Responsabilità medica: Guide e Consulenze Legali

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Chirurgia estetica e responsabilità medica

La responsabilità del sanitario ricorre quando questi non abbia adoperato tutta la prudenza, diligenza e perizia, dovute nel caso di specie.

Il medico, anche nell’ambito della chirurgia estetica, è tenuto ad una prestazione di mezzi e non di risultato. Egli, pertanto, assumendo l’incarico, non si impegna a raggiungere senz’altro l’esito sperato dal paziente bensì a conformare il proprio comportamento a quello del “buon professionista” adoperando prudenza, diligenza e perizia. Ne deriva che l’esito negativo di un intervento estetico non vale, automaticamente, a dimostrare la responsabilità del chirurgo e dunque a legittimare un risarcimento per il soggetto danneggiato. Come in ogni altro campo della medicina, la responsabilità del sanitario ricorre quando questi non abbia adoperato tutta la prudenza, diligenza e perizia, dovute nel caso di specie.

D’altra parte, la materia esula dal trattamento sanitario obbligatorio stabilito per legge e, per tali casi, la Costituzione - all’art. 32, 2° comma - stabilisce che nessuno possa essere sottoposto, contro la sua volontà, a qualsivoglia tipo di cura. Anche il codice civile all’art. 5 riconosce - sebbene indirettamente - il diritto dell’individuo a disporre del proprio corpo (purché non determini una diminuzione permanente dell’integrità fisica o atti che siano contrari alla legge, all’ordine pubblico ed al buon costume).

Tale duplice posizione è la conseguenza della peculiare natura della branca della chirurgia estetica che, in quanto tale, non ha uno scopo tout court curativo, ma è piuttosto volta al miglioramento delle imperfezioni meramente estetiche di una persona; è evidente, quindi, come questa disciplina chirurgica ben si presti ad essere considerata maggiormente come fonte di un’obbligazione di risultato, piuttosto che di mezzi, poiché, nel momento in cui il paziente si sottopone ad un intervento chirurgico, lo fa in vista dell’ottenimento di un determinato risultato estetico, e non certo per ottenere dal medico solo la rassicurazione che farà il possibile per raggiungerlo.

Ciò determina che l’orientamento della Giurisprudenza sul punto, comunque,  non è stato affatto univoco.

Infatti, un primo orientamento ha qualificato l’obbligazione del chirurgo estetico come di risultato; tale qualificazione aveva come necessario corollario l’onere in capo al chirurgo plastico di dimostrare di non aver commesso errori e di essere esente da colpa. In caso di prova contraria insoddisfacente, la colpa era considerata sostanzialmente presunta in capo al chirurgo. La qualificazione dell’obbligazione del chirurgo plastico (ovvero estetico) come obbligazione di risultato doveva, comunque, essere valutata alla luce delle più recenti innovazioni tecniche in materia; tanto è stato affermato da sentenze della Corte di Cassazione dei primi anni '90, secondo cui “nel contratto avente ad oggetto una prestazione di chirurgia estetica, il sanitario può assumere una semplice obbligazione di mezzi, ovvero anche una obbligazione di risultato, da intendersi quest'ultimo non come un dato assoluto ma da valutare con riferimento alla situazione pregressa ed alle obiettive possibilità consentite dal progresso raggiunto dalle tecniche operatorie”.

Un secondo orientamento della Corte di Cassazione - da reputarsi attualmente dominante - ha qualificato l’obbligazione del chirurgo estetico come obbligazione di  mezzi; in tale direzione la Corte di Cassazione ha statuito che “l'obbligazione del professionista nei confronti del proprio cliente, anche nel caso di intervento di chirurgia estetica, è di mezzi, onde il chirurgo non risponde del mancato raggiungimento del risultato che il cliente si attendeva e che egli non è tenuto ad assicurare, nell'assenza di negligenza od imperizia, fermo l'obbligo del professionista di prospettare al paziente realisticamente le possibilità dell'ottenimento del risultato perseguito”. È un intervento, questo della Corte di Cassazione, in linea con la rinnovata considerazione, anche solo a livello meramente sociale, di cui gode la chirurgia estetica come disciplina chirurgica e della sua valenza curativa  e non solo “cosmetica”, recepito anche dalla più recente giurisprudenza di merito. 

