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La moglie può ottenere dalla banca notizie sull’estratto conto del marito, da usare poi nella causa di separazione

La moglie che chiede e ottiene dalla banca notizie sull’estratto conto del marito, da usare poi nella causa di separazione, non viola alcuna norma sulla privacy. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione che, con ordinanza 31 agosto 2017, n. 20649, ha respinto sul punto il ricorso dell’uomo che chiedeva alla moglie i danni per avere invaso illecitamente il suo diritto alla riservatezza dei suoi dati personali. Secondo la Corte, infatti, si tratta di una richiesta legittima. (Fonte. Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 2017, 38, pg. 56, annotata da A.A. Moramarco)

Corte di Cassazione, Sezione 6 1 civile, Ordinanza 31 agosto 2017, n. 20649



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea - Presidente

Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere

Dott. ACIERNO Maria - Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:
 

ORDINANZA

sul ricorso 7694/2016 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS);

- ricorrente -

contro

(OMISSIS);

- intimata -

avverso l'ordinanza n. 1958/2015 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 28/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Modena, con sentenza 7 aprile 2014, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta da (OMISSIS) contro (OMISSIS), per avere illecitamente chiesto a (OMISSIS) e ottenuto notizie relative al proprio estratto conto, poi utilizzate nella causa di separazione personale nei confronti della (OMISSIS), in violazione della normativa in tema di tutela della privacy e della riservatezza. L'appello e' stato dichiarato inammissibile dalla Corte d'appello di Bologna, con ordinanza in data 28 dicembre 2015, perche' privo di una ragionevole probabilita' di essere accolto (articolo 348 bis c.p.c.).

(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, a norma dell'articolo 348 ter c.p.c., comma 4; la (OMISSIS) non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con un unico motivo la ricorrente ha denunciato l'errata interpretazione di imprecisate norme del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, in tema di privacy e trattamento dei dati sensibili.

Il ricorso e' inammissibile. Con l'ordinanza impugnata la Corte bolognese ha richiamato la motivazione del Tribunale, secondo la quale, nel richiedere informazioni o documenti alla banca, la (OMISSIS) non aveva violato alcuna norma di legge ne' aveva tenuto un comportamento fraudolento; la Corte ha anche ritenuto che l'attore non avesse offerto alcuna indicazione circa il danno subito.

Tanto premesso, con il ricorso per cassazione, il (OMISSIS) ha censurato soltanto la prima ratio decidendi, lamentando l'illiceita' del comportamento della convenuta (OMISSIS), ma non la seconda ratio, distinta ed autonoma, la quale e' da sola sufficiente a sorreggere il provvedimento impugnato.

Il ricorso e' inammissibile (v. Cass., sez. un., n. 7931/13 e 16602/2005).

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi.

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