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Il conduttore abbia mutato la destinazione dell'immobile non è responsabile nei confronti del terzo che abbia subito danni derivati dalle strutture murarie dell'immobile o dagli impianti in esse conglobati

La circostanza che il conduttore abbia adibito l'immobile ad un uso diverso da quello pattuito, con la consapevole tolleranza del locatore, non è da sola sufficiente a far sorgere una responsabilità di quest'ultimo nei confronti del terzo che da tale nuova e diversa attività del conduttore abbia riportato danni.
(Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza del 26 giugno 2007, n. 14745)



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SENTENZA

sul ricorso proposto da:

BI. GI., elettivamente domiciliata in ROMA VIA PACUVIO 34, presso lo studio dell'avvocato ROMANELLI GUIDO, che la difende unitamente all'avvocato GIAN BATTISTA BOSCAINI, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

LA. FI., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIOVANNI PAISIELLO 40, presso lo studio dell'avvocato MORGANTI DAVID, che lo difende con procura speciale del dott. Notaio Giovanni Pedrazzi in Salo' (BS), del 22/12/03, Rep. 101084;

- controricorrente -

e contro

FA. SE.;

- intimato -

avverso la sentenza n. 747/02 della Corte d'Appello di BRESCIA, prima sezione civile, emessa il 8/05/02, depositata il 17/10/02, R.G. 427/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/04/07 dal Consigliere Dott. Paolo D'AMICO;

udito l'Avvocato Guido ROMANELLI;

udito l'Avvocato David MORGANTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Bi.Gi. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Brescia, La.Fi. e Fa.Se., rispettivamente proprietario e conduttore di un immobile sito in (OMESSO), attiguo a quello da essa condotto in locazione, per sentirli condannare, in via alternativa o solidale, al risarcimento dei danni che asseriva di aver subito in conseguenza di un incendio sviluppatosi nel primo immobile il 27 giugno 1988.

A sostegno della sua domanda la Bi. asseriva che le fiamme avevano distrutto tutte le attrezzature e gli approvvigionamenti contenuti nel suo locale, provocando un danno stimato in circa diciassette milioni di lire, e che il proprio assicuratore aveva solo in parte risarcito tale danno, con la corresponsione dell'importo di lire 6.985.000.

I convenuti si costituivano con separate difese contestando entrambi la fondatezza, in fatto e in diritto, della domanda attrice; il La., in particolare, sosteneva che l'evento si fosse verificato per fatto e colpa esclusivi di Fa.Se.. Quest'ultimo, con successivo atto di citazione, conveniva a sua volta in giudizio La.Fi. e Sa.Na., in qualita' di comproprietari di entrambe le unita' immobiliari, nonche' la stessa Bi., sostenendo che l'incendio si fosse sviluppato nei locali da questa condotti o, in alternativa, che fosse stato causato da vizi di installazione, costruzione o conservazione dell'impianto elettrico dell'unita' a lui locata. Su tali premesse chiedeva quindi la condanna dei convenuti, in via alternativa ovvero concorrente e solidale, al risarcimento dei danni in suo favore, in misura da quantificare nel corso del giudizio.

Le due cause, chiamate avanti allo stesso giudice istruttore e successivamente riunite, erano decise con sentenza n. 1020/95 del 22 marzo 1995. Il Tribunale, accertato che l'incendio si era sviluppato nel locale condotto in locazione dal Fa. e che da li si era propagato per la presenza di materiali infiammabili ivi depositati, affermava l'esclusiva responsabilita' del medesimo Fa. ai sensi degli articoli 2051 e 1588 c.c. e ne disponeva la condanna al pagamento della somma, gia' rivalutata, di lire 2.125.242, pari alla differenza tra l'ammontare complessivo del danno, valutato in lire 8.500.000, e l'importo, gia' versato, di lire 6.985.000. Rigettava di conseguenza la domanda proposta da Fa.Se. nei confronti di La., Sa. e Bi. e, implicitamente, disattendeva la domanda proposta da quest'ultima nei confronti del La..

Contro la sentenza di primo grado proponeva appello Bi. Gi., articolando le sue censure in quattro motivi e chiedendo, in via principale, che la Corte, dichiarata la responsabilita' di Fa.Se. e La.Fi. nella causazione del sinistro, condannasse entrambi a risarcirle tutti i danni subiti, nella misura di lire 17.000.000, od in quella minore o maggiore ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione ed interessi legali dal fatto al saldo.

La Corte d'appello di Brescia condannava Fa.Se. a rifondere le spese di c.t.u. all'appellante e quest'ultima a pagare a Filippo La. le spese del grado. Confermava nel resto l'impugnata sentenza.

Propone ricorso Bi.Gi. chiedendo la cassazione della sentenza n. 747/02 della Corte bresciana, e "in riforma dell'appellata sentenza, dichiarata la responsabilita' nella causazione del sinistro di Fa. Se. e La. Fi., condannare entrambi a risarcire tutti i danni patiti dall'appellante nella misura di euro 8.779,76".

