Responsabilità medica: Guide e Consulenze Legali

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Il medico non può disporre le dimissioni di un paziente facendosi condizionare da disposizioni o direttive che non sono pertinenti ai compiti affidatigli dalla legge e alle conseguenti relative responsabilità

Nel praticare la professione, il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire l'unico fine della cura del malato utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da disposizioni o direttive che non siano pertinenti ai compiti affidatigli dalla legge e alle conseguenti relative responsabilità. Ciò vale, in particolare, per le linee guida dettate dall'amministrazione sanitaria per garantire l'economicità della struttura ospedaliera (in ipotesi, per accelerare le dimissioni dall'ospedale non appena si raggiunga la stabilizzazione del quadro clinico del paziente), onde il medico, che ha il dovere anche deontologico di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza, e si pone rispetto a questo in una posizione di garanzia, non sarebbe tenuto al rispetto di tali direttive, laddove risultino in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non potrebbe andare esente da colpa ove se ne lasci condizionare, senza adottare le decisioni più opportune a tutela della salute del paziente.

Corte di Cassazione Sezione 4 Penale, Sentenza del 2 marzo 2011, n. 8254



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO;

2) PARTI CIVILI: BA. AL. e PI. FI. ;

Nei confronti di:

GR. RO. N. (OMESSO);

Avverso la sentenza del 16/11 /2009 Della Corte d'Appello di Milano;

Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

Udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione del consigliere Dott. FOTI Giacomo;

Udito il Procuratore Generale in persona del dott. Vincenzo Geraci che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;

Udito, per la parte civile, L'avv. CICARELLA che ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata;

udito il difensore dell'imputato Canviani che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

OSSERVA

-1- Il (OMESSO) Ba. Ro. e' stato trasportato all'ospedale civile di (OMESSO) ove, in urgenza, durante l'esecuzione di una coronarografia, e' stato sottoposto ad una angioplastica coronarica con applicazione di uno stent "medicato" (con rilascio, cioe', di farmaco per prevenire la ristenosi) perche' colpito da infarto miocardico con grave insufficienza respiratoria.

Il (OMESSO) e' stato trasferito dal reparto di terapia intensiva, ove era stato ricoverato al suo arrivo in ospedale, a quello di cardiologia con diagnosi di "edema polmonare, infarto miocardico acuto", con patologie preesistenti "ipertensione arteriosa in soggetto fumatore". Nei giorni successivi sono stati eseguiti diversi accertamenti, tra cui un ECG holter.

Il (OMESSO), nella cartella clinica e' stato registrato che il paziente risultava "asintomatico, obbiettivita' negativa, con scomparsa dell'eritema che in precedenza aveva manifestato"; l'ecocardiodoppler di controllo aveva mostrato una moderata ipertrofia ventricolare sinistra, acinesia antero settate e laterale sinistra medio-apicale, restrittivita' diastolica, frazione di eiezione 29%, mentre l'ECG aveva registrato "esiti di infarto antero - laterale con emiblocco anteriore sinistro".

Nel pomeriggio dello stesso giorno, nona giornata dal ricovero, il dott. Gr.Ro. , odierno imputato, addetto alle cure ed alle terapie postoperatorie del paziente, ha deciso di dimettere il Ba. , al quale e' stata consegnata una lettera, diretta al medico curante, nella quale si segnalava: "...paziente ricoverato il (OMESSO) viene dimesso con la seguente diagnosi: infarto al miocardio acuto anteriore esteso, edema polmonare acuto" e veniva prescritta terapia farmacologica con esecuzione di un test ergometrico dopo due mesi ed una scintigrafia miocardica dopo sei mesi.

Dall'anamnesi e' emerso che il Ba. era soggetto a rischio coronarie trattandosi di fumatore, iperteso da tre anni con rifiuto di terapia, affetto da ipercolesterolomia grave, da ipertrigliceridemia, obesita', tutti indicatori di una sindrome dismetabolica.

