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Il ricovero di un paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitaria avviene sulla base di un contratto tra il paziente stesso ed il soggetto gestore della struttura

Il ricovero di un paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitaria avviene sulla base di un contratto tra il paziente stesso ed il soggetto gestore della struttura. L'adempimento di tale contratto, con riguardo alle prestazioni di natura sanitaria, è regolato dalle norme che disciplinano la corrispondente attività del medico nell'ambito del contratto di prestazione d'opera professionale; con la conseguenza che il detto gestore risponde dei danni derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli, alla stregua delle norme di cui agli art. 1176 e 2236 c.c. ed in forza dell'art. 1228 c.c., nell'ipotesi in cui a fondamento della richiesta di risarcimento vi sia l'affermazione di un errore tecnico dei medici preposti al trattamento. Il positivo accertamento della responsabilità dell'ente gestore della struttura di ricovero deriva, pertanto, dalla responsabilità colposa del medico esecutore dell'attività che si assume illecita o inadempiente. Nell'ipotesi di specie sussiste il rapporto di preposizione di cui all'art. 1228 c.c., poiché non è stato contestato che il trattamento diagnostico e terapeutico colposo sia stato eseguito da personale inserito nella struttura sanitaria; mentre sarebbe spettata al medico convenuto o alla struttura di appartenenza la prova, in concreto non fornita, che la prestazione si fosse svolta in modo diligente e che gli esiti dannosi o sfavorevoli fossero da attribuire ad un fattore imprevisto o imprevedibile.

Tribunale Taranto, Sezione 3 civile, Sentenza 8 giugno 2012, n. 1206



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI TARANTO

TERZA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Taranto terza sezione civile in composizione monocratica in persona del giudice dott. Marcello Maggi, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 6837/2008 r.g.

Tra

At.Le. - Pu.Pa. rappresentati e difesi dall'avv. Ga.Di.;

- Attori -

E

Azienda Unità Sanitaria Locale Taranto 1 - in persona del Direttore Generale pro tempore - Pe.Gu. rappresentati e difesi dall'avv. Lu.Di.;

- Convenuti -

All'udienza dell'8/3/2012 la causa era riservata per la decisione sulle conclusioni dei procuratori delle parti come da relativo verbale.

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE (Art. 132 n. 4 c.p.c.)

Con atto di citazione del 21/10/2008 Le.At. e Pa.Pu. esponevano: che il 13/8/2004 il primo, mentre scavalcava un'inferriata in Manduria, era rimasto infilzato con la gamba sinistra ad una punta metallica della stessa;che l'At. era stato ricoverato presso il Presidio Ospedaliero Giannuzzi di Manduria, divisione di ortopedia, con diagnosi di "FLC gamba sinistra con lacerazione muscolare";che dopo l'esecuzione di esami ematochimici, il 16 agosto successivo, a seguito della comparsa di una sofferenza ischemica all'arto inferiore sinistro, il paziente era stato sottoposto a consulenza vascolare presso l'Ospedale di Taranto, la quale aveva evidenziato una ischemia completa dello stesso arto; che l'At. era stato quindi dimesso in pari data con diagnosi di "flebite" e trasferito presso l'Ospedale di Taranto reparto di chirurgia vascolare, ove era stato sottoposto nella stessa giornata ad intervento di bypass femore - tibiale superficiale; che il 20/8/2004 l'At. era stato dimesso con diagnosi di "ischemia tardiva post traumatica dell'arto inferiore sinistro da resezione completa dell'arteria poplitea; TVP della vena poplitea omolaterale" e, dopo ciclo di terapia iperbarica eseguita presso l'Ospedale di Gallipoli, il 4/9/2004 aveva subito nuovo ricovero presso la Divisione di Chirurgia Vascolare dell'Ospedale SS. Annunziata di Taranto, con diagnosi di "emorragia recidivante in necrosi muscolo - cutanea del polpaccio sinistro, ischemia del piede, stato settico"; che il 10/9/2004 aveva infine subito intervento di amputazione al terzo medio inferiore della coscia sinistra, con dimissione in data 25/9/2004; che la condotta dei sanitari del reparto di ortopedia dell'Ospedale di Manduria era stata inadeguata rispetto alle condizioni cliniche dell'At., in quanto non era stato eseguito alcun esame specialistico teso ad escludere un danno vascolare, ed inoltre l'osservazione clinica del paziente era stata carente, non essendosi rilevata la progressiva insorgenza dell'ischemia diagnosticata tardivamente ed in tempi non più utili per evitare la progressione della necrosi e la successiva amputazione dell'arto; che di tale condotta imperita e negligente dovevano rispondere contrattualmente o alternativamente ex art. 2043 c. civ. sia il dott. Pe., quale preposto al reparto di ortopedia, che la AUSL nella quale era ricompresa la struttura ospedaliera; tanto premesso convenivano dinanzi a questo Tribunale il dott. Gu.Pe. e la AUSL TA/1 per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni non patrimoniali e patrimoniali patiti dall'At., in conseguenza del colposo approccio terapeutico, e di quelli materiali, morali ed esistenziali patiti da sua madre Pa.Pu., il tutto con vittoria di spese di lite. Si costituivano la AUSL TA/1 ed il dott. Pe. contestando nel merito la fondatezza della domanda ed evidenziando che l'approccio diagnostico e terapeutico dei sanitari che avevano curato l'attore era stato del tutto conforme alle leges artis, tempestivo, diligente e perito, e che non era provato il nesso causale della loro condotta con il lamentato pregiudizio, il quale era invece riconducibile all'incidente del quale l'attore era rimasto vittima, ed alle cui conseguenze non era stato possibile porre rimedio. Eccepivano in subordine che il danno era stato quantificato in maniera eccessiva, e che vi era concorso di colpa del danneggiato rilevante ex art. 1227 c. civ. Chiedevano quindi il rigetto della domanda con vittoria di spese di lite, ed in subordine la riduzione del risarcimento.

