La buona fede dell'importatore , a fortiori, essere ritenuta inesistente, laddove la dichiarazione non veritiera provenga dallo stesso importatore

Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile, Sentenza 2 marzo 2012, n. 3276

La buona fede dell'importatore - che, in via di principio va esclusa in ogni caso in cui l'errore incolpevole sia stato indotto dal fatto che l'autorita' doganale abbia ricevuto una dichiarazione non veritiera sulla provenienza e sulla qualita' della merce, senza effettuare alcuna contestazione, occorrendo, come detto, un comportamento attivo di detta autorita' (Cass. 7837/10) - deve, a fortiori, essere ritenuta inesistente, laddove la dichiarazione non veritiera provenga dallo stesso importatore.
IMPOSTE DOGANALI REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco - Presidente

Dott. BOGNANNI Salvatore - Consigliere

Dott. CAPPABIANCA Aurelio - Consigliere

Dott. DI BLASI Antonino - Consigliere

Dott. VALITUTTI Antonio - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19756/2009 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) SRL in persona dell'Amministratore Unico, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato MOCCI Ernesto, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega a margine;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 91/2008 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA, depositata il 16/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/01/2012 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l'Avvocato (OMISSIS), che si riporta e insiste per l'accoglimento;

udito per il resistente l'Avvocato (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto e deposita istanza persistenza interesse;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

PREMESSO IN FATTO

1. Con sentenza n. 91/08, depositata il 16.6.08, la Commissione Tributaria Regionale della Liguria accoglieva l'appello proposto dalla (OMISSIS) s.r.l. avverso la sentenza di primo grado con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti degli avvisi di rettifica, relativi al pagamento dei dazi doganali afferenti alla merce di temporanea importazione e di provenienza extracomunitaria (riso tailandese).

2. La CTR riteneva, infatti, che sussistessero - nel caso di specie - i presupposti per l'applicazione, a favore della (OMISSIS) s.r.l., dell'esimente comunitaria della buona fede dell'importatore, prevista dall'articolo 220, comma 2, lettera b) del codice doganale comunitario (Reg. CEE n. 2913/92, poi sostituito dal Reg. n. 450/08).

3. Avverso la sentenza n. 91/08 ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle Dogane affidato ad un unico motivo, al quale l'intimato ha replicato con controricorso. L'amministrazione ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

OSSERVA IN DIRITTO

1. In via pregiudiziale, va rilevato che risulta depositata in atti rituale istanza di trattazione del procedimento, sottoscritta dal legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l. ed autenticata dal difensore, in conformita' al disposto della Legge n. 183 del 2011, articolo 26 (modificato dal Decreto Legge n. 212 del 2011, articolo 14).

2. Cio' premesso, va rilevato che, con l'unico motivo di ricorso, l'Agenzia delle Dogane deduce la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973, articoli 1 e 2 e articoli 201, 202 e 220 del Reg. CEE n. 2913/92, applicabile ratione temporis, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3.

2.1. Nella specie, il giudice di appello - a parere della ricorrente - avrebbe, invero, del tutto erroneamente riconosciuto all'importatore l'esimente comunitaria della buona fede, ossia "in modo automatico, sulla base delle semplici asserzioni della parte interessata e senza una verifica in fatto della ricorrenza dei presupposti richiesti dalla normativa in materia", in palese violazione, dunque, ad avviso dell'amministrazione, dell'articolo 220, par. 2, lettera b del codice doganale comunitario.

3. Il motivo e' fondato e deve essere accolto.
  3.1. Dall'esame degli atti si evince, infatti, che la societa' (OMISSIS) s.r.l. nell'anno 2000 vincolava al regime del perfezionamento attivo - sistema della sospensione con compensazione per equivalenza ed esportazione anticipata, ex articoli 114 e 115 c.d.c. (codice doganale comunitario n. 2913/92) - riso di provenienza tailandese, importato, con tre distinte operazioni, in esenzione dal pagamento dei diritti doganali, poiche' in compensazione per equivalenza di similare riso comunitario prodotto dalla stessa (OMISSIS), ed anticipatamente esportato in Ungheria.