Nella stessa notte della dimissione, tra il (OMESSO), a poche ore dal rientro in casa, il paziente e' stato colto da dispnea e tosse, trasportato dai familiari in ospedale, vi e' giunto in arresto cardio-circolatorio alle ore 3,20.

L'autopsia ha accertato che la causa della morte, dovuta ad affezione cardiaca, era derivata "non da scompenso congestizio, bensi' aritmica tipo tachicardia-fibrillazione ventricolare".

-2- In esito alle indagini seguite al decesso, che hanno riguardato tutti i medici, tra i quali il dott. Gr. , che, nelle rispettive e diverse specialita', avevano avuto in cura il Ba. , il PM presso il Tribunale di Busto Arsizio ha chiesto l'archiviazione del procedimento. Richiesta accolta dal Gip per tutti gli indagati, tranne che per il Gr. (nei cui confronti ha ordinato la formulazione coatta dell'imputazione) che e' stato chiamato a rispondere del delitto di omicidio colposo perche', quale sanitario dell'ospedale civile di (OMESSO), addetto alle cure ed alle terapie postoperatorie di Ba. Ro. , agendo con negligenza, imprudenza ed imperizia, avendo dimesso dall'ospedale il paziente, con esiti di recente infarto esteso del miocardio, a nove giorni di distanza dall'intervento di angioplastica all'arteria interventricolare anteriore, ne aveva causato la morte a seguito di attacco cardiaco intervenuto a poche ore dalla dimissione.

In sede di udienza preliminare, costituitisi parti civili il figlio e la moglie del Ba. , Ba.Al. e Pi.Fi. , il Gip ha accolto la richiesta di giudizio abbreviato condizionato all'espletamento di una perizia medico-legale volta ad accertare eventuali responsabilita' dell'imputato.

Eseguita la perizia, affidata al prof. Th. , direttore della cattedra di patologia cardiovascolare presso l'Universita' di (OMESSO), il Gup ha affermato la responsabilita' dell'imputato e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, applicata la diminuente del rito, lo ha condannato alla pena, sospesa alle condizioni di legge, di otto mesi di reclusione ed al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore delle parti civili costituite, cui ha assegnato euro 50.000,00 a titolo di provvisionale.

Il primo giudice ha dato atto che il prof. Th. aveva evidenziato come, all'atto della dimissione, il paziente era stabilizzato, che l'ECG mostrava un blocco alla branca sinistra ma era scevro da segni di instabilita' elettrica ventricolare, che era asintomatico da giorni e non mostrava un quadro di scompenso cardiaco, che i markers di necrosi si erano stabilizzati. Ha anche dato atto che lo stesso perito, richiamando le c.d. "linee guida" (o protocolli medici) che prevedono la dimissione del paziente allorche' si sia raggiunta la stabilizzazione del quadro clinico, aveva rilevato che, nel caso di specie, non esistevano indici obiettivamente contrari alla dimissione, perche' il Ba. era in compenso cardiocircolatorio e nulla faceva presagire la complicanza fatale.

Malgrado il parere del perito, tuttavia, il Gup ha ritenuto di rilevare nella condotta dell'imputato specifici profili di colpa.

Ha, in particolare, sostenuto il primo giudice che, se pur era vero che il medico, all'atto della dimissione, si era attenuto scrupolosamente alle "linee guida", era anche vero che queste non costituiscono unica regola di condotta del medico, sufficiente ad escludere qualsiasi ipotesi di colpa professionale. Fermo restando il valore di tali regole o protocolli come indicazioni generali riferibili ad un caso astratto, permaneva comunque per il medico, secondo il primo giudice, la necessita' di valutare specificamente il caso affidato al suo giudizio, di rilevarne ogni particolarita', di adottare le decisioni piu' opportune, anche discostandosi da quelle regole. La piena autonomia del sanitario nella scelta dei piu' opportuni presidi diagnostici e terapeutici e', peraltro, prevista nello stesso codice deontologico.

