Direttiva congiunta del 21 febbraio 2007:il minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione non dovrà più munirsi di permesso di soggiorno.

Con Direttiva congiunta del 21 febbraio 2007 il Ministro dell'Interno ed il Ministero delle Politi-che per la Famiglia hanno stabilito che il minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione non dovrà più munirsi di permesso di soggiorno.

Ciò, è stato precisato, sulla base di alcune considerazioni:
- l’art. 34, comma 1, della legge n. 184/83 stabilisce che il minore che ha fatto ingresso nel territorio dello Stato sulla base di un provvedimento straniero di adozione o di affidamento a scopo di adozione gode, dal momento dell’ingresso, di tutti i diritti attribuiti al minore ita-liano in affidamento familiare;
- il D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, non prevede un permesso di soggiorno per adozione, il che comporta una chiara differenziazione della posizione del minore straniero adottato, anche in considerazione che l’adozione internazionale trova una disciplina specifica ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1993;
- nell’emettere il provvedimento ex art. 32 della richiamata legge 184, che autorizza il minore straniero adottato all’ingresso ed alla residenza permanente nel territorio dello Stato, la Commissione per le adozioni internazionali dà già una valutazione completa delle ragioni di ordine e sicurezza pubblica, di legittimità dell’ingresso e del successivo soggiorno del minore straniero adottato, consentendo in tal modo all’autorità consolare italiana di rilasciare il necessario visto d’ingresso;
- ne consegue che la richiesta di rilascio di un permesso di soggiorno per il minore non solo costituisce una possibile fonte di disagio per le famiglie adottive, ma da luogo all’evidenza ad una duplicazione degli adempimenti e ad un inutile appesantimento burocratico.

Nella Gazzetta Ufficiale N. 59 del 12 marzo 2007 è stato pubblicato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 gennaio 2007, intitolato “Programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori stagionali extracomunitari e dei lavoratori formati all'estero nel territorio dello Stato, per l'anno 2007”.
Con tale Decreto la Presidenza del Governo:
- partendo dal rilievo che, nelle more della determinazione delle quote massime di lavoratori extracomunitari non stagionali da ammettere nel territorio dello Stato per l'anno 2007 (c.d. “Decreto Flussi 2007”), appare comunque urgente la definizione della quota di lavoratori extracomunitari stagionali da ammettere in Italia per quest’anno, onde consentire ai settori del turismo e della raccolta dei prodotti agricoli di disporre per tempo dei lavoratori indispensabili alle particolari esigenze di detti settori, e che a tale determinazione si può procedere stilando una programmazione transitoria del relativo flusso sulla base e nei limiti delle quote corrispondenti già fissate nell’anno precedente;
- tenuto conto anche dell’opportunità di stabilire una prima tranche sulla massima quota di lavoratori extracomunitari non stagionali da ammettere in Italia per il 2007, che sia riservata a quei cittadini stranieri residenti all’estero che abbiano completato i programmi di formazione ed istruzione nel loro Paese d’origine, secondo quanto previsto dall’art. 23 D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero,
ha contemplato, quanto alla prima categoria di lavoratori extracomunitari (si ripete, lavoratori stagionali), l’ammissione di una quota massima di 80.000 unità, che verranno poi ripartite fra le Regioni e le Province Autonome a cura del Ministero della solidarietà sociale, quota che potrà interessare i lavoratori provenienti da Serbia, Montenegro, Bosnia-Herzegovina, ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, Croazia, India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka e Ucraina, nonché da altri Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria (Tunisia, Albania, Marocco, Moldavia ed Egitto) ed, infine, i cittadini stranieri titolari di permesso
di soggiorno per lavoro subordinato stagionale negli anni 2004, 2005 o 2006;
quanto alla seconda categoria (stranieri che abbiano completato i programmi di formazione ed istruzione di cui all’art. 23 del citato Testo Unico), l’ammissione di 2.000 unità.

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Nella Gazzetta Ufficiale N. 66 del 20 marzo 2007 è stato pubblicato il D. Lgs. 25 gennaio 2007, n. 24 intitolato “Attuazione della direttiva 2003/110/CE, relativa all'assistenza durante il transito nell'ambito di provvedimenti di espulsione per via aerea”.

Tale Decreto definisce “le misure di assistenza tra autorità competenti nell'ambito dell'espulsione per via aerea, con o senza scorta, negli aeroporti di transito degli Stati membri”, secondo
le disposizioni contenute nella direttiva 2003/110/CE del Consiglio dell’UE.

