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Ai fini dell'accertamento della penale responsabilità del medico per colpa omissiva, non può prescindersi dall’invididuazione del nesso causale oltre il ragionevole dubbio

Ai fini dell'accertamento della penale responsabilità del medico per colpa omissiva, non può prescindersi dall’invididuazione del nesso causale in base ad un giudizio contro fattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica universale, né tantomeno dall’individuazione di tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento lesivo: solo così sarà possibile analizzare appieno la condotta omissiva colposa del medico, e verificare così se l’evento lesivo, ipotizzata come realizzata la condotta dovuta, sarebbe stato evitato "al di là di ogni ragionevole dubbio”. (Corte di Cassazione Sezione 4 Penale, Sentenza del 11 marzo 2009, n. 10819)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROMIS Vincenzo - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. LICARI Carlo - Consigliere

Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere

Dott. MAISANO Giulio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) FE. AN., N. IL (OMESSO);

avverso SENTENZA del 20/06/2008 CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. ROMIS VINCENZO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. GALASSO Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Aosta condannava Fe. An. alla pena di mesi otto di reclusione per il delitto di omicidio colposo in danno di Sc. Pi., ritenendo provata la penale responsabilita' dell'imputato in ordine all'addebito di colpa professionale mossogli in relazione alla sua attivita' di medico convenzionato in servizio di Guardia Medica. Ad avviso del giudicante, il comportamento del dottor Fe. era stato caratterizzato da imperizia e negligenza, nonche' violazione della Legge Regionale Valle d'Aosta 20 agosto 1993, n. 70 e del codice deontologico approvato dal Comitato Centrale del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Medici il 3 ottobre 1998, articolo 3, avendo erroneamente valutato i sintomi relativi alla Sc. - copiosa emorragia dalla vagina ed episodi di perdita di coscienza - quali riferitigli telefonicamente da Cr. Re., presso la cui abitazione la Sc. si trovava, ed avendo omesso, in conseguenza di detta errata valutazione, di intervenire immediatamente o comunque nel piu' breve tempo possibile nonostante i sintomi riferiti dal Cr. fossero tali da imporre un pronto interevento che, se posto in essere, avrebbe evitato la morte della Sc..

A seguito di gravame ritualmente proposto nell'interesse dell'imputato, la Corte d'Appello di Torino confermava l'impugnata decisione, disattendendo le tesi difensive finalizzate a dimostrare l'assenza di qualsiasi responsabilita' del dottor Fe. e comunque la mancanza di prove in ordine alla sussistenza del nesso causale tra la condotta ascritta all'imputato ed il decesso della Sc..

Secondo la dinamica della vicenda, quale ricostruita dai giudici di merito, la mattina del (OMESSO) erano intercorse varie conversazioni telefoniche tra il Cr., il servizio "118" ed il Fe. : il Cr., nel descrivere i sintomi lamentati dalla Sc., aveva evidenziato che costei, sua ospite, rifiutava qualsiasi intervento sanitario o ricovero in struttura ospedaliera, e sarebbe di li' a poco rimasta sola in casa dovendo egli allontanarsi per recarsi al lavoro; la Corte d'Appello evidenziava che il dottor Fe., alla fine di detto iter telefonico, aveva acquisito la piena consapevolezza della gravita' della patologia da cui era affetta la Sc., ben superiore a quella inizialmente codificata, si era reso conto che avrebbe dovuto convincere la paziente a sottoporsi alle cure mediche ed aveva infine avuto la certezza che senza un suo intervento sul posto, ed una sua specifica richiesta, i responsabili del "118" mai avrebbero inviato un'ambulanza presso l'indirizzo dove si trovava la Sc., posto che costei, pur necessitando di un intervento urgente, aveva fatto sapere che rifiutava le cure.

