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Il Consiglio può assumere la veste di soggetto danneggiato di fronte alla concorrenza sleale subita dagli iscritti, che va ad aggiungersi all'offesa all'interesse circostanziato riferibile alla categoria

È ammissibile la costituzione di parte civile da parte di un ordine professionale nel procedimento a carico di soggetto imputato di esercizio abusivo della professione alla cui tutela l'ordine stesso è preposto, quando la costituzione non abbia come unico fondamento l'asserita lesione degli interessi morali della categoria ma anche il pregiudizio di carattere patrimoniale che, sia pure indirettamente, sia derivato ai professionisti regolarmente iscritti dalla concorrenza sleale posta in essere in un determinato contesto territoriale dall'autore del fatto.
(Corte di Cassazione Sezione 4 Penale, Sentenza del 3 giugno 2008, n. 22144)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTISTI Mariano - Presidente

Dott. MARINI Lionello - Consigliere

Dott. LICARI Carlo - Consigliere

Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) DO. ID. MA. N. IL (OMESSO);

2) LO. EN. N. IL (OMESSO);

avverso SENTENZA del 14/04/2000 CORTE APPELLO di L'AQUILA;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Dott. MARINI LIONELLO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano Francesco che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato estinto per prescrizione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza emessa il 17 giugno 1998 il Pretore di Pescara, sezione distaccata di San Valentino in Abruzzo Citeriore, dichiarava Do. Id. Ma. e Lo. Re. responsabili di concorso nei reati di cui agli articoli 110 e 348 c.p. (commessi fino al (OMESSO)) e articolo 590 c.p., articolo 583 c.p., comma 1, nn. 1 e 2 (commesso nel (OMESSO)); unificati i suddetti reati ex articolo 81 c.p., li condannava alla pena di lire 6.750.000 di multa per ciascuno, disponendone la interdizione per un mese dall'esercizio della professione di medico odontoiatra (ove successivamente conseguita dal Lo. la relativa abilitazione). Il Pretore condannava altresi' i predetti imputati in solido al risarcimento dei danni ed al rimborso delle spese in favore del Consiglio dell'Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Pescara nonche' in favore dell'altra parte civile costituita Di. Gi. Ma., persona offesa dal delitto di lesioni colpose, danni liquidabili in separata sede al suddetto Consiglio dell'Ordine ed invece liquidati in complessive lire 34.275.000 per la Di. Gi..

Secondo il giudicante erano stati provati i seguenti addebiti mossi ai due imputati:

1) l'avere - la Do. (medico chirurgo), mettendo a disposizione del Lo. (odontotecnico) il proprio studio medico, ed il Lo. sottoponendo ivi a visita i pazienti ed effettuando interventi sul cavo orale degli stessi (trapanazione di denti, estrazione ed installazione di protesi) - concorso nell'esercizio abusivo della professione di medico odontoiatra, preclusa all'odontotecnico Lo., abilitato al solo supporto ausiliario del sanitario, e della professione di medico (capo A della imputazione) e di medico dentista, alla quale era abilitata la sola Do. (capo B);

2) l'avere, il Lo. effettuando prestazioni mediche sine titulo e la Do. consentendo tale attivita' abusiva, e comunque entrambi prestando cure inidonee ed inadeguate a Di. Gi. Ma., causato a quest'ultima, agendo con negligenza, imprudenza ed imperizia, lesioni personali gravi che avevano comportato l'indebolimento permanente dell'organo della masticazione (paradentosi diffusa, assorbimenti ossei di media entita', infiammazioni gengivali e perdita ingiustificata di alcuni elementi dentari).

Sull'impugnazione di ambo gli imputati, la Corte d'appello di L'Aquila, con sentenza emessa il 14 aprile 2000 e depositata il giorno 8 settembre 2004, riconosceva ai medesimi le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti del delitto di cui all'articolo 590 c.p. e riduceva pertanto la pena complessiva a lire 2.000.000 di multa, eliminando la pena accessoria inflitta al Lo.; confermava nel resto l'appellata sentenza, con condanna degli appellanti in solido alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili.