L’applicazione del Decreto lascia impregiudicati gli obblighi derivanti dalla Convenzione di Ginevra relativa allo statuto dei rifugiati, del 28 luglio 1951 (ratificata in Italia con legge 24 luglio 1954, n. 722), dalle Convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo e di libertà fondamentali, nonché dalle Convenzioni internazionali in materia di estradizione.

§§§

Ai fini del Decreto viene definito (art. 2):
- “Stato membro richiedente” lo Stato membro che esegue una decisione di espulsione di un cittadino di un Paese terzo e che richiede il transito nell'aeroporto di un'altro Stato membro;
- “Stato membro richiesto”: lo Stato membro nel cui aeroporto deve aver luogo il transito;
- “transito per via aerea” il passaggio, attraverso la zona di un aeroporto dello Stato membro richiesto, del cittadino di un Paese terzo ed eventualmente dei componenti della scorta ai fini dell'espulsione per via aerea.

§§§

La competenza a ricevere ed inoltrare le richieste di transito per via aerea (art. 3) è, per l’Italia, della Direzione centrale per l’immigrazione e la polizia delle frontiere del Ministero dell’interno - Dipartimento della Pubblica sicurezza.

§§§

L’esecuzione di un provvedimento di espulsione di un cittadino di un Paese terzo (art. 4), qualora non sia ragionevolmente possibile fare ricorso ad un volo diretto verso il Paese di destinazione, avviene attraverso la presentazione di richiesta della Direzione centrale all'Autorità centrale dello Stato membro richiesto di transito per via aerea, previo accertamento della mancanza di impedimenti all'eventuale transito attraverso altri Stati ovvero alla riammissione da parte dello Stato di destinazione.
Detta richiesta non è presentata se l'attuazione della misura di espulsione rende necessario un cambio di aeroporto nel territorio dello Stato membro richiesto.
Inoltre, può essere rifiutata se:
a) il cittadino di un Paese terzo risulti in Italia imputato ovvero condannato per taluno dei reati previsti dall'art. 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale e, in ogni caso, fra gli altri, per reati inerenti agli stupefacenti, alla libertà sessuale, al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina;
b) sussistono impedimenti al transito attraverso altri Stati o alla riammissione da parte dello Stato di destinazione ovvero dello Stato richiedente;
c) il provvedimento richiede un cambio di aeroporto nel territorio nazionale.

Di conseguenza, l'autorizzazione al transito per via aerea già rilasciata può essere ritirata se, successivamente al rilascio, diventano noti ovvero si verificano fatti che ne giustificherebbero il rifiuto.

Ulteriore conseguenza è che il transito per via aerea non possa essere né richiesto né, tanto meno, autorizzato se il cittadino di un Paese terzo corre il rischio di subire, nel Paese di destinazione o di transito, trattamenti inumani umilianti, torture o la pena di morte ovvero rischia la vita o la libertà a causa della sua razza, religione, nazionalità, del suo orientamento sessuale, delle sue convinzioni politiche o della sua appartenenza ad un genere o ad un determinato gruppo sociale.

§§§

L’art. 5 disciplina le modalità di presentazione della richiesta di transito per via aerea, mentre l’art. 8 prevede quali siano gli obblighi ed i poteri della scorta assegnata a tutela dell’incolumità del soggetto da far transitare per via aerea.

§§§

Degni di nota sono ancora l’art. 6 (“Misure di assistenza”), secondo cui la Direzione centrale adotta ogni disposizione idonea ad assicurare che le operazioni di transito si svolgano nel più breve tempo possibile e, comunque, entro ventiquattro ore, avvalendosi di appositi punti di contatto presso
gli aeroporti; nonché l’art. 7 (“Obbligo di riammissione”), che contempla le ipotesi in cui il cittadino di un Paese terzo, per il quale la Direzione centrale abbia presentato richiesta di transito per via aerea, è riammesso sul territorio nazionale italiano.

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Nella Gazzetta Ufficiale N. 72 del 27 marzo 2007 è stato pubblicato il D. Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, con il quale si è data attuazione alla direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione (di seguito, anche solo cittadini UE) e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (evidentemente, Stati membri diversi da quello proprio di cittadinanza: es. il diritto circolazione e soggiorno di un cittadino francese in territorio italiano).