Muovendo da queste premesse fattuali, la Corte distrettuale motivava il suo convincimento, circa la ritenuta colpevolezza del Fe., con argomentazioni che possono cosi' riassumersi: a) il Fe. si adagio' sull'impegno assunto dal Cr. il quale, facendo anche trasparire il proprio fastidio per la presenza della Sc. in quelle condizioni di salute presso la sua abitazione, aveva assunto l'impegno di cercare di convincere la donna a non rifiutare assistenza e terapie adeguate, aggiungendo che si sarebbe fatto sentire una volta acquisito il consenso della donna; b) il Fe. rimase inerte, nonostante il silenzio del Cr. si fosse protratto per ore, e pur nella consapevolezza della gravita' delle condizioni della donna che sapeva essere rimasta sola in casa; c) il Cr. aveva comunicato verso le 19,30 l'avvenuto decesso della Sc. ed il perito di ufficio aveva collocato l'ora della morte della donna intorno alle 15-15,30 di quello stesso giorno; d) secondo quanto riferito dal perito stesso, un tempestivo intervento, entro le 4 o 5 ore successive alla prima chiamata, con terapia infusionale, e successivamente anche trasfusionale, avrebbe avuto ottime probabilita' di esito favorevole "quoad vitam"; e) le esaustive e convincenti considerazioni del perito di ufficio rendevano superflua la nuova perizia sollecitata dall'appellante.

Ricorre per Cassazione l'imputato deducendo vizio motivazionale in ordine alla ritenuta colpevolezza con censure che possono cosi' sintetizzarsi: a) alcun addebito poteva essere mosso al Fe. posto che questi aveva compreso la gravita' delle condizioni della Sc., si era attivato presso la struttura sanitaria competente, non poteva abbandonare il servizio di cui era responsabile e non era stato informato della mancata telefonata del Cr.; b) la Corte di merito avrebbe del tutto apoditticamente disatteso le indicazioni del consulente della difesa sulla gravita' della malattia della Sc. e sulla ineluttabilita' dell'evento, non fornendo adeguata motivazione circa la ritenuta idoneita' della terapia ipotizzata dal perito di ufficio a scongiurare l'evento, limitandosi, in proposito, ad affermazioni apodittiche prive di concreti riscontri; c) proprio gli scarni elementi disponibili in ordine al nesso di causalita', avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale ad accedere alla richiesta difensiva di una perizia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Prima di procedere all'esame dei motivi di ricorso, talune precisazioni si impongono preliminarmente in tema di prescrizione del reato, essendo indispensabile verificare se sia o meno gia' maturato il termine massimo di prescrizione.

Il fatto in relazione al quale il Fe. e' stato condannato per il reato di omicidio colposo risulta avvenuto il (OMESSO); al Fe. sono state riconosciute le attenuanti generiche: per completezza argomentativa, mette conto sottolineare che il giudizio di prevalenza operato gia' dal giudice di primo grado "sulla contestata aggravante" (per come si legge nelle premesse della sentenza oggetto del ricorso) appare in verita' del tutto superfluo, posto che non e' dato ravvisare nell'imputazione, quale riportata dalla Corte d'Appello in sentenza, alcuna aggravante, non potendo considerarsi tale ne' la violazione della L.R Valle d'Aosta ne' la violazione del codice deontologico: le uniche violazioni di legge che rilevano, ai fini della configurabilita' dell'aggravante prevista dall'articolo 589 c.p., sono quelle della normativa antinfortunistica e delle norme sulla circolazione stradale. Trattandosi dunque di reato punito con pena edittale massima di cinque anni, ed avuto riguardo alla diminuzione per le concesse attenuanti generiche, il termine massimo di prescrizione e' pari a sette anni e mezzo, con termine di prescrizione, quindi, al 7 gennaio 2009. Tuttavia, dagli atti si rileva che nel corso del giudizio di primo grado vi fu un rinvio dall'udienza dell'11 marzo 2005 a quella del 13 maggio 2005 per impedimento dell'imputato dovuto a motivi di salute, con conseguente sospensione del corso della prescrizione per tale periodo (cfr. Sez. Un., n. 1021 del 28/11/2001 - dep. 11/01/2002 - Rv. 220509, imp. Cremonese) : di tal che, alla data odierna, la prescrizione (peraltro imminente) non si e' ancora verificata.

Cio' posto, va rilevata la fondatezza, nei termini che di seguito saranno precisati, del motivo di ricorso concernente la ritenuta sussistenza del nesso causale tra la condotta dell'imputato stesso e la morte della Sc..