La Corte territoriale disattendeva, in primis, il motivo di appello con il quale il Lo. aveva eccepito la nullita' e la inammissibilita' della costituzione delle parti civili in quanto la sottoscrizione della procura speciale rilasciata dalla Di. Gi. non era autenticata da pubblico ufficiale ed in quanto il Consiglio dell'Ordine dei Medici non era legittimato a costituirsi parte civile non essendo soggetto passivo del reato di esercizio abusivo dell'arte medica (parte offesa dovendo considerarsi soltanto la Pubblica Amministrazione), e comunque l'atto di costituzione recava la firma, per autentica, del solo difensore. Nel merito, la Corte territoriale rigettava il motivo, di impugnazione, comune ad ambo gli appellanti, volto a censurare la ritenuta attendibilita' della persona offesa Di. Gi. affermando che correttamente il primo giudice aveva riconosciuto credibilita' al deposto della suddetta persona offesa, sia per la precisione, costanza ed univocita' delle relative dichiarazioni sulle cure praticatele dal solo Lo. negli ambulatori della dottoressa Do., sia per la presenza di precisi (quantunque non indispensabili) riscontri - di natura testimoniale e documentale nonche' costituiti dalle risultanze dell'espletata perizia di ufficio - a quanto dichiarato dalla suddetta teste, mentre non erano attendibili le dichiarazioni rese dal teste a discarico Et. (altro odontotecnico che lavorava per la Do. ed era peraltro, significativamente, retribuito dal Lo.), interessato e caduto in contraddizione con la stessa Do., nonche' autore di dichiarazioni vaghe e di natura meramente presuntiva, frutto di un suo affermato "guardicchiare" attraverso la porta semiaperta mentre era in sala d'attesa. Correttamente, pertanto, il primo giudice aveva affermato la responsabilita' di ambo gli imputati, concorrenti nei reati de quibus.

Hanno proposto, uno actu, ricorso per cassazione i due imputati, deducendo i motivi che vengono qui indicati in ordine logico:

1) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta attendibilita' della persona offesa, per non avere i secondi giudici, nel formulare un giudizio di attendibilita' del deposto della persona offesa dal delitto di lesioni colpose, considerato in senso negativo la circostanza che la paziente Di. Gi. aveva sporto denuncia solo al momento di pagare il saldo, nonche' travisamento del fatto laddove si e' affermato che il teste, fidanzato di costei, avrebbe deposto di avere "visto le molestie";

2) violazione di legge in riferimento agli articoli 129 e 192 c.p.p., in quanto, in presenza di una causa estintiva del reato, il proscioglimento s'impone non soltanto quando sia acquisita la prova di innocenza, ma anche quando manca del tutto quella di colpevolezza, tale secondo caso essendo, secondo i ricorrenti, presente nel caso in esame;

3) violazione di legge in ordine alla ritenuta ammissibilita' della costituzione di parte civile della Di. Gi., non avendo costei conferito al proprio difensore procura speciale per la costituzione di parte civile bensi' un semplice mandato difensivo, e del Consiglio dell'Ordine degli odontotecnici in ordine al reato di esercizio abusivo della professione, di cui all'articolo 348 c.p.p..

Riguardo alla costituzione di parte civile del suddetto Consiglio dell'Ordine i ricorrenti hanno affermato, in primo luogo, il difetto di legittimazione attiva - perche' il reato concerne soltanto marginalmente la professione medica e gli interessi professionali, tutelando esso l'interesse della collettivita' a che determinate professioni siano esercitate unicamente dai soggetti abilitati, sicche' gli ordini professionali, in quanto non portatori di tale interesse, non sono legittimati a costituirsi parte civile in un procedimento per il reato di esercizio abusivo della professione se da tale reato non e' derivata lesione alla categoria sotto il profilo morale - ed hanno dedotto ulteriori violazioni di legge, consistenti nell'avvenuta sottoscrizione da parte del solo difensore dell'atto di costituzione di parte civile e nella circostanza che non risultava essere stato prestato dal Ministro della Salute (la persona offesa e' rappresentata dallo Stato e per esso dal suddetto Ministro) il consenso previsto dall'articolo 93 c.p.p..

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi, proposti uno actu e con i medesimi motivi dagli imputati, sono inammissibili.