§§§

In particolare, con l’art. 1 del Decreto si è spiegato che con esso si siano voluti disciplinare “le modalità d'esercizio del diritto di libera circolazione, ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato da parte dei cittadini dell'Unione europea e dei familiari” di cui al successivo art. 2, “che accompagnano o raggiungono i medesimi cittadini”; “il diritto di soggiorno permanente nel territorio dello Stato dei cittadini dell'Unione europea” e dei loro familiari che li accompagnano o raggiungono; “le limitazioni a tali diritti per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza”.

§§§

Il citato art. 2 definisce familiare dei cittadini UE:
1) il coniuge;
2) il partner che abbia contratto con il cittadino UE un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio;
3) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o comunque a carico e quelli del coniuge o partner;
4) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner.

§§§

Inoltre, ex art. 3, viene agevolato l’ingresso e il soggiorno di altri familiari, anche non cittadini UE, a patto che siano a carico o convivano, nel Paese di origine, con il cittadino UE, e ciò ove gravi motivi di salute impongano che il cittadino UE li assistino personalmente; oppure l’ingresso/soggiorno del partner con cui il cittadino UE abbia una relazione stabile (quindi, non è il caso precedentemente esaminato dell'”unione registrata”) debitamente attestata dallo Stato del cittadino UE.

§§§

Venendo all’esame particolare dei diritti riconosciuti con il presente Decreto, l’art. 4 riconosce il diritto di circolazione del cittadino UE nell’ambito dell’Unione, purché in possesso di documento d’identità valido per l’espatrio, e dei suoi familiari pur non cittadini UE ma in possesso di passaporto valido.

§§§

L’art. 5 invece si occupa del diritto di ingresso in Italia dei medesimi soggetti, specificando che per quei familiari non cittadini UE è previsto comunque l’obbligo del visto (ove richiesto secondo la normativa vigente in materia) e salvo il possesso della carta di soggiorno di cui al successivo art. 10, che esonera dall’obbligo del visto: peraltro, il rilascio di tale visto è gratuito ed ha una corsia preferenziale.
Può capitare che il cittadino UE o il familiare non cittadino UE non siano provvisti dei documenti sopra indicati per circolare/fare ingresso e, quindi, siano oggetto di respingimento: ebbene, in tale ipotesi, i soggetti indicati dovranno far pervenire entro 24 ore i documenti necessari o dimostrare “con altra idonea documentazione, secondo la legge nazionale, la qualifica di titolare del diritto di libera circolazione”.

§§§

L’art. 6 prevede il diritto di soggiorno fino a tre mesi, che è garantito senza alcuna particolare condizione o formalità, salvo il possesso dei documenti di cui all’art. 4.

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L’art. 7, specularmente, prevede il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi in favore del cittadino UE che:
a) sia lavoratore subordinato o autonomo nello Stato;
b) disponga per sé stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti, per non onerare l'assistenza sociale dello Stato durante il periodo di soggiorno, e di un'assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale;
c) sia iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi come attività principale un corso di studi o di formazione professionale ed ugualmente disponga di risorse economiche sufficienti;
d) sia familiare, secondo la definizione dell’art. 2, che accompagni o raggiunga un cittadino UE che ha diritto di soggiornare per uno dei motivi (ed alle condizioni) appena illustrati.
Questo diritto di soggiorno è esteso anche ai familiari non cittadini UE che accompagnino o raggiungano il cittadino UE purché questi abbia il diritto di soggiorno per uno dei motivi (ed alle condizioni) appena illustrati.
Il cittadino UE che rientri nell’ipotesi sub a) conserva il diritto al soggiorno anche quando sia temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio; sia in stato di disoccupazione involontaria comprovata dopo aver esercitato un'attività lavorativa per oltre un anno in Italia e sia iscritto presso il Centro per l'impiego, oppure abbia reso la dichiarazione, di cui all'art. 2,
comma 1, D. Lgs. 21 aprile 2000, n. 181, con la quale attesti l'immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa; sia in stato di disoccupazione involontaria comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno, oppure si sia trovato in tale stato durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio nazionale e sia iscritto presso il Centro per l'impiego ovvero abbia reso la dichiarazione di cui sopra, conservando così la qualità di lavoratore subordinato per un periodo di un anno; segua un corso di formazione professionale (tuttavia, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra
l'attività svolta in precedenza e il corso di formazione seguito).

