Responsabilità medica: Guide e Consulenze Legali

Hai subito un errore medico?

Ottieni il giusto risarcimento del danno
a Zero rischi e Zero spese

È risarcibile il danno non patrimoniale per chi abita in zone colpite da disastri ambientali

È risarcibile il danno non patrimoniale ravvisato nel patema d'animo indotto di ognuno dei cittadini dalla preoccupazione per il proprio stato dì salute, dopo la consumazione del reato di cui all'art. 449 c.p., in quanto si configura come delitto colposo di pericolo presunto a carattere plurisoggettivo che incide sull'ecosistema e sulla sfera personale di chi è entrato in relazione con l'area inquinata.
(Corte di Cassazione Sezione 3 Civile, Sentenza del 13 maggio 2009, n. 11059)



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto - Presidente

Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere

Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere

Dott. AMATUCCI Alfonso - rel. Consigliere

Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 2784/2007 proposto da:

IC. IN. CH. ME. SOC AZIONARIA IN LIQ, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PREVESA 11, presso, lo studio dell'avvocato SIGILLO' ANTONIO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato LENSKI EVA;

- ricorrente -

contro

DO. GI. , DO. MA. , CA. SA. , elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COL DI LANA 11, presso lo studio dell'avvocato D'INZILLO CARLO, rappresentati e difesi dall'avvocato BORASI FRANCESCO giusta procura speciale per Notaio NICOLA DE SANCTIS in Seveso 13/03/2007 rep. 1292;

- controricorrenti -

e contro

CA. CL. , (E ALTRI OMISSIS)

- intimati -

avverso la sentenza n. 2829/2005 della CORTE D'APPELLO di MILANO, 2 SEZIONE CIVILE, emessa il 05/10/2005, depositata il 10/12/2005; R.G.N. 3492/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/04/2009 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l'Avvocato E'VA LENSKI; udito l'Avvocato FRANCESCO BORASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Nel luglio del 1995 An.An. ed altre 85 persone residenti in prossimita' dell'impianto produttivo dell' IC. s.p.a. di (OMESSO) dal quale, in data (OMESSO), era fuoriuscita una nube tossica composta da diossina, convennero in giudizio la predetta societa' in liquidazione chiedendone la condanna - per quanto in questa sede interessa - al risarcimento del danno morale.

La convenuta resistette.

Con sentenza n. 7825/03 l'adito tribunale di Milano rilevo' tra l'altro che era intervenuta condanna per il reato di disastro ambientale di cui all'articolo 449 c.p., nei confronti di soggetti del cui fatto la convenuta era civilmente responsabile e la condanno' a pagare a ciascuno degli attori la somma di euro 5.000,00, liquidata all'attualita', compensando le spese.

2.- La societa' soccombente propose appello, dolendosi che la domanda fosse stata accolta nonostante la mancanza di prova circa la sussistenza di un danno effettivo, in subordine sostenendo che la liquidazione era stata eccessiva.

Il gravame, cui avevano resistito gli attori, e' stato respinto dalla corte d'appello di Milano con sentenza n. 2829 del 2005, che ha anche condannato l'appellante alle spese del grado.

3.- Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la IC. s.p.a. in liquidazione sulla base di sette motivi, illustrati anche da memoria, cui resistono con unico controricorso Ca.Sa. , Do. Gi. e Do.Ma. , i quali hanno rilasciato procura speciale in calce al controricorso.