Quanto al motivo sopra indicato sub 1), va rilevato che la Corte territoriale - dopo avere affermato che la persona offesa o danneggiata dal reato assume, anche quando invochi in sede penale l'accertamento del fatto costitutivo del diritto al risarcimento od alle restituzioni, la qualita' di testimone e che alle dichiarazioni testimoniali da questa rese non si applicano le regole di cui all'articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, che postulano la necessita' di riscontri esterni, ma e' necessario, atteso l'interesse di cui detta persona e' portatrice, un vaglio dell'attendibilita' maggiormente rigoroso di quello al quale vanno sottoposte le dichiarazioni rese da testi "non interessati", si' che appare opportuna l'indagine sul riscontro in altri elementi probatori (affermazione corretta alla luce di consolidata giurisprudenza di legittimita': vedasi, ex plurimis, Cass. sez. 3, 27-4-2006, n. 34110, Valdo Iosi) - ha condiviso, in ragione della sua precisione, concordanza ed insuscettibilita' di diverse interpretazioni, il giudizio di attendibilita' formulato dal primo giudice in ordine alla deposizione dibattimentale resa da Di. Gi. Ma., persona offesa dal reato di lesioni colpose, sul fatto che ella era stata sempre visitata e curata dal Lo. negli ambulatori della Dott.ssa Do., quest'ultima mai intervenuta nelle cure suddette, neppure quando era presente.

I secondi giudici hanno aggiunto che la deposizione suddetta aveva trovato conferma nella testimonianza di Ca. Ro. (ex fidanzato della persona offesa, non piu' tale, cioe', al momento di rendere la testimonianza) il quale aveva affermato: 1) di avere piu' volte accompagnato la Di. Gi. nello studio della Do. essendo a conoscenza del fatto che costei veniva visitata e curata da un dentista, e precisamente dal "Dott. Lo. ", come gli aveva sempre detto la Di. Gi.; 2) di avere, in una occasione, visto la Do. conversare con i propri clienti nella sala d'attesa mentre l'allora sua fidanzata si trovava all'interno del laboratorio, evidentemente curata dal Lo.; 3) di avere egli in una occasione - entrato nello studio - visto il Lo. controllare la bocca di quest'ultima. Un secondo riscontro era quello costituito dall'assegno di lire 2.000.000 dato dalla Di. Gi. a titolo di acconto al Lo., il quale lo aveva, del tutto significativamente, intestato al proprio nome e posto all'incasso.

Infine sussisteva il riscontro costituito dalla perizia disposta d'ufficio, dalla quale erano risultate provate le cure improprie ed errate (costituite da interventi - otturazioni incongrue, terapie canalari incomplete - talmente maldestri da non essere assolutamente rapportabili a moderni principi do odontoiatria) lamentate dalla persona offesa, eseguite con ogni evidenza da un abilitato all'esercizio della odontoiatria.

Osserva questa Corte che tale motivazione (integrata da quelle ragioni di inattendibilita' del teste della difesa Et. Ni. che sono state sopra riportate nella parte narrativa della presente sentenza) sfugge agevolmente alle censure di illogicita' manifesta e di travisamento del fatto mosse dai ricorrenti, atteso che con detto motivo si afferma del tutto apoditticamente l'assenza di prove inequivocabili di responsabilita' senza minimamente considerare l'iter logico attraverso il quale i giudici di merito sono pervenuti invece all'affermazione della prova di responsabilita' degli imputati per i reati loro ascritti, sicche' la doglianza e' affetta anche da mancanza di specificita', costituente causa di inammissibilita' della impugnazione ai sensi del combinato disposto dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 581 c.p.p., lettera c).

Quanto, poi, al dedotto "travisamento del fatto - che, per essere deducibile a sostegno di ricorso per cassazione sub specie di vizio di manifesta illogicita' della motivazione, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) (come modificato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8 entrata in vigore ad anni di distanza dalla data di proposizione del ricorso de quo) si dovrebbe risolvere in un "travisamento della prova" (vizio che si configura nel caso in cui il giudice abbia indicato il contenuto della prova stessa in modo difforme da quello reale, e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile: Cass. sez. 2 17-10-2007, n. 38915, Donno ed altri), basti pensare che i ricorrenti rimproverano, deducendo detta censura, ai giudici di merito di avere operato "la ricostruzione degli eventi basandosi solo sulle impressioni di un testimone sito posteriormente al prevenuto sull'autobus, lo avrebbe comunque visto arrecare le molestie di cui al capo di imputazione".

E' evidente che il motivo cosi' articolato attiene a vicenda, protagonisti e reato che nulla hanno a che fare con il procedimento penale nei confronti di Do. Id. Ma. e Lo. En..