Con diversi avvisi di accertamento suppletivo e di rettifica, peraltro, il competente Ufficio doganale richiedeva all' (OMISSIS) s.r.l. il pagamento dei dazi afferenti alle merci importate, ritenendo applicabile, nella specie, il disposto dell'articolo 216 c.d.c.. Tale disposizione stabilisce che, nel caso di accordi conclusi tra la Comunita' europea e taluni Paesi terzi (nella specie l'Ungheria), che prevedono la concessione all'importazione in questi ultimi di un trattamento tariffario preferenziale, l'importazione delle merci non comunitarie (nel caso concreto, riso tailandese) incorporate in quelle esportate nei Paesi terzi - ed ottenute in regime di perfezionamento attivo ex articoli 114 e 115 c.d.c. - e' soggetta al pagamento dei relativi dazi doganali.

L'amministrazione delle Dogane riteneva, infatti, che siffatta disposizione, ancorche' nel suo tenore letterale appaia riferibile esclusivamente al caso in cui le merci non comunitarie siano state incorporate in un prodotto compensatore di origine comunitaria, tenuto conto del contesto in cui fu emanata e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte doveva, per contro, ritenersi applicabile anche al caso - ricorrente nella specie - di perfezionamento attivo con esportazione anticipata.

3.2. I suddetti atti impositivi venivano impugnati dalla societa' (OMISSIS) dinanzi alla CTP di Genova, che emetteva decisione sfavorevole alla contribuente.

Nel successivo giudizio di appello, instaurato dalla contribuente, la CTR della Liguria - preso atto del fatto che era insorta controversia tra le parti in ordine alla corretta interpretazione degli articoli 216 e 220 c.d.c. - formulava, in proposito, domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE, ai sensi dell'articolo 234 del Regolamento CE, sospendendo il giudizio in corso.

La Corte si pronunciava, quindi, con decisione n. 173/07, alla stregua della quale - per il suo carattere vincolante nell'ordinamento interno - la vicenda processuale deve essere, pertanto, valutata, dovendo, peraltro, rilevarsi che anche la successiva giurisprudenza sia comunitaria che nazionale - come in prosieguo si vedra' - si e' orientata in senso sostanzialmente conforme a tale sentenza.

4. Tutto cio' premesso, e' opportuno - a parere della Corte - soffermarsi preliminarmente sul primo dei profili suindicati, ossia quello attinente all'applicabilita' dell'articolo 216 c.d.c. al caso concreto, ancorche' risolto dalla menzionata pronuncia n. 173/07, potendo trarsi dal suo esame elementi chiarificatori dell'intera vicenda, indispensabili ai fini della decisione in ordine al motivo di ricorso dell'Agenzia delle Dogane, vertente essenzialmente sull'applicabilita' dell'articolo 220 c.d.c..

4.1. Ebbene, deve muoversi, al riguardo, dal rilievo che il codice doganale comunitario disciplina talune ipotesi di destinazioni doganali di merci (tipo di utilizzazione attribuito ad una merce nel momento in cui essa entra, esce, o si muove nel territorio doganale) senza effetto di imposta, costituite dai regime c.d. sospensivi, caratterizzati dalla temporaneita' o provvisorieta' dell'operazione avente ad oggetto una determinata merce. Tra tali destinazioni doganali esenti da imposizione rientra il c.d. regime di perfezionamento attivo, che - secondo il Reg. n. 2913/92 - puo' presentarsi in tre forme diverse.

Nella prima, c.d. sistema della sospensione, possono essere sottoposte a lavorazione nel territorio doganale della Comunita' europea, per far subire loro una o piu' operazioni di perfezionamento (quali la lavorazione o la trasformazione), merci non comunitarie destinate ad essere riesportate fuori del territorio doganale della Comunita', sotto forma di prodotti compensatori. Tali merci - non essendo destinate a permanere a titolo definitivo nel territorio comunitario, per esservi utilizzate o consumate - non sono soggette, pertanto, a dazi di importazione, ne' a misure di politica commerciale (articolo 114 c.d.c.).