La Corte d'Appello ha fondato il giudizio di sussistenza dei profili di colpa dell'imputato, sull'accertata condotta omissiva dello stesso per non essersi adeguatamente attivato, pur nella acquisita consapevolezza - sulla scorta dei sintomi descritti dal Cr. -della gravita' delle condizioni della Sc. (copioso sanguinamento dagli organi genitali, con episodi piu' o meno frequenti di perdita di coscienza) e dell'abbandono in cui la Sc. stessa si sarebbe poi venuta a trovare, avendo il Cr. comunicato che si sarebbe comunque recato al lavoro lasciando, dunque, la donna sola in casa; omissione poi protrattasi, come sottolineato dalla Corte, pur con il passare delle ore e nel perdurante silenzio del Cr. il quale aveva assunto l'impegno di tentare di convincere la Sc. a non rifiutare l'assistenza sanitaria. Orbene, il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale appare, sul punto, immune da vizi di illogicita' ed in sintonia con i principi enunciati in materia nella giurisprudenza di legittimita'. E', invero, indirizzo consolidato quello secondo cui l'instaurazione della relazione terapeutica tra medico e paziente e' la fonte della posizione di garanzia che il primo assume nei confronti del secondo e da cui deriva l'obbligo di agire a tutela della salute e della vita; vi fu certamente quindi da parte del Fe. la violazione di una regola cautelare, in relazione alla posizione di garanzia da lui assunta nei confronti della Sc..

Come detto, risultano invece fondate le doglianze relative alla ritenuta sussistenza del nesso causale.

Per un corretto inquadramento della problematica relativa all'accertamento del nesso di causalita', appare indispensabile soffermarsi preliminarmente, sull'evoluzione della giurisprudenza di legittimita' in materia, con specifico riferimento alla condotta omissiva in materia di colpa professionale medica.

In epoca meno recente e' stato talora affermato che a far ritenere la sussistenza del rapporto causale, "quando e' in gioco la vita umana anche solo poche probabilita' di successo.... sono sufficienti" (Sez. 4, n. 4320/83); in altra occasione si e' specificato che, pur nel contesto di una "probabilita' anche limitata", deve trattarsi di "serie ed apprezzabili possibilita' di successo" (considerandosi rilevante, alla stregua di tale parametro, una possibilita' di successo del 30%: Sez. 4, n. 371/92); altra volta, ancora, non aveva mancato la Suprema Corte di affermare che "in tema di responsabilita' per colpa professionale del medico, se puo' essere consentito il ricorso ad un giudizio di probabilita' in ordine alla prognosi sugli effetti che avrebbe potuto avere, se tenuta, la condotta dovuta..., e' necessario che l'esistenza del nesso causale venga riscontrata con sufficiente grado di certezza, se non assoluta...almeno con un grado tale da fondare su basi solide un'affermazione di responsabilita', non essendo sufficiente a tal fine un giudizio di mera verosimiglianza" (Sez. 4, n. 10437/93). In tempi meno remoti la prevalente giurisprudenza di questa Corte ha costantemente posto l'accento sulle "serie e rilevanti (o apprezzabili) possibilita' di successo", sull'"alto grado di possibilita'", ed espressioni simili (cosi', Sez. 4, n. 1126/2000: nella circostanza e' stata apprezzata, a tali fini, una percentuale del 75 % di probabilita' di sopravvivenza della vittima, ove fossero intervenute una diagnosi corretta e cure tempestive).

Alla fine dell'anno 2000 la Suprema Corte, in due occasioni (Sez. 4, 28 settembre 2000, Musto, e Sez. 4, 29 novembre 2000, Baltrocchi), ha poi sostanzialmente rivisto "ex novo" la tematica in questione procedendo ad ulteriori puntualizzazioni. In tali occasioni e' stato invero rilevato che "il problema del significato da attribuire alla espressione "con alto grado di probabilita'"....non puo' essere risolto se non attribuendo all'espressione il valore, il significato, appunto, che le attribuisce la scienza e, prima ancora, la logica cui la scienza si ispira, e che non puo' non attribuirgli il diritto"; ed e' stato quindi affermato che "per la scienza" non v'e' alcun dubbio che dire "alto grado di probabilita'", "altissima percentuale", "numero sufficientemente alto di casi", voglia dire che, in tanto il giudice puo' affermare che una azione o omissione sono state causa di un evento, in quanto possa effettuare il giudizio controfattuale avvalendosi di una legge o proposizione scientifica che "enuncia una connessione tra eventi in una percentuale vicina a cento....", questa in sostanza realizzando quella "probabilita' vicina alla certezza".

Successivamente (Sez. 4, 23/1/2002, dep. 10/6/2002, Orlando) e' stata sottolineata la distinzione tra la probabilita' statistica e la probabilita' logica, ed e' stato evidenziato come una percentuale statistica pur alta possa non avere alcun valore eziologico effettivo quando risulti che, in realta', un certo evento e' stato cagionato da una diversa condizione; e come, al contrario, una percentuale statistica medio-bassa potrebbe invece risultare positivamente suffragata in concreto dalla verifica della insussistenza di altre possibili cause esclusive dell'evento, di cui si sia potuto escludere l'interferenza.

