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Il pagamento del 20% del canone di locazione a titolo di risarcimento del danno da occupazione illegittima dell’immobile libera il conduttore dall’obbligo di risarcire il maggior danno

Il pagamento del 20% del canone di locazione a titolo di risarcimento del danno da occupazione illegittima dell’immobile, tardivamente rilasciato, così come previsto dall’art. 6, comma 6 della L. 9 dicembre 1998, n. 431, comporta che il conduttore resti esentato dall’obbligo di risarcire il maggior danno, ai sensi dell’art. 1591, c.c., comma 2°, anche nell’ipotesi in cui il locatore possa dimostrare l’esistenza di un suo più grave e rilevante pregiudizio. (Corte D’Appello di Napoli, sez III, sentenza del 7 gennaio 2008, n. 44)



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 4 novembre 1994, Al.Gl. conveniva in giudizio Ca.Ma., esponendo di essere proprietaria esclusiva dell'appartamento sito in Napoli, Corso (omissis); che detto immobile era stato concesso in locazione per uso abitativo con contratto del 4.8.1984 al sig. Cal.Ma.; che nei confronti del conduttore veniva intimato in data 3.5.1989 sfratto per finita locazione dinanzi al Pretore di Napoli; che il Tribunale di Napoli adito per il giudizio di merito a seguito di opposizione dell'intimato, con sentenza del 24.6./3.7.1992, dichiarava cessata la locazione alla scadenza del 4.8.1988, fissando il termine per il rilascio dell'immobile al 17.6.1993; che nonostante ciò l'immobile non veniva riconsegnato; tanto premesso, la ricorrente chiedeva che il resistente Ca. fosse condannato al risarcimento di tutti i danni subiti a causa del mancato rilascio e per la mancata utilizzazione dell'immobile in misura da precisarsi nel corso del giudizio, ovvero da determinarsi in via equitativa dall'adito Tribunale.

Si costituiva in giudizio il Calamità che contestava il contenuto dell'atto introduttivo e ne chiedeva il rigetto.

Con memoria depositata il 21.2.1997, si costituiva per la ricorrente in sostituzione dell'avv. De., il nuovo difensore che rassegnava le nuove conclusioni ed in particolare chiedeva che fosse accertato e dichiarato l'avvenuto rilascio dell'immobile da parte del Ca. soltanto in data 20.9.1995; che il convenuto fosse condannato al risarcimento di tutti i danni patiti ed in particolare: a) Lire 21.940.304, pari all'importo che il Ca. assume di aver corrisposto in più rispetto al ed. equo canone per il periodo da settembre 1988 a settembre 1995, oltre interessi; b) Lire 152.500.000, quale differenza tra il capitale che oggi avrebbe la ricorrente se avesse potuto alienare il cespite nell'anno 1994 ed il valore attuale dello stesso, oltre Lire 82.167.256, quale differenza tra quanto la ricorrente avrebbe realizzato secondo il canone di mercato e quanto invece ha percepito per effetto dell'applicazione dell'equo canone conseguente all'occupazione del Ca. Ammessa ed espletata la prova testimoniale, sulle conclusioni rassegnate dalle parti all'udienza del 30 ottobre 2001, il giudice adito con sentenza del 25.1.2002 condannava il convenuto a pagare all'attrice la maggiorazione del 20% del canone corrisposto per il periodo 4.8.1988-17.6.1993, con gli interessi dalla domanda, nonché la somma di Lire 29.774.830, (Euro 15.377,42), a titolo di risarcimento del danno per il periodo dal 17.6.1993 fino all'effettivo rilascio, oltre interessi dalla domanda, rigettando per il resto il ricorso e compensando per la metà le spese del giudizio.