1 - Entrambe le domande debbono essere accolte, per quanto di ragione. Da quanto non specificamente contestato, dalla documentazione sanitaria prodotta in atti dall'At. al momento della costituzione in giudizio relativa ai trattamenti terapeutici subiti, dalle valutazioni tecniche svolte dal consulente di ufficio, si evince che il 13/8/2004 l'attore mentre scavalcava un'inferriata rimase accidentalmente infilzato con la gamba sinistra ad una punta metallica della stessa. In seguito, alle ore 12,50 del 13/8/2004 fu ricoverato presso il Reparto di ortopedia e traumatologia del Presidio Ospedaliero di Manduria, ove fu posta diagnosi di "ferita lacero contusa della faccia posteriore della gamba sinistra di circa 6 cm con interessamento di cute e sottocute", e si provvide ad esame radiologico del femore ed a sintesi chirurgica della ferita. In quella data gli esami di laboratorio diedero risultati normali quanto ai valori di emoglobina, ematocrito e numero di globuli rossi. In pari data fu confezionata stecca gessata, fu posizionato l'arto inferiore in scarico e fu prescritta terapia farmacologica. Il 14 agosto 2004 si riscontrò come l'arto infortunato fosse "edematoso" e buono il trofismo cutaneo. Alle 9,30 dello stesso giorno l'emoglobina, l'ematocrito e numero di globuli rossi furono riscontrati in franca regressione rispetto a quelli di ingresso, con riscontro di valori inferiori al normale(cfr. relazione CTU pagg. 6 e 17). Il 15 agosto fu effettuata visita senza evidenza di alcunché, ponendosi l'indicazione di continuare la terapia medica in corso; il 16 agosto fu segnalata condizione di irrequietezza del paziente, nonché "edema" dell'arto inferiore sinistro. In pari data fu richiesta dai sanitari di Manduria ed eseguita consulenza di chirurgia vascolare presso l'Ospedale civile SS. Annunziata di Taranto. Nel corso di quest'ultima fu evidenziata dal chirurgo vascolare anche a seguito di esame ecocolordoppler, una situazione maggiormente complessa rispetto all'"edema" riscontrato quello stesso giorno presso l'Ospedale di Manduria, con "ischemia assoluta del piede sinistro" che appariva "pallido ed ipotermico con cianosi delle dita" con "completa abolizione della sensibilità e motilità del piede e delle dita". Fu consigliato l'immediato ricovero del paziente presso la stessa struttura per tentare un "pur problematico salvataggio d'arto inferiore", evidenziandosi che vi era impotenza funzionale dello stesso da oltre 24 ore. L'At. fu quindi ricoverato presso la Struttura complessa di chirurgia vascolare dell'Ospedale civile SS. Annunziata di Taranto con diagnosi di "ischemia tardiva postraumatica dell'arto inferiore sinistro". Gli esami emocromocitometrici evidenziarono ulteriore regressione dei valori di emoglobina, ematocrito e globuli rossi, postulanti il perdurare di una perdita ematica che, secondo le risultanze di esame angiografico, era da ascrivere ad una lesione traumatica dell'arteria poplitea di sinistra, la quale si presentava "occlusa al suo terzo superiore con scarsa redistribuzione del circolo distale" risultando pervia la sola interossea che si esauriva comunque al terzo medio della gamba. Alle ore 20 del 16 agosto 2004 l'At. fu sottoposto ad intervento chirurgico conservativo mediante "confezionamento a sinistra di un bypass femorale superficiale". Il 20/8/2004 il paziente fu trasferito presso l'Ospedale di Gallipoli e qui sottoposto anche per un concomitante processo infettivo, ad ossigenoterapia iperbarica sino al 4 settembre successivo, allorquando rientrò presso la Struttura Complessa di Chirurgia Vascolare dell'Ospedale civile SS. Annunziata di Taranto. Stante il riscontro di "necrosi muscolo cutanea settica del polpaccio sinistro con ischemia del piede" ed essendo risultata non garantista di un beneficio la terapia conservativa sino ad allora adottata, il paziente fu sottoposto il 10/9/2004 ad intervento chirurgico di amputazione al terzo medio inferiore di coscia dell'arto inferiore sinistro, e dimesso il 25/9/2004.

