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Chi pretende il risarcimento del danno da tardiva assunzione da tardiva assunzione non può allegare la mancata percezione delle retribuzioni che si sarebbero potute percepire
Pubblicata il 11/03/2008
Sentenza del 14 dicembre 2007, n. 26282)
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Il Tribunale di Lecce condanno' il Comune di Meledugno al risarcimento dei danni subiti dal Ma. a causa della lesione del suo diritto all'assunzione come dipendente dell'ente - che l'attore assumeva essere avvenuta con illegittimo ritardo - comportante perdita di emolumenti, mancanza di assicurazione e sofferenze fisiche.
La domanda fu, invece, respinta, a seguito dell'appello del Comune, dalla Corte di Lecce, la quale - pur riconoscendo che il Ma. godeva del diritto soggettivo all'assunzione, che nella specie l'Amministrazione aveva posto in essere una disparita' di trattamento (sanzionata con l'annullamento degli atti ad opera del giudice amministrativo) e che, infine era indubbia la riconducibilita' all'ente dell'atto illegittimo - ha ritenuto che il Ma. non avesse provato il reale pregiudizio sofferto per effetto della ritardata assunzione, essendosi limitato ad allegare di avere svolto medio tempore saltuarie prestazioni lavorative, ad invocare l'onere dell'ente di provare l'aliunde perceptum, a chiedere la restituito in integrum sulla base del trattamento contributivo corrisposto dall'Amministrazione al dipendente assunto in sua vece.
Propone ricorso per cassazione il Ma. a mezzo di due motivi. Risponde con controricorso il Comune di Meledugno. Le parti hanno depositato memorie per l'udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione articoli 1223, 2043 e 2967 c.c.) il ricorrente sostiene che, nella specie, si sarebbe dovuto raggiungere la prova per via presuntiva o secondo l'id quod plerumque accidit, in quanto il danneggiante e' tenuto al risarcimento del danno che sia conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento.
Con il secondo motivo il Ma. pone in evidenza la contraddizione nella quale sarebbe incorsa la motivazione della sentenza impugnata, la quale, pur ritenendo mancante la prova del danno, ha poi escluso di poter liquidare il danno in via equitativa (il che presupporrebbe essere stato acquisito l'an del pregiudizio). Censura, comunque, la sentenza laddove esclude la possibilita' di ricorso alla liquidazione equitativa.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.
Occorre premettere che il primo grado del giudizio e' stato diretto ad "accertare e quantificare il danno economicamente apprezzabile conseguente alle mancate retribuzioni nonche' danno da omessa contribuzione, al netto di quanto percepito nel periodo 1980-1994, per le prestazioni saltuarie effettuate" (cfr. il ricorso nella parte espositiva del fatto). Fu cosi' che il primo giudice, espletata la CTU, in accoglimento della domanda del Ma., condanno' l'amministrazione a pagargli una somma di danaro che costituiva, appunto, il totale delle retribuzioni non percepite nel periodo di ritardata assunzione, nonche' a regolarizzare la sua posizione assicurativa per il periodo stesso.
La sentenza fu impugnata dal Comune (il quale, in sintesi, escludeva che fosse stata offerta la prova del danno ingiusto) ed, incidentalmente, dallo stesso Ma., il quale mirava a conseguire l'ulteriore somma (non riconosciutagli dal Tribunale) ottenuta a titolo di premio incentivante da colui che era stato illegittimamente assunto al suo posto.
La Corte d'appello, come s'e' visto, ha respinto la domanda, sul rilievo che il Ma. non avesse allegato, ne' dimostrato, di avere subito un danno a causa della ritardata assunzione, ma che si fosse limitato a chiedere la restituito in integrum, sulla base del trattamento retributivo corrisposto dall'Amministrazione al dipendente assunto in sua vece.
Giova pure ricordare che, nella causa in trattazione, le S.U. di questa Corte, con la sentenza del 16 marzo 1999, n. 142, hanno provveduto a regolare la giurisdizione a favore del giudice ordinario, enunciando il principio secondo cui, nei limiti della richiesta numerica proveniente dall'Amministrazione che intende procedere all'assunzione, il lavoratore iscritto nella lista speciale ed utilmente inserito nella graduatoria alla quale l'Ufficio di collocamento deve uniformarsi, vanta un vero e proprio diritto soggettivo all'avviamento in esecuzione della richiesta medesima; il lavoratore avviato per il tramite del collocamento pubblico, sebbene non divenga ipso facto titolare di un rapporto di lavoro con il soggetto richiedente e neppure della potesta' di richiedere l'esecuzione specifica dell'obbligo di quest'ultimo di concludere il relativo contratto, e' titolare, tuttavia, di un diritto soggettivo all'assunzione, la cui violazione da parte del soggetto richiedente (il quale, dovendo procedere alla sostituzione di uno dei giovani gia' assunti poi dimessosi, proceda alla richiesta di avviamento di un altro lavoratore, con provvedimento poi annullato dal giudice amministrativo) lo abilita - nei confronti del soggetto pubblico - alla domanda risarcitoria, la cui cognizione rientra nell'ambito della giurisdizione del giudice ordinario.
