglimento delle difese scritte depositate, anche del controricorso al ricorso incidentale e nella memoria;

udito l'Avvocato PICARDI Nicola, difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso e l'accoglimento del ricorso depositato e della memoria;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso, previa riunione, rigetto del ricorso principale e dell'accoglimento dell'incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza dep. il 6 maggio 2002 il tribunale di Milano, in accoglimento della domanda proposta da Di. Ca.Ma. , Pe.Si. e Vo.Ma. , condannava in solido la societa' s.a.s. Im. Pa. 20. di. Pi. An. & C, Ar.An. e Pi.An. al risarcimento dei danni - liquidati nella misura di euro 35.000,00 - conseguenti alle immissioni di rumori e di polveri cagionati dai lavori di ristrutturazione eseguiti dalla predetta societa' nell'appartamento sito al secondo piano dello stabile di via (OMESSO), nel quale erano ubicati gli appartamenti in cui abitavano gli attori; condannava altresi' i convenuti a ripristinare la quota del piano di calpestio dell'intero locale prospiciente il cortile del fabbricato.

Con sentenza dep. il 1 settembre 2005 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della decisione impugnata con impugnazione principale dai convenuti, riduceva la condanna dei medesimi al risarcimento dei danni che liquidava in euro 23.000,00 per ciascuno degli attori; rigettava la domanda proposta dagli attori di ripristino della quota del piano di calpestio del locale prospiciente il cortile del fabbricato.

I Giudici di appello, per quel che interessa nella presente sede, ritenevano provata la lesivita' dell'evento dannoso, osservando che i lavori di ristrutturazione della proprieta' di circa 500 mq., protrattisi per un tempo eccessivo per la mancanza di una diligente e appropriata organizzazione resa necessaria dall'estensione dell'intervento, avevano comportato una irragionevole compressione dei diritti altrui, non avendo i convenuti adottato quel maggiore impegno che l'ampiezza e l'importanza dell'intervento avrebbero richiesto.

Per quel che concerneva la prova dei danni, i documenti e le testimonianze attestavano la rumorosita' dei lavori e le immissioni di polveri anche in giorni festivi. Il danno era consistito in disagi e turbamenti del benessere psico-fisico e del bene della tranquillita', eccedendo la misura della tolleranza ragionevole ed era liquidato equitativamente, tenendo conto anche del danno biologico comprensivo anche del danno alla vita di relazione. Peraltro, la somma di euro 35.000,00 liquidata dal Tribunale era ridotta nella misura di circa un terzo sia perche' gli attori avevano iniziato ad abitare nel fabbricato de quo diversi anni dopo l'inizio dei lavori risalente al 1978 sia perche' i medesimi per i loro impegni professionali trascorrevano ampia parte della giornata fuori casa.

Per quanto riguardava il ribassamento del piano di calpestio dell'autorimessa effettuato attraverso la escavazione di centimetri 30 del sottosuolo - ritenuto dai Giudici, in assenza del titolo contrario, bene comune - veniva considerata lecita l'attivita' compiuta dai convenuti, non essendo stata arrecato danno alla statica ne' essendo stato alterato il decoro architettonico dell'edificio o impedito l'uso da parte del Condominio.

2. Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione la societa' semplice Im. Pa. 20. di. Pi. An. (gia' s.a.s. Im. Pa. 20. di. Pi. An. & C.), Ar.An. e Pi.An. sulla base di quattro motivi.

Resistono con controricorso gli intimati proponendo ricorso incidentale affidato a due motivi.

I ricorrenti hanno depositato controricorso al ricorso incidentale.

Le parti hanno depositato memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, ex articolo 335 cod. proc. civ., perche' sono stati proposti avverso la stessa sentenza.

1.1. Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 1226 cod. civ. occorre verificare con certezza l'esistenza del danno, non essendo configurabile il danno biologico in assenza della lesione dell'integrita' psico-fisica del danneggiato mentre, d'altra parte, si rende necessaria altresi' la dimostrazione dell'entita' del danno, ossia della perdita conseguente alla lesione: i Giudici di appello si erano limitati a verificare la potenzialita' lesiva dell'evento senza verificare in concreto le conseguenze del danno tanto piu' che, avendo ridotto l'ammontare del danno liquidato in primo grado, avrebbero dovuto considerare il tempo effettivo di sottoposizione alle immissioni per ciascuno degli attori.

