Revocabile il permesso di soggiorno se il contratto di lavoro è solo “di facciata”.

Con la decisione n. 4550 del 6 settembre 2005, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, affronta il delicato problema dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro rilasciati in seguito a domande presentate da datori di lavoro “di facciata”.
 
La vicenda prende avvio col rilascio dalla Questura di Caserta di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato ad un cittadino straniero, in osservanza del D.P.C.M. del 16 ottobre 1998.
Successivamente, il permesso viene revocato, perché il contratto di lavoro, sulla scorta del quale il permesso stesso era stato rilasciato, in realtà non è mai stato posto in esecuzione.
 
Va ricordato che il permesso per motivi di lavoro viene rilasciato in seguito alla presentazione di una domanda, corredata da contratto di lavoro, che a sua volta è efficace sotto la condizione sospensiva della concessione del permesso e sotto la condizione risolutiva di una positiva verifica da parte della competente Direzione Provinciale del Lavoro.
Il permesso, ai sensi dell’art. 5, comma 5, T.U. D.lgs. 286/98, viene revocato quando vengono a mancare i requisiti per l’ingresso e il soggiorno, quindi anche nel caso in cui, a seguito di verifiche, il rapporto di lavoro dedotto in contratto non venga instaurato.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.4550/2005             Reg.Dec.
N. 4270/2004  Reg.Ric.
    