Orbene, nel caso del Ba. la dimissione trovava, secondo lo stesso giudice, precise ragioni obbiettive che sconsigliavano la rigida applicazione delle linee guida, rappresentate: a) dall'anamnesi del paziente, indicato come soggetto a rischio coronarico perche' fumatore, obeso, iperteso da tre anni con rifiuto di terapia, affetto da ipercolesterolomia grave, da ipertrigliceridemia; b) dalla severita' dell'infarto che lo aveva colpito, esordito con gravissima sintomatologia respiratoria, tanto da rendere necessaria la ventilazione meccanica, e che aveva lasciato esiti rilevanti ed una funzione meccanica del cuore notevolmente compromessa (29% frazione di eiezione); e) dall'elevata mortalita' post-infartuale di pazienti con esteso infarto al miocardio (circa 5,10% nel primo anno).

Se l'imputato, ha concluso il Gup, avesse adeguatamente considerato tali dati, avrebbe evitato di dimettere il paziente che, in un reparto di cardiologia, avrebbe avuto, all'insorgenza del nuovo scompenso, cure immediate ed efficaci, rappresentate non solo dal ricorso al defibrillatore, ma anche, e prima ancora, ai primi segnali della crisi, dalla somministrazione di idonee terapie che ne avrebbero limitato gli effetti e ne avrebbero scongiurato il decesso. La condotta dell'imputato doveva quindi ritenersi affetta da colpa per avere dimesso un paziente che presentava ancora fattori di rischio tali che consigliavano la prosecuzione della degenza.

-3- Su appello proposto dall'imputato, la Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 16 novembre 2009, in riforma della sentenza di primo grado, lo ha assolto perche' il fatto non costituisce reato.

Il giudice del gravame, premesso di ritenere condivisibile l'affermazione del primo giudice secondo cui il rispetto delle "linee guida" non esenta il medico da responsabilita' una volta che si dimostri la loro incompatibilita' rispetto ai canoni di diligenza, prudenza e perizia che si richiedono in chi esercita la professione medica, ha sostenuto che, nel caso di specie, tale incompatibilita' non e' stata, in concreto, dimostrata. Per sostenere che il medico avrebbe dovuto disapplicare, nel caso di specie, le linee guida e discostarsi dalla prassi normalmente seguita per casi simili, occorrerebbe dimostrare, ha sostenuto la corte territoriale, che il caso del Ba. presentava particolarita' tali da configurare una situazione al di fuori della norma, particolari situazioni di rischio, tali da sconsigliare il rispetto delle linee guida.

Tale situazione, ha aggiunto la stessa corte, non sono rilevabili nel caso del Ba. posto che, secondo quanto accertato dal perito, prof. Th. : a) il livello di funzione meccanica cardiaca residua (29% frazione di eiezione) rientrava nei parametri previsti negli standards; b) non esistevano segnali predittivi di eventi elettrici avversi ne' altri segnali di instabilita' elettrica ventricolare; e) all'atto delle dimissioni, il paziente era asintomatico da giorni, non presentava un quadro di scompenso cardiaco ed i markers di necrosi si erano normalizzati. Proprio alla stregua di tali dati, lo stesso perito era giunto a concludere nel senso dell'inesistenza di indici obiettivamente contrari alla dimissione del paziente, che era in compenso cardiocircolatorio e non faceva prevedere l'insorgenza di complicanze.

Alla stregua di tali considerazioni, dunque, la corte territoriale ha ritenuto che le condizioni del Ba. , seppur critiche, non erano diverse e piu' gravi rispetto a quelle di altri pazienti che rientravano nel campo di applicazione delle linee guida, e quindi tali da richiedere un diverso trattamento. Mentre l'opposta affermazione del primo giudice e' sembrata apodittica perche' inidonea a smentire le conclusioni del perito. Non era per nulla certo, peraltro, secondo la stessa corte, che un tempestivo intervento del personale medico sul paziente che fosse rimasto ricoverato ne avrebbe evitato il decesso.

-4- Avverso tale decisione propongono ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Milano e le parti civili.