1.2. Con il secondo motivo i ricorrenti, lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censurano la sentenza gravata laddove, nel confermare la liquidazione operata dal tribunale, non aveva motivato in ordine alle critiche al riguardo sollevate con l'atto di appello; d'altra parte, non aveva spiegato in base a quale ragionamento aveva ridotto la misura del danno ne' aveva indicato i criteri a stregua dei quali aveva proceduto alla liquidazione equitativa che deve essere motivata con riferimento alla peculiarita' del caso concreto.

1.3. Con il terzo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell'articolo 1226 cod. civ., deducono che la sentenza impugnata non aveva indicato i criteri in base ai quali aveva proceduto alla liquidazione del danno biologico, posto che nella specie non erano presenti menomazioni valutabili sotto il profilo medico legale ne', d'altra parte, i Giudici avevano inteso differenziare le posizioni degli attori: in tema di danno alla salute il parametro di liquidazione, al quale il giudice deve ispirarsi, puo' essere anche il valore medio del punto di invalidita', calcolato sulla media dei precedenti giudiziari, purche' sia congruamente motivato l'adeguamento del valore medio del punto alla peculiarita' del caso concreto.

2. Il primo, il secondo e il terzo motivo - che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente - sono fondati.

Va ricordato che, secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite della S.C. (S.U.26972/2008), il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito e' connotato da atipicita', postulando l'ingiustizia del danno di cui all'articolo Decreto Legislativo n. 209 del 2005, articoli 138 e 139 (Codice delle assicurazioni private), che individuano il danno biologico nella "lesione temporanea o permanente all'integrita' psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attivita' quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacita' di reddito", e ne danno una definizione suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno - conseguenza, che deve essere allegato e provato, non potendosi accogliere la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di "danno evento" ovvero che il danno sarebbe in re ipsa, perche' la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo.

Il danno biologico ha portata tendenzialmente onnicomprensiva, in quanto il cosiddetto danno alla vita di relazione ed i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrita' psicofisica, possono costituire solo voci del danno biologico, mentre sono da ritenersi non meritevoli dalla tutela risarcitoria, quei pregiudizi che consistono in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti piu' disparati della vita quotidiana ne' possono qualificarsi come diritti risarcibili diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualita' della vita, allo stato di benessere, alla serenita'. Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato e' fonte di responsabilita' risarcitoria non patrimoniale.

Orbene va considerato che, seppure l'indagine medico legale non e' indispensabile e il giudice puo', nell'ambito della valutazione discrezionale al medesimo riservata, accertare il verificarsi della menomazione dell'integrita' psico-fisica della persona facendo ricorso alle presunzioni e quantificare il danno in via equitativa, e' pur sempre necessario - pur non potendosi evidentemente procedere a una rigorosa e analitica determinazione - che la motivazione indichi gli elementi di fatto che nel caso concreto sono stati tenuti presenti e i criteri adottati nella liquidazione equitativa, perche' altrimenti la valutazione si risolverebbe in un giudizio del tutto arbitrario, in quanto non e' suscettibile di alcun controllo.

La sentenza impugnata, dopo avere affermano che quanto alla prova dei danni vi erano documenti e testimonianze attestanti la rumorosita' dei lavori e le immissioni delle polveri - cosi' evidentemente confondendo l'evento lesivo con il danno conseguenza dal primo cagionato - ha affermato che il danno era consistito in disagi e turbamenti del benessere psicofisico e del bene della tranquillita', eccedenti la tolleranza ragionevole e, procedendo quindi alla liquidazione equitativa senza indicarne i criteri, ha aderito alla quantificazione del danno biologico nella misura stabilita dal Tribunale, che peraltro era ridotto di un terzo indistintamente per tutti e tre gli attori.