Gli altri 77 intimati indicati non hanno svolto attivita' difensiva, non essendo valida la procura richiamata in controricorso, rilasciata per il giudizio di merito e dunque priva del requisito di specialita'.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i sette motivi di ricorso la sentenza e' rispettivamente censurata:

a) per violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2729 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., laddove aveva posto a base della decisione un'inesatta nozione di fatto notorio, violando anche le norme sulle presunzioni semplici e finendo col considerare notorio il danno stesso, che era invece il fatto da provare;

b) per violazione e falsa applicazione dell'articolo 2729 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., nonche' per omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo nella parte in cui aveva ritenuto che dal fatto notorio della sottoposizione dei residenti nell'area contaminata a controlli sanitari ed a prescrizioni di comportamento potesse "certamente inferirsi, secondo l'id quod plerumque accidit, che in ciascuno dei soggetti anzidetti si sia determinato quel patema d'animo, ovvero quello stato di preoccupazione per la propria salute (esposta a pericolo di disastro ambientale, e quindi di turbamento, di tensione e di ansia - transeunte ancorche' duraturo - che viene a configurare il danno morale" (pagina 9 della sentenza); si sostiene che in tema di prova per presunzioni il fatto ignoto da accertarsi deve profilarsi come la sola conseguenza logicamente possibile del fatto noto, o quantomeno in termini di ragionevole certezza e non di mera possibilita';

c) per violazione e falsa applicazione dell'articolo 2727 c.c., per avere, in violazione del divieto del praesumptum de praesumpto, dedotto in via presuntiva che danno vi fosse stato dalla presunzione che dai controlli sanitari fossero derivati agli attori "evidenti timori sia per la propria salute che per quella di soggetti diversi..." (pagina 6 della sentenza);

d) per violazione e falsa applicazione degli articoli 2059 e 2697 c.c., per aver identificato il danno con la lesione dell'interesse, senza considerare che il danno, anche quello non patrimoniale, non e' mai configurabile in re ipsa, ma e' pur sempre conseguenza del fatto, che va dunque provato, e va inoltre personalizzato, come precisato nel precedente specifico costituito da Cass. sez. un., n. 2515/02;

e) per violazione e falsa applicazione dell'articolo 81 c.p.c., laddove, mediante il rilievo conferito alla notorieta' degli inconvenienti in cui era incappata "tutta la popolazione residente nelle zone circostanti lo stabilimento IC. ", dato in realta' ingresso ad una class action, ignota al nostro ordinamento, dove invece vige il principio secondo il quale, fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno puo' far valere in nome proprio un diritto altrui;

f) per violazione e falsa applicazione degli articoli 2059, 2043 e 2697 c.c., giacche', affermando che il fatto avrebbe determinato riflessi nella vita sociale e di relazione degli attori per i controlli sanitari cui sarebbero stati sottoposti per dieci anni con conseguenti limitazioni del normale svolgimento della vita, la Corte territoriale avrebbe in realta' riconosciuto non il danno morale, che per sua natura consiste in un transeunte perturbamento, ma il danno "esistenziale", che consistendo in un non facere esteriore, va piu' rigorosamente provato;

g) per violazione e falsa applicazione degli articoli 1223, 1226, 2056 e 2059 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione alla quantificazione uniforme del danno per tutti gli attori nel riconosciuto difetto di elementi per una differenziazione delle varie posizioni, a conferma della carenza di prova sopra rilevata ed a rivelazione di una carenza di motivazione in punto di effettuata liquidazione equitativa.

2.- Le censure, che possono essere congiuntamente esaminate per la connessione che le connota, sono tutte infondate.

La corte d'appello ha dato analiticamente conto (alle pagine 5, 6 e 7 della sentenza impugnata) delle ragioni che avevano indotto il tribunale all'accoglimento della domanda, espressamente riferendo che tutti coloro, come gli attori, che risiedevano nelle zone delimitate come "B" ed "R", come risulta dalla documentazione prodotta (cosi', testualmente, a pagina 5) vennero sottoposti, in quanto soggetti a rischio, a ripetuti controlli sanitari, sia nell'immediatezza dell'evento sia successivamente, per parecchi anni, almeno fino al 1984. Lo stesso concetto e' nuovamente espresso a pagina 9, capoverso, dove si afferma essere notorio e comunque documentato che i controlli interessarono anche specificamente gli attori/appellati, nessuno di essi escluso.