Avverso il rifiuto o la revoca del diritto di soggiorno è consentito il ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo ove dimora il richiedente, con procedura camerale ai sensi degli artt. 737 e ss. del c.p.c..

§§§

L’art. 9 contempla le formalità amministrative per i cittadini UE ed i loro familiari.
In particolare, si prevede che l’iscrizione all’anagrafe del comune dove gli stessi sono dimoranti venga richiesta trascorsi tre mesi dall'ingresso e sia rilasciata immediatamente una attestazione contenente l'indicazione del nome e della dimora del richiedente, nonchè la data della richiesta.
Ai fini dell’iscrizione anagrafica, salvo quanto richiesto in generale anche al cittadino italiano, occorrerà produrre la documentazione relativa all’attività lavorativa svolta (se il cittadino UE ha diritto al soggiorno in Italia in quanto lavoratore), alla disponibilità di risorse economiche sufficienti (secondo i criteri di cui all’art. 29, comma 3, lett. b) del T.U. D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286), alla titolarità di una assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque idoneo, all’iscrizione presso un istituto pubblico o privato riconosciuto e alla titolarità di un'assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque idoneo nonché alla disponibilità di risorse economiche sufficienti (se il cittadino UE ha diritto al soggiorno in quanto iscritto ad un corso di studi o di formazione professionale).
Al fine di dimostrare di disporre, per sé ed i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, il cittadino UE può anche rilasciare una dichiarazione ex artt. 46 e 47 T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, dPR 28 dicembre 2000, n. 445.
Quanto ai familiari del cittadino UE, che non abbiano un autonomo diritto di soggiorno, sempre ai fini dell’iscrizione anagrafica devono presentare un documento di identità o il passaporto in corso di
validità, nonché il visto di ingresso se richiesto; un documento attestante la qualità di familiare e, se necessario, di familiare a carico; l'attestato della richiesta d'iscrizione anagrafica del cittadino UE di cui sono familiari

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Con l’art. 10 si descrive la procedura da seguire affinché i familiari di cittadino UE che non siano a loro volta cittadini UE possano ottenere la carta di soggiorno.
Essi, trascorsi tre mesi dal loro ingresso in Italia, richiedono alla questura competente per territorio la c.d. “Carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione”.
Per ottenerla, devono presentare il passaporto o documento equivalente validi, nonché il visto di ingresso, se richiesto, un documento che attesti la qualità di familiare e (se richiesto) di familiare a carico, l'attestato della richiesta d'iscrizione anagrafica del familiare cittadino UE, quattro esemplari di una propria fotografia formato tessera.
Tale Carta ha validità di 5 anni dalla data del rilascio e conserva la sua validità anche se, nel quinquennio, il suo titolare si assenti temporaneamente (quindi, per motivi contingenti quali vacanze, cure mediche o simili) dal territorio italiano per periodi non superiori a sei mesi per ogni anno, nonché in caso di assenze di durata superiore motivate dall’assolvimento di obblighi militari o, ancora, in caso di assenze fino a dodici mesi consecutivi per rilevanti motivi (gravidanza, maternità, malattia grave, studi o formazione professionale, distacco per motivi di lavoro in un altro Stato), ma in tal caso sarà ovviamente onere dell’interessato esibire la documentazione che dimostri il ricorrere di uno di questi motivi di assenza, che come detto non interrompono la validità della Carta rilasciatagli.

§§§

L’art. 11 si occupa della conservazione del diritto di soggiorno dei familiari in caso di decesso o di partenza del cittadino UE, i quali se a loro volta cittadini UE conserveranno il detto diritto se in possesso di diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’art. 14 o se a loro volta aventi diritto al soggiorno superiore ai 3 mesi; se invece non cittadini UE abbiano soggiornato in Italia almeno un anno prima del decesso o partenza del cittadino UE ed abbiano acquistato il diritto di soggiorno permanente o dimostrino di esercitare un'attività lavorativa o di disporre di risorse economiche sufficienti nonché di una assicurazione sanitaria o di fare parte di nucleo familiare già costituito in Italia da persona che soddisfi tali condizioni.
Sempre nell’ipotesi di familiare non cittadino UE, se non abbia soggiornato in Italia almeno un anno prima del detto decesso o partenza, il diritto di soggiorno verrà comunque conservato ma a titolo di permesso di soggiorno (quindi, non la ben più ampia Carta).
Vi è poi una terza di ipotesi di familiari rispetto ai quali occorre verificare la conservazione del diritto di soggiorno, cioè i figli del cittadino UE deceduto/partito o il genitore degli stessi che ne abbia avuto l’affidamento: in tal caso, si prescinde dal requisito della cittadinanza, a patto che abbiano risieduto in Italia e (condizione ovviamente riferita ai figli) siano iscritti in un istituto scolastico per seguirvi gli studi, e ciò fino al termine degli studi stessi.