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4270 del 2004, proposto dal signor Azizi Azzouz, rappresentato e difeso dagli avvocati Luca Ancona e Monica Battaglia, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Cunfida n. 20, presso lo studio dell’avvocato Monica Battaglia;
contro
la Questura di Caserta, in persona del Questore pro tempore, non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sez. I, 30 luglio 2003, n. 3669, e per l’accoglimento del ricorso di primo grado n. 2807 del 2001;
     Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
     Visti gli atti tutti del giudizio;
     Vista l’ordinanza n. 3643 del 30 luglio 2004, con cui la Sezione Quarta ha respinto la domanda incidentale formulata dall’appellante;
      Data per letta la relazione del Consigliere di Stato Luigi Maruotti alla pubblica udienza del 3 maggio 2005;
      Udito l’avvocato Monica Battaglia per l’appellante;
      Considerato in fatto e in diritto quanto segue:
Premesso in fatto
      1. In data 24 maggio 1999, la Questura di Caserta ha rilasciato al signor Azizi Azzouz un permesso di soggiorno in applicazione del D.P.C.M. 16 ottobre 1998.
     Col successivo decreto n. 33825 del 3 marzo 2001, il Questore ha revocato il permesso di soggiorno, rilevando che a suo tempo è stato presentato un contratto di lavoro, concluso solo per fargli ottenere il permesso di soggiorno.
     2. Col ricorso n. 2807 del 2001 (proposto al TAR per la Lombardia), il signor Azzouz ha impugnato il decreto del 3 marzo 2001 e ne ha chiesto l’annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere.
     Il TAR, con la sentenza n. 3669 del 2003, ha respinto il ricorso ed ha compensato le spese e gli onorari del giudizio.
     3. Col gravame in esame, il signor Azzouz ha impugnato la sentenza del TAR ed ha chiesto che, in su riforma, sia accolto il ricorso di primo grado.
     La Sezione, con l’ordinanza n. 3643 del 2004, ha respinto la domanda incidentale dell’appellante.
     Il Ministero dell’Interno non si è costituito nella presente fase del giudizio.
     3. All’udienza del 3 maggio 2005 la causa è stata trattenuta in decisione.
Considerato in diritto
     1. Con la sentenza impugnata, il TAR per la Lombardia ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante avverso il decreto di data 3 marzo 2001, con cui il Questore di Caserta ha revocato il permesso di soggiorno, rilasciatogli in data 24 maggio 1999.
      2. Col primo motivo del gravame, l’appellante ha dedotto che il decreto di revoca è stato emesso in violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, in quanto non è stato preceduto dalla comunicazione dell’avviso di avvio del relativo procedimento.
      3. La censura va dichiarata inammissibile, poiché è stata formulata per la prima volta nel corso del giudizio d’appello.
      4. Col secondo motivo, l’appellante ha criticato la motivazione della sentenza gravata ed ha lamentato un eccesso di potere sotto diversi profili e la violazione del D.P.C.M. 16 ottobre 1998.
      Secondo l’assunto, non sarebbero effettivamente sussistenti le circostanze poste a base del provvedimento di revoca, poiché:       - gli accertamenti effettuati dai carabinieri, e dopo i quali vi è stata la denuncia alla autorità giudiziaria, non avrebbero decisiva valenza probatoria, anche perché vi è stato un interrogatorio del signor Ca. Sa. in assenza del difensore e in violazione dell’art. 350 del codice di procedura penale;
      - il medesimo appellante non è stato sentito dai carabinieri né come indagato, né come persona informata dei fatti;
      - il D.P.C.M. 16 ottobre 1998 ha attribuito rilevanza alla promessa di assunzione, anche se il contratto di lavoro non fosse stato poi stipulato;
      - la eventuale ‘falsità’ del contratto di lavoro potrebbe risultare soltanto da una sentenza penale, con la conseguente questione di pregiudizialità penale.
      5. Ritiene la Sezione che tali censure – così riassunte e da trattare congiuntamente – siano infondate e vadano respinte.
      5.1. Sul piano normativo, va premesso che:
     a) per l’art. 3, comma 4, del decreto legislativo n. 286 del 1998, “con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri interessati e le competenti Commissioni parlamentari, sono definite annualmente, sulla base dei criteri e delle altre indicazioni del documento programmatico di cui al comma 1, le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato, per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo...”;
      b) per l’art. 3 del D.P.C.M. 16 ottobre 1998, “sino al 15 dicembre 1998, possono richiedere il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, anche a carattere stagionale o a carattere atipico, lavoratori stranieri già presenti in Italia prima della data di entrata in vigore della legge 6 marzo 1998, n. 40, previa presentazione alla Questura competente per territorio di apposita domanda corredata”, tra l’altro, da “un contratto di lavoro subordinato”, contenente “la sola condizione sospensiva della concessione del permesso di soggiorno” e soggetto alla verifica della “competente Direzione provinciale del lavoro”;
      c) per l’art. 5, comma 5, del medesimo decreto legislativo, “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili”;
      5.2. Ciò posto, dal sopra riportato art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 1998 emerge che va disposta la revoca del permesso di soggiorno, quando – a seguito delle verifiche – risulti che non sia stata svolta l’attività lavorativa, indicata nel contratto di lavoro, allegato alla originaria domanda poi accolta.
      Mentre la stipula di un contratto di lavoro chiaramente simulato, e dunque inefficace, può indurre all’annullamento in sede di autotutela del permesso di soggiorno, la mancata esecuzione del contratto di lavoro comporta la revoca del medesimo permesso.
     Nella specie, la revoca è stata disposta perché, malgrado la stipula del contratto di lavoro allegato alla originaria domanda, non è stata svolta in concreto la relativa attività lavorativa.
     Tale circostanza risulta ragionevolmente comprovata nel presente giudizio, ove si consideri che:
     - nel corso del giudizio (presso la Segreteria del TAR, in data 12 settembre 2001, nonché presso la Segreteria della Sezione), è stata depositata la documentazione redatta a cura della Direzione provinciale del lavoro di Caserta, che in data 13 giugno 2000 ha verificato gli esiti delle ‘promesse di assunzionè del signor Sa. Ca. (tra cui rientra quella riguardante l’appellante);
     - da tale documentazione – posta a base del contestato provvedimento di revoca - emerge che non vi è stato alcun successivo versamento contributivo o assicurativo;
     - l’appellante non ha contestato le risultanze delle verifiche poste in essere dalla Direzione provinciale.
     Pertanto, rilevando ai fini della revoca la circostanza obiettiva del mancato svolgimento dell’attività lavorativa, non hanno alcun rilievo in questa sede le modalità con le quali il medesimo signor Sa. Ca. è stato interrogato nel corso degli accertamenti, né la mancata convocazione dell’appellante da parte degli organi inquirenti o l’esito di un eventuale giudizio penale per i fatti accertati.
      6. Col terzo motivo, è dedotta la violazione dell’art. 5 del decreto legislativo n. 286 del 1998, perché la revoca del permesso di soggiorno non potrebbe essere disposta quando sia sopraggiunto un rapporto di lavoro, che sani la precedente situazione.
      7. La doglianza va respinta.
      Infatti, non risulta che l’appellante – prima della emanazione del contestato atto di revoca - abbia comunicato alla Questura di Caserta lo svolgimento di attività lavorative.
     Ne consegue che la Questura ha legittimamente disposto la revoca del permesso di soggiorno, sia perché una tale circostanza non è le risultata, sia perché essa poteva avere rilevanza solo ove le fosse risultato lo svolgimento di una attività lavorativa nel periodo preso in considerazione nel D.P.C.M. 16 ottobre 1998.
      8. Col quarto motivo, è lamentato un eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di motivazione, poiché la Questura del tutto apoditticamente avrebbe ritenuto che l’appellante tragga i propri mezzi di sussistenza da attività illecite.
     9. Anche tale censura va respinta.
     Il contestato provvedimento di revoca si è legittimamente basato sulla constatata mancata esecuzione del contratto di lavoro, esibito in allegato alla domanda di permesso di soggiorno.
     L’ulteriore considerazione del Questore – sulla assenza di legittime fonti di reddito dell’appellante – non costituisce una ragione giustificativa del provvedimento, né autonoma né connessa a quella conseguente alle obiettive risultanze degli accertamenti svolti, sicché non rileva in questa sede verificare se si sia trattata di una sua inattendibile valutazione.
     10. Per le ragioni che precedono, l’appello nel suo complesso risulta infondato e va respinto.
     Nulla per le spese e gli onorari del presente grado del giudizio, non essendosi costituita in giudizio l’Amministrazione appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello n. 4270 del 2004.
Nulla per le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 3 maggio 2005, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l’intervento dei signori:
Mario Egidio Schinaia  Presidente
Luigi  Maruotti  Consigliere estensore
Giuseppe Romeo   Consigliere
Luciano Barra Caracciolo Consigliere
Giuseppe Minicone  Consigliere 
Il Presidente
MARIO EGIDIO SCHINAIA 
Il Consigliere estensore                                                                     Il Segretario
LUIGI MARUOTTI                                                                        ANNAMARIA RICCI 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il   06/09/2005

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