Avverso la citata sentenza ha proposto appello Ca.Ma. con atto notificato il 27.6.2002, chiedendo l'integrale riforma dell'impugnata sentenza ed il rigetto della domanda attrice. In particolare, l'appellante ha dedotto che:

1) Erroneamente il primo giudice lo aveva condannato a versare alla locatrice la maggiorazione del 20%, atteso che il dedotto inadempimento non era a lui imputabile, considerata la penuria degli alloggi da cui è stato caratterizzato il mercato immobiliare campano per il periodo dal 4.8.1988 al 17.6.1993, che non può non essere considerato fatto notorio. Da ciò conseguirebbe - secondo l'appellante - l'inapplicabilità della norma di cui all'art. 1218 c.c., a causa della mancanza di imputabilità del ritardo nel rilascio dell'immobile.

2) Quanto al danno liquidato per il periodo successivo al 17.6.1993, il giudice erroneamente aveva ritenuto raggiunta la prova di tale danno in relazione a presunte offerte di locazione che riguarderebbero invece il periodo intermedio tra la scadenza contrattuale (4.8.1988) ed il termine fissato per il rilascio dell'appartamento (17.6.1993), nel corso del quale operava la predeterminazione legale del maggior danno nella misura massima del 20% del canone. In particolare, - rileva l'appellante -, le uniche deposizioni testimoniali escusse sull'argomento si riferiscono ad un'epoca anteriore - e precisamente agli anni 1988-1989, ragion per cui non avrebbero potuto essere utilizzate per ritenere provato il maggior danno da mancata utilizzazione dell'immobile, che va dimostrato in relazione al periodo per il quale è dedotto, e cioè, nella presente fattispecie, in relazione ad epoca successiva al 1993.

In ogni caso, le testimonianze rese nel giudizio di 1° grado, come osserva l'appellante, non erano tali da fornire una rigorosa ed attendibile prova sulla sussistenza dell'effettività delle offerte di locazione, avendo i testi escussi dichiarato di aver offerto la somma di Lire 1.000.000 per il fitto dell'appartamento, pur senza averlo visionato ed in riferimento ad anni, quali il 1988 ed il 1990, in cui vigeva ancora il regime dell'equo canone. In conclusione, l'appellante ha chiesto la riforma dell'impugnata sentenza, ed il rigetto della domanda attrice.

Si è costituita l'appellata, che ha chiesto il rigetto dell'appello; ha spiegato, indi, appello incidentale, con cui ha insistito sull'accoglimento integrale delle conclusioni di 1° grado.

In particolare, l'appellante incidentale ha insistito sulla condanna del Ca. alla restituzione della somma di Lire 21.940.304 (Euro 11.331,22); l'appellante, infatti, ha precisato che l'Al., in esecuzione della sentenza emessa dal Pretore di Napoli il 25.10.1997 aveva versato al Ca. la somma di Lire 32.430.480, quale maggior somma illegittimamente corrisposta dal conduttore in più rispetto al c.d. equo canone; ma - deduce l'appellante - che da tale somma occorreva detrarre quella di Lire 21.940.304, relativa alle differenze per il periodo dal luglio 1988 al settembre 1995, adducendo che essa farebbe parte dell'integrale risarcimento dei danni subiti, per effetto dell'occupazione abusiva del Ca., e, pertanto, avrebbe dovuto essere considerata e liquidata in favore dell'Al. nel presente giudizio. L'appellante incidentale ha, quindi, contestato la sentenza, nella parte in cui ha ritenuto liquidabile il maggior danno solo a partire dal 17.6.1993 e fino al rilascio, assumendo che invece esso avrebbe dovuto essere liquidato nella maggiore misura anche per il periodo antecedente e precisamente sin dalla data della scadenza della locazione, non rilevando ai fini della mora nella restituzione la data di esecuzione dello sfratto fissata dal giudice ai sensi dell'art. 56 della L. 392/1978. Tale norma, infatti, avrebbe soltanto risvolti processuali e non inciderebbe sulla data di scadenza della locazione e sul correlativo obbligo di riconsegna dell'immobile. Né poteva ritenersi applicabile alla fattispecie la legge 431/1998, che non riguarderebbe per espresso (riferimento dell'art. 14 i giudizi in corso; in ogni caso, l'art. 6 della succitata legge avrebbe limitato la misura del risarcimento del danno al 20% solo per i mesi di sospensione dell'esecuzione, che nel caso di specie non vi sarebbe stata, operando tutt'al più soltanto quella di cui alla L. 61/89. Secondo l'appellante, ne conseguirebbe che il danno doveva essere liquidato in base ai criteri di cui all'art. 1591 c.c. per l'intero periodo che va dal 4.8.1988 al 17.6.1993, o almeno per il periodo non soggetto a sospensione, nella misura dell'intero fitto che l'Al. avrebbe percepito ove l'immobile fosse stato liberato.

