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L'obbligo risarcitorio dell'avvocato nei confronti del cliente è proporzionalmente ridotto per effetto dell'incidenza causale che ha avuto il cliente nella determinazione del danno

In seno al rapporto avvocato-cliente, l’attività riferibile al cliente che, più di ogni altra, è suscettibile di incidere sull’opera professionale e sul relativo esito è rappresentata, senza dubbio, dalla corretta e completa trasmissione delle informazioni inerenti alla vicenda concreta affidata alle cure del legale. Ne deriva la proporzionale riduzione dell’obbligazione risarcitoria, gravante a carico del professionista, in funzione della incidenza causale che, nella produzione del danno, ha avuto il comportamento colposo dello stesso cliente.
(Cassazione civile , sez. III, sentenza 02.04.2009 n° 8016)



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IN FATTO

La s.a.s. " S. di. L. M. , nel convenire in giudizio dinanzi al tribunale di Genova l'avv. M.M., espose che, in qualità di impresa artigiana di legatoria di libri, avendo eseguito ripetute prestazioni in favore della società B. s.p.a. per un valore di oltre lire 80 milioni, si era rivolta, in seguito al fallimento della debitrice, alla predetta professionista, la quale, erroneamente predisposta la domanda di ammissione al passivo della debitrice, aveva ottenuto l'insinuazione in via soltanto chirografaria, mentre il progetto di ripartizione dell'attivo predisposto dalla curatela avrebbe previsto il soddisfacimento dei crediti degli artigiani (dal quale essa istante era stata esclusa) in via privilegiata ex articolo 2751 bis c.c., n. 5.

La M.M. , nel costituirsi, controdedusse che il M.L. , a sua specifica richiesta, le aveva espressamente dichiarato che l'impresa da lui amministrata era di tipo industriale - circostanza confermata in fatto dall'utilizzazione di costosi macchinari e dall'acquisto dei locali di esercizio dell'azienda per circa lire un miliardo -, tale dichiarazione ricevendo poi ulteriore conferma da un colloquio intercorso tra il M.L. e una collaboratrice della M.M. che, richiesto un preventivo per la rilegatura di 50 volumi di riviste giuridiche, si era sentita replicare che l'attività dell'azienda era di tipo industriale (tanto da essere invitata a rivolgersi ad un rilegatore di tipo artigianale).

Il giudice di primo grado respinse la domanda, ritenendo la " S. " impresa industriale, attesane la prevalenza del capitale sul lavoro.

La sentenza fu impugnata dalla predetta società dinanzi alla corte di appello di Genova, la quale, nell'accoglierne, sia pur soltanto in parte, il gravame, osservò, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità:

1) che le eccezioni di rito sollevate in limine dall'appellata (nullità della citazione per vizio della procura rilasciata in primo grado e per mancata indicazione dell'invito a costituirsi in giudizio nel termine di 20 giorni prima dell'udienza fissata per la comparizione) erano infondate, poiché, da un canto: a) il mandato ad litem rilasciato in calce all'atto di citazione in primo grado contemplava la facoltà, per il difensore, di proporre appello; b) la trasformazione della " S. " nel corso del giudizio da s.n.c. in s.a.s. non aveva alcun riflesso sulla rappresentanza processuale dell'ente, non essendosi dato luogo alla creazione di altra società; c) la messa in liquidazione della società (con sostituzione del liquidatore all'amministratore) era del pari irrilevante, attesa la funzione della procura alle liti (volta a instaurare un rapporto diretto tra il difensore e la società, con conseguente irrilevanza delle vicende evolutivo-modificative dell'organo societario); d) tutto ciò a prescindere dalla ulteriore circostanza costituita dalla ratifica dell'atto di impugnazione con procura alle liti rilasciata dal liquidatore della società a margine del ricorso in ATP nel corso del giudizio di appello; dall'altro, alla luce della agevole lettura delle disposizioni codicistiche di cui all'articolo 167 c.p.c., che sopperivano alla mancanza, nell'atto di citazione in appello, del rituale avvertimento a costituirsi tempestivamente;

2) che le doglianze di merito dell'appellante risultavano di converso fondate, sia pur in parte qua: l'articolata indagine peritale eseguita in corso di giudizio (condotta sulla scorta di un'analisi comparata di tre dati di indagine, costituiti dalle scritture contabili della società, dall'entità della produzione e da alcune testimonianze), difatti, aveva evidenziato una serie di dati e circostanze del tutto condivisibili quanto alla ricostruzione del fattore lavoro e del compenso figurativo ricevuto dai tre soci dell'azienda, mentre le conclusioni relative al capitale impiegato dovevano essere significativamente rettificate sulla base della mancata considerazione della velocità del capitale circolante e della mancata evidenziazione della circostanza relativa alla quota di ammortamento del capitale investito, nel 1990, nell'acquisto dell'immobile sede dell'azienda;

3) che era lecito concludere, pertanto, nel senso della prevalenza del fattore lavoro sul capitale, con conseguente riconoscimento, alla società " S. ", della qualità di impresa artigiana;

4) che il comportamento dell'avv. M. M. doveva dirsi, per l'effetto, senz'altro colposo, essendosi ella rimessa ad informazioni acquisite da un suo collaboratore anziché privilegiare (quantomeno sino a prova contraria) il dato formale costituito dall'iscrizione della ditta nell'albo delle imprese artigiane: e la riprova del mancato approfondimento della questione di diritto era altresì costituita dal modestissimo compenso (lire 200.000) richiesto al M.L. ;

5) che, d'altro canto, colpevole doveva dirsi altresì il comportamento di quest'ultimo, le cui risposte, dapprima al difensore, dipoi al collaboratore del medesimo, avevano indubitabilmente agevolato l'errore lamentato;

6) che l'entità del concorso colposo del creditore ex articolo 1227 c.c., andava nella specie, quantificato nella misura dei 2/3;

7) che la perdita di chance di ottenere, nel giudizio di ammissione al passivo, l'insinuazione privilegiata e non soltanto chirografaria poteva a sua volta quantificarsi nella misura del 50%.