La sentenza non ha compiuto alcuna indagine in ordine all'effettiva esistenza e all'entita' del danno subito, atteso che, senza compiere alcun accertamento specifico sulla lesione dell'integrita' psico-fisica che sarebbe stata provocata a ciascuno degli istanti dalle immissioni, ha poi liquidato il danno a favore degli attori nella stessa misura, facendo peraltro un riferimento generico e privo di alcun riscontro obiettivo ai disagi e ai turbamenti del benessere psicofisico mentre, come si e' detto, il semplice turbamento della tranquillita' familiare non assurge a un valore costituzionale protetto. Ed invero, anche tenuto conto del fatto che gli attori avevano iniziato ad abitare nel fabbricato de quo in tempi diversi, come riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata, l'indagine avrebbe dovuto essere compiuta con riferimento alla situazione di ciascuno degli attori nel verificare in concreto l'incidenza degli effetti prodotti dai lavori, i Giudici avrebbero dovuto considerare le modalita' con cui erano stati in concreto svolti (la durata giornaliera, i giorni della settimana e i periodi in cui erano eseguiti) e specificare le abitudini di vita degli attori di guisa da stabilire la loro permanenza effettiva nelle rispettive abitazioni durante l'esecuzione dei lavori, tenuto conto che la stessa sentenza, procedendo alla riduzione dell'importo liquidato dal tribunale, ha fatto riferimento alla circostanza che gli attori, per i rispettivi impegni professionali trascorrevano ampia parte della giornata i fuori casa, senza peraltro meglio precisare tale circostanza.

Il quarto motivo, che censura la regolamentazione delle spese processuali,e' assorbito.

RICORSO INCIDENTALE.

1.1. Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 1117, 840 e 1122 cod. civ., denuncia che l'abbassamento del piano di calpestio del locale autorimessa era stato posto in violazione del principio secondo cui il condomino non puo' apportare innovazioni che arrechino danno alle cose comuni, tanto piu' nella specie in cui erano operanti i divieti al riguardo sanciti dal regolamento condominiale. 1.2. Il secondo motivo, lamentando contraddittoria motivazione su un punto decisivo, denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata laddove, dopo avere affermato che il sottosuolo e' un bene comune e che il condomino non puo' procedere alla escavazione in profondita' del sottosuolo per ingrandire un locale esistente, era poi giunta a conclusione che contrastava con la premessa.

2. I motivi, che per la stretta connessione vanno esaminati congiuntamente, sono fondati.

Occorre premettere che la sentenza impugnata, nel confermare quanto al riguardo statuito dal Tribunale, ha considerato condominiale il sottosuolo al di sotto dell'area superficiaria, peraltro ritenendo legittima, perche' di modesta profondita' e comunque non pregiudizievole per il Condominio, l'escavazione in proposito effettuata all'interno del locale di proprieta' degli attori cosi' riformando la decisione di primo grado che aveva condannato la societa' al ripristino dei luoghi.

La statuizione emessa dalla Corte di appello e' erronea perche' e' contraria ai principi elaborati dalla S.C. secondo cui, in tema di condominio ai sensi degli articoli 840 e 1117 cod. civ., lo spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprieta' esclusiva ad uno dei condomini, va considerato di proprieta' comune, tenuto conto che la proprieta' del suolo si estende al sottosuolo e che quest'ultimo svolge una funzione di sostegno al fine della stabilita' dell'edificio. Ne consegue che il singolo condomino, non puo' procedere, senza il consenso degli altri condomini, alla escavazione in profondita' del sottosuolo al fine di ricavare nuovi locali o di ingrandire quelli esistenti di sua proprieta', giacche', in tal modo, viene a ledere il diritto di proprieta' degli altri condomini su una parte comune dell'edificio, che in tal modo verrebbe sottratta all'uso e al godimento comune (Cass. 8119/2004;22835/2006; 4965/2010).

La questione circa la natura condominiale o meno dell'area nella quale sono stati realizzati i lavori ovvero la esistenza di un titolo contrario alla presunzione di comunione del sottosuolo di cui all'articolo Cass. 6233/1998).

La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale e al ricorso incidentale con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi accoglie il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale assorbito il quarto; accoglie il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale e al ricorso incidentale e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

 

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