2 - Tali essendo i principali elementi di fatto accertati, si rileva che l'attore ha chiesto affermarsi la responsabilità risarcitoria dell'ente e del medico convenuto per effetto dell'assunto inadeguato trattamento diagnostico e terapeutico ricevuto presso il reparto di Ortopedia dell'Ospedale di Manduria, il quale ove tempestivo ed adeguato avrebbe in tesi evitato le conseguenze dannose derivate con l'amputazione dell'arto.

2.1 - Ha spiegato il CTU con motivazione diffusa e coerente ed apparentemente immune da vizi logici, che per effetto dell'incidente di cui fu vittima l'At. subì con ragionevole certezza, lesione dell'arteria poplitea di sinistra, e la conseguente sofferenza ischemica dei tessuti, complicata da uno stato settico. A questa situazione patologica seguì l'amputazione dell'arto, essendovi quindi rapporto di causalità materiale tra l'infortunio e l'esito lesivo concretamente verificatosi. Ha inoltre osservato l'ausiliare che i trattamenti terapeutici praticati dai sanitari del reparto di chirurgia vascolare dell'Ospedale di Taranto a partire dal 16/8/2004, e poi dal 4/9/2004, e quelli praticati presso l'Ospedale di Gallipoli, furono correttamente posti;se ne deduce che l'amputazione dell'arto si rese necessaria in rapporto alla condizione clinica presentatasi dopo l'insuccesso della terapia conservativa tentata con l'intervento chirurgico del 16/8/2004 e la successiva ossigenoterapia.