1) Il primo deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto i profili della manifesta illogicita' e della contraddittorieta' della stessa, laddove la corte territoriale ha assolto l'imputato, avendo ravvisato dubbi sul fatto che la protrazione della degenza o un ricovero in reparto riabilitativo avrebbero evitato o significativamente ritardato l'evento. Dubbi infondati, a giudizio del ricorrente, atteso che il perito, prof. Th. , ha sostenuto che "l'episodio di arresto cardiaco terminale di verosimile natura aritmica, se avvenuto con il paziente ancora ricoverato, avrebbe potuto essere trattato con defibrillatore esterno, disponibile nelle corsie di cardiologia", analogamente a quanto sostenuto dal consulente del PM, secondo il quale "se il paziente fosse stato ricoverato in ambiente ospedaliero, nel momento dell'urgenza cardiologica si sarebbero potuti attuare con sollecitudine interventi o meglio terapie che forse avrebbero potuto salvare la vita". Il paziente, invece, seppur in condizioni critiche, era stato dimesso a soli nove giorni dal ricovero in ossequio a "linee guida" non vincolanti, senza considerare il forte rischio di recidiva, puntualmente presentatasi a poche ore dalla dimissione.

2) Le parti civili sostengono che la decisione impugnata e' affetta da una serie di vizi logici e di errori giuridici che ne impongono l'annullamento.

Il ricorso si diffonde nella individuazione dei vizi dedotti rilevando, anzitutto, l'illogicita' e la contraddittorieta' dell'iter argomentativo della sentenza posto che i giudici del gravame non avrebbero considerato che le critiche condizioni di salute in cui il paziente versava avrebbero dovuto indurre l'imputato, a prescindere da qualsiasi prassi e linea guida ed in vista di possibili recidive, a mantenere il ricovero del congiunto. La decisione di dimetterlo aveva, a giudizio delle ricorrenti, sostanzialmente impedito la prestazione all'ammalato di cure ed assistenza adeguate che ne avrebbero salvato la vita; condotta nella quale il giudice del gravame avrebbe dovuto ravvisare profili di specifica responsabilita' a carico dell'imputato.

Affetto da manifesta illogicita' e da contraddittorieta' sarebbe anche il riferimento alle "linee guida" che l'imputato aveva seguito nel decidere la dimissione del paziente; in realta', sostengono le ricorrenti, di tali linee guida e dei relativi contenuti non vi e' traccia in atti; esse, peraltro, rappresenterebbero meri dati statistici di nessun valore scientifico, di guisa che errato sarebbe il richiamo a tali dati per giustificare la dimissione di un paziente le cui critiche condizioni di salute rappresentavano una chiara controindicazione alla dimissione. Lo stesso giudice del gravame, peraltro, aveva ammesso che il rispetto delle linee guida non esimeva il medico da responsabilita', laddove si fosse accertato che egli avesse agito con negligenza, imperizia ed imprudenza; affermazione tuttavia contraddetta nel momento in cui egli ha ritenuto corretta la decisione di dimettere un soggetto che presentava, all'atto della dimissione, condizioni di salute da tutti definite "critiche". I rischi che ancora incombevano, avrebbero dovuto indurre a trascurare prassi, linee guida e statistiche ed a mantenere la degenza ospedaliera, che certo avrebbe garantito tempestivi interventi che sarebbero valsi a salvare la vita del paziente.

La valutazione di dimissibilita', si sostiene ancora nel ricorso, deve essere di ordine medico, non statistico, e deve essere rapportata alle condizioni psicofisiche del malato, alla prognosi circa il decorso successivo ed alla possibilita' di proseguire le cure a domicilio. Quest'ultima, peraltro, incerta nel caso del Ba. anche a causa dell'approssimarsi di giornate festive (la dimissione e' avvenuta nella giornata di venerdi') che rendeva difficile sia l'acquisto dei farmaci sia il ricorso a medici esterni.