E' stato dunque richiesto l'intervento delle Sezioni Unite in presenza del radicale contrasto che nel tempo si era determinato all'interno della giurisprudenza di legittimita' tra due contrapposti indirizzi interpretativi in ordine alla ricostruzione del nesso causale tra condotta omissiva ed evento, con particolare riguardo alla materia della responsabilita' professionale del medico-chirurgo: secondo talune decisioni, che hanno dato vita all'orientamento delineatosi piu' recentemente, sarebbe necessaria la prova che un diverso comportamento dell'agente avrebbe impedito l'evento con un elevato grado di probabilita' "prossimo alla certezza", e cioe' in una percentuale di casi "quasi prossima a cento"; secondo altre decisioni sarebbero invece sufficienti "serie ed apprezzabili probabilita' di successo" per l'impedimento dell'evento. Le Sezioni Unite si sono, quindi, pronunciate con la sentenza n. 30328 del 10/07/2002 (imp. Franzese), con la quale sono stati individuati i criteri da seguire perche' possa dirsi sussistente il nesso causale tra la condotta omissiva e l'evento, e sono stati enunciati taluni principi che appare opportuno qui sinteticamente ricordare: 1) il nesso causale puo' essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica -universale o statistica - si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento "hic et nunc", questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensita' lesiva; 2) non e' consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilita' espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiche' il giudice deve verificarne la validita' nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, cosi' che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresi' escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico e' stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilita' razionale" o "probabilita' logica"; 3) l'insufficienza, la contraddittorieta' e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio; 4) alla Corte di Cassazione, quale giudice di legittimita', e' assegnato il compito di controllare retrospettivamente la razionalita' delle argomentazioni giustificative - la c.d. giustificazione esterna - della decisione, inerenti ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base ad essi ed ai criteri che sostengono le conclusioni: non la decisione, dunque, bensi' il contesto giustificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nel ragionamento probatorio che fonda il giudizio di conferma dell'ipotesi sullo specifico fatto da provare.

Puo' dunque affermarsi che le Sezioni Unite hanno ripudiato qualsiasi interpretazione che faccia leva, ai fini della individuazione del nesso causale, quale elemento costitutivo del reato, esclusivamente o prevalentemente su dati statistici ovvero su criteri valutativi a struttura probabilistica, in tal modo mostrando di propendere, tra i due contrapposti indirizzi interpretativi sopra ricordati, maggiormente verso quello delineatosi in tempi piu' recenti.

L'articolato percorso motivazionale seguito nella sentenza Franzese, induce tuttavia a ritenere che le Sezioni Unite, nel sottolineare la necessita' dell'individuazione del nesso di causalita' (quale "condicio sine qua non" di cui agli articoli 40 e 41 c.p.) in termini di certezza, abbiano inteso riferirsi non alla certezza oggettiva (storica e scientifica), risultante da elementi probatori di per se' altrettanto inconfutabili sul piano della oggettivita', bensi' alla "certezza processuale" che, in quanto tale, non puo' essere individuata se non con l'utilizzo degli strumenti di cui il giudice dispone per le sue valutazioni probatorie: "certezza" che deve essere pertanto raggiunta dal giudice valorizzando tutte le circostanze del caso concreto sottoposto al suo esame, secondo un procedimento logico - analogo a quello seguito allorquando si tratta di valutare la prova indiziaria, la cui disciplina e' dettata dall'articolo 192 c.p.p., comma 2 - che consenta di poter ricollegare un evento ad una condotta omissiva "al di la' di ogni ragionevole dubbio" (vale a dire, con "alto o elevato grado di credibilita' razionale" o "probabilita' logica"). Invero, non pare che possa diversamente intendersi il pensiero che le Sezioni Unite hanno voluto esprimere allorquando hanno testualmente affermato che deve risultare "giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico e' stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilita' razionale" o "probabilita' logica".

Cio' detto, non resta ora che verificare se, nel caso che ne occupa, l'"iter" argomentativo seguito dai giudici di seconda istanza - posto a fondamento del convincimento della responsabilita' del dottor Fe. - sia in sintonia con i principi di cui sopra affermati dalle Sezioni Unite. La risposta e' negativa.