Ricorre invece dimostrazione di una condotta colposa dei sanitari che ebbero in cura l'attore presso il nosocomio di Manduria. Ha spiegato l'ausiliare che la modalità traumatica e la localizzazione posteriore (quasi al cavo popliteo) della ferita riportata dall'At. nell'incidente del 13/8/2004 avrebbero reso probabile un interessamento vascolare, e che tale concreta possibilità avrebbe dovuto essere verificata mediante l'adozione di indagini strumentali, che invece furono omesse. Ha inoltre esposto il CTU che il riscontro in data 14/8/2004 di "edema" all'arto inferiore, con suo aumento di volume, non avrebbe potuto spiegarsi solo in ragione della "ferita lacero contusa con interessamento muscolare" diagnosticata; e che la manifestazione in pari data di regressione dei valori dell'emoglobina, del numero dei globuli rossi e dell'ematocrito avrebbe dovuto indurre i sanitari a sospettare una perdita ematica interna alla quale, stante l'assenza di sanguinamento esterno, doveva ascriversi l'aumento di volume dell'arto. Il CTU ha aggiunto che la lesione vascolare non comportò verosimilmente una immediata rottura dell'arteria poplitea ma solo un suo sovvertimento strutturale, con ciò spiegandosi il mancato riscontro di valori anomali al primo esame emocromocitometrico. Solo successivamente si ebbe un cedimento della tonaca esterna del vaso, con conseguente emorragia interna, di entità progressivamente ingravescente, essendo tale evenienza confermata dalla evidenti alterazioni riscontrate dal chirurgo vascolare dell'Ospedale civile SS. Annunziata di Taranto, con sofferenza su base ischemica e completa abolizione sia della sensibilità che della motilità del piede e delle dita da oltre 24 ore. Ha chiarito l'ausiliare che il calo repentino dei valori emocromocitometrici riscontrato già il 14/8/2004 non era ascrivibile ad altri effetti traumatici, essendo pertanto correlarle solo ad una lesione vascolare, quale quella poi riscontrata nel corso della visita effettuata il 16/8/2004 presso il nosocomio tarantino. Il fondato sospetto di una lesione vascolare avrebbe quindi reso necessario secondo le leges artis ulteriori indagini di laboratorio, allo scopo di controllare l'evoluzione dei valori emocromocitometrici, e, soprattutto un immediato approccio diagnostico strumentale inteso ad approfondire la presenza di quella lesione, mediante ecografia, TAC e consulenza specialistica. Alla omessa valutazione di un danno vascolare sin dal 13/8/2004, ed al non immediato e corretto e tempestivo approccio diagnostico, seguì il perdurare della sofferenza ischemica dei tessuti molli che venne poi riscontrata dal chirurgo vascolare solo in data 16/8/2004, dando luogo in seguito alla necrosi dei tessuti, che rese necessaria l'amputazione dell'arto. Ha ritenuto in definitiva il CTU, dandone spiegazione coerente e motivata, che l'omissione diagnostica dei sanitari di Manduria pur in presenza di dati clinici e di laboratorio tali da non escludere l'evenienza della lesione vascolare, ne avrebbe impedito il tempestivo trattamento, che se praticato avrebbe reso quella lesione "emendabile". La condotta omissiva ed il ritardo diagnostico, non rispondenti a diligenza professionale ex art. 1176 - 2 co. c. civ., si pongono allora in relazione causale rispetto alle conseguenze lesive in concreto verificatesi con l'ischemia e la successiva necrosi dell'arto. Occorre ricordare che, in base ai criteri elaborati dalla giurisprudenza il nesso eziologico tra il comportamento omissivo del medico ed il pregiudizio subito dal paziente può dirsi sussistente, qualora attraverso un criterio necessariamente probabilistico si ritenga che l'opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi, in esso compreso l'aggravamento della malattia (Cass. 11/5/2009 n. 10743; id. 4 marzo 2004 n. 4400; id. 23 settembre 2004 n. 19133; id. 11 novembre 2005 n. 22894; id. 21 gennaio 2000 n. 632); e tale possibilità è da stimarsi in base alla regola della normalità causale, vale a dire del "più probabile che non" (cfr. Cass. 16/10/2007 n. 21619 - id. 9/6/2011 n. 12686). Se ne deduce, facendo applicazione di tale criterio, che la condotta omissiva dei sanitari che ebbero in cura l'attore presso il nosocomio di Manduria ha avuto rilevanza causale nell'amputazione dell'arto in quanto ha impedito che le conseguenze lesive dell'infortunio assumessero la loro concreta gravità, mediante una pronta riparazione della lesione vascolare, che, secondo quanto accertato dal CTU, sarebbe stata praticabile in caso di tempestiva diagnosi.