Secondo le P.C. ricorrenti, e' stata proprio l'assurda decisione di dimettere il paziente a causarne la morte, poiche' l'aritmia insorta di li' a poche ore sarebbe stata facilmente controllata e curata in ambiente ospedaliero.

Lo stesso perito, si aggiunge nel ricorso, le cui conclusioni i giudici del gravame hanno richiamato, non ha mai sostenuto che il Ba. avrebbe dovuto essere dimesso ma, al contrario, che egli avrebbe dovuto esser mantenuto in ambiente ospedaliero, anche se non aveva necessita' di essere costantemente monitorato.

Inaccettabile, infine, giudicano le ricorrenti il richiamo ad esigenze ed a logiche di economicita' gestionale che vorrebbero accelerare le dimissioni non appena si raggiunga la stabilizzazione del quadro clinico del paziente. La logica dell'assistenza, invero deve essere informata alla tutela della salute e la direttrice del medico non puo' che essere quella di rapportare le proprie decisioni solo alle condizioni del malato, del quale e', comunque, responsabile.

Concludono, quindi, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

-5- I ricorsi sono fondati, essendo sussistente il dedotto vizio di motivazione.

Come e' noto, i principi fondamentali che regolano, nella vigente legislazione, l'esercizio della professione medica, richiamano, da un lato, il diritto fondamentale dell'ammalato di essere curato ed anche rispettato come persona, dall'altro, i principi dell'autonomia e della responsabilita' del medico, che di quel diritto si pone quale garante, nelle sue scelte professionali.

Il richiamo al rispetto di quel diritto e di quei principi e' assoluto, nella legge, sotto tutti i punti di vista, avendo, peraltro, il primo, rilievo costituzionale ed essendo stato ripetutamente oggetto di interventi del giudice delle leggi che ne hanno ribadito il significato ed il valore sotto ogni possibile profilo.

Nel praticare la professione medica, dunque, il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge ed alle conseguenti relative responsabilita'.

Il rispetto delle "linee guida", quindi, assunto nel caso di specie quale parametro di riferimento della legittimita' della decisione di dimettere dall'ospedale il Ba. e di valutazione della condotta del medico, nulla puo' aggiungere o togliere al diritto del malato di ottenere le prestazioni mediche piu' appropriate ne' all'autonomia ed alla responsabilita' del medico nella cura del paziente.

Nulla, peraltro, si conosce dei contenuti di tali "linee guida", ne' dell'autorita' dalle quali provengono, ne' del loro livello di scientificita', ne' delle finalita' che con esse si intende perseguire, ne' e' dato di conoscere se le stesse rappresentino un'ulteriore garanzia per il paziente ovvero, come sembra di capire dalla lettura delle sentenze in atti, altro non siano che uno strumento per garantire l'economicita' della gestione della struttura ospedaliera. In ogni caso, non risulta acquisito in atti alcun documento che le riproduca.

D'altra parte, lo stesso sistema sanitario, nella sua complessiva organizzazione, e' chiamato a garantire il rispetto dei richiamati principi, di guisa che a nessuno e' consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, ne' di diramare direttive che, nel rispetto della prima, pongano in secondo piano le esigenze dell'ammalato. Mentre il medico, che risponde anche ad un preciso codice deontologico, che ha in maniera piu' diretta e personale il dovere di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza e che si pone, rispetto a questo, in una chiara posizione di garanzia, non e' tenuto al rispetto di quelle direttive, laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non puo' andare esente da colpa ove se ne lasci condizionare, rinunciando al proprio compito e degradando la propria professionalita' e la propria missione a livello ragionieristico.