L'appellante ha, inoltre, censurato la sentenza nella parte in cui era stata respinta la domanda diretta ad ottenere il maggior danno da mancata vendita, assumendo che il primo giudice erroneamente non aveva riconosciuto l'efficacia probatoria della scrittura privata, e non aveva attentamente valutato le risultanze delle deposizioni testimoniali. L'appellante ha, al riguardo, precisato di aver dimostrato di aver ricevuto nel settembre 1993 la proposta di acquisto dell'immobile da parte del sig. Ra.Pa. per il prezzo di Lire 350.000.000, a condizioni però che lo stesso fosse venduto libero e vuoto da persone e da cose, producendo la relativa proposta di acquisto firmata dal Ra. ed accettata dall'Al. Inoltre, il teste Ra., escusso nel giudizio di primo grado, avrebbe confermato di essersi obbligato all'acquisto dell'appartamento alle condizioni suindicate, riconoscendo la proposta irrevocabile e la propria firma. L'appellante in particolare censura il ragionamento del primo giudice che aveva ritenuto la scrittura privata priva di efficacia probatoria, perché non avente data certa, assumendo che tale atto era stato prodotto solo come fatto storico, e cioè come prova che sarebbe stata incassata la somma di Lire 350.000.000 se l'immobile fosse stato liberato, ciò a conferma della validità della prova testimoniale.

L'appellante incidentale ha, quindi, concluso per l'integrale accoglimento della domanda attrice. All'udienza del 16.11.2007, la causa è stata riservata in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Rileva, preliminarmente la Corte che per un corretto iter motivazionale appare opportuno esaminare congiuntamente il primo motivo di appello principale con cui l'appellante principale si duole della pronuncia di condanna al risarcimento del danno nella misura del 20% del canone dovuto in favore dell'Al., adducendo la mancanza di imputabilità del dedotto inadempimento a sé medesimo, ed il terzo motivo di appello incidentale con cui l'Al. nega l'applicabilità della norma di cui all'art. 6 L. 431/1998 al presente giudizio ed invoca il risarcimento dell'integrale maggior danno per l'intero periodo che va dalla scadenza contrattuale all'effettivo rilascio dell'immobile rispetto a quello liquidato dal giudice.

Va, innanzitutto, precisato in fatto che con la sentenza del Tribunale di Napoli del 24.6.1992 fu dichiarata la cessazione della locazione al 4.7.1988 ed il termine per il rilascio fu sospeso e fissato dal giudice il 17.6.1993.