3. - Dalla descritta condotta omissiva colposa discende l'obbligo risarcitorio solidale ex art. 2055 - 1 co. c. civ. dell'ente convenuto gestore della struttura sanitaria ove venne eseguito il trattamento terapeutico, e dello stesso convenuto dott. Pe. (che come non è stato specificamente contestato rivestiva la qualità di Dirigente del Reparto di ortopedia e traumatologia dell'Ospedale di Manduria all'epoca dei fatti di causa ed ebbe in cura l'At.), in base ai principi ed al regime probatorio della responsabilità contrattuale. Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, il ricovero di un paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitaria avviene sulla base di un contratto tra il paziente stesso ed il soggetto gestore della struttura, e l'adempimento di tale contratto, con riguardo alle prestazioni di natura sanitaria, è regolato dalle norme che disciplinano la corrispondente attività del medico nell'ambito del contratto di prestazione d'opera professionale; con la conseguenza che il detto gestore risponde dei danni derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli, alla stregua delle norme di cui agli art. 1176 e 2236 c.c. ed in forza dell'art. 1228 c. civ., nell'ipotesi in cui a fondamento della richiesta di risarcimento vi sia l'affermazione di un errore tecnico dei medici preposti al trattamento. Il positivo accertamento della responsabilità dell'ente gestore della struttura di ricovero deriva pertanto dalla responsabilità colposa del medico esecutore dell'attività che si assume illecita o inadempiente (in tal senso ex multis Cass. 24 maggio 2006, n. 12362; id. 13 aprile 2007, n. 8826; id. 14/6/2007 n. 13953). Nell'ipotesi di specie sussiste il rapporto di preposizione di cui all'art. 1228 c. civ. poiché non è stato contestato che il trattamento diagnostico e terapeutico colposo sia stato eseguito da personale inserito nella struttura sanitaria del Presidio Ospedaliero di Manduria di cui il dott. Pe. era Dirigente; mentre sarebbe spettata al medico convenuto o alla struttura di appartenenza la prova, in concreto non fornita, che la prestazione si fosse svolta in modo diligente e che gli esiti dannosi o sfavorevoli fossero da attribuire ad un fattore imprevisto o imprevedibile (Cass. 9/2/2010 n. 2847; id. 16/1/2009 n. 975).

4. Accertati gli elementi soggettivi ed oggettivi dell'inadempimento, occorre liquidare il danno subito dall'At. in relazione immediata e diretta rispetto a questo. E' opportuno richiamare sul punto taluni principi tratti dalla pronuncia di Cass. s.u. 11/11/2008 n. 26972, intervenuta sul tema. Il danno non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l'art. 2059 c.c., si identifica col pregiudizio determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. L'art. 2059 c.c. non delinea una distinta ipotesi di illecito civile ma è norma di rinvio alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale.