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In caso di divorzio o annullamento del matrimonio con cittadino UE, secondo l’art. 12 il diritto di soggiorno del familiare che sia comunque cittadino UE non viene meno, purché il familiare abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente o abbia diritto di per sé al soggiorno superiore ai 3 mesi.
Quanto alla medesima ipotesi per il familiare non cittadino UE, il mantenimento del diritto di soggiorno è subordinato ugualmente all’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, oppure al verificarsi di talune condizioni:
a) matrimonio durato almeno tre anni, di cui almeno uno in Italia, prima dell’inizio del procedimento di divorzio o annullamento (attenzione, quindi: il requisito temporale deve essere maturato prima che sia stata proposta la relativa domanda giudiziale, non quando venga emessa la sentenza !);
b) il coniuge non cittadino UE ha ottenuto l'affidamento dei figli del cittadino UE in base ad un loro accordo o a decisione giudiziaria;
c) l'interessato risulti parte offesa in procedimento penale, pendente o definito con sentenza di condanna, per reati contro la persona commessi nell'ambito familiare;
d) il coniuge non cittadino UE benefici del diritto di visita al figlio minore, semprechè sia stato ritenuto che le visite debbano svolgersi necessariamente in Italia ed, ovviamente, sino a che tale necessità sarà ritenuta.
Anche in questa ipotesi (familiare non cittadino di UE di cittadino UE rispetto al quale vi sia stato divorzio o annullamento del matrimonio), se non ricorrano le predette condizioni la Carta verrà “convertita” in permesso di soggiorno.
Inoltre, sempre per l’ipotesi di familiare non cittadino UE, va ribadito che, oltre alle condizioni sopra indicate, ai fini della preservazione del proprio diritto di soggiorno dovrà dimostrare di esercitare un'attività lavorativa o di disporre per sé e per i familiari di risorse economiche sufficienti nonché di una assicurazione sanitaria, o di far pare di nucleo familiare già costituito in Italia da persona che soddisfi tali condizioni.

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Venendo ora all’esame del c.d. diritto di soggiorno permanente, vediamo che l’art. 14 stabilisce che questo diritto, non subordinato alle condizioni per l’ottenimento del diritto di soggiorno “a tempo determinato” superiore ai 3 mesi o per la sua conservazione per le ipotesi particolari di cui ai due articoli appena evidenziati, sia garantito al cittadino UE che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa in Italia per cinque anni.
Stesso diritto viene acquisito dal familiare di cittadino UE, ove abbia soggiornato per uguale periodo insieme al cittadino UE.
Al fine di stabilire la continuità del soggiorno, non si considerano le assenze della durata e per i motivi di cui si è già dato conto all’art. 10.
Invece, sono ritenute causa di perdita del diritto di soggiorno permanente (quindi, nel caso che tale diritto sia già stato riconosciuto) le assenze dall’Italia per una durata superiore a due anni consecutivi.

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L’art. 15 prevede alcune deroghe all’appena indicato requisito del periodo continuativo di 5 anni per quei lavoratori che cessino l’attività per il raggiungimento dell’età prevista per l’acquisto del diritto alla pensione di vecchiaia, o al pensionamento anticipato, o che sia stato colpito da sopravvenuta incapacità lavorativa permanente, o che eserciti un’attività lavorativa in altro Stato dell’UE pur continuando a risiedere in Italia

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L’art. 16 si occupa dell’attestato che certifichi la condizione di titolarità del diritto di soggiorno permanente: il cittadino UE titolare ne farà richiesta al comune di residenza, che rilascerà il documento entro 30 giorni dalla richiesta stessa, la quale ovviamente dovrà essere corredata dalla documentazione che provi le condizioni o per il riconoscimento del diritto tout court o per il riconoscimento del diritto “in deroga”.
Tale attestato potrà consistere anche in una “istruzione” contenuta nel microchip della carta di identità elettronica.