Il fatto da cui la corte ha preso le mosse per la configurazione del danno non patrimoniale in capo agli attori (ravvisato nel patema d'animo indotto in ognuno dalla preoccupazione per il proprio stato di salute) e' stato dunque ritenuto, al di la' del riferimento al notorio, documentalmente provato, sicche' manca il presupposto stesso delle censure mosse alla sentenza con i primi tre motivi.

Per il resto la sentenza e' del tutto conforme a diritto dove afferma che il danno non patrimoniale consistente nel patema d'animo e nella sofferenza interna ben puo' essere provato per presunzioni e che la prova per inferenza induttiva non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l'unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilita' del determinarsi dell'uno in dipendenza del verificarsi dell'altro secondo criteri di regolarita' causale.

Ne' e' stata fatta confusione di sorta tra interesse leso e danno derivatone, avendo la corte d'appello chiarito che il tribunale - in linea con la richiamata Cass., sez. un., n. 2515/02 - aveva ritenuto che l'articolo 449 c.p., prevede un delitto colposo di pericolo presunto a carattere plurioffensivo, in quanto incidente sia sul bene pubblico immateriale ed unitario dell'ambiente che sulla sfera individuale dei singoli soggetti che si trovano in concreta relazione con i luoghi interessati dall'evento dannoso in ragione della loro residenza o frequentazione abituale; sicche' l'interesse nella specie leso e' quello rafforzato, e niente affatto adespota, proprio dei soggetti che si siano trovati, come tutti gli attori, in particolare relazione con l'ambiente inquinato da sostanze altamente tossiche. Da tale relazione e' derivato il patema d'animo e la preoccupazione che la corte ha correttamente ritenuto costituire danno non patrimoniale risarcibile in quanto derivante da reato.

E tanto evidenzia l'infondatezza del quarto e del quinto motivo.

Quella del sesto discende dai principi recentemente enunciati da Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, che ha escluso l'autonomia della categoria del cosiddetto danno esistenziale, al contempo chiarendo che nell'ipotesi in cui il fatto illecito si configuri come reato il danno non patrimoniale e' risarcibile nella sua piu' ampia accezione di danno determinato da lesioni di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica; che la sofferenza morale cagionata dal reato non e' necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo, assumendo rilievo la sua durata ai fini della quantificazione del risarcimento; che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula "danno morale" non individua un'autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in se' considerata; che, in conclusione, e' compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore uomo si siano verificare.

Comunque li abbia qualificati, la corte d'appello ha appunto risarcito tutti i pregiudizi che ha ragionevolmente ritenuto derivati dal reato, in linea con gli enunciati principi.

L'infondatezza del settimo motivo, infine, e' connessa al rilievo che la corte d'appello ha ritenuto che, alla luce degli elementi che hanno caratterizzato la vicenda in questione (gravita' del fatto e delle sue possibili conseguenze per la salute della popolazione residente nell'area inquinata, lungo periodo per cui si sono protratti i controlli di laboratorio ed il regime di vigilanza) l'importo di euro 5.000 liquidato in via equitativa in favore di ciascuno degli attori corrispondesse ad una valutazione prudenziale, "se non addirittura minima" del danno morale in questione (a pagina 10 della sentenza, sub 2.3.). Il che non altro significa che, secondo l'apprezzamento di fatto compiuto dal giudice di merito con motivazione senz'altro adeguata, in nessun caso potesse ipotizzarsi, per ognuno, una valutazione equitativa del danno inferiore a quell'importo.

3.- Il ricorso e' respinto.

Le spese (in favore dei tre intimati che hanno depositato controricorso) seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in euro 2.200,00, si cui 2.000,00, per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

INDICE
DELLA GUIDA IN Responsabilità medica

OPINIONI DEI CLIENTI

Vedi tutte

ONLINE ADESSO 707 UTENTI