L'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela. Si tratta (principalmente) dell'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno patrimoniale conseguente a reato ("Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui")". Ciò vale, dunque, "nell'ipotesi in cui il fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente: S.U. n. 6651/1982) come reato. In presenza del reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (come ad esempio nel caso del reato di lesioni colpose) ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all'ordinamento (secondo il criterio dell'ingiustizia ex art. 2043 c.c.), poiché la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell'interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato. Ed anche, negli altri casi determinati dalla legge la selezione degli interessi è già compiuta dal legislatore. Al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di siffatti diritti. Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell'ambito dell'art. 2059 c.c., il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dal D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, specifica definizione normativa (sent. n. 15022/2005; n. 23918/2006). Possono costituire solo "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione. Nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale va anche ricondotto il pregiudizio costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dall'illecito in sé considerata (tradizionalmente indicato quale danno morale soggettivo). Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti dalla persona lesa, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza che invece rientrerebbero nella liquidazione del pregiudizio all'integrità psicofisica. Sulla base dei principi appena esposti, la liquidazione dei danni non patrimoniali oggetto di valutazione nella specie può effettuarsi con riferimento alla tabella di liquidazione del danno non patrimoniale elaborata da ultimo nell'anno 2011 dal Tribunale di Milano, che la giurisprudenza della S.C. (cfr. Cass. 7/6/2011 n. 12408) ha ritenuto migliore riferimento parametrico al fine di garantire l'uniforme interpretazione del diritto (che contempla anche l'art. 1226 cod. civ., relativo alla valutazione equitativa del danno). Questa tabella, significativamente denominata - in ossequio ai principi enunciati dalle sezioni unite del 2008 - non più "Tabella per la liquidazione del danno biologico", bensì "Tabella per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico - fisica", fornisce secondo la pronuncia di legittimità da ultimo richiamata, il valore da ritenersi "equo", e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento, e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l'entità. Mediante l'espletata CTU si è accertato che l'attore per effetto dell'amputazione parziale dell'arto inferiore sinistro è attualmente portatore di un pregiudizio permanente all'integrità psicofisica (danno biologico) pari al "45 - 47%", con marcata incidenza sulla vita relazionale e comprensiva anche dei riflessi di carattere psichico, e che la malattia comportò un periodo di inabilità temporanea totale di trenta giorni. Sulla scorta del richiamato riferimento equitativo tabellare, il totale astrattamente risarcibile a titolo di danno non patrimoniale complessivamente considerato (comprensivo della lesione permanente del bene salute nel suo aspetto statico e dinamico, e del pregiudizio connesso alle sofferenze soggettive derivate dall'illecito, tradizionalmente denominato danno morale) per quarantasei punti di invalidità permanente (misura media tra quelle indicate dal CTU) con riferimento a persona dell'età di anni 40 al momento dell'evento lesivo, è pari ad Euro 303.493. La misura del 46% appare ragionevolmente determinata, ove si consideri la possibilità di applicazione di protesi articolata a livello del ginocchio, segnalata dal CTU, ed in relazione a quanto previsto dalle tabelle medicolegali in uso per la valutazione del danno biologico macropermanente nella responsabilità civile da circolazione stradale (comunque richiamabili estensivamente in ragione del fatto che non si trattò di infortunio sul lavoro) per l'ipotesi di amputazione monolaterale di coscia a qualsiasi livello. Va inoltre riconosciuto, sulla scorta del valore di Euro 91,00/giorno determinato dalle cennate tabelle per danno non patrimoniale temporaneo, l'importo di Euro 2.730,00 per trenta giorni di inabilità temporanea assoluta.