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Ai sensi dell’art. 17 ai familiari non cittadini UE di cittadino UE, che abbiano maturato il diritto al soggiorno permanente, viene rilasciata dalla Questura la “Carta di soggiorno permanente per familiari di cittadini europei”.
La richiesta per ottenere tale Carta viene presentata chiaramente alla Questura competente per territorio di residenza, prima che scada la Carta di soggiorno di familiare di cittadino dell’Unione, ed è rilasciata entro 90 giorni.
La Carta mantiene la sua validità se le interruzioni del soggiorno siano ognuna inferiore a due anni consecutivi.

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L’art. 18 precisa che la continuità del soggiorno, concetto che come si è visto è molto importante per il riconoscimento del diritto di soggiorno permanente, viene interrotta dal provvedimento di
allontanamento adottato nei confronti della persona interessata.

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L’art. 19 prevede che il cittadino UE ed i suoi familiari non godono del diritto a prestazioni d'assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno, a meno che tale diritto sia riconosciuto in automatico a motivo dell’attività esercitata o da altre disposizioni di legge (previsione questa che lascia perplessi sotto il profilo della legittimità costituzionale e che, probabilmente, sarà oggetto di accese discussioni di ordine sociale).

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L’art. 20 disciplina l’ipotesi di limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, campo minato questo che infatti viene affrontato illustrando compiutamente le valutazioni che verranno fatte prima che vengano adottati provvedimenti tanto drastici (si parla, fra l’altro, del vero e proprio allontanamento dal territorio nazionale), nonché tutte le formalità che verranno osservate nel procedere, se proprio ritenuto necessario, all’allontanamento.
Quindi, precisato che (a differenza di quanto avviene, anche per una consolidata giurisprudenza amministrativa, per il rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno) non esiste un automatismo, collegato all’esistenza di condanne penali, che giustifichi l’adozione dei provvedimenti in parola.
In merito, in particolare, all’allontanamento, si terrà conto fra le altre cose della durata del soggiorno in Italia dell'interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare e
economica, della sua integrazione in Italia.
Esso sarà adottato dal Ministero dell’interno, con atto motivato e tradotto in lingua comprensibile al destinatario, o al limite in inglese, che gli verrà notificato.
Esso riporterà le modalità di impugnazione e la durata del divieto di reingresso, comunque non superiore a 3 anni, nonché il termine stabilito per lasciare l’Italia, non inferiore ad un mese dalla data della notifica.
La violazione del provvedimento di allontanamento (ovvero il rientro in Italia prima che sia compiuto il periodo di “interdizione”) viene punita con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000: in tal caso, peraltro, verrà disposto un nuovo allentamento con accompagnamento immediato.

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Ma l’allontanamento potrebbe essere disposto anche per la cessazione delle condizioni che hanno determinato il diritto di soggiorno.
In tal caso il relativo provvedimento, secondo quanto dispone l’art. 21, verrà adottato dal Prefetto territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, e verrà motivato e notificato.
Anche in questa ipotesi si terrà conto di determinati fattori quali la durata del soggiorno
dell'interessato, della sua età, della sua salute.
Debitamente tradotto, nel provvedimento saranno indicate le modalità per impugnarlo ed il termine per lasciare l’Italia, comunque non inferiore ad un mese
Peraltro, questo tipo di allontanamento non potrà prevedere un divieto di reingresso, in quanto è conseguenza della cessazione delle condizioni per il diritto di soggiorno, ragion per cui sarà tamquam non esset nel momento in cui tali condizioni dovessero essere nuovamente possedute.