Cosi' come e' evidente, per le ragioni sopra illustrate, la inammissibilita' del primo profilo dei suddetti profili di censura della motivazione, dovendosi precisare che per costante giurisprudenza di legittimita' (vedasi, tra le piu' recenti, Cass. sez. 3, 12-10-2007, n. 40542, Marrazzo e altro), nell'ipotesi di ricorso per mancanza o manifesta illogicita' della motivazione, il sindacato in sede di legittimita' e' limitato alla sola verifica della sussistenza dell'esposizione dei fatti probatori e dei criteri adottati al fine di apprezzarne la rilevanza giuridica nonche' della congruita' logica del ragionamento sviluppato nel testo del provvedimento impugnato rispetto alle decisioni conclusive, sicche' resta esclusa la possibilita' di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine alla rilevanza ed attendibilita' delle fonti di prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche o illogiche, ipotesi, questa, che e', per le ragioni sopra illustrate, assente nel caso di specie.

Affetto da manifesta infondatezza e', poi, il motivo sub 2), il quale e' costituito dal mero richiamo al principio di diritto secondo il quale (come da richiamate decisioni di questa Corte), il proscioglimento nel merito, a norma dell'articolo 129 cpv. c.p.p. si impone non solo quando, in presenza di una causa estintiva del reato, sia gia' acquisita la prova d'innocenza dell'imputato, ma anche qualora manchi del tutto la prova della colpevolezza, principio male invocato nella specie, per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo perche' la mancanza di prova della colpevolezza costituisce di un mero apodittico assunto dei ricorrenti a fronte della sopra illustrata motivazione della sentenza gravata di ricorso nella quale sono state indicate, viceversa, le prove della responsabilita' dei due imputati per i reati loro ascritti.

In secondo luogo perche' la doglianza, cosi' come formulata, avrebbe senso ove la Corte territoriale avesse dichiarato, pur in presenza di una delle cause di non punibilita' previste nel secondo comma dell'articolo 129 c.p.p., (ma erano comunque assenti, come gia' si e' rilevato, i presupposti per il proscioglimento degli imputati ai sensi della norma appena citata) la estinzione dei reati ascritti, ma nella specie i secondi giudici non hanno dichiarato estinti i reati medesimi i secondi giudici non hanno affatto (considerato che, alla data della pronuncia gravata di ricorso non era maturato il termine della prescrizione ai sensi degli articoli 157, 158 e 160 c.p.p., tenuti presenti gli atti interruttivi del decorso del suddetto termine nonche' le sospensioni ex lege del medesimo verificatesi in primo grado nella fase del giudizio, per complessivi anni 1, mesi 5 e giorni 14) dichiarato non doversi procedere per essere estinti i reati contestati ma hanno, in parziale riforma della sentenza resa in primo grado, riconosciuto ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza e rideterminato conseguentemente le pene, eliminando la pena accessoria inflitta al Lo., con conferma nel resto dell'appellata sentenza.

Va qui anche osservato che i ricorrenti non hanno comunque dedotto uno specifico motivo per sostenere l'avvenuta prescrizione, e che l'inammissibilita' del ricorso per cassazione dovuta a cause "originarie" preclude ogni possibilita' sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., l'estinzione del reato per prescrizione, tanto nel caso in cui la suddetta causa estintiva siasi verificata successivamente alla data di pronuncia della sentenza di appello quanto in quello in cui la stessa sia maturata in data anteriore a tale pronuncia, ma non sia stata dedotta ne' rilevata da quel giudice ((Cass. S.U. 22-3-2005, n. 23428, Bracale).

Manifestamente infondate sono, infine, le doglianze che concernono la ritenuta ammissibilita' della costituzione di parte civile della persona offesa Di. Gi. Ma. per il reato di lesioni colpose e del Consiglio dell'Ordine dei Medici e degli Odontoiatri della Provincia di Pescara.

Quanto alla prima, dall'esame degli atti del procedimento - ai quali il giudice di legittimita' ha accesso essendo stato dedotto un error in procedendo ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), (Cass. S.U. 31-10-2001, n. 42792, Policastro ed altri) - risulta che Di. Gi. Ma. si costitui' parte civile con atto depositato in data 1 luglio 1995, da lei sottoscritto con autentica da parte del difensore, contestualmente nominato con conferimento di "ogni facolta' di legge".