Per fornire risposta al ricorso in esame, ferma restando la configurabilita' di un diritto soggettivo all'assunzione (almeno secondo i presupposti di fatto e di diritto che regolano la vicenda trattata), resta, allora, da chiarire quale sia il danno risarcibile alla cui domanda e' abilitato il soggetto interessato.
Alla stregua del criterio del ed. petitum sostanziale la stessa sentenza regolatrice della giurisdizione, sopra menzionata, ha rilevato che oggetto di questa controversia non e' una situazione giuridica nascente da un rapporto di impiego gia' in atto, posto, le pretese del ricorrente sull'assenza di tempestiva costituzione di un rapporto siffatto. Il Ma., pur avendo, nell'atto introduttivo del giudizio, fatto un generico riferimento al risarcimento del danno derivatogli dalla lesione del suo diritto all'assunzione, con conseguente perdita di emolumenti, mancanza di assicurazioni e sofferenze psichiche (riferimento che, come s'e' detto, ha indotto la Corte regolatrice di attribuire la giurisdizione al giudice ordinario), ha poi indirizzato la prova (in particolare la CTU) all'accertamento della perdita economica derivatagli a causa del ritardo nell'assunzione, determinata nell'esatto ammontare di tutte le retribuzioni che in quel periodo gli sarebbero spettate e dei contributi ai quali avrebbe avuto diritto nel periodo medesimo, sostituendo in tutto la sua posizione a quella del dipendente che al suo posto era stato assunto, tanto da chiedere (inutilmente in primo grado) anche i premi incentivanti che quello aveva percepito. In estrema sintesi, egli ha indirizzato la causa (e cosi' pure l'ha coltivata in appello) come si trattasse di una controversia di lavoro tendente all'integrale ripristino di una situazione retributiva lesa, benche' non si fosse instaurato ipso facto un rapporto di lavoro con l'amministrazione (cfr. supra la sentenza regolatrice della giurisdizione).
E' per questo che, correttamente, la sentenza impugnata ha rilevato la mancata allegazione del danno ingiusto che, ai sensi dell'articolo 2043 c.c. abilita il soggetto, leso nel suo diritto all'assunzione, alla domanda risarcitoria. Danno che non consiste nella perdita di quelle retribuzioni, alle quali il Ma. non aveva diritto, per non essere stato assunto, ma che, in una fattispecie del genere, sarebbe riscontrabile in tutti quei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che avrebbero potuto costituire, in ipotesi, la ricaduta della violazione del diritto alla tempestiva assunzione. Si pensi, solo in via di esempio, alle spese eventualmente effettuate in vista dell'assunzione stessa, oppure al patema derivante dalla frustrante ed ingiusta situazione di transitoria disoccupazione, oppure, ancora, agli esborsi effettuati per intraprendere altre attivita' lavorative transitorie, poi abbandonate all'atto dell'assunzione da parte della P.A..
Tutti questi concetti il ricorrente dimostra di non averli affatto compresi, soprattutto laddove fa riferimento al danno patrimoniale da lucro cessante, senza rendersi conto che, secondo lo stesso significato lessicale, di siffatto danno puo' parlarsi laddove il lucro vi sia stato e sia cessato in conseguenza del fatto illecito; mentre in questo caso la mancanza di un rapporto di lavoro esclude che sia esistito un originario guadagno, derivante dal rapporto di lavoro con la P.A., cessato per fatto illecito della stessa (come nel diverso caso, correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, in cui si sia verificata l'illegittima interruzione di un rapporto di lavoro gia' perfezionato ed in corso).
Cosi' come e' inutile parlare di presunzioni o di chances, alle quali si fa ricorso, come tecnica liquidatoria del risarcimento, allorche' il danno sia individuato ed accertato, ma che invece non sono utilizzabili (come non e' utilizzabile, in genere, il ricorso alla liquidazione equitativa) in un caso come questo, in cui il danno aquiliano non e' stato neppure allegato.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con l'enunciazione del principio secondo cui: chi pretende il risarcimento del danno, ex articolo 2043 c.c. da tardiva assunzione conseguente a provvedimento illegittimo della P.A. non puo' allegare, a tale titolo (in particolare, sotto forma di lucro cessante), la mancata percezione delle retribuzioni che si sarebbero potute percepire e che sarebbero state versate per la contribuzione assicurativa in ipotesi di tempestiva assunzione, in quanto queste presuppongono l'avvenuto perfezionamento del rapporto di lavoro e rilevano sotto il profilo della responsabilita' contrattuale. Al contrario, l'attore deve allegare e dimostrare i pregiudizi di tipo patrimoniale e/o non patrimoniale che siano eventualmente derivati dalla condotta illecita che si assume essere stata causa del danno lamentato.
Sussistono i giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.