4.1 - Il consulente di ufficio ha ritenuto con motivazione logica e condivisibile essere derivata all'At. per effetto dell'amputazione parziale dell'arto inferiore sinistro una menomazione pressocchè completa della capacità lavorativa specifica, nonostante la possibilità concreta di fare uso di protesi all'arto inferiore. Ciò in relazione alla sua concreta professionalità (non è stato contestato che alla data dell'infortunio l'At. svolgesse attività di operaio carrellista alle dipendenze della Tn.) ed al titolo di studio di cui egli è in possesso(licenza media inferiore), tali da non renderne probabile in futuro il reimpiego con mansioni corrispondenti alla sue specifiche attitudini. Deve quindi ritenersi che la menomazione subita abbia dato luogo ad una concreta e totale soppressione della capacità di guadagno, risarcibile quale lucro cessante, ragionevolmente probabile in rapporto all'attività già svolta ed alle specifiche attitudini professionali, e tendenzialmente liquidabile in misura pari alle retribuzioni perse per effetto di quell'evento sino alla presumibile maturazione dell'età pensionabile (cfr. Cass. 28/7/2005 n. 15822). L'attore ha dichiarato in citazione di percepire assegno di invalidità per Euro 450,00 mensili oltre ad Euro 975 mensili per trattamento di cassa integrazione guadagni. Dal danno da liquidare non può tuttavia essere detratto il trattamento di invalidità secondo il principio della compensalo lucri cum damno, non derivando l'erogazione del trattamento di invalidità ed il risarcimento dal medesimo fatto illecito (Cass. 28/7/2005 n. 15822; Tribunale Milano, sez. X, 23/09/2009, n. 11179), e non avendo il trattamento di invalidità finalità risarcitone. Non può invece essere considerato ai fini della determinazione del danno risarcibile il periodo per il quale l'At. ha percepito trattamento di cassa integrazione guadagni, in quanto quest'ultimo ha carattere sostitutivo della retribuzione, e non è normalmente collegato alla condizione di invalidità. Non è, cioè, dimostrato che in assenza dell'infortunio l'At. non sarebbe stato attendibilmente collocato in cassa integrazione guadagni, sicché per il relativo periodo non può essere riconosciuto trattamento risarcitorio pari alla retribuzione che ordinariamente sarebbe stata percepita. Nella citazione del 21/10/2008 l'attore ha dichiarato di percepire trattamento di cassa integrazione guadagni pari ad Euro 975,00; ed anche in sede di operazioni di consulenza (cfr. verbale in data 9/2/2010), egli ha dichiarato di percepire tale trattamento. Ne deriva che il danno per perdita di retribuzioni ricollegabile alla soppressione della capacità lavorativa può essere liquidato solo per il periodo successivo al febbraio 2010, e sino al compimento dell'età pensionabile, dato che non è dimostrato che il trattamento di cassa integrazione si sia effettivamente protratto per periodi successivi al mese da ultimo citato (salvo, peraltro quanto ora si dirà in ordine alla liquidazione del danno). Dalla documentazione in atti risulta che l'attore percepì nel mese di luglio 2004 un salario di Euro 1.150,00 mensili mentre lo stesso istante ha ammesso negli scritti conclusionali, che la propria retribuzione ammontava in media ad Euro 1.100 mensili. Il danno patrimoniale per perdita di retribuzioni dal marzo 2010 sino al compimento dell'età pensionabile (presuntivamente individuabile al compimento di anni sessantaquattro) può allora essere complessivamente liquidato ex art. 1226 c. civ. in Euro 250.000, tenendosi comunque conto - in senso riduttivo rispetto al mero calcolo matematico - dell'eventualità che nel periodo lavorativo residuo sino al compimento dell'età pensionabile potessero intervenire, come già in passato, altri periodi di sospensione dell'attività lavorativa con riduzione della retribuzione. Sulla somma presuntivamente imputabile alle mensilità perdute da giugno 2012 sino al maggio 2028, si ritiene di non riconoscere interessi compensativi, in quanto se è vero che tale importo avrebbe dovuto essere erogato quale risarcimento dei danni sin dalla data dell'illecito e quale lucro cessante, è però anche vero che, per effetto della liquidazione attuale del risarcimento, lo stesso importo è corrisposto anticipatamente rispetto ai tempi in cui, in assenza dell'illecito, avrebbe dovuto essere erogato sotto forma di retribuzione. Per contro, sul danno non patrimoniale (per Euro 306.223) e su quello patrimoniale (per Euro 32.069) relativo a periodi di retribuzione che sarebbero all'attualità già maturati (quindi da marzo 2010 sino al maggio 2012, comprensivi di ratei annui di tredicesima mensilità), per un ammontare pari ad Euro 338.292, spettano interessi legali compensativi giacché l'equivalente pecuniario soddisfa il credito per il bene perduto, ma non anche le utilità che il controvalore pecuniario avrebbe potuto offrire se fosse stato immediatamente erogato. Il danno da ritardo si identifica nei frutti della somma di danaro equivalente al valore del bene al momento del fatto, dovuti con decorrenza dalla data del sinistro, cui risale la costituzione in mora ex art. 1219 - 2 co. n. 1 c. civ. La S.C. ha infatti confermato (cfr. Cass. 1/7/2002 n. 9517; 15/1/2001 n. 492) la legittimità del cumulo, nei debiti di valore, tra rivalutazione della somma ed interessi compensativi, precisando peraltro che essi vanno calcolati, non già in misura legale sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata (cfr. Cass. s.u. 1712/1995), bensì sul valore della somma originariamente dovuta, e via via rivalutata (in base agli indici Istat) nell'arco di tempo compreso tra l'evento dannoso e la liquidazione, oppure in base ad un indice medio che può calcolarsi anche sulla somma rivalutata, ma ad un saggio medio diverso da quello legale, il quale tenga conto del fatto che il calcolo viene effettuato partendo da una sorte già comprensiva di rivalutazione. L'ammontare degli interessi può essere nella specie calcolato utilizzando quest'ultimo criterio ex art. 1226 c. civ. e, pertanto, applicando - con decorrenza dalla 10/9/2004, giorno in cui si completò la fattispecie lesiva, sulla sorte di Euro 338.292 e sino alla data della presente sentenza - il tasso dell'1,5% annuo (da ritenersi equo in relazione alla liquidazione su somma già rivalutata), così ottenendosi a tale titolo la somma ulteriore di Euro 39.316, per un ammontare pari ad Euro 377.608.