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L’art. 22 è dedicato alla descrizione della procedura per ricorrere avverso i provvedimenti di allontanamento sopra descritti.
Quanto al provvedimento disposto per motivi di sicurezza e ordine pubblico, si propone ricorso al TAR del Lazio, sede di Roma (competenza funzionale, in quanto il provvedimento viene adottato dal Ministero dell’Interno): presentabile anche per via diplomatica, attraverso la rappresentanza italiana nel Paese di provenienza dall'interessato, in questo caso la procura al difensore va rilasciata avanti a tale rappresentanza diplomatica e presso la medesima avverranno tutte le comunicazioni relative al procedimento giudiziario.
Il ricorso avverso tale provvedimento potrà contenere una istanza di sospensione dell'esecutorietà del provvedimento stesso: di gran favore per l’interessato, in proposito, la previsione secondo cui finché il Collegio non si sia pronunciato sull’istanza di sospensione, l’efficacia del provvedimento sarà comunque sospesa, a patto che il provvedimento impugnato non si basi su una precedente decisione giudiziale o su motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato.
Quanto invece al provvedimento disposto per la cessazione delle condizioni determinanti il diritto di soggiorno, trattandosi di provvedimento in cui prevale la tutela del diritto soggettivo dell’interessato sul pubblico interesse (mentre nel primo caso è esattamente il contrario), la competenza a decidere sul relativo ricorso è del giudice ordinario, nella specie il tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto il provvedimento (cioè il Prefetto, come si è detto): questo ricorso dovrà essere presentato, a pena d'inammissibilità, entro 20 giorni dalla notifica del provvedimento di allontanamento e deciso entro i successivi 30 giorni; non vi è obbligo di patrocinio legale; anche in questo caso, il ricorso potrà essere presentato per via diplomatica ed ovviamente valgono le medesime considerazioni in merito alle comunicazioni relative al procedimento; parimenti, potrà essere presentata contestualmente al ricorso una istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento, la cui efficacia resterà sospesa fino alla decisione sull’istanza.
Ove venga negata la sospensione del provvedimento, al cittadino UE o al suo familiare è comunque consentito l'ingresso ed il soggiorno in Italia per partecipare alle fasi essenziali del procedimento giudiziario: ciò a fronte di sua apposita istanza e di conseguente autorizzazione rilasciata dal questore anche per via diplomatica.
Il tribunale (si parla ovviamente sempre dell’ipotesi di allontanamento per cessazione delle condizioni del diritto di soggiorno) deciderà con procedura camerale ex artt. 737 e ss. c.p.c.: ove il relativo procedimento dovesse protrarsi oltre il termine concesso all’interessato dal provvedimento per lasciare l’Italia e sia stata a suo tempo presentata l’istanza per sospendere l’esecutorietà di tale provvedimento, il giudice deciderà in ordine al ricorso con corsia preferenziale rispetto ai ricorsi per i quali non vi sia quest’incombente scadenza, ed ovviamente deciderà prima della scadenza stessa.
Il rigetto del ricorso comporterà, all’evidenza, l’obbligo dell’interessato a lasciare immediatamente il territorio nazionale.

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L’art. 25, stante la sostanziale natura di “Testo Unico” del Decreto in commento, dispone la conseguente abrogazione delle varie norme in cui questa materia era già stata in precedenza affrontata, ovvero:
- del DPR 30 dicembre 1965, n. 1656 (riguardante “Norme sulla circolazione e il soggiorno dei cittadini degli Stati membri della C.E.E.”);
- del DPR 18 gennaio 2002, n. 54, del D. Lgs. 18 gennaio 2002, n. 52 e del DPR 18 gennaio 2002, n. 53, rispettivamente testi A, B e C del “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea”.
Inoltre, il medesimo articolo ha abrogato l’art. 30 del D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nella parte (comma 4) in cui disponeva che “allo straniero che effettua il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero con straniero titolare della carta di soggiorno di cui all’articolo 9, è rilasciata una carta di soggiorno”.

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Sulla Gazzetta Ufficiale N. 72 del 27 marzo 2007 è stato pubblicato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 marzo 2007, intitolato “Proroga dello stato di emergenza per proseguire le attività di contrasto all'eccezionale afflusso di extracomunitari”.

Con tale Decreto si è preso atto del persistere di un massiccio afflusso di stranieri extracomunitari irregolari verso il nostro Paese, caratterizzato da episodi altamente drammatici.
Peraltro, le attività necessarie al contrasto ed alla gestione del fenomeno immigratorio, messe in atto finora dalle amministrazioni competenti si sono rivelate particolarmente incisive, per cui all’uopo si dovranno porre ulteriori interventi e strategie tali da assicurare un livello di operatività delle predette attività quanto meno pari a quello attuale.

Pertanto, è stato prorogato sino a tutto il 31 dicembre 2007 lo stato di emergenza sul territorio nazionale, al fine di fronteggiare l’afflusso eccezionale di immigrazione irregolare.