La seconda forma di perfezionamento attivo, c.d. sistema della compensazione per equivalenza, consente che i prodotti compensatori possano essere ottenuti da "merci equivalenti", ossia da merci comunitarie utilizzate in luogo di quelle di importazione per la fabbricazione dei prodotti compensatori, purche' tali merci siano equivalenti a quelle extracomunitarie sotto il profilo tecnico e commerciale (articolo 115, n. 1, lettera a). La terza forma, infine, c.d. sistema dell'esportazione anticipata o EX/IM, autorizza l'esportazione fuori della Comunita' dei prodotti compensatori ottenuti da merci equivalenti, prima che vangano importate le merci di origine extracomunitaria (articolo 115, n. 1, lettera b).

In tutte e tre le forme suesposte, pertanto, il regime doganale di perfezionamento attivo si palesa - con tutta evidenza - finalizzato a promuovere le esportazioni di merci provenienti dalle imprese comunitarie. E tuttavia, e' del pari evidente che siffatta finalita' -conforme alla logica di sostegno dell'economia interna della Comunita' - non puo' in alcun caso porsi in contrasto con la prioritaria esigenza del rispetto degli obblighi internazionali, assunti - in base ad appositi accordo o trattati - dalla Comunita' Europea con Stati terzi.

4.2. Ed e' proprio in tale ultima prospettiva che si pone, pertanto, il disposto del menzionato articolo 216 c.d.c., la cui finalita' e' diretta appunto a garantire l'osservanza degli obblighi internazionali della Comunita' derivanti da taluni accordi preferenziali conclusi tra quest'ultima e taluni Paesi terzi. In forza di clausole dette di "non restituzione" o di "non ristorno", infatti, gli accordi in parola possono stabilire che, ove si tratti di prodotti compensatori ottenuti nella Comunita' in regime di perfezionamento attivo, l'applicazione del trattamento tariffario preferenziale che da tali accordi deriva e' subordinata al pagamento dei dazi di importazione relativi alle merci terze contenute o utilizzate nei prodotti in questione (C. Giust. CE, 173/07, 505/07).

Orbene, nel caso di specie, trova specifica applicazione l'accordo europeo che istituisce un'associazione tra le Comunita' europee ed i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Ungheria, dall'altra, sottoscritto a Bruxelles il 16.12.91, il cui protocollo n. 4 all'articolo 15, intitolato "Divieto di restituzione dei dazi doganali o di esenzione da tali dazi", cosi' dispone: "i materiali non originare utilizzati nella fabbricazione di prodotti originari della Comunita' (o dell'Ungheria, stante la bilaterale vincolativita' dell'accordo) (...) non sono soggetti, nella Comunita' o in Ungheria, ad alcun tipo di restituzione dei dazi doganali o di esenzione da tali dazi".

La presenza nell'accordo in parola di una delle clausole suindicate ha per effetto, pertanto, di paralizzare, nell'importazione, l'applicazione del trattamento tariffario preferenziale e di impedire, all'esportatore titolare di un'autorizzazione di perfezionamento attivo, di avvalersi del beneficio della sospensione dei dazi all'importazione di una merce' di origine terza utilizzata ai fini del perfezionamento, allorquando il prodotto compensatore e' esportato nel Paese partner (C. Giust. CE, 173/07).
4.3. Cio' posto, e' di tutta evidenza che l'interpretazione letterale del disposto dell'articolo 216 c.d.c., propugnata dall' (OMISSIS) s.r.l., secondo la quale dovrebbero ritenersi gravate di dazi doganali solo le merci terze "incorporate" in prodotti compensatori originari, e non anche quelle importate "a reintegro" di precedenti esportazioni di riso nazionale eseguite in Ungheria, finirebbe col produrre "la conseguenza di privare di effetto utile gli impegni internazionali della Comunita' derivanti dalla suddetta clausole di non ristorno e di attribuire al beneficiario di un'autorizzazione di perfezionamento attivo un cumulo di vantaggi doganali che il legislatore ha inteso evitare" (C. Giust. CE, 173/07; in senso conforme, v. pure C. Giust. CE, 505/07).