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente sviluppa le sue doglianze in quattro motivi.

Con il primo denuncia "violazione di legge e/o omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia: violazione dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione al disposto dell'articolo 2051 c.c.". E lamenta, in particolare, che non sia stato ritenuto responsabile anche il proprietario dell'immobile, proprio in quanto custode dell'impianto elettrico dal quale ebbe origine l'incendio.

La tesi e' infondata. Questa Corte ha infatti precisato che, nell'espressione "strutture murarie e impianti in esse conglobati" rientrano soltanto i cornicioni, i tetti, le tubature idriche, gli impianti idrici e sa-nitari e quanto possa essere raggiunto con interventi sulle opere murarie (Cass. civ., sez. 3, 19 gennaio 2001, n. 782; Cass. civ.; sez. 3, 09 febbraio 2004, n. 2422). Nella fattispecie per cui e' causa i giudici di merito hanno invece accertato, con indagine insindacabile in questa sede, che l'incendio e' stato causato da "un corto circuito verificatosi in corrispondenza" dell'"interruttore unipolare situato in prossimita' dell'accesso" o della "piattina di collegamento alla linea dell'impianto di illuminazione" e che tali oggetti non potevano considerarsi "conglobati" nelle strutture murarie del bene locato, bensi' accessori dello stesso. Essendo il ragionamento della Corte d'Appello senz'altro convincente ed immune da vizi logici o giuridici, il motivo deve essere disatteso.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia "Violazione di legge e/o omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi del combinato disposto dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e articolo 2697 c.c. - Sul valore confessorio dell'interrogatorio del Fa. in relazione alla ammissione di responsabilita' del locatore a conoscenza del cambio di destinazione effettuato dal conduttore nell'immobile".

Ad avviso della Bi., La.Fi. sarebbe responsabile, in solido con il Fa., per aver avuto conoscenza, come emerso in istruttoria, che il conduttore aveva mutato l'uso del locale, custodendovi materiale infiammabile ed esercitandovi un'attivita' che non poteva esservi esercitata od i cui i rischi non era comunque attrezzato a prevenire. Secondo la ricorrente, la circostanza che il La. fosse a conoscenza dell'effettivo, diverso uso del bene locato, sarebbe rilevante, ai fini dell'attribuzione della responsabilita', ai sensi della Legge n. 392 del 1978, articolo 80, anche se tale disposizione mira principalmente a regolare i rapporti tra locatore e conduttore. Nel caso in esame si dovrebbe infatti presumere che il contratto di locazione tra il La. ed il Fa. avesse per oggetto un immobile destinato all'attivita' artigianale che il secondo vi aveva di fatto collocato ed avrebbe pertanto errato la Corte d'appello nel non attribuire specifico rilievo probatorio, nel rapporto processuale tra Bi. e La., proprio a tale circostanza.

Anche il motivo appena esaminato deve ritenersi infondato.

Come risulta dallo stesso tenore letterale della Legge n. 392 del 1978, articolo 80 e dalla costante applicazione giurisprudenziale di tale disposizione, la norma disciplina infatti i rapporti tra locatore e conduttore, non la responsabilita' per i danni cagionati a terzi della cosa locata, che trovano invece specifica disciplina nell'articolo 2051 c.c. (Cass. civ., sez. 3, 21 febbraio 2006, n. 3683; Cass. civ., sez. 3, 4 marzo 2005, n. 4753; Cass. civ., sez. 3, 09 giugno 2005, n. 12120; Cass. civ., sez. 2, 29 agosto 1997, n. 8239). Perde rilievo, di conseguenza, l'addotta violazione dell'articolo 2697 c.c. "sul valore confessorio dell'interrogatorio del Fa. in relazione all'ammissione di responsabilita' del locatore a conoscenza del cambio di destinazione effettuato dal conduttore nell'immobile".

Va peraltro rilevato come dal tenore del ricorso emerga che quest'ultimo, pur lamentando una erronea interpretazione della Legge n. 392 del 1978, articolo 80 e dell'articolo 2697 c.c., censuri, in realta', la valutazione delle risultanze di causa effettuata dai giudici di merito, cosi' cercando di superare i limiti del giudizio di Cassazione e chiedendo un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.

Neppure fondata si rivela la critica all'impugnata sentenza sotto il profilo della violazione dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. Tale vizio si configura infatti solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Non e', per contro, sufficiente la mera difformita' dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare a tal fine le prove, controllarne l'attendibilita' e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare infine prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova. E la Corte di Cassazione, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 5 non ha certo il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, potendo solo controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui e' riservato l'apprezzamento dei fatti.

(Cass. 21 aprile 2006, n. 9368; Cass. 20 aprile 2006, n. 9234; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20322).

