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AAlla luce della eliminazione della categoria di danno esistenziale come categoria autonoma di danno, non è risarcibile il danno da stress

Alla luce della eliminazione della categoria di danno esistenziale come categoria autonoma di danno, non è risarcibile il danno da stress sopportato dall’attore per i disagi patiti ai fini dell’ottenimento dell’annullamento in sede di autotutela di una cartella esattoriale. (Corte di Cassazione Sezione 3 Civile
Sentenza del 9 aprile 2009, n. 8703)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICHELE VARRONE - Presidente -

Dott. GIOVANNI BATTISTA PETTI - Consigliere -

Dott. GIOVANNI FEDERICO - Consigliere -

Dott. ANNAMARIA AMBROSIO - Rel. Consigliere -

Dott. RAFFAELLA LANZILLO - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 22639-2005-proposto da:

Agenzia delle Entrate, elettivamente domiciliata in Ro., Via De.Po. (...), presso gli uffici dell'Avvocatura Generale dello Stato, da cui è difesa per legge;

- ricorrente -

contro

(Omissis) elettivamente domiciliato in Ro., Via Sa. (...), presso lo studio dell'avvocato Gi.El., rappresentato e difeso dall'avvocato Gi.Fe.Al. giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1343/2005 della Giudice di Pace di CATANIA, emessa il 070/04/2005 depositata il 11/04/2005 R.G. 5577/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/03/2009 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. DOMENICO IANNELLI che ha chiesto l'accoglimento del 1° motivo del ricorso e l'assorbimento del 2° motivo;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 4-11-2004 (Omissis) conveniva in giudizio innanzi al giudice di pace di Catania l'Agenzia delle Entrate di Ca., per sentirla condannare al risarcimento dei danni morali e da stress, subiti a seguito delle lungaggini dell'iter burocratico affrontato per ottenere lo sgravio di somme non dovute. Precisava che aveva proposto istanza per l'annullamento della cartella esattoriale in data 17-2-2004, ottenendone l'accoglimento solo a sei mesi di distanza, dopo numerose richieste e reiterati solleciti, visite allo sportello e ingiustificati rinvii e dinieghi.

Resisteva l'Agenzia delle Entrate di Ca., la quale dedudeva, tra l'altro, la propria carenza di legittimazione passiva, in quanto ufficio periferico.

Con sentenza in data 7 aprile 2005, il giudice di pace di Catania dichiarava l'Agenzia delle Entrate di Ca. responsabile del danno non patrimoniale provocato al (Omissis) e, per l'effetto, la condannava al risarcimento dei danni, liquidati in via equitativa nella somma di Euro 300,00, nonché al pagamento delle spese processuali.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate, in persona del direttore, svolgendo due motivi, cui ha resistito (Omissis) depositando controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo parte ricorrente censura la decisione impugnata, nel punto in cui ha rigettato l'eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall'Agenzia delle Entrate di Ca., ritenendo il vizio sanato ex art. 156 c.p.c. a seguito della costituzione in giudizio dell'ufficio periferico.

A tal riguardo la ricorrente Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.156 co. 3, 166 e segg. c.p.c., 10 d.Lgs. n. 546/1992 e deduce l'"inesistenza giuridica" del soggetto convenuto in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c., lamentando che sia stata fraintesa la portata dell'eccezione, con la quale si sosteneva il difetto di legittimazione rispetto alla domanda risarcitoria, in considerazione del carattere eccezionale della norma di cui all'art. 10 d.Lgs. n. 546/1992 che, nella materia del contenzioso tributario, attribuisce la legittimazione agli uffici periferici, peraltro esclusivamente nelle fasi di merito.

Sulla base di tale premessa la ricorrente assume che l'Agenzia delle Entrate con sede in Ro. era l'unico soggetto destinatario della vocatio in ius e che l'evocazione in giudizio di un soggetto giuridico "inesistente ai fini del processo civile", quale l'ufficio periferico, si è concretata in una causa di nullità assoluta e insanabile.

1.2. Il motivo è infondato, ancorché la motivazione del giudice di pace debba essere integrata e rettificata ai sensi dell'art. 384 co. 4 c.p.c.

Parte ricorrente fa riferimento a un orientamento giurisprudenziale consolidato nel regime antecedente all'assunzione di operatività delle Agenzie delle Entrate che, fondandosi sul disposto degli artt. 10 e 11 del d.Lgs. n. 546 del 1992, limitava la legittimazione degli uffici periferici dell'amministrazione finanziaria ai soli giudizi innanzi alle commissioni tributarie, ritenendosi che, in difetto di speciale disciplina, riprendesse vigore la regola generale (art. 11 r.d. n. 1611 del 1933) che attribuiva al Ministero delle Finanze l'esclusiva legittimazione. Si tratta, però, di una ricostruzione della normativa rilevante in materia, che è stata rivista alla luce della nuova realtà ordinamentale, introdotta dal d.Lgs. 30-7-1999, n. 300 ed operativa, secondo il d.m. 28-12-2000 a partire dal 1 gennaio 2001, che ha comportato l'attribuzione delle funzioni statali concernenti i tributi erariali all'Agenzia delle Entrate, quale soggetto dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, rappresentata dal direttore (artt. 61 e 66 del cit. d.Lgs. n. 300). In particolare - come chiarito dalle SS.UU. - l'attribuzione agli uffici periferici dell'Agenzia della stessa capacità di stare in giudizio spettante, in base agli artt. 10 e 11 del d.Lgs. n. 546 del 1992, agli uffici finanziari che avevano emesso l'atto, comporta il conferimento ai medesimi uffici periferici della capacità di stare in giudizio, in via concorrente ed alternativa al direttore, secondo un modello simile alla preposizione institoria disciplinata dagli artt. 2203 e 2204 c.c., configurandosi detti uffici, quali organi dell'Agenzia che, al pari del direttore, ne hanno la rappresentanza ai sensi e agli effetti dell'art. 163 co. 2 n. 2 c.p.c. e degli artt. 144 e 145 c.p.c. (cfr. sentenza 14 febbraio 2006, n. 3116 in motivazione).