Basti considerare, al riguardo, che l'esportazione di beni comunitari, ove non soggetta al disposto dell'articolo 216 c.d.c. ed al conseguente rispetto delle clausole suindicate contenute negli accordi preferenziali ivi richiamati, potrebbe comportare per il contribuente anche i vantaggi consistenti nella restituzione (drawback) dei tributi indiretti assolti sulla merce nel corso delle fasi produttive.

4.4. La giurisprudenza comunitaria, e segnatamente la decisione emessa nel presente giudizio da C. Giust. Ce, n. 173/07, muove, per contro, da due specifici rilievi. Il primo, e' che, ai fini dell'interpretazione di una norma di diritto comunitario si deve tenere conto, non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e dello scopo perseguito dalla normativa di cui essa parte (conf. C. Giust. CE, 17.11.83, causa 292/82). Il secondo, e' che il primato degli accordi internazionali sui testi di diritto comunitario derivato impone di interpretare questi ultimi, per quanto possibile, in conformita' a tali accordi (conf. C. Giust. CE, 12.1.06, causa C-311/04, punto 25).

La Corte europea ne ha tratto, con riferimento al caso concreto, la conclusione che, fra lo scopo di promozione delle esportazioni delle imprese comunitarie cui mira il regime doganale del perfezionamento attivo, e quello di integrazione economica inerente agli accordi preferenziali, il legislatore, nell' adottare l'articolo 216 c.d.c., ha mostrato di voler dare la priorita' quest'ultimo. Ne discende che, secondo quanto stabilito - con riferimento alla fattispecie in esame dalla Corte di Giustizia - la norma di cui all'articolo 216 c.d.c. e' applicabile anche alle operazioni di perfezionamento attivo di cui all'articolo 115 n. 1, lettera b), nelle quali i prodotti compensatori sono stati esportati fuori dalla Comunita' anticipatamente rispetto all'importazione di merci di provenienza extracomunitaria (C. Giust. Ce, 173/07; conf. C. Giust. CE, 505/07).

5. A fronte di tale statuizione vincolante della Corte europea la (OMISSIS) - riassunto il giudizio dopo la sospensione per la decisione pregiudiziale della Corte di Giustizia - ha incentrato, pertanto, la sua difesa, accolta dalla CTR della Liguria, sull'applicabilita' nella specie dell'esimente comunitaria di cui all'articolo 220, n. 2, lettera b) c.d.c..

5.1. Secondo il giudice di appello - che sul punto ha accolto in pieno le deduzioni della contribuente - sussisterebbero, nel caso concreto, i presupposti per l'applicabilita' della norma in questione, atteso che la mancata sottoposizione della merce extracomunitaria ai dazi di importazione sarebbe dipesa, in buona sostanza, da errore imputabile alle stesse autorita' doganali ed, in particolare, alle incertezze interpretative nelle quali le stesse avevano per lungo tempo versato circa l'applicabilita', o meno, alla fattispecie, del disposto dell'articolo 216 c.d.c.. Sicche' non sarebbe stato, in concreto, possibile esigere dall'importatore - a parere della CTR - "quel grado di diligenza (...)che avrebbe potuto portarlo a valutare l'applicabilita' dell'articolo 216 c.d.c.".

5.2. Tale assunto del giudice di secondo grado, ad avviso della Corte, e' del tutto erroneo, e non puo', pertanto, essere condiviso.

5.2.1. Va premesso invero, al riguardo, che - nella decisione n. 1273/07 - la Corte europea, in ordine all'interpretazione dell'articolo 220 n. 2, lettera b) c.d.c., ha affermato il seguente principio: "quando, nell'appuramento di un'operazione di perfezionamento attivo (sistema della sospensione) con compensazione per equivalenza ed esportazione anticipata, le autorita' competenti non hanno mosso obiezioni, in base all'articolo 216 del regolamento n. 2913/92, cosi' come modificato dal regolamento n. 2700/2000, all'esenzione dai dazi all'importazione di merce di origine terza, queste debbono rinunciare alla contabilizzazione a posteriori di tali dazi all'importazione, ai sensi dell'articolo 220 n. 2, lettera b), di tale regolamento, nel momento in cui tre requisiti cumulativi sono presenti. In primo luogo, occorre che i dazi in questione non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorita' competenti medesime, inoltre, che l'errore di cui si tratta sia stato di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore che versi in buona fede e, infine, che quest'ultimo abbia rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana".