Considerato quanto sopra, si osserva che parte ricorrente, piuttosto che denunziare vizi emergenti dall'incompletezza, incoerenza od illogicita' dell'impugnata sentenza, si limita - in buona sostanza - a criticare la Corte per avere attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte ed a sollecitare una diversa lettura delle risultanze di causa, preclusa in questa sede di legittimita'.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia "violazione di legge e/o omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi del combinato disposto degli articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e articolo 2697 c.c. - Violazione di Legge in ordine alla valutazione delle deposizioni testimoniali relative alla quantificazione dei danni".

Sostiene Bi.Gi. di aver evidenziato al Giudice d'appello come la consulenza tecnica, espletata in primo grado, avesse completamente omesso di determinare, secondo criteri rigorosi ed oggettivi, i danni da essa subiti. Ed aggiunge che sia il C.T.U., sia il Giudice di primo grado, si sarebbero limitati a recepire le indicazioni contenute nel verbale di accertamento conservativo, stilato dal perito della compagnia assicuratrice dell'immobile, senza dar conto degli ulteriori elementi probatori assunti in corso di causa. Tanto si evidenzierebbe dai valori attribuiti alle singole voci di danno e dall'irrisoria quantificazione del mancato guadagno derivante dalla chiusura del bar a seguito della totale distruzione delle scorte del magazzino. Deporrebbe ancora nel senso di una incompleta ed affrettata operazione di sottostima dei danni da parte del C.T.U. il confronto tra il valore dei danni subiti, dichiarato nel verbale dei Vigili del Fuoco ed inizialmente avvalorata dallo stesso proprietario-locatore nella denuncia di sinistro ai Carabinieri. Sarebbero infine prive di fondamento ed erronee le valutazioni operate dal Tribunale e dalla Corte d'Appello che non avrebbero tenuto in considerazione le deposizioni dei testi.

Per le ragioni che precedono la ricorrente ritiene conclusivamente erronea la liquidazione del danno effettuata dai giudici di merito e dagli stessi non motivata con il necessario rigore.

Anche tale terzo motivo e' infondato, per le medesime ragioni ampiamente indicate in sede di esame dei motivi precedenti e che vale ora sinteticamente richiamare. Dall'esame del ricorso si evince infatti come, al di la' delle formali enunciazioni, la ricorrente essenzialmente si dolga per avere la Corte di merito apprezzato fatti e prove in modo diverso da quanto da essa preteso, mentre spettava solo a quel giudice, come ha correttamente fatto, individuare e vagliare le prove, sotto il profilo dell'attendibilita' e della concludenza, per scegliere tra esse quelle meglio idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 21 aprile 2006, n. 9368; Cass. 20 aprile 2006, n. 9234; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20322). In punto di valutazione delle prove l'impugnata sentenza non presenta dunque alcun vizio di incompletezza, incoerenza od illogicita', salvo la non sindacabile attribuzione alle prove stesse di un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni della stessa ricorrente.

Con l'ultimo motivo Bi.Gi. lamenta "violazione di legge e/o omessa, insufficiente e con-traddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi del combinato disposto dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e articolo 91 c.p.c. - Sulla condanna alla spese del giudizio a carico della appellante Bi. ". Denuncia la ricorrente come la Corte d'appello, nel condannarla al pagamento delle spese processuali, non abbia tenuto conto dell'avvenuto rigetto di tutte le eccezioni processuali formulate dal La., talche' essendo essa solo parzialmente soccombente nel giudizio di secondo grado, non avrebbero dovuto essere accollate tutte le spese processuali sostenute da quest'ultimo.

La tesi della ricorrente non puo' essere accolta.

Alla Corte d'Appello l'attuale ricorrente chiedeva infatti di dichiarare che la responsabilita' nella causazione del sinistro fosse da attribuire a Fa. Se. ed a La. To.Fi. con conseguente condanna di entrambi al risarcimento di tutti i danni patiti, nella misura di lire 17.000.000. La corte d'Appello di Brescia, come si e' visto, pur condannando Fa.Se. a rifondere alla Bi. le spese di C.t.u. da essa anticipate, ha confermato nel resto l'impugnata sentenza. E' dunque evidente come vi sia stato un rigetto, seppur implicito, della domanda della Bi. nei confronti del La., come si desume dalla costruzione logico-giuridica della stessa sentenza (Cass. civ., sez. 1, 29 aprile 2006, n. 10052; Cass. civ., sez. 3, 19 maggio 2006, n. 11756; Cass. civ., sez. 3, 12 gennaio 2006, n. 407; Cass. civ., sez. 3, 11 gennaio 2006, n. 264; Cass. civ., sez. 3, 25 febbraio 2005, n. 4079).

Per tutte le considerazioni specificamente svolte in relazione a ciascun singolo motivo, il ricorso deve essere dunque respinto.

Si pongono le spese processuali del ricorso in Cassazione a carico della ricorrente e si liquidano le stesse come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in Cassazione in favore del controricorrente che liquida in complessivi euro 1.100,00, di cui euro 1.000,00 per onorari ed euro 100,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

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