Se le "linee guida" richiamate dai giudici del gravame, addotte dall'imputato a giustificazione della decisione di dimettere il Ba. , dovessero rispondere solo a logiche mercantili, il rispetto delle stesse a scapito dell'ammalato non potrebbe costituire per il medico una sorta di salvacondotto, capace di metterlo al riparo da qualsiasi responsabilita', penale e civile, o anche solo morale, poiche' sul rispetto di quelle logiche non puo' non innestarsi un comportamento virtuoso del medico che, secondo scienza e coscienza, assuma le decisioni piu' opportune a tutela della salute del paziente. Di qui, l'esigenza di approfondimento delle delicate questioni che la vicenda pone, al fine di verificare se tali "linee", che legittimamente potrebbero essere ispirate anche a logiche di economicita' di gestione, non siano, nel caso di Ba. Ro. , in contrasto con le conclamate esigenze di cura del paziente.

Orbene, tale approfondimento, nella vicenda in esame e' del tutto mancato, ovvero si e' articolato, nella sentenza impugnata, in maniera incongrua ed incoerente rispetto al tema oggetto di contrasto tra le parti.

I giudici del gravame, invero, sono pervenuti alla sentenza assolutoria sol riconoscendo il rispetto, da parte del medico, delle "linee guida", in ossequio alle quali essi hanno ritenuto legittima la decisione di dimettere un paziente, pur colpito da gravissimo infarto, gia' dopo nove giorni dal ricovero, in considerazione della stabilizzazione del quadro clinico e della mancanza di controindicazioni alla dimissione. Cio', tuttavia, attraverso un iter argomentativo che ha tenuto conto solo della generica presenza delle condizioni astrattamente previste nelle "linee guida" di settore, della cui incerta presenza e dei cui incerti contenuti si e' gia' detto, ma che ha del tutto omesso di considerare se le specifiche condizioni cliniche del Ba. consentissero di procedere ad un "acceleramento" della dimissione, ovvero evidenziassero la necessita' di un prolungamento della degenza ospedaliera, superando la burocratica barriera frapposta dalle "linee guida".

Il parametro di riferimento per valutare la condotta dell'imputato, e quindi la bonta' della decisione di dimettere il paziente, e' stato, in altri termini, individuato dagli stessi giudici nella verifica dell'avvenuto rispetto, da parte dello stesso, delle "linee guida" e di una "prassi", pure genericamente richiamata, laddove andava verificato se la dimissione rispondeva alle specifiche condizioni di salute del Ba. ed alle sue esigenze di cura, alla luce della "persistente criticita' e precarieta'" dello stato di salute del paziente, pur riconosciute nella sentenza impugnata ed individuate:

- nella severita' dell'infarto, descritto come "miocardico antero - settale molto esteso", che aveva esordito con gravissima patologia respiratoria che aveva richiesto una ventilazione meccanica ed il ricovero in rianimazione;

- nella grave compromissione della residua funzione meccanica, con frazione di eiezione ridotta al 29%;

- nell'elevato rischio di recidiva, anche a causa di pregresse e varie patologie di cui il Ba. era portatore.

Andava, quindi, esaminata la legittimita' di quella decisione, rapportandola non alle "linee guida", ma alla complessiva condizione del paziente, alla luce delle gravi e da tutti riconosciute richiamate "criticita'", al fine di accertare se le dimissioni dello stesso fossero giustificate, in quanto con quella compatibili, ovvero affrettate, in vista della necessita' o almeno della opportunita' di rinviarle di qualche tempo, in attesa che il quadro clinico "stabilizzato" si consolidasse non solo con riferimento all'infarto, ma anche con le condizioni generali del malato che si presentava, oltre che convalescente da un recentissimo e devastante infarto al miocardio, anche obeso, iperteso, ipercolesterolemico e ipertrigliceridemico.

Viceversa, non e' per nulla emerso che tali specifiche condizioni siano state adeguatamente approfondite; al contrario, la stabilizzazione del quadro clinico e l'assenza di controindicazioni alla dimissione appaiono riferibili, nel contesto motivazionale, alla sola patologia cardiaca, in vista dei riferimenti:

- al "livello di funzione meccanica cardiaca residua";

- all'inesistenza di aritmie e di altri segnali di instabilita' elettrica ventricolare;

- alla normalizzazione dei markers di necrosi, nell'assenza, quindi, del benche' minimo riferimento a quei gravi ed ulteriori elementi di criticita' che, se non adeguatamente contrastati, avrebbero potuto moltiplicare i gia' gravi rischi di ricaduta.