I ricorrenti sostengono che tale atto di costituzione sarebbe invalido perche' carente della sottoscrizione del difensore prevista dall'articolo 78 c.p.p., comma 1, lettera e), ma questa Corte rileva che correttamente la relativa eccezione e' stata disattesa dai giudici di merito, in quanto la suddetta sottoscrizione, sia pure accompagnata dalla dizione "per autentica", va ritenuta non mancante, atteso che la giurisprudenza di legittimita' e' da tempo orientata (vedansi, tra le altre, Cass sez. 5 24-11-2005, n. 845, Mandare ed altri, sez. 5 18-5-2004, Viscardi, e sez. 5, 1, 20-3-2002, n. 24018, Carloni ed altri) nel senso di ritenere che la sottoscrizione del difensore, in calce o a margine dell'atto di costituzione di parte civile, assolve congiuntamente alla funzione di cui alla norma sopra citata ed a quella di autenticazione della firma del danneggiato sulla procura speciale, quando a questa si faccia riferimento nell'atto di costituzione ed entrambi gli atti siano poi depositati nella medesima data (cosi' come si e' verificato nel caso di specie).

Va aggiunto che nei casi in cui e' prescritto che la parte stia in giudizio col ministero di un difensore munito di procura speciale (articolo 100 c.p.p., comma 1) - la quale puo' essere conferita anche con scrittura privata autenticata dal difensore o da altra persona abilitata - il mandato, in virtu' del generale principio di conservazione degli atti, deve considerarsi valido anche quando la volonta' del mandante non sia trasfusa in rigorose formule sacramentali, ovvero sia espressa in forma incompleta, potendo il tenore dei termini usati nella redazione della procura speciale e la sua collocazione topografica escludere ogni incertezza in ordine all'effettiva portata della volonta' della parte (Cass. sez. 4 3-2-2004, n. 14863, Micucci).

Nella fattispecie in esame devesi dunque ritenere valida la formula di conferimento di procura speciale, in considerazione sia della espressione usata, sia, soprattutto, della sua apposizione unitamente all'atto di costituzione di parte civile, cosi' come e' stato ritenuto dal primo giudice nell'ordinanza resa nella udienza del 23 ottobre 1996.

Restano da esaminare le censure che concernono l'avvenuta costituzione di parte civile, in riferimento al reato di cui all'articolo 348 c.p.p., del Consiglio dell'Ordine interessato.

I ricorrenti hanno, in primo luogo, eccepito che l'atto di costituzione reca la sola firma del difensore e non anche quella del presidente del Consiglio dell'Ordine.

Detta eccezione e' manifestamente infondata in quanto l'articolo 78 c.p.p., comma 1, lettera e), richiede a pena di inammissibilita' la sottoscrizione del solo difensore, e nella specie l'atto e' stato sottoscritto dall'Avvocato Potatura Walter, al quale era stata conferita "Procura speciale per la costituzione di parte civile" nel giudizio de quo del Consiglio dell'Ordine dei medici e dei chirurghi degli odontoiatri di Pescara.

E se e' vero - cosi' come ulteriormente affermato in ricorso, questa volta a sostegno dell'assunto della mancanza di legitimatio ad causam del predetto Consiglio dell'Ordine - che in tema di esercizio arbitrario della professione il bene tutelato dall'articolo 348 c.p. in via primaria e' costituito dall'interesse generale a che determinate professioni, richiedenti, tra l'altro, particolari competenze tecniche, vengano esercitate soltanto da soggetti che abbiano conseguito una speciale abilitazione amministrativa, sicche' deve ritenersi che l'eventuale lesione del bene anzidetto riguardi in via diretta ed immediata la pubblica amministrazione, con la conseguenza che gli ordini professionali non sono abilitati a costituirsi parte civile all'unico fine di tutelare gli interessi morali della categoria quando all'ordine stesso non sia derivato un danno (vedasi, ex multis, Cass. sez. 2, 12-10-2000, n. 11078, Zagami), cio' non toglie, tuttavia, che (Cass. sez. 5, 18-11-2004, n. 3996, Gagliano' ed altri) possano assumere veste di danneggiati quei soggetti che, sia pure in via mediata e di riflesso, abbiano subito a causa della violazione della norma penale in questione, un danno tipicamente di carattere patrimoniale, quale va ritenuto quel pregiudizio che e' causato dalla concorrenza sleale subita in un determinato contesto territoriale dai professionisti iscritti all'associazione di categoria, danno che va ad aggiungersi a quello consistente nell'offesa all'interesse circostanziato riferibile all'associazione professionale, in tal caso legittimata a costituirsi parte civile nel procedimento penale per ottenere il risarcimento o la riparazione non gia' di un danno soltanto morale, bensi' anche patrimoniale (vedansi Cass. sez. 6 30-11-1998, n. 795, Marazzi ed altro; sez. 6 1-6-1989, n. 59, Monticelli).