Tale questione, unita al peculiare rapporto che si instaura tra le parti, ha fatto sì attualmente il problema della responsabilità del chirurgo estetico si basa essenzialmente sulla problematica del  cd. “consenso informato” reso dal paziente. In questo modo, oltre alla posizione del paziente, anche quella del medico chirurgo risulta più concretamente tutelata: facendo rientrare tutte le prestazioni medico – chirurgiche nell’ambito delle obbligazioni di mezzi (orientamento, questo, già adottato dalla Suprema Corte a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 577/2008), non si esige che il medico guarisca il paziente, ma che s’impegni e si obblighi ad un comportamento che sia rivolto alla guarigione, o quantomeno al miglioramento delle condizioni dello stesso.

Alla luce di ciò, in adempimento al proprio dovere di informare correttamente il paziente e a tutela del consenso e della salute di quest’ultimo, il chirurgo plastico ha l’onere di tratteggiare in modo dettagliato il risultato che intende raggiungere a seguito dell’operazione, le modalità dell’intervento, e di prospettare realisticamente i rischi e le possibili conseguenze pregiudizievoli connesse all’intervento. Parimenti, il paziente ha l’onere di prestare la dovuta attenzione alle informazioni che gli vengono fornite, al fine di valutare l’opportunità di sottoporsi all’intervento, di cui andrà ad assumere consapevolmente il rischio prospettato dallo specialista, nell’esercizio della propria autonomia privata. È questo ciò che emerge sin dalle pronunce della Corte di Cassazione, secondo cui “è onere del chirurgo, prima di procedere a un'operazione, al fine di ottenere un valido consenso del paziente, specie in caso di chirurgia estetica, informare questi dell'effettiva portata dell'intervento, degli effetti conseguibili, delle inevitabili difficoltà, delle eventuali complicazioni, dei prevedibili rischi coinvolgenti probabilità di esito infausto”.

In questa casi, dunque, il consenso del paziente - più che in ogni altro caso - è obbligatorio e deve essere ottenuto a seguito di un’informazione corretta ed esauriente sotto ogni profilo, in particolare quello dei possibili esiti estetici negativi. La legittimità del trattamento estetico è pertanto subordinata ad una completa informazione del paziente ed alla acquisizione da parte del chirurgo della relativa accettazione.

Se il consenso non è regolarmente prestato, il medico può essere tenuto al risarcimento anche nel caso in cui l’intervento sia stato eseguito correttamente. Tale principio è stato ribadito dalla Cassazione - proprio in materia di danno estetico – in diverse sentenze recenti. Con esse, la Suprema Corte ha, infatti, riconosciuto la responsabilità del chirurgo sull’unico presupposto della mancanza d’informazione alla paziente nel caso di un intervento che - pur “eseguito a regola d’arte” – aveva creato delle vistose cicatrici sul corpo della paziente. Nei giudizi di merito, molto spesso, la condanna al risarcimento dei danni segue ad una CTU (consulenza tecnica d’ufficio) che abbia accertato l’utilizzo, da parte del sanitario, di tutta la prudenza diligenza e perizia richiesta dal caso, affermando l'inevitabilità dei postumi in riferimento allo specifico tipo di operazione . Ma questo, in mancanza di una corretta informazione del paziente, non è sufficiente ad escludere la responsabilità del sanitario.

In ordine al risarcimento del danno, sulla scorta della sentenza della Corte di Cassazione n. 18853 del 20.09.2004, il chirurgo estetico non è obbligato solamente al rimborso della somma corrisposta per l’operazione, ma anche a risarcire al paziente i danni nelle sue componenti sia patrimoniale sia non patrimoniale.

In relazione al danno patrimoniale, dovranno essere tenute in considerazione non solo le spese vive sostenute per effettuare l’intervento, ma anche le spese per eventuali menomazioni di tipo psicologico, qualora l'insuccesso dell'intervento estetico abbia causato uno stato tale di prostrazione psicologica da aver reso necessario il ricorso alle cure di un esperto. Sotto forma di lucro cessante dovranno essere risarciti, poi, sia  i guadagni che il paziente non ha potuto maturare in quanto degente, sia i profitti a cui questi ha dovuto rinunciare a causa della diminuzione della propria integrità psico-fisica.

In relazione al danno non patrimoniale, potrà trovare risarcimento la lesione dell’integrità psicofisica del paziente, così come risultante a seguito dell’esperimento di specifica consulenza tecnica, secondo specifici parametri di liquidazione comprensivi anche del cd. “danno estetico”.

Infine, nel caso si rendesse necessario un secondo intervento allo scopo di ridurre i danni provocati dal primo, potranno rilevare  una serie di ulteriori fattori quali, ad esempio, dal punto di vista patrimoniale,  il maggior onorario per il chirurgo e la nuova  degenza in clinica per il paziente, ovvero, dal punto di vista non patrimoniale, il nuovo possibile trauma psichico del paziente.

 

 

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