La sentenza della corte territoriale e' stata impugnata, dalla " S." in via principale e dalla M.M. in via incidentale, con ricorso per cassazione sorretto, rispettivamente, da due e cinque motivi di gravame.

Le parti hanno entrambe depositato memorie illustrative.

IN DIRITTO

I ricorsi, principale e incidentale, devono essere riuniti.

Essi sono entrambi infondati.

Con il primo motivo del ricorso principale, si denunciano i vizi di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articoli 1218, 1223, 1225, 1226 e 2907 c.c.).

Con il secondo motivo, il ricorrente principale denuncia ancora un vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 1221 c.c., comma 1 e articolo 2697 c.c., comma 2) e di omessa motivazione su di un punto parzialmente decisivo della controversia.

Entrambi i motivi risultano privo di pregio.

Essi si infrangono, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d'appello nella parte in cui ha ritenuto, con ammirevole precisione e commendevole rigore argomentativo (apprezzabile, in particolare, all'esito della lettura delle pp. 16 e ss. della sentenza impugnata) che il danno lamentato andasse, da un canto, rapportato alla perdita di chance di ammissione al passivo fallimentare come credito privilegiato - quantificando tale voce di danno emergente, con apprezzamento di fatto del tutto incensurabile dacché scevro da vizi logico-giuridici, nella misura del 50% dall'altro, ridotto in proporzione del colpevole comportamento tenuto dal ricorrente (apprezzamento fattuale, anche questo, del tutto condivisibile perché esente da qualsiasi vizio logico-giuridico, attesa la indiscutibilmente grave negligenza, sul piano dichiarativo e comportamentale, caratterizzante il comportamento del M.L. ). In realtà, entrambi i motivi, sì come articolati, pur lamentando formalmente una plurima violazione di legge e un decisivo difetto di motivazione, si risolvono, in realtà, nella (non più ammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si induce piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali cosi' come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo così all'impugnata sentenza censure del tutto inammissibili, perché la valutazione delle risultanze probatorie (e tra esse il giudizio sulla correttezza della CTU, ampiamente ed analiticamente motivato dalla corte genovese sia in senso positivo che negativo), al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E' principio di diritto ormai consolidato quello per cui l'articolo 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo - sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica - delle valutazioni compiute dal giudice d'appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (eccezion fatta, beninteso, per i casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di' legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente a porsi dinanzi al giudice di legittimità'.

Con il terzo motivo del ricorso incidentale (in realtà, il primo argomento di doglianza), l'avv. M. M. denuncia nuovamente un vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articoli 83, 125 e 182 c.p.c.) e di omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Il motivo non ha giuridico fondamento.

Come correttamente opinato dal giudice d'appello, la doglianza relativa ad un preteso vizio rappresentativo in ipotesi predicabile in capo al difensore della " S. " è del tutto infondata, come stabilito da questa stessa corte, per un caso del tutto analogo, con la sentenza 11847/2007, predicativa di un principio di diritto cui questo collegio intende senz'altro dare continuità.

Al rigetto del motivo in esame consegue l'assorbimento di quello successivo, contrassegnato con il n. 4, che attiene a pretesi vizi della procura successivamente rilasciata dal liquidatore della " S.".

Con il quinto motivo del ricorso incidentale (in realtà, il terzo), si denuncia, nuovamente, un preteso vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articoli 163 e 164 c.p.c.); una omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia.

La doglianza non può essere accolta, avendo, anche su questo punto, la corte ligure del tutto correttamente ritenuto valida la notificazione in appello pur in mancanza dell'avviso del termine di costituzione: va in questa sede ulteriormente specificato, ad integrazione della motivazione del giudice territoriale, come nessuna questione di nullità dell'atto introduttivo del giudizio di gravame fosse fondatamente proponibile nella specie, essendosi l'appellato ritualmente costituito in quella sede (la giurisprudenza di questa corte e', sul punto, del tutto consolidata: ex multis, Cass. 6820/02; 17474/07; 26662/07; 17951/08).

Con il sesto motivo, il ricorrente incidentale un ulteriore vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia per avere la corte di appello qualificato come artigiana l'azienda del M..

La censura e' infondata, e il rigetto delle argomentazioni che la sostengono trova fondamento nelle considerazioni svolte in precedenza in sede di esame del ricorso principale.

Con il settimo motivo, infine, il ricorrente incidentale deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 2236 c.c.); la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, lamentando la mancata applicazione, da parte del giudice territoriale, della norma di cui all'articolo 2236 c.c., in sede di valutazione della colpa professionale ascritta al difensore, avv. M. M..

La censura e' inammissibile, per essere stata per la prima volta rappresentata in questa sede.

Entrambi i ricorsi sono pertanto rigettati.

La disciplina delle spese e' regolata come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Dichiara interamente compensate le spese del giudizio di Cassazione.

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