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Il proprietario di un cane, seppure legato ad una catena, è responsabile dei danni che questo abbia cagionato
Pubblicata il 11/05/2008
Sentenza del 30 dicembre 2005, n. 47354)
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Con sentenza del 3/7/2002, il giudice monocratico del Tribunale di Trento Sez. distaccata di Cles, a seguito di giudizio abbreviato, ha assolto, con la formula perché il fatto non costituisce reato, i coniugi Lo. Za. e Li. Pa. dall'imputazione di lesioni colpose gravi in pregiudizio della minore Ma. St. loro ascritta, per avere, in qualità di gestori della malga Di., omettendo di dotare il loro cane-pastore bergamasco, di museruola e di catena di lunghezza tale da non consentirgli di aggredire i visitatori in area non protetta, concorso a cagionare alla suddetta bambina di anni 9 lesioni al volto di durata superiore ai 40 giorni e con sfregio permanente del viso, alla medesima procurate dai morsi del loro cane.
In sentenza, il primo giudice ha ritenuto di supportare la pronuncia assolutoria, considerando che la collocazione del cane legato alla catena in zona appartata rispetto all'area normalmente frequentata dai visitatori e l'apposizione in loco di un cartello recante la scritta attenti al cane, fossero cautele astrattamente sufficienti ad impedire eventi del tipo di quello verificatosi, nell'ambito di un profilo di colpa che, pur riconducibile agli obblighi di custodia di animali di cui all'art. 672 c.p., sarebbe sempre ricostruibile in termini di colpa generica.
Decidendo sull'appello proposto dal P.G. e dalle parti civili, la Corte di Appello di Trento, con sentenza del 19/2/2003, ha ritenuto di riformare la decisione appellata, dichiarando entrambi gli imputati colpevoli del reato loro ascritto e condannandoli, in concorso di attenuanti generiche, ciascuno alla pena della multa di euro 200,00 e, altresì, in solido al pagamento delle spese processuali per entrambi i gradi di giudizio, oltre al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa in favore delle costituite parti civili, ritenuto il concorso di colpa di chi esercitava, al momento del fatto, la vigilanza sulla bambina nella misura di 40%.
Avverso tale ultima sentenza hanno, per mezzo del difensore, proposto congiuntamente ricorso per cassazione entrambi gli imputati, deducendo violazione di legge per la ragione che i giudici del gravame avrebbero malamente interpretato le risultanze processuali, fino al punto di pervenire alla condanna ricorrendo a criteri di addebito della responsabilità, non consentiti, di natura oggettiva.
Secondo i ricorrenti, l'affermazione contenuta in sentenza che la presenza e la visibilità del cartello attenti al cane sarebbero irrilevanti, in quanto collocato nel luogo stesso in cui il cane era legato, sarebbe contrario al dato processuale, che invece indicherebbe il cartello a distanza di 4 metri dal palo al quale era legato l'animale; del pari, non ancorata alla realtà processuale sarebbe la tesi accusatoria secondo cui la catena sarebbe stata di lunghezza tale da consentire al cane di intercettare comunque il turista che facesse visita alla malga, risultando, secondo i ricorrenti, evidente dagli atti che la zona della stalla, in prossimità della quale il cane-pastore era legato, sarebbe invece appartata e non agevolmente accessibile.
Il ricorso è destinato alla declaratoria di inammissibilità.
Invero, le critiche mosse in tema di attribuzione della responsabilità penale in capo agli imputati sconfinano dai limiti previsti dalla legge per la ammissibilità del ricorso per cassazione, essendo esse dirette, attraverso la pretestuosa deduzione di asserite violazioni di legge e travisamenti del fatto, allo scopo ulteriore di ottenere una rivalutazione delle prove sulla responsabilità; il che si risolverebbe in un sostanziale nuovo giudizio sul fatto, sottratto, per costante giurisprudenza di questa Corte, come tutte le valutazioni di merito, al sindacato di legittimità di questa Corte.
In proposito, si sottolinea che la Corte di merito ha affrontato i temi riproposti in questa sede, confrontandosi con le argomentazioni difensive proposte allora dai resistenti, in questa sede odierni ricorrenti, e superandole con motivazione esaustiva e rispettosa delle regole della logica e dell'interpretazione giuridica applicabili nella fattispecie concreta.
Circa il punto relativo al cartello di segnalazione della presenza del cane, è stato persuasivamente spiegato nella sentenza impugnata che non poteva ad esso attribuirsi la rilevanza decisiva voluta dalla difesa, perché il cartello era collocato sul paletto stesso al quale l'animale era assicurato con catena, di talché l'avvertimento giungeva a conoscenza degli avventori, ivi compresi i genitori dei bambini, non già all'ingresso del locale aperto al pubblico, ma quando si approssimavano alla zona della stalla, luogo di attrazione specie per i più teneri di età.
Alla stregua del razionale iter-logico seguito dai giudici di appello ed esplicitato in forma chiara ed esaustiva in sentenza, appare anche corretta la considerazione, ora avversata dai ricorrenti, sull'insufficienza, addebitabile anch'essa a colpa sia generica che specifica degli imputati, della cautela di legare il cane con una catena, coprendo la lunghezza di quest'ultima una distanza dal palo comunque idonea ad intercettare il visitatore che si trovasse a passare nel suo raggio di azione.
In conclusione, i mezzi di impugnazione proposti dai ricorrenti, appaiono finalizzati allo scopo di ottenere ora una rivalutazione del materiale probatorio: essi sono, pertanto, riconducibili nel novero di quelli non consentiti in sede di legittimità.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e di ciascuno di essi, inoltre, al versamento a favore della Cassa delle ammende della sanzione pecuniaria, che, tenuto conto del profilo e dell'entità della colpa riconoscibili nella rispettiva condotta processuale, il Collegio determina nella somma indicata in dispositivo.
I ricorrenti, inoltre, vanno condannati in solido al rimborso delle spese sostenute in questo grado di giudizio dalle parti civili, che si liquidano nella complessiva somma di euro 2.000,00, oltre IVA e CPA.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno di essi, inoltre, al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di 1.000,00 Euro. Condanna i ricorrenti, altresì, in solido al rimborso delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili, che liquida nella somma complessiva di euro 2.000,00 oltre IVA e CPA.