La Corte di Giustizia ha inteso, pertanto, stabilire che l'esenzione da imposta doganale sancita dall'articolo 220 n. 2, lettera b) c.d.c., che preclude la contabilizzazione a posteriori dell'obbligazione doganale in presenza di un errore dell'autorita' preposta e della buona fede dell'operatore, mira a tutelare il legittimo affidamento del debitore circa la fondatezza degli elementi che intervengono nella decisione di recuperare, o meno, i dazi doganali.

5.2.2. Se ne deve necessariamente inferire che - come questa Corte ha piu' volte avuto modo di chiarire, anche successivamente alla decisione comunitaria succitata - lo stato soggettivo di buona fede dell'importatore, richiesto dall'articolo 220, co. 2, lettera b) c.d.c., ai fini dell'esenzione dalla contabilizzazione a posteriori, non ha valenza esimente in re ipsa, ma solo in quanto sia riconducibile ad una delle situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va annoverato anche l'errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza. E tuttavia, tale errore, per assumere rilievo scriminante, deve essere in ogni caso imputabile a "comportamento attivo" delle autorita' doganali, non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dello stesso operatore (cfr. Cass. 15297/08, 13680/09, 7837/10; in tal senso, v. pure C. Giust. CE, n. 348/89, causa Mecanarte).

Inoltre, poiche' l'esimente comunitaria in esame presuppone la genuinita' delle certificazioni poste a fondamento della richiesta di esenzione, ossia la loro correttezza formale e sostanziale, incombe, in ogni caso, all'importatore che voglia fruire di detta esenzione, dimostrare l'esistenza cumulativa di tutti i presupposti indicati dall'articolo 220 c.d.c., mentre all'autorita' doganale incombe esclusivamente l'onere di allegare e dimostrare la irregolarita' delle certificazioni presentate, atteso che qualsiasi certificato che risulti inesatto autorizza il recupero dell'imposta a posteriori (Cass. 15297/08, 13680/09, 15547/10).

5.3. Orbene, nel caso concreto, - come si evince dallo stesso controricorso della (OMISSIS) s.r.l. - la societa' contribuente ha proceduto, con tre distinte operazioni, all'importazione di riso prodotto in Paesi non appartenenti alla Comunita' Europea (Tailandia), importato - con esenzione dai dazi doganali, poiche' in regime di perfezionamento attivo, sistema della compensazione per equivalenza con esportazione anticipata - "a reintegro" di precedenti esportazioni di riso nazionale eseguite in Ungheria, Paese - come dianzi detto - legato alla Comunita' da un accordo preferenziale.

E tuttavia, come si desume anche dalla sentenza di appello emessa dalla CTR della Liguria, a ciascuna partita di merce italiana in esportazione era allegato il relativo certificato EUR/1, "attestante l'origine comunitaria della merce" (cfr. controricorso, p. 2/45).

Ne discende che il cumulo di benefici fiscali che ne era risultato - cui la disposizione di cui all'articolo 220 c.d.c., mira ad ovviare - si palesa nella specie, men che imputabile a comportamento attivo dell'amministrazione doganale, piuttosto ascrivibile a condotta dello stesso importatore, avendo il medesimo allegato, alle dichiarazioni doganali per le esportazioni, documenti che attestavano l'origine comunitaria della merce esportata, invece che quelli attestanti la qualita' di merce oggetto di sospensione dei dazi, in forza del regime di perfezionamento attivo.

5.4. Ebbene, va rilevato in proposito che, con riferimento ad una vicenda del tutto analoga a quella oggetto della presente controversia, la Corte di Giustizia ha affermato che l'indicazione, nelle dichiarazioni di esportazione, di un codice di regime doganale erroneo, poiche' idoneo a designare l'esportazione di merci comunitarie, anziche' del codice per le merci oggetto di sospensione dei dazi in forza del regime di perfezionamento attivo, fa sorgere un'obbligazione doganale, conformemente all'articolo 203, n. 1 c.d.c. e all'articolo 865, comma 1, del regolamento n. 2454/93.