Nella specie i ricorrenti enunciano le ragioni di diritto per le quali gli ordini professionali e le associazioni di categoria non sono legittimati a costituirsi parte civile in un procedimento penale per il reato di esercizio abusivo della professione ove la costituzione trovi fondamento solo nella necessita' di difendere gli interessi morali della categoria, ma non esplicitano che detta costituzione sia stata effettuata soltanto a tale fine nel caso concreto.

Infine, va rilevato che la non censurabilmente affermata legittimazione del Consiglio dell'Ordine de quo a costituirsi parte civile per richiedere il risarcimento di un danno da dallo stesso subito assorbe e, nel contempo destituisce di ogni fondamento, l'ulteriore profilo di censura che i ricorrenti hanno articolato testualmente come segue: "A prescindere poi dall'inosservanza delle norme procedurali stabilite dagli articoli 93, 94 e 95 c.p.p. va rilevato che nel caso di specie la persona offesa e' rappresentata dallo Stato e per essa dal Ministro della Salute, che non risulta aver prestato il consenso previsto dall'articolo 93 c.p.p. cui e' espressamente (sic: leggasi: "subordinato") l'esercizio delle facolta' spettanti agli enti ed alle associazioni".

Invero, una volta ritenuta la legittimazione del Consiglio dell'Ordine a costituirsi parte civile onde ottenere la riparazione di un danno "proprio" di natura (anche) patrimoniale, le norme di cui all'articolo 91 c.p.p. (in tema di diritti e facolta' degli enti e delle associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato, i quali possono esercitare "i diritti e le facolta' attribuiti alla persona offesa dal reato"), articolo 92 c.p.p. (ai sensi dei quali l'esercizio di tali diritti e facolta' "e' subordinato al consenso della persona offesa") e articolo 93 c.p.p. (il quale prevede che per il suddetto esercizio l'ente o l'associazione presenti all'autorita' un atto di intervento ed, unitamente al medesimo, la dichiarazione di consenso della persona offesa) nulla hanno a che vedere con il caso in oggetto, nel quale il Consiglio dell'Ordine ha, diversamente, agito costituendosi parte civile per la riparazione di un danno ad esso direttamente riferibile in relazione all'interesse di categoria protetto dall'ordine professionale.

Le citate norme procedurali, a partire dall'articolo 91 c.p.p. operano su di un piano del tutto diverso da quello dell'azione risarcitoria, con le stesse avendo il vigente codice di rito riconosciuto agli enti collettivi in questione la titolarita' degli stessi poteri di impulso e di sollecitazione riconosciuti alla persona offesa conferendo loro la facolta' di intervenire nel processo penale in una veste accusatoria senza assurgere al ruolo di parti, ed una conferma della collocazione degli enti collettivi in un'area estranea alla pretesa risarcitoria la si ricava dall'articolo 212 disp. att. c.p.p., per effetto del quale "quando leggi o decreti consentono la costituzione di parte civile o l'intervento nel processo penale al di fuori delle ipotesi indicate nell'articolo 74 c.p.p., e' consentito solo l'intervento nei limiti ed alle condizioni previsti dagli articoli 91, 92, 93 e 94 c.p.p.".

La ritualmente avvenuta costituzione di parte civile dell'ordine professionale de quo, a tanto legittimato ai sensi dell'articolo 74 c.p.p., in quanto danneggiato (attinto, cioe', da un danno, che presenta aspetti anche materiali e consiste nell'offesa all'interesse

circostanziato alla cui tutela esso e' preposto) dalla commissione del reato di esercizio abusivo della professione toglie, dunque, ogni rilevanza alle censure dei ricorrenti che concernono il diverso istituto dell'intervento, disciplinato dagli articoli 93 e 94 c.p.p. e rende inutile che questa Corte esamini il merito del motivo con il quale viene dedotta la inosservanza delle disposizioni codicistiche in tema di intervento.

Per le sin qui esposte ragioni i ricorsi in esame vanno dichiarati inammissibili, con conseguente condanna - visto l'articolo 616 c.p.p. e tenuta presente la sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n. 186 - dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita' e, ciascuno, a favore della cassa delle ammende, di una somma che va congruamente determinata in euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

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