Il primo punto fermo che le Sezioni Unite hanno inteso ribadire - che peraltro ha rappresentato sempre, a prescindere dall'indirizzo interpretativo di volta in volta seguito, il necessario presupposto fattuale di partenza, ai fini dell'accertamento della penale responsabilita' del medico per colpa omissiva - e' che, nella ricostruzione del nesso eziologico, non puo' assolutamente prescindersi dall'individuazione di tutti gli elementi concernenti la causa dell'evento: solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, e' poi possibile analizzare la condotta (omissiva) colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l'evento lesivo sarebbe stato evitato "al di la' di ogni ragionevole dubbio". Orbene, al riguardo la motivazione fornita dalla Corte d'Appello di Torino con la sentenza impugnata - all'esame retrospettivo demandato a questa Corte circa la logicita' e razionalita' delle argomentazioni giustificative addotte dai giudici di seconda istanza a fondamento della propria statuizione - si presenta frammentaria, incoerente, nonche' illogica.

Innanzi tutto, non risulta ben definito e chiarito, in tutti i suoi aspetti, il quadro complessivo delle patologie, anche gravi, da cui era affetta la Sc., cirrosi epatica e pancreatite, specie per quel che riguarda la prevalenza dell'una rispetto all'altra dal punto di vista della gravita' "quoad vitam", e la riferibilita' del fenomeno emorragico all'una o all'altra.

La Corte d'Appello, ha ritenuto, alla fine del suo percorso argomentativo, di poter affermare la sussistenza del nesso di causalita' fondando tale giudizio sulle formulazioni del perito di ufficio quali: "il rischio di morte poteva essere ridotto con buona probabilita' nel caso di soccorso prestato tra l'immediatezza della prima chiamata e le quattro o cinque ore successive e cioe' anche dopo l'ultimo colloquio intercorso tra l'imputato ed il Cr. " (pag. 10 della sentenza); "l'emorragia era lenta, non a fiotti, ed avrebbe potuto essere pertanto tamponata con ottime probabilita' di sopravvivenza, ove l'intervento fosse stato tempestivo" (pag. 14 della sentenza).

Dunque, la Corte distrettuale - dopo aver ricordato anche le considerazioni del primo giudice il quale, sulla scorta delle indicazioni fornite dal perito di ufficio dott. Do., aveva ritenuto di poter affermare che una terapia infusionale iniziata in tempi giusti "avrebbe sicuramente evitato la morte" (cfr. pag. 8 della sentenza d'appello) - non solo ha del tutto omesso di sviluppare adeguatamente i concetti scientifici che, sulla scorta dei dati fattuali disponibili, avrebbero potuto suffragare il convincimento cosi' espresso dal Tribunale, ma, pur a fronte delle deduzioni dell'appellante, ha affermato (nella stessa pag. 8, nonche' a pag. 10 della sentenza) la sussistenza del nesso eziologico, avvalendosi delle conclusioni dello stesso perito di ufficio dott. Do. caratterizzate, pero', dal riferimento a quei parametri e criteri di probabilita' ("buone probabilita'", "ottime probabilita'") ritenuti invece inidonei dal piu' recente, ma ormai consolidato, indirizzo interpretativo di questa Corte avallato dalle Sezioni Unite; indirizzo che, anche in questa circostanza, si ritiene di dover ribadire con piena condivisione. Per confutare l'assunto difensivo, secondo cui allorquando il dottor Fe. fu contattato le condizioni della Sc. avevano raggiunto un livello di gravita' tale "da non consentire che l'intervento praticabile dall'imputato potesse impedirne o anche solo apprezzabilmente posporne la verificazione", la Corte di merito si e', infatti, come sopra gia' ricordato, cosi' conclusivamente espressa: "...il perito di ufficio ha evidenziato che il rischio di morte poteva essere ridotto con buona probabilita' nel caso di soccorso prestato tra l'immediatezza della prima chiamata e le quattro o cinque ore successive e cioe' anche dopo l'ultimo colloquio intercorso tra l'imputato e il Cr. " (pag. 10 della sentenza). Alla stregua di tutte le suesposte considerazioni, l'impugnata sentenza deve essere annullata, con rinvio, per nuovo esame, ad altra Sezione della Corte d'Appello di Torino che terra' conto dei principi di diritto e dei rilievi motivazionali di cui sopra.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Torino.

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