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La distrazione del danneggiato può escludere il nesso di causalità ed risarcimento da incidente domestico
Pubblicata il 06/06/2009
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NANNI Luigi Francesco - Presidente
Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere
Dott. AMATUCCI Alfonso - Consigliere
Dott. SPIRITO Angelo - rel. Consigliere
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24544/2005 proposto da:
TO. EM. , elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. DEPRETIS 86, presso lo studio dell'avvocato CAVASOLA PIETRO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato GUGLIELMINO ELIO giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
BA. AN. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIO VENETO 7, presso lo studio dell'avvocato TARTAGLIA PAOLO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato BONINO GIOVANNI giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 564/2004 della CORTE D'APPELLO di TORINO, terza sezione civile, emessa l'11703/2005, depositata l'08/04/2005, R.G. 513/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/01/2009 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso l'inammissibilita' del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Nel giugno del 1999 To.Em. , nata nel (OMESSO), agi' giudizialmente nei confronti del cognato Ba.An. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti (quantificati in euro 18.975,65) a seguito della frattura della dialisi femorale destra, con conseguente complicanza costituita da embolia polmonare, riportata a seguito della caduta nella quale era incorsa nel soprastante appartamento del cognato, dove si era recata alle ore (OMESSO) per chiudere le finestre, secondo una consuetudine instauratasi tra le parti, e dove era inciampata in un tappeto lasciato arrotolato oltre la porta di ingresso del soggiorno e che, invece, trovava la sua abituale collocazione funzionale sotto un tavolino antistante il caminetto.
Espose che il convenuto aveva pienamente riconosciuto la propria responsabilita' nell'occorso, peraltro rilevando di essere assicurato per la responsabilita' civile presso l' As. , che tuttavia aveva rifiutato il risarcimento.
Il convenuto resistette.
Con sentenza del 16.1.2003 l'adito tribunale di Biella respinse la domanda.
2.- L'appello della To. , cui aveva resistito il Ba. , e' stato rigettato dalla corte d'appello di Torino con sentenza n. 564 del 2005, avverso la quale la soccombente ricorre per cassazione affidandosi a due motivi, illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso l'intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1.- Col primo motivo - denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 2727 e 2729 c.c. ed ogni tipo di vizio della motivazione - la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che non fosse stata raggiunta la piena prova del fatto costitutivo del proprio diritto, costituito dall'illecito comportamento del convenuto nel fatto produttivo del (pacifico) danno. Sostiene che sulla scorta della confessione del Ba. e delle dichiarazioni testimoniali di Lo. ed Ba.Al. , la corte d'appello non avrebbe dovuto nutrire dubbi di sorta ne' sull'anomala posizione del tappeto, arrotolato al di la' della porta, ne' sul nesso causale tra posizione del tappeto e caduta, non essendo emerso che pregressi intervento chirurgici avessero inciso sulla sua attitudine ad una sicura deambulazione. Sicche', quantomeno in applicazione delle regole in tema di presunzioni semplici, avrebbe dovuto univocamente concludere che la To. era effettivamente inciampata nell'ostacolo suddetto, essendo noto che nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessita' causale, essendo invece sufficiente che il fatto da profare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalita'.
Era stato poi contraddittorio affermare che non era stato provato a seguito delle espletate prove testimoniali che il tappeto fosse appena oltre l'ingresso (a pagina 9 della sentenza) e ritenere poi che il convenuto aveva dichiarato di aver messo il tappeto dietro la porta, utilizzando la dichiarazione per concludere che il tappeto fosse ad almeno un metro di distanza dalla soglia (a pagina 10).
Ancora piu' evidenti apparivano poi i denunciati vizi laddove la corte di merito, pur avendo ritenuto che poteva ritenersi raggiunta la ragionevole prova presuntiva che l'appellante fosse effettivamente inciampata nel tappeto, aveva scriminato la condotta del convenuto sul rilievo che la To. poteva essere inciampata "per fretta, superficialita', disattenzione, mancata adozione di logiche e ragionevoli cautele (tanto piu' che risultava affetta da preesistenti problemi di deambulazione per un intervento all'anca del 1994)" e che non si trovava nel proprio appartamento. Il c.t.u. aveva infatti riconosciuto al precedente intervento influenza sulle conseguenze della caduta (non anche sulle cause), mentre l'appartamento del convenuto era abitualmente frequentato dall'attrice.
Infine, la corte d'appello aveva riconosciuto l'irrilevanza della circostanza che il Ba. non avesse affidato alcuna mansione alla To. , sicche' appariva del tutto superfluo il riferimento al fatto che egli non avesse l'obbligo di non lasciare un tappeto arrotolato dietro una porta.