Senza ripetere qui gli argomenti svolti dalle SS.UU., condivisi dal Collegio e ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, val la pena di precisare che la ricostruzione del rapporto tra l'Agenzia e l'ufficio periferico negli schemi della procura institoria, con conseguente imputabilità all'ente pubblico preponente dell'attività posta in essere dal secondo, impone di riconoscere, secondo le regole stabilite in via generale dal codice di procedere civile, all'ufficio periferico la legittimazione processuale attiva e passiva, concorrente con quella dell'ente, anche nel processo innanzi al giudice ordinario, per i rapporti sorti dagli atti compiuti da detto periferico. Ed è ciò che è avvenuto nel caso di specie, in cui l'Agenzia delle Entrate di Ca. è stata evocata innanzi al giudice di pace, per il risarcimento di danni asseritamente provocati dal tardivo ritiro dell'atto impositivo da essa posto in essere.

2.1. Con il secondo motivo la ricorrente censura il merito della decisione impugnata, per avere ritenuto violato il divieto del neminem laedere, in considerazione della lunghezza dell'iter burocratico, durato sei mesi, con conseguente turbamento del "diritto alla tranquillità" del (Omissis) facendogli spendere tempo ed energie, tra visite "a vuoto" agli sportelli, richieste e reiterati solleciti, per dimostrare che la somma richiestagli non era dovuta.

In particolare la ricorrente - denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. - lamenta violazione di principio informatore del diritto per difetto del carattere dell'"ingiustizia" del danno, segnatamente evidenziando che l'annullamento in autotutela della P.A. non si configura come un obbligo dell'amministrazione e contestando, nel contempo, la violazione, dei criteri di ordinaria diligenza, avuto riguardo al limitato arco di tempo in cui intervenne il ritiro dell'atto impositivo.

2.2. Il motivo è fondato nei termini che seguono.

Come è noto le SS.UU., con quattro contestuali sentenze di contenuto identico (nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 in data 11-11-2008), hanno di recente proceduto ad una rilettura in chiave costituzionale del disposto dell'art. 2059 c.c., ritenuto principio informatore del diritto, come tale vincolante anche nel giudizio di equità, da leggersi - non già come disciplina di un'autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella di cui all'art. 2043 c.c. - bensì come norma che regola i limiti e, le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali (intesa come categoria omnicomprensiva, all'interno della quale non è possibile individuare, se non con funzione meramente descrittiva, ulteriori sottocategorie), sul presupposto dell'esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito richiesti dall'art. 2043 c.c., e cioè: la condotta illecita, l'ingiusta lesione di interessi tutelati dall'ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell'interesse leso.

In tale prospettiva la peculiarità del danno non patrimoniale viene individuata nella sua tipicità, avuto riguardo alla natura dell'art. 2059 cit., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge (e, quindi, ai fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno) ovvero ai diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria, con la precisazione in quest'ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l'interesse leso e non il pregiudizio conseguenzialmente sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave (e, cioè, superi la soglia minima di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale) e che il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario).

Ciò precisato, si osserva che, nella specie, non sussiste un'ingiustizia costituzionalmente qualificata, tantomeno si verte in un'ipotesi di danno patrimoniale prevista dal legislatore ordinario, risultando, piuttosto, la ritenuta lesione del "diritto alla tranquillità" insuscettibile di essere monetizzata, siccome inquadrabile in quegli sconvolgimenti quotidianità "consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro di insoddisfazione" (c.d. bagatellari) ritenuti non meritevoli di tutela risarcitoria (pag. 34 della sentenza n. 26972/2008).

In conclusione, il secondo motivo di ricorso va accolta e, ai sensi dell'art. 384 co. 2 c.p.c., la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, posto che, non essendo necessari accertamenti di fatto, va pronunciato nel merito e - in applicazione dei principi affermati dalle SS.UU. sopra richiamati - la domanda di risarcimento del (Omissis) va rigettata.

Le spese dell'intero processo vanno integralmente compensate tra le parti, avuto riguardo al rigetto del primo motivo, nonché alla relativa novità e alla natura delle questioni trattate con il secondo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo; cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, rigetta la domanda di Ro.Bo.; compensa interamente tra le parti le spese dell'intero processo.

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