Ciò premesso, e, vertendosi, quindi, in tema di sospensione dello sfratto per ordine fissato dal giudice, occorre richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale di recente ribadito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 10836 del 2007, secondo il quale "in tema di locazione di immobili urbani, la norma contenuta nella L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 6, comma 6, che ha introdotto una determinazione predeterminata e forfettaria del risarcimento del danno da occupazione illegittima degli immobili nella misura massima del 20% del canone di locazione, con esclusione di ogni altro risarcimento previsto dall'art. 1591 c.c. (salvo che nel periodo successivo alla scadenza del termine di sospensione dell'esecuzione stabilito ope legis o di quello giudizialmente fissato per il rilascio dell'immobile, in base alla sentenza n. 482 del 2000 della Corte costituzionale) è una norma eccezionale, di efficacia temporanea e destinata ad agevolare la transizione verso il nuovo regime pattizio delle locazioni e, come tale, avente efficacia retroattiva ed immediatamente applicabile ai giudizi in corso" (in senso conforme, cfr. sez. 3A, 7.11.2002, n. 15621, che ha sottolineato, in particolare, come la norma in questione avesse natura di interpretazione autentica di quella di cui alla L. n. 61 del 1989, art. 1 bis a mente della quale, dichiarata la cessazione del contratto di locazione, il conduttore, per tutto il periodo di sospensione ope legis dell'esecuzione dello sfratto o per quello giudizialmente fissato per il rilascio L. n. 392 del 1978, ex art. 56, era tenuto a corrispondere una somma mensile pari all'ammontare del canone dovuto al momento della cessazione della locazione maggiorato del quinto, oltre agli aggiornamenti Istat). Tale quantificazione legale del danno conseguente al ritardato rilascio dell'immobile comporta ancora che il conduttore resta esentato comunque dall'obbligo di risarcire il maggiore danno, ai sensi dell'art. 1591 c.c., comma 2, anche nell'ipotesi in cui il locatore possa dimostrare l'esistenza di un suo più grave e rilevante pregiudizio, con l'eccezione, come già detto, dell'occupazione dell'immobile da parte del conduttore per periodi successivi alla scadenza del termine di sospensione ope legis dell'esecuzione dello sfratto ovvero di quello stabilito ex art. 56 legge citata per l'esecuzione del rilascio. Ciò premesso, posto che nella dedotta fattispecie in ossequio al suesposto principio è pienamente applicabile la norma citata contenuta nell'art. 6, comma 6, L. 9.12.1998, n 431, deve ritenersi pacifico, per quanto sopra esposto, che essa nell'introdurre una determinazione forfettaria del risarcimento del danno da occupazione illegittima degli immobili nella misura massima del 20% del canone di locazione limitatamente al periodo di sospensione dell'esecuzione, mentre, da un canto, ha escluso che il locatore per tale periodo possa invocare un danno maggiore, in quanto esso deve essere forfettariamente determinato nella succitata misura per espressa disposizione di legge, d'altro canto, impone che il conduttore che sia rimasto nel possesso dell'immobile sia tenuto a pagare tale maggiorazione, senza potersi sottrarre al relativo obbligo, in quanto la quantificazione legale del danno che il conduttore è comunque tenuto a corrispondere ai sensi dell'art. 1591 c.c. è quella determinata nella succitata maggiorazione del 20%. Ciò premesso, ritiene la Corte che nella dedotta fattispecie il Ca. non possa addurre alcuna valida motivazione,(pur a prescindere dalla genericità e vaghezza di quella da lui esposta ed individuata esclusivamente nella difficoltà generale esistente sul mercato di reperire altro immobile), per sottrarsi alla relativa obbligazione predeterminata per legge.

Quanto invece al motivo di appello incidentale con cui l'Al. ha rivendicato la liquidazione di una somma maggiore rispetto a quella riconosciutale dal primo giudice nella misura del 20%, come già sopra osservato, la disposizione di cui all'art. 6 della L. 431/1998 ha introdotto una quantificazione predeterminata di tale tipo di danno in maniera forfettaria e, tuttavia, inderogabile, per cui, come in più occasioni ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, il locatore non può rivendicare la liquidazione di un maggior danno per il periodo di sospensione dell'esecuzione degli sfratti, contemplato nella medesima norma, ma soltanto per il periodo successivo alla scadenza di tale sospensione, in cui l'immobile non sia stato rilasciato, qualora dimostri la sussistenza di un concreto danno collegato all'inadempimento del conduttore.

Pertanto, la relativa doglianza dell'appellante incidentale va respinta, e l'impugnata decisione sul punto deve essere confermata.

Va, invece, accolto il secondo motivo di appello principale con cui l'appellante deduce la mancanza della prova dell'esistenza di un danno effettivo correlato alla perdita di concrete occasioni di fitto dell'appartamento de quo per il periodo successivo alla scadenza del termine fissato per il rilascio dell'immobile (17.6.1993).

