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E' infondata la pretesa ad un risarcimento per il ritardo nella corresponsione della prestazione, ulteriore a quello già attribuito a titolo di rivalutazione dell’indennizzo ed interessi

Il danno non patrimoniale deve essere risarcito non solo nei casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche nei casi di lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti (come la salute, la famiglia, la reputazione, la libertà di pensiero. E' quindi infondata la pretesa ad un risarcimento per il ritardo nella corresponsione della prestazione, ulteriore a quello già attribuito a titolo di rivalutazione dell’indennizzo ed interessi.



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Guglielmo SCIARELLI - Presidente

Dott. Federico ROSELLI - Rel. Consigliere

Dott. Guido VIDIRI - Consigliere

Dott. Stefano MONACI - Consigliere

Dott. Vincenzo DI NUBILA - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Ro.Pa.Lu., Mo.La., Ro.Lu. nella qualità di eredi di Ro.Ra. deceduto, già titolare dell'omonima Ditta, elettivamente domiciliati in Ro. Via Ge. (...), presso lo studio dell'avvocato Br.Ta., che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati Ma.Au.Ro., Na.Ga., giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro

I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Ro. via Iv.No. (...), rappresentato e difeso dagli avvocati Fr.Qu., Ad.Pi., giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 12/04 della Corte d'Appello di Torino, depositata il 28/01/04 R.G.N. 1444/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/01/07 dal Consigliere Dott. Federico ROSELLI;

udito l'Avvocato Za.Ed. per delega Ro. e Ga.;

udito l'Avvocato Za. per delega Pi.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pietro ABBRITTI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SENTENZA

Ritenuto che con sentenza del 28 gennaio 2004 la Corte d'appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Alessandria, rigettava l'opposizione proposta da Ra.Ro. contro il decreto ingiuntivo del 26 ottobre 1998, chiesto dall'Inail ed avente ad oggetto contributi assicurativi e sanzioni;

che ad avviso della Corte d'appello l'attività d'impresa svolta dal Ro. e consistente nella pulitura e rodiatura di metalli, ossia immersione in un liquido a base di rodio, andava classificata ai fini contributivi come propria delle aziende metallurgiche e chimiche e precisamente alle voci, di cui al d.m. 18 giugno 1988, n. 6281 (pulitura e sabbiatura) e n. 2172 (rodiatura), m quanto svolta per conto terzi ossia non inserita in una più ampia attività aziendale di oreficeria e gioielleria (voce 6252, pretesa dal contribuente);

che il termine di prescrizione del diritto dell'Inail ai contribuenti era iniziato a decorrere non già dalla data della denuncia di esercizio, come sostenuto dal contribuente, bensì dalla comunicazione dell'accertamento e liquidazione da parte dell'Istituto (artt. 44, terzo comma, e 112, secondo comma, d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124);

che quanto alle sanzioni civili, non poteva trovare applicazione l'art 116, comma 16, l. 2000 n. 388;

che contro questa sentenza ricorrono per cassazione gli eredi del Ro. mentre l'Inail resiste con controricorso;

che i ricorrenti hanno depositato memoria.

Considerato che col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 1124 del 1965 e del d.m. 18 giugno 1998, sostenendo che la Corte d'appello avrebbe dovuto qualificare fattività di rodiatura, consistente nel rendere più lucente il metallo, come "lavorazione di oggetti preziosi" anche sulla base della prova testimoniale ed in considerazione del rischio infortunistico da essa comportato;

che col secondo motivo il ricorrente, sostenendo la violazione del d.m. cit., dell'art. 3 l. n. 241 del 1990 nonché vizi di motivazione, ritiene che l'illegittimità del provvedimento Inail di classificazione per difetto di prova doveva considerarsi pacifica per difetto di contestazioni dell'Istituto; che, i due motivi, da esaminare insieme perché connessi, non sono fondati;

che il ricorrente sottopone alla Corte la questione se, ai fini della contribuzione Inail e precisamente della classificazione dell'impresa contribuente ai sensi del d.m. cit., un'attività (di pulitura e lucidatura di metalli) eseguita per conto terzi ossia senza essere inserita in una più ampia attività aziendale (di lavorazione di metalli preziosi o di oreficeria), debba essere classificata secondo le distinte e specifiche voci espressamente contenute nella tabella del d.m. oppure nella voce corrispondente all'attività più ampia;

che la risposta nel primo senso, data dalla sentenza impugnata, è manifestamente esatta, giustificandosi la formulazione di distinte voci, corrispondenti a specifiche attività astrettamente inseribili in un'attività più ampia così come il meno è comprensibile nel più, appunto per i casi in cui l'imprenditore esplichi in concreto solamente quelle attività;

che questa questione e relativi accertamenti di fatto costituivano l'unico tema disputato, su cui perciò non era ravvisabile alcun difetto di contestazione da parte dell'inail;

che la valutazione di pericolosità delle dette attività era invece al di fuori della disputa processuale giacché compiuta preventivamente dall'autorità amministrativa in sede di redazione della tabella; né il ricorrente indica ora, come avrebbe dovuto ai sensi dell'art. 366 n. 3 cod. proc. civ., con quale atto egli avrebbe sollevato davanti ai giudici di merito la questione della pericolosità, ossia dell'illegittimità della tabella;

che col terzo motivo egli deduce la violazione dell'art. 112 d.P.R. cit., per avere la Corte d'appello fissato decorrenza della prescrizione del credito contribuito con riferimento alla comunicazione della pretesa dell'Inail invece che, come dovuto, al precedente momento di denuncia dell'esercizio di impresa da parte del contribuente;

che il motivo non è fondato poiché la misura dei contributi assicurativi deve essere calcolata dall'Istituto creditore in relazione alle caratteristiche del caso concreto onde il credito diviene esigibile solo dopo il calcolo e con riferimento a questo va fissato l'exordium praescriptionis (Cass. 24 marzo 1987 n. 2849, ottobre 1989 n. 4334);

che col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 10, 15, 16 l. n. 388 del 2000 per mancata riduzione delle sanzioni civili, ivi prevista;

che neppure questo motivo è fondato poiché, trattandosi di fotti anteriori al 1998 e vigendo nella materia delle sanzioni non penali il principio tempus regit actum la legge invocata non poteva essere applicata retroattivamente (Cass. Sez. un. 7 marzo 2005 n. 4808);

che, rigettato il ricorso, le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in euro 15,00, oltre ad euro duemila per onorario, nonché spese generali ed accessori.

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