Non basta, dunque, a render congrua la motivazione della sentenza impugnata il generico riferimento alle "linee guida" ed al rispetto delle stesse da parte dell'imputato, ne' a renderla coerente rispetto alle stesse premesse dalle quali e' partita l'analisi della corte territoriale, laddove la stessa, oltre ad aver dato atto della "persistente criticita' e precarieta'" delle condizioni del paziente "non solo derivanti dal grave infarto subito", ma anche dalle "patologie di cui egli era portatore", ha anche precisato di condividere l'affermazione del primo giudice secondo cui il rispetto delle linee guida non esime automaticamente il medico dalle proprie responsabilita'.

Evidente, in altri termini, si presenta l'incoerenza logica della motivazione, laddove il giudice del gravame - che pure ha individuato sia i limiti delle "linee guida", sia la "persistente criticita' e precarieta'" delle condizioni del paziente dimesso - ha giudicato legittima la decisione dell'imputato di dimetterlo, non essendo stato dimostrato "che il caso specifico presentava particolarita' tali da configurare una situazione al di fuori della norma e presentava condizioni di rischio superiori o diverse da quelle riscontrate in casi analoghi", senza verificare se la "particolarita'" del caso Ba. non dovesse rinvenirsi proprio nella "persistente criticita' e precarieta'" delle condizioni dello stesso dovute, non solo all'invasivita' dell'infarto, ma anche alle gravi, ulteriori e preesistenti patologie.

Incongruo e' poi l'argomento utilizzato dalla corte territoriale per ribadire la legittimita' della dimissione del Ba. . Ha, invero, sostenuto la stessa corte che, poiche' il rischio di mortalita' di pazienti con esteso infarto al miocardio e', nel corso del primo anno, elevato e poiche' non e' possibile prevedere se e quando l'evento avverso si potra' verificare, legittima dovrebbe ritenersi la dimissione dopo nove giorni. Argomentazione da un lato fuorviante, poiche' oggetto di approfondimento doveva essere non la durata del ricovero in se', bensi' la legittimita' della dimissione se ancorata solo alle scadenze fissate nelle "linee guida" e quindi a criteri di economicita' di gestione e non anche alle effettive esigenze del singolo paziente, dall'altro concettualmente inaccettabile, poiche' proprio l'elevata mortalita' di pazienti colpiti da infarto al miocardio, specie se, come nel caso di specie, accompagnato da ulteriori gravi patologie che aumentavano il rischio di ricadute, avrebbe dovuto indurre a maggior prudenza e ad una piu' paziente attesa di una piu' consolidata stabilizzazione del quadro clinico complessivo.

La vicenda, in conclusione, merita maggiori approfondimenti e piu' coerente motivazione in punto di verifica della sussistenza di profili di colpa a carico dell'imputato, la cui condotta dovra' essere valutata con riguardo non alla sua conformita' alle "linee guida" piu' volte richiamate, bensi' alle condizioni del Ba. , in relazione non solo alla gravita' dell'infarto che lo ha colpito, ma anche alle patologie preesistenti ed a tutte le "criticita'" che ne rendevano estremamente precario lo stato di salute, al fine di verificare se la decisione di dimetterlo dall'ospedale a nove giorni dal ricovero, sia stata corretta ovvero affrettata, e dunque errata.

A tanto provvedera' il giudice del rinvio, il quale valutera' l'opportunita' di disporre anche accertamenti tecnici diretti a chiarire i punti ancora incerti della vicenda e, ove ritenga di rilevare nella condotta dell'imputato profili di colpa, affrontera' il tema del nesso causale, solo accennato dalla corte territoriale, alla stregua dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la nota sentenza n. 30328/02 (Franzese).

La sentenza deve essere, in conclusione, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano, cui rimette anche il regolamento, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.

 

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