1.2.- Col secondo motivo e' dedotta violazione e falsa applicazione "dell'articolo 232 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 5, in relazione a quella parte della motivazione (l'ultimo paragrafo del n. 7, che la ricorrente afferma risultarle oscura) laddove la corte di merito ha testualmente affermato: "Per il resto valgono le considerazioni sopra esposte circa l'ininfluenza dei sentimenti di carattere morale ai fini della decisione del giudizio, anche se e' piuttosto evidente che l'opportuno inquadramento contestuale della presente vertenza si spiega con l'esistenza di una copertura assicurativa della responsabilita' civile del Ba. , da questi attivata e presumibilmente caratterizzata dal patto di gestione della lite (cosa che spiega alcune incongruenze fra gli atteggiamenti personali del Ba. e le sue difese processuali)".
Si afferma che, a fronte di dichiarazioni e comportamenti insanabilmente contraddittori del convenuto, la corte d'appello avrebbe dovuto ritenere per ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio, anziche' disattenderli in ragione della presenza di una parte occulta nel giudizio.
3.- I motivi possono essere congiuntamente esaminati per l'intima connessione che li connota.
Giova prendere le mosse dal rilievo della corte d'appello appena riportato per chiarire preliminarmente che le soglie minime per l'applicazione delle inferenze presuntive di cui all'articolo 2729 c.c. - per ritenere cioe' che sussistano elementi gravi, precisi e concordanti tali da autorizzare la conclusione che il fatto ignoto sia provato sulla base di quello noto - e per l'esercizio della facolta' di ritenere come ammessi, ex articolo 232 c.p.c., i fatti dedotti nell'interrogatorio formale cui il convenuto non abbia ingiustificatamente risposto, e' legittimamente fissata dal giudice, anche se implicitamente, sulla base del complessivo contesto sostanziale e processuale nel quale si imbatte. E' infatti pienamente in linea coi principi che uno stesso fatto, in un determinato contesto, possa apparire tale da autorizzare una presunzione ed in un altro no; ovvero, del pari, che a seconda del complessivo contesto, i medesimi elementi di prova possano indurre ad affermare o ad escludere che la mancata risposta all'interrogatorio vada letta come ammissione dei fatti dedotti nella prova per interpello.
Ne' e' ontologicamente possibile per la corte di legittimita' fissare essa stessa quelle soglie, che evidentemente dipendono, appunto, dalla diversita' dei contesti, virtualmente infiniti.
L'unico controllo esercitabile sulle valutazioni compiute dal giudice ai fini suddetti e' quello relativo alla coerenza logica e sufficienza della motivazione ed alla non avvenuta pretermissione di elementi di fatto decisivi per il giudizio. Di tanto si mostra indirettamente consapevole la stessa ricorrente, laddove denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 232 c.p.c., in riferimento all'articolo 360 c.p.c., n. 5, (che attiene al vizio di motivazione), anziche' in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, (che invece concerne la formalmente dedotta violazione e falsa applicazione di norme di diritto).
La violazione o la falsa applicazione dell'articolo 232 c.p.c., comunque non sussistono per le ragioni appena dette, essendo il vizio in procedendo configurabile solo se il giudice totalmente ometta di procedere ai necessari apprezzamenti in esito alla mancata risposta all'interrogatorio formale, ovvero ritenga che sussistano i presupposti per fare applicazione della disposizione citata e tuttavia ometta di trame le (allora si, dovute) conseguenze; il vizio di motivazione va escluso per le ragioni che ora si esporranno.
Le rationes decidendi dalla sentenza impugnata sono sintetizzabili nelle seguenti proposizioni, enucleabili soprattutto dalle affermazioni contenute a pagina 10:
a) il tappeto era ad almeno un metro al di la' della porta del salotto della casa del Ba. (per ragioni indicate con motivazione non censurata dalla ricorrente in parte qua), dove l'attrice si era recata in assenza del proprietario che, in casa propria, aveva dimenticato un tappeto arrotolato, sicche' "in condizioni normali la To. aveva tutto il tempo di vedere l'oggetto voluminoso che si trovava al suolo ad una certa distanza dalla soglia";
b) anche a voler ritenere raggiunta la prova presuntiva che la To. sia effettivamente inciampata nel tappeto (la prova e' stata dunque ritenuta raggiunta, sicche' e' infondato il primo motivo), non v'e' invece prova che la porta fosse chiusa ne' che la To. abbia prestato la dovuta attenzione nell'evitare un ostacolo che, in condizioni appunto normali, era visibile.
Messe in correlazione tra loro le due proposizioni assumono un univoco significato, che e' il seguente: non e' provato che ella sia caduta per fatto ascrivibile al Ba. , ne' sotto il profilo del nesso causale tra condotta ed evento ne' sotto quello della colpa.
E tanto evidentemente imponeva il rigetto della domanda, posto che il difetto anche di uno solo di tali elementi essenziali della struttura dell'illecito non consente di configurare la fattispecie di cui all'articolo 2043 cod. civ. (quella di cui all'articolo 2051 c.c. e' stata ritenuta inammissibilmente evocata soltanto in appello con affermazione anch'essa incensurata).
Il ricorso e' respinto.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in euro 2.600,00, di cui euro 2.500,00, per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori dovuti per legge.