Il mancato riconoscimento non impedisce il provvedimento in presenza di altre ragioni

Il mancato riconoscimento dello status di rifugiato politico non impedisce all’amministrazione competente di rilasciare il permesso di soggiorno al cittadino extracomunitario qualora sussistano altre valide ragioni che consentono di concederlo.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

- Sezione Seconda Quater -

composto dai signori magistrati:

Dott. Lucia Tosti Presidente

Dott. Renzo Conti Consigliere

Dott. Stefania Santoleri Consigliere, relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. x/06, proposto da A., rappresentato e difeso dall’Avv. Stefano Romeo ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Roma, Via Nomentana n. 224.

contro

il MINISTERO DELL’INTERNO in persona del Ministro p.t., n. c.

la COMMISSIONE CENTRALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLO STATUS DI RIFUGIATO in persona del legale rappresentante p.t., n. c.

per l'annullamento

del provvedimento della Questura di Roma del 18/5/06, notificato in data 17/8/06, con il quale è stato rifiutato il permesso di soggiorno per asilo politico di tutti gli atti precedenti e consequenziali.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti tutti gli atti di causa;

Udita alla pubblica udienza del 7 luglio 2008 la relazione della Dott.ssa Stefania Santoleri, e udito, altresì, l’Avv. F. Romeo su delega dell’Avv. Stefano Romeo per la parte ricorrente.

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Il ricorrente, cittadino colombiano, ha chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato politico, dichiarando di essere stato perseguitato nel proprio paese di origine.

Con decisione del 12/7/06, notificata il 17/8/06, la Commissione Territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato, ha respinto la sua domanda.

In seguito a tale decisione, la Questura di Roma ha adottato il provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno per asilo politico, impugnato con il presente ricorso.

Avverso detto atto, il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di impugnazione:

1) Violazione di legge, in particolare del TU sull’immigrazione. Eccesso di potere per disparità di trattamento e ingiustizia manifesta.

Ritiene il ricorrente di essere in possesso dei requisiti per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno, disponendo di un lavoro e di un alloggio.

2) Violazione di legge, in particolare dell’art. 5, commi 4 e 5 della legge n. 40/98, dell’art. 5 del D.P.R. 136/90. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, disparità di trattamento, sviamento dei fini.

Ribadisce il ricorrente di essere in possesso dei requisiti per permanere nel territorio nazionale, non potendo rientrare nel paese di origine.

3) Violazione di legge, in particolare degli artt. 32 e 33 della L. 722/54 e dell’art. 17 della L. 40/98. Mancanza ed illogicità della motivazione.

Il ricorrente non potrebbe tornare nel proprio paese a causa delle pregresse persecuzioni.

4) Violazione degli artt. 7, 8 e 10 della L. 241/90 e dell’art. 32, comma 2, della L. 722/54.

Lamenta il ricorrente la violazione delle garanzie partecipative nel procedimento.

5) Violazione di legge, in particolare, dell’art. 32 comma 3 della L. 722/54.

Lamenta il ricorrente la mancata concessione del termine per recarsi in un altro paese disposto ad ospitarlo.

Insiste quindi il ricorrente per l’accoglimento del ricorso.

L’Amministrazione intimata non si è costituita in giudizio.

Con ordinanza n. 6225/06 questa Sezione ha respinto la domanda cautelare in considerazione del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

All’udienza pubblica del 7 luglio 2008 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente ritiene il Collegio di doversi pronunciare sulla questione relativa alla giurisdizione del giudice amministrativo in relazione all’impugnazione del provvedimento di diniego del permesso di soggiorno, in considerazione del mancato riconoscimento dello status di rifugiato politico da parte della competente Commissione.

Con riferimento all’impugnazione del provvedimento del Questore di Roma, questo Collegio aveva ritenuto, in sede cautelare, che la giurisdizione spettasse allo stesso giudice ordinario, aderendo all’orientamento del Consiglio di Stato (Cons. Stato Sez. VI 25/9/06 n. 5605; 29/11/05 n. 6761, 19/7/05 n. 3835).

La domanda cautelare era stata quindi respinta sul presupposto del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Ritiene però il Collegio di dover rivedere la propria affermazione alla luce dei pronunciamenti della Corte di Cassazione, Sezione Unite, in sede di regolamento di giurisdizione, nelle cui ordinanze ha dichiarato sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo (Cass. SS.UU. 27/3/08 n. 7933; ed altre conformi).

Secondo la Suprema Corte, il provvedimento del Questore di diniego del permesso di soggiorno nel caso di negazione da parte della competente Commissione dello status di rifugiato, non costituisce un atto meramente consequenziale ed indefettibile, tale da essere ricondotto alla giurisdizione del giudice cui spetta la cognizione sull'accertamento o la negazione del predetto status, ma postula il preventivo accertamento - sulla base dell'unica originaria domanda di protezione - della insussistenza delle condizioni ostative alla negazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La Cassazione ha chiarito che, in puntuale applicazione del disposto dicui al D..Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 10 [1], spetta al giudice amministrativo la giurisdizione sul diniego da parte del questore di rilascio del permesso di soggiorno disciplinato dall'art. 5 (a differenza di quello per motivi familiari contemplato dall'art. 30, che deve essere rilasciato in presenza delle specifiche situazioni ivi tassativamente previste), mentre il giudice ordinario è chiamato a verificare la legittimità dell'atto espulsivo, secondo il disposto dell'art. 13 dello stesso d.lgs.( v. tra le altre, più di recente, Cass. 2007 n. 22367; 2007 n. 19447; Cass. SS.UU. 2006 n. 22217).