Dall'esame delle deposizioni testimoniali si evince infatti che le offerte di locazione cui i testi hanno fatto riferimento concernevano un periodo temporale diverso ed anteriore a quello in relazione al quale invece deve essere esaminata la sussistenza di un danno per la mancata utilizzazione dell'immobile e relativo ad epoca successiva al giugno 1993. Invero, entrambi i testi attestano di aver effettuato un'offerta di locazione, il teste Br., nell'anno 1988, ed il teste D., nell'anno 1990, mentre alcuna prova di offerte locative risulta fornita per il 1993 ed il 1994.

Invero, la prova del maggior danno di cui all'art. 1591 c.c. richiede la specifica dimostrazione di un'effettiva lesione del patrimonio del locatore consistente nel non aver potuto dare in locazione il bene per un canone più elevato e nel non averlo potuto utilizzare direttamente e tempestivamente, o nella perdita di occasioni di vendita ad un prezzo conveniente o in altre analoghe concrete situazioni pregiudizievoli. Detta prova incombe sul locatore tenuto a dar conto dell'esistenza di ben determinate proposte di locazione o di acquisto e di concreti propositi di utilizzazione (Cass. 7499/2007; 14753/2005; 993/2002).

Invece, nella dedotta fattispecie, per quanto sopra detto, la locatrice non ha offerto alcuna specifica prova di aver sofferto tale danno nel periodo successivo alla scadenza del termine fissato per il rilascio dal giudice al giugno 1993.

Dalle esposte considerazioni discende che in accoglimento di tale motivo di appello principale, ed in parziale riforma dell'impugnata sentenza, il relativo capo della domanda proposta dall'Al. va respinto. Venendo ad esaminare adesso gli altri motivi di appello incidentale, va respinto il primo diretto ad ottenere la restituzione della somma di Lire 21.940.304 (Euro 11331,22).

Rileva la Corte che tale cifra costituisce parte della maggior somma di Lire 32.430.480, che l'Al. è stata condannata a restituire al Ca. con sentenza del Pretore di Napoli del 25.10.1997, a titolo di differenze corrisposte in più rispetto alla misura che la medesima Al. avrebbe potuto percepire per il fitto dell'appartamento de quo in base al c.d. "equo canone", accertato nel suindicato giudizio.

Pertanto, la relativa domanda di restituzione proposta nel presente giudizio non può essere esaminata, atteso che essa è tesa a riproporre questioni già affrontate e risolte nell'altro giudizio conclusosi con la citata sentenza, ed il cui esame deve ritenersi, pertanto, precluso nella presente sede, in ossequio al principio del "ne bis in idem".

Venendo ad esaminare il motivo di appello incidentale diretto ad ottenere il risarcimento del danno da mancata vendita, l'appellante si duole, innanzitutto, del disconoscimento operato dal primo giudice della scrittura privata in quanto erroneamente ritenuta non avente data certa, e, quindi, dell'errata valutazione delle risultanze testimoniali.

Rileva la Corte che appare corretto il ragionamento del giudicante nella parte in cui ha negato l'efficacia probatoria dell'invocata scrittura privata.

Invero, ai sensi dell'art. 2704 c.c. la scrittura privata è opponibile ai terzi solo ove abbia data certa, certezza che non è possibile inferire dal contenuto dell'atto, in quanto essa si realizza soltanto con una delle circostanze oggettive esterne menzionate nello stesso art. 2704 c.c., quali la registrazione, la morte del sottoscrittore, o la sua sopravvenuta impossibilità fisica o con altro fatto che stabilisca in modo certo l'anteriorità della formazione del documento (cfr. Cass. 2754/1997), e ciò anche qualora scrittura sia invocata per il suo contenuto o quale fatto storico diretto a provare determinate circostanze, come, appunto, nella dedotta fattispecie.