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In Gazzetta Ufficiale N. 76 del 31 marzo 2007 è stata pubblicata l’Ordinanza N. 3576 del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 marzo 2007 intitolata “Ulteriori disposizioni urgenti di protezione civile per il contrasto e la gestione del fenomeno dell'immigrazione clandestina”, Ordinanza che segue al Decreto della Presidenza del 16 marzo 2007, con il quale è stato in precedenza prorogato sino a tutto il 2007 lo stato di emergenza sul territorio nazionale al fine di continuare l’opera di contrasto all’eccezionale afflusso migratorio irregolare verso l’Italia.

Tale eccezionale afflusso porta come conseguenza il persistere di situazioni di elevata criticità (sbarchi continui, pericoli per gli stessi clandestini) ma anche l’aumento delle istanze di asilo, che allo stato non si riesce a “processare” con la dovuta efficienza.

Ne discende, con l’Ordinanza in parola:
- l’autorizzazione ad avviare procedure selettive concorsuali per assumere a tempo determinato ulteriore personale per meglio rispondere alle esigenze organizzative connesse al protrarsi della situazione di emergenza descritta;
- l’autorizzazione alla stipula di contratti professionali con tre esperti terzi rispetto al Ministero dell'Interno, che verranno incaricati di svolgere e predisporre progetti il cui fine sia l'implementazione dei servizi informatici e della banca dati del Dipartimento delle libertà civili e l’immigrazione del detto Ministero, nonché migliorare le condizioni di accoglienza delle strutture esistenti per gli immigrati irregolari ed, infine, lo studio di modelli di gestione economico-finanziaria diretti a dare la massima resa alle risorse esistenti;
- l’autorizzazione a derogare sino a tutto il 2007 (salvo ulteriori proroghe dello stato di emergenza, naturalmente) alle disposizioni relative alle competenze territoriali delle Commissioni per il riconoscimento dello status di rifugiato, ciò al dichiarato scopo di permettere di espletare con rapidità le attività connesse all'esame delle richieste di riconoscimento dello status di rifugiato.

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Nella Gazzetta Ufficiale N. 84 dell'11 aprile 2007 è stata pubblicata la legge di conversione 6 aprile 2007, n. 46, coordinata al testo del Decreto legge 15 febbraio 2007, n. 10, pubblicato a sua volta sulla Gazzetta Ufficiale N. 38 del 15 febbraio 2007, recante “Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali”.

Il Decreto, in vigore dal 16 febbraio 2007, prevede in particolare all’art. 5 alcune modifiche al Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, cioè il D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, modifiche che riguardano l’ipotesi di distacco di lavoratori cittadini di Paesi terzi nell'ambito di una prestazione di servizi.
Queste modifiche, introdotte nel nostro Ordinamento in seguito alla Procedura d’infrazione contro l’Italia n. 1998/2127, si riferiscono all’art. 13, comma 2 lett. b, che viene a mutare, ed all’art. 27, comma 1 bis, introdotto con il presente Decreto.


Quanto alla prima modifica, vengono semplificati l’ingresso ed il soggiorno dei lavoratori stranieri distaccati in Italia, ingresso e soggiorno che potranno avvenire grazie alla comunicazione, da parte del committente, del contratto in base al quale la prestazione di servizi ha luogo, unitamente ad una dichiarazione del datore di lavoro contenente i nominativi dei lavoratori da distaccare e attestante la regolarità della loro situazione con riferimento alle condizioni di residenza e di lavoro nello Stato membro dell'Unione europea in cui ha sede il datore di lavoro.
In mancanza di tale comunicazione, potrà essere adottato un provvedimento di espulsione amministrativa.



Con l’introduzione del nuovo comma 1 bis di cui all’art. 27 viene prevista la possibilità di disciplinare particolari modalità e termini per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro, dei visti di ingresso e dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato appunto per quei lavoratori stranieri dipendenti da datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche residenti o aventi sede all'estero e da queste ultime direttamente retribuite, che vengano distaccati temporaneamente in Italia presso persone fisiche o giuridiche italiane o straniere residenti in Italia al fine di effettuare nel nostro Paese determinate prestazioni oggetto di contratto di appalto stipulato tra le predette persone fisiche o giuridiche, tenuto conto dell'art. 1655 del codice civile italiano, della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 e delle norme internazionali e comunitarie.
Per tali lavoratori, come si è visto, il tradizionale nulla osta, ai fini dell’ingresso e del soggiorno in Italia, viene sostituito dalla predetta comunicazione, col contenuto di cui si è detto.
Tale comunicazione verrà presentata allo Sportello Unico della Prefettura ai fini del rilascio del permesso di soggiorno.

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