Tale ultimo importo va sommato a quello spettante per danno relativo a perdita di retribuzioni da giugno 2012 sino al compimento dell'età pensionabile, pari ad Euro 217.931, per un complessivo ammontare risarcibile di Euro 595.539, al pagamento dei quale i convenuti varino condannati in solido tra loro.

6 - Deve essere accolta, per quanto di ragione, la domanda risarcitoria spiegata da Pu.Pa. madre dell'attore, avendo costei dimostrato di avere condiviso con quest'ultimo il drammatico iter sanitario conseguente all'infortunio, e soprattutto di assolvere costantemente dal quel momento, quale genitore convivente, all'assistenza morale e materiale del figlio, coadiuvandolo anche in attività quotidiane non adeguatamente assolvibili in forma autonoma in ragione della menomazione riportata (cfr. deposizione Na.). Deve cioè ritenersi secondo criteri di normalità, che l'illecito e la conseguente grave menomazione riportata dal figlio dell'attrice abbiano inciso negativamente (con rilevanza ex artt. 22043 e 2059 c. civ. nei limiti spiegati da Cass. s.u. 26972 - 2008) sia sulla sfera dell'integrità morale dell'attrice (in ragione del dolore e della sofferenza non transeunti conseguenti alla grave menomazione riportata dallo stretto congiunto), sia sulla integrità della precedente relazione familiare, a motivo delle ripercussioni di natura esistenziale sulla vita del prossimo congiunto che l'evento lesivo ha comportato e della conseguente alterazione dell'equilibrio familiare - quale interesse costituzionalmente protetto (cfr. art. 2, 29 e 30 Cost. - Trib. Milano 14/1/2009 n. 449). Il danno non patrimoniale in questione può essere equitativamente e complessivamente liquidato ex artt. 11226 e 2056 c. civ. tenendosi presente le circostanze del caso concreto (età piuttosto avanzata della Pu., gravità della menomazione subita dal figlio e durata dell'afflizione, stretto grado di parentela, prestazione di assistenza e dedizione quotidiana), in complessivi Euro 65.000, somma da intendersi già rivalutata all'attualità e comprensiva di interessi compensativi.

Le spese di lite distratte per il procuratore degli attori, dichiaratosi antistatario, e comprensive di quelle di consulenza di ufficio vanno poste a carico dei soccombenti AUSL/TA1 e Pe.Gu. in solido tra loro nella misura complessiva di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale definitivamente pronunciando così provvede:

1) accoglie la domanda proposta da At.Le. nei confronti della Azienda Sanitaria Locale TA/1 e Pe.Gu., per quanto di ragione, e, per l'effetto, condanna la AUSL TA/1 in persona del suo legale rappresentante pro tempore e Pe.Gu., in solido tra loro, al pagamento in favore dell'At. della complessiva somma di Euro 595.539, per le causali in motivazione;

2) accoglie la domanda proposta da Pu.Pa. nei confronti della Azienda Sanitaria Locale TA/1 e Pe.Gu., per quanto di ragione, e, per l'effetto, condanna la AUSL TA/1 in persona del suo legale rappresentante pro tempore e Pe.Gu., in solido tra loro, al pagamento in favore della Pu. della somma di Euro 65.000 per le causali in motivazione;

3) condanna la AUSL TA/1 in persona del suo legale rappresentante pro tempore e Pe.Gu., in solido tra loro, alla rifusione in favore di At.Le. e Pu.Pa. delle spese del giudizio liquidate in complessivi Euro 13.882,01 di cui Euro 7.500,00 per onorari, Euro 3.939 per diritti ed Euro 2.443,01 per esborsi, oltre iva, cna e rimborso forfettario al 12,5% da distrarsi per il procuratore degli attori, dichiaratosi anticipatario.

Così deciso in Taranto il 7 giugno 2012.

Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2012.

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