Due soli episodi, anche se connotati da ostilità ed astrattamente idonei a ledere la personalità del lavoratore, non possono assolutamente integrare una condotta persecutoria sistematica e protratta nel tempo, tale da integrare la fattispecie di "mobbing"

Tribunale Perugia, Sezione Lavoro civile, Sentenza 13 marzo 2012, n. 179

Per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio. Due soli episodi, anche se connotati da ostilità ed astrattamente idonei a ledere la personalità del lavoratore, non possono assolutamente integrare una condotta persecutoria sistematica e protratta nel tempo.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI PERUGIA

SEZIONE LAVORO

Il Tribunale, in persona del Giudice del Lavoro dott. Alessio Gambaracci, nella causa civile iscritta al n. 640/03 Ruolo G. Lav. Prev. Ass., promossa da

La.Ma. (avv. Fr.Pa.)

contro

Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca nonché Ufficio scolastico regionale dell'Umbria (Avvocato dello Stato)

nonché

Ni.An. (contumace)

ha emesso e pubblicato, ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., all'udienza del 12.3.2012, leggendo la motivazione ed il dispositivo, facenti parte integrante del verbale di udienza, la seguente

SENTENZA

FATTO E DIRITTO

Non esiste una definizione legislativa (a livello nazionale) del mobbing e pertanto i confini del relativo concetto non possono essere identificati se non accogliendo (filtrate attraverso le cognizioni giuridiche proprie del mondo del diritto) le conclusioni delle scienze che hanno portato alla luce l'esistenza di un simile fenomeno. Si è così insegnato che: Per "mobbing" (nozione elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza giuslavoristica) si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono pertanto rilevanti i seguenti elementi: a) la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche liciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo muratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico - fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio (Cass. n. 3785/09; cfr. anche, nella stessa direzione, Cass. 87/12, citata dai resistenti).

Accogliendo - anche per gli effetti di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c. - tale nozione, può rilevarsi che i fatti lamentati dalla ricorrente non possono essere inquadrati in una fattispecie di mobbing. A prescindere del tutto da ogni valutazione sulla fondatezza o meno delle contestazioni (vuoi quelle del dirigente scolastico, vuoi quelle dell'insegnante), il fatto è che, nella sostanza, l'attrice lamenta soltanto due episodi, ossia quello del 3.6.2002 e quello del 25.6.2002. E' ben vero che in ricorso si fa riferimento anche ad altro ("la ricorrente veniva fatta spesso oggetto di comportamenti irriguardosi e denigratori"; "un atteggiamento ostile che sfociava in frequenti ed immotivati rimproveri ... o attraverso una stretta ed ingiustificata vigilanza del comportamento della sig.ra La."), ma i relativi fatti sono del tutto generici ed in quanto tali si sottraggono ad ogni possibile valutazione. Né possono prendersi in considerazione, perché tardive, le offerte di prova successive all'introduzione del giudizio.

Precisato dunque che può tenersi conto solo dei due episodi di cui s'è detto, occorre rilevare che gli stessi - per il numero e la collocazione temporale - non possono nemmeno astrattamente integrare una condotta persecutoria sistematica e protratta nel tempo.

Il ricorso va pertanto respinto. Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Spese compensate.

Così deciso in Perugia il 12 marzo 2012.

Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2012.

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