Costituisce reato picchiare l'avversario in una partita e non assume alcuna rilevanza il fatto che il pugno sia stato sferrato quando il gioco era fermo

Corte di Cassazione Sezione 5 Penale, Sentenza del 14 marzo 2011, n. 10138

Non è applicabile la causa di giustificazione non codificata dell'esercizio dell'attività sportiva, ogniqualvolta sia ravvisabile nell'agente la consapevole e dolosa intenzione di ledere l'incolumità dell'avversario, per finalità estranee alla competizione; e ciò a prescindere dal fatto che, al momento del fatto, il gioco fosse fermo oppure da considerarsi attivo secondo le regole della disciplina sportiva. (Fattispecie in cui si è ritenuta inapplicabile l'esimente rispetto al reato di lesioni volontarie che, durante un incontro di pallacanestro, l'imputato aveva commesso colpendo deliberatamente con un pugno l'avversario, tra l'altro dopo che l'arbitro aveva fermato l'azione per un fallo di gioco).
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CALABRESE Renato Luigi - Presidente

Dott. MARASCA Gennaro - Consigliere

Dott. OLDI Paolo - rel. Consigliere

Dott. SANDRELLLI Gian Giacomo - Consigliere

Dott. SABEONE Gerardo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) ME. LU. N. IL (OMESSO);

avverso la sentenza n. 1/2009 TRIBUNALE di ALESSANDRIA, del 18/05/2009;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/12/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO OLDI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito, per la parte civile, l'avv. Bonfiglio Luigi, in sostituzione dell'avv. Giacomo Gribaudi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 18 maggio 2009 il Tribunale di Alessandria in composizione monocratica, riformando ai soli effetti civili la pronuncia assolutoria del locale giudice di pace, ha condannato Me. Lu. al risarcimento dei danni in favore di Ba. An. , quale responsabile del delitto di lesione volontaria nei di lui confronti.

Secondo l'ipotesi accusatola, recepita dal giudice di secondo grado, nel corso di una partita di pallacanestro il Me. aveva colpito a gioco fermo il Ba. con un pugno volontariamente sferratogli al volto, causandogli la frattura delle ossa nasali.

Ha proposto ricorso per cassazione il Me. , per il tramite del difensore, affidandolo a quattro motivi.

Col primo motivo il ricorrente eccepisce l'inammissibilita' dell'appello della parte civile, adducendo il disposto del Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 38.

Coi restanti motivi, trattati congiuntamente nel ricorso, il Me. contrasta innanzi tutto la ricostruzione dei fatti cui ha acceduto il Tribunale, avuto riguardo al convincimento che il fatto si fosse verificato a gioco fermo, richiamandosi in argomento alle regole e alle modalita' di svolgimento del gioco della pallacanestro;

invoca la causa di giustificazione - non codificata, ma equiparabile in via analogica al consenso dell'avente diritto - dell'esercizio di attivita' sportiva; impugna la condanna al risarcimento dei danni, proponendo censure anche in ordine al quantum e invocando la clausola compromissoria, vincolante per i giocatori di pallacanestro tesserati.

Il ricorso e' privo di fondamento e va disatteso.

A confutazione del primo motivo corre l'obbligo di osservare che il disposto del Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 38 trova applicazione soltanto nell'ipotesi in cui la citazione a giudizio dell'imputato sia stata chiesta dalla persona offesa con ricorso diretto al giudice di pace, ai sensi dell'articolo 21 dello stesso decreto.

Non ricorrendo tale presupposto nel caso di specie, la disciplina applicabile e' quella ordinaria; nell'ambito di questa le facolta' d'impugnazione della parte civile non hanno subito limitazioni con l'entrata in vigore della Legge 20 febbraio 2006, n. 46, ma si sono invece estese per effetto della soppressione dell'inciso "con il mezzo previsto per il pubblico ministero" nell'articolo 576 c.p.p., comma 1.

In conseguenza di cio', infatti, essendo venuto meno il vincolo di collegamento fra la potesta' d'impugnazione del pubblico ministero e quella della parte civile, a quest'ultima e' consentito gravarsi senza alcuna restrizione - ai soli effetti civili - contro la sentenza che le e' sfavorevole, sia nel giudizio ordinario sia nel procedimento di pace (Cass. Sez. Un. 29 marzo 2007, p.c. in proc. Lista).

Le restanti censure mosse dal ricorrente s'indirizzano a sostenere, sulla scorta di una diffusa illustrazione delle regole della pallacanestro, la tesi secondo cui la condotta incriminata si sarebbe realizzata mentre il gioco era attivo; da cio' dovrebbe trarsi la conseguenza, nell'ottica del gravame, per cui il fatto e' scriminato dalla causa di giustificazione - non codificata, ma riconosciuta come tale dalla coscienza sociale - che esime da punibilita' la violenza sportiva.

Nel rendere conto dell'infondatezza dell'assunto occorre premettere che, in punto di fatto, il giudice di appello ha raggiunto il convincimento che Me.Lu. , nel corso della partita di pallacanestro giocata il 25 maggio 2003 fra le squadre di (OMESSO), avesse deliberatamente colpito con un pugno l'avversario Ba.An. dopo il fischio dell'arbitro che aveva fermato l'azione per un fallo di gioco.

Siffatta ricostruzione dell'episodio, siccome elaborata nell'osservanza dei canoni di valutazione della prova e motivata secondo logica, deve considerarsi insindacabile in questa sede ed essere posta, percio', a fondamento della valutazione giuridica cui si e' chiamati.

Cio' detto, merita adesione il giudizio espresso dal Tribunale con l'osservare che, indipendentemente dal fatto che il gesto violento sia stato compiuto mentre il gioco era fermo a tutti gli effetti, oppure da considerarsi attivo secondo le regole della pallacanestro (ma comunque in un momento anteriore alla rimessa in gioco della palla dopo il fischio dell'arbitro), l'avere colpito con un pugno l'avversario non gia' per un eccesso agonistico nel contendergli il possesso della palla, ma per finalita' estranee alla competizione, comporta il superamento del limite del c.d. "rischio consentito" e si rende penalmente perseguibile.

La giurisprudenza di legittimita' infatti, e' costante nell'escludere l'applicabilita' della causa di giustificazione non codificata dell'esercizio di attivita' sportiva, ogniqualvolta sia ravvisabile nell'agente la consapevole e dolosa intenzione di ledere l'incolumita' dell'avversario, approfittando della circostanza del gioco (oltre a Cass. 2 dicembre 1999 n. 17923).

Quanto ai criteri di quantificazione del danno, vi e' solo da osservare che il Tribunale si e' limitato ad emettere una condanna generica, rimettendo al giudice civile ogni questione attinente alla relativa liquidazione; cio' e' perfettamente legittimo, bastando a giustificare la condanna generica l'avvenuto accertamento della potenziale capacita' lesiva del fatto dannoso e del nesso di causalita' tra tale fatto e il pregiudizio lamentato, mentre non e' necessaria alcuna indagine sulla concreta esistenza di un danno risarcibile (Cass. 5 giugno 2008 n. 36657).

Va rilevato, da ultimo, che la doglianza diretta a invocare l'applicazione di una clausola compromissoria e' inammissibile per carenza di specificita', non essendo precisato se detta clausola estenda la propria area di operativita' anche ai fatti di rilevanza penale.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Non ricorrono i presupposti per disporre in ordine alle spese della parte civile nel presente giudizio di legittimita', mancando la necessaria richiesta in forma scritta.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

OPINIONI DEI CLIENTI

Vedi tutte

ONLINE ADESSO 2517 UTENTI