Venendo poi all'esame della deposizione testimoniale del teste Ra.Pa., quest'ultimo ha fatto riferimento ad una proposta di acquisto dell'immobile in questione avvenuta (come dichiarato dallo stesso teste), all'incirca, sette o otto anni prima rispetto alla data in cui è stato escusso (1999), e, quindi, nel 1991-1992, in epoca, perciò, anteriore alla data in cui l'immobile in virtù dell'ordine di rilascio emesso dal giudice avrebbe dovuto essere reso libero da persone e cose. Il teste, inoltre, ha riferito di aver aderito a tale proposta e di aver anche versato l'acconto di Lire 3.000.000 senza tuttavia aver visitato l'immobile, ma di averlo soltanto visionato esternamente, ed ha, altresì precisato che la proposta era subordinata alla condizione che l'immobile si sarebbe liberato nel giro di qualche mese, entro cui la stessa proposta avrebbe mantenuto la sua validità. Orbene, tale testimonianza appare poco attendibile, in quanto non è verosimile che un acquirente s'impegni per l'acquisto di un immobile comportante un considerevole impegno di spesa senza visitare l'appartamento, anche al fine di poter valutare l'adeguatezza del prezzo di vendita rispetto alle condizioni dell'immobile ed alle correlative quotazioni sul mercato immobiliare. In ogni caso, anche tale proposta, come riportata dal teste, attiene ad un periodo temporale diverso ed antecedente a quello in cui l'immobile avrebbe dovuto essere lasciato libero e conseguentemente avrebbe potuto essere utilizzato concretamente dalla proprietaria anche per poter essere venduto. Lo stesso teste, infatti, ha dichiarato che la proposta aveva una validità limitata a qualche mese, e, quindi, allo stesso anno 1991, o, tutt'al più, all'anno successivo, in cui l'esecuzione dello sfratto era sospesa per ordine del giudice, senza che, pertanto, alcuna imputabilità del dedotto danno per la mancata stipulazione dell'atto di vendita possa attribuirsi ad una mora dell'inquilino nel rilascio dell'immobile. Pertanto, anche sotto tale aspetto, alcuna prova di un reale e concreto danno, consistente nell'aver perso delle determinate occasioni di vendita è stata offerta con specifico riferimento ad epoca successiva al giugno 1993. In conclusione, in parziale accoglimento dell'appello principale ed in parziale riforma dell'impugnata sentenza, Ca.Ma. deve essere condannato a corrispondere ad Al.Gl. la maggiorazione del 20% sul canone corrisposto nel periodo dal 4.8.1988 al 17.6.1993, mentre la domanda va integralmente rigettata per il resto.

Atteso l'esito complessivo della lite, appare opportuno compensare nella misura di due terzi le spese del doppio grado, mentre il restante terzo è posto a carico del Ca. e liquidato come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte d'Appello, III sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello principale proposto da Ca.Ma. nei confronti di Al.Gl. con atto notificato il 27.6.2002, nonché sull'appello incidentale proposto dal Ca. avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli il 25.1.2002, così provvede:

in parziale accoglimento dell'appello principale ed in parziale riforma dell'impugnata sentenza, condanna Ca.Ma. a corrispondere ad Al.Gl. la maggiorazione del 20% del canone corrisposto nel periodo dal 4.8.1988 al 17.6.1993, oltre gli interessi legali dalla domanda; rigetta per il resto la domanda di Al.Gl.; rigetta l'appello incidentale;

condanna Ca.Ma. a corrispondere ad Al.Gl. le spese del doppio grado, nella misura di un terzo, che liquida, per il I grado, in Euro 740,48, di cui Euro 34,43, per spese, Euro 286,05 per diritti, ed Euro 420 per onorari, e, per il II grado, in Euro 773,07, di cui Euro 43.03, per spese, Euro 290,04, per diritti ed Euro 440 per onorari, oltre IVA e CPA, e rimborso forfettario per spese generali;

compensa tra le parti i restanti due terzi delle spese del doppio grado.

Così deciso in Napoli il 23 novembre 2007.

Depositata in Cancelleria il 7 gennaio 2008.

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