Ed invero, l'indicazione del codice di regime doganale che designa la riesportazione di merci oggetto del regime di perfezionamento attivo mira a garantire una vigilanza effettiva da parte delle autorita' doganali, mettendole in grado di identificare, sulla sola base della dichiarazione in dogana, la posizione delle merci interessate senza dover ricorrere a verifiche o a accertamenti ulteriori. In particolare - ad avviso della Corte europea l'indicazione di cui trattasi e' volta a consentire alle autorita' doganali di decidere, all'ultimo momento, di procedere ad un controllo doganale ai sensi dell'articolo 37, n. 1 c.d.c., vale a dire di verificare se le merci riesportate corrispondano effettivamente alle merci sottoposte al regime di perfezionamento attivo. Ne discende che, qualora l'indicazione del codice di regime doganale erroneo nelle dichiarazioni d'esportazione abbia erroneamente conferito alle merci di cui trattasi la posizione di beni di provenienza comunitaria incidendo, di conseguenza, direttamente sulla facolta' delle autorita' doganali di effettuare controlli ex articolo 37, n. 1 c.d.c., l'utilizzo dei codici in parola deve essere qualificato come "sottrazione" di tali merci alla vigilanza doganale, idonea a far sorgere un'obbligazione doganale, in forza della disposizione suindicata.

Tale erronea indicazione nella dichiarazione d'esportazione integra, peraltro, una violazione anche dell'articolo 78 c.d.c., che consente di procedere alla revisione della dichiarazione di esportazione delle merci al fine di correggere il codice di regime doganale loro attribuito dal dichiarante. Le autorita' doganali sono tenute infatti, da un lato, a verificare se le disposizioni che disciplinano il regime doganale considerato siano state applicate in base ad elementi inesatti o incompleti e se gli obiettivi del regime di perfezionamento attivo non siano stati messi in pericolo, nonche', dall'altro, ad adottare, eventualmente, le misure necessarie per regolarizzare la situazione. Il che e' ovviamente impedito dalla diversa qualificazione delle merci nella documentazione allegata alla dichiarazione di esportazione (cfr. C. Giust. CE, 14.1.10, cause riunite C-430/08 e C-431/08, Terex Equipment Ltd ed altri).

5.5. Alla stregua di tutti i rilievi che precedono, pertanto, risulta del tutto evidente - a parere di questa Corte - che la buona fede dell'importatore - che, in via di principio va esclusa in ogni caso in cui l'errore incolpevole sia stato indotto dal fatto che l'autorita' doganale abbia ricevuto una dichiarazione non veritiera sulla provenienza e sulla qualita' della merce, senza effettuare alcuna contestazione, occorrendo, come detto, un comportamento attivo di detta autorita' (Cass. 7837/10) - deve, a fortiori, essere ritenuta inesistente, laddove la dichiarazione non veritiera provenga dallo stesso importatore.

E cio', in special modo laddove quest'ultimo - per la sua qualita' di soggetto esercente professionalmente l'attivita' di importatore, come nel caso di specie la (OMISSIS) s.r.l. - abbia proceduto all'irregolare introduzione di merce in ambito comunitario, "sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare". Con la conseguenza che tale soggetto - nel caso concreto la societa' intimata - viene ad assumere in concreto la qualita' di debitore per la relativa obbligazione doganale, ai sensi dell'articolo 203, comma 3 c.d.c. (Cass. 11181/10).

Il motivo di ricorso in esame, pertanto, a parere della Corte, si palesa del tutto fondato e non puo' che essere accolto.

6. L'accoglimento della censura proposta dall'Agenzia delle Dogane comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell'esercizio del potere di decisione nel merito di cui all'articolo 384 c.p.c., comma 2, rigetta il ricorso introduttivo della societa' contribuente.

7. Le spese del presente grado del giudizio vanno poste a carico dell'intimata soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

accoglie il ricorso; cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla societa' contribuente; condanna l'intimata al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 3.000,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.
 

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