Secondo la Cassazione tale giurisdizione deve essere coerentemente ravvisata in relazione al provvedimento del questore di rifiuto del permesso di soggiorno per motivi umanitari, dovendosi escludere l'immediata operatività del divieto di espulsione di cui all'art. 19, comma 1, del d.lgs. in esame[2] in difetto della valutazione politico-amministrativa della sussistenza delle ragioni di protezione.

Pertanto, l’atto è connotato da discrezionalità e la cognizione spetta al giudice amministrativo.

Può quindi passarsi ad esaminare le censure di merito.

Con il secondo, terzo e quinto motivo di ricorso, il ricorrente sostiene – in estrema sintesi – , l’illegittimità del provvedimento di diniego del permesso di soggiorno in conseguenza del rigetto della domanda di protezione come rifugiato, sostenendo che l’Amministrazione non avrebbe tenuto in alcun conto del pericolo che correrebbe rientrando nel paese di origine.

Sostiene, altresì, che l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare i rischi connessi al respingimento nel paese di origine, consentendogli - attraverso la concessione di un termine -, di trovare quantomeno un altro paese ospitante nel quale recarsi senza rischi per la propria persona.

In sostanza, il ricorrente, lamenta la carenza di motivazione del provvedimento del Questore il quale avrebbe respinto la sua domanda in via automatica, considerando il diniego di permesso di soggiorno per asilo politico come meramente consequenziale al diniego del riconoscimento dello status di rifugiato politico, senza considerare, invece, se potesse essere accolta la sua domanda tenendo conto della particolare situazione nella quale egli si sarebbe venuto a trovare una volta rientrato nel suo paese, e tenendo altresì conto del fatto che in Italia egli non sarebbe privo di mezzi di sostentamento.

La censura di difetto di motivazione deve essere condivisa, così come già ritenuto in precedenza dal Consiglio di Stato in una fattispecie analoga (Cons. Stato Sez. VI 17/5/06 n. 2868).

In quell’occasione, infatti, il Consiglio di Stato ha rilevato che ai sensi dell’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 286/1998, "In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione".

Il Consiglio di Stato ha poi richiamato l’art. 28, comma 1, lett. d), del d.p.r. n. 394/1999 secondo cui: "Quando la legge dispone il divieto di espulsione, il questore rilascia il permesso di soggiorno…per motivi umanitari, negli altri casi, salvo che possa disporsi l'allontanamento verso uno Stato che provvede ad accordare, una protezione analoga contro le persecuzioni di cui all'articolo 19, comma 1, del testo unico". Infatti, ai sensi dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286/1998, "Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano".

Sulla base di questi presupposti normativi, ha ritenuto che il diniego di rilascio del permesso di soggiorno, richiesto per asilo politico, non consegua automaticamente al mancato riconoscimento dello status di rifugiato politico, dovendo il Questore, verificare - ai sensi della normativa suindicata – la possibilità del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286/1998 e dell’art. 28, comma 1, lett. d), del d.p.r. n. 394/1999.

Inoltre, - secondo la già richiamata giurisprudenza del Consiglio di Stato - la mancanza di automatica consequenzialità tra i due atti, si desume chiaramente anche dal disposto dell’art. 5 del d.p.r. 15 giugno 1990, n. 136, il quale prevede che "Il richiedente al quale non sia riconosciuto dalla Commissione centrale di cui all'art. 2 lo status di rifugiato deve lasciare il territorio dello Stato, nel rispetto dei limiti di cui all'art. 7, comma 6, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39", ma "salvo che venga ad esso concesso un permesso di soggiorno ad altro titolo".

Ne consegue quindi che il Questore, prima di respingere la domanda di rilascio del permesso di soggiorno, è tenuto a svolgere la verifica sulla particolare situazione di fatto nella quale versa il richiedente, verificando l’insussistenza di elementi impeditivi all’espulsione o respingimento verso lo stato di appartenenza.

Poiché, nella fattispecie, il provvedimento risulta del tutto sprovvisto di motivazione sul punto, il ricorso deve essere accolto, salvi e riservati gli ulteriori provvedimenti che l’Amministrazione provvederà ad adottare.

Quanto alle spese di lite, sussistono giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

P. Q . M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione Seconda Quater -

Accoglie il ricorso in epigrafe indicato, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato nei limiti indicati in motivazione.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 luglio 2008.

Lucia Tosti PRESIDENTE

Stefania Santoleri ESTENSORE



Depositata in Segreteria l’8 ottobre 2008

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