Responsabilità medica: Guide e Consulenze Legali

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La palestra risponde dei danni subiti dall'atleta nell'utilizzo di una cyclette difettosa

La responsabilità prevista dall'art. 2051 cod. civ. per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non esonera il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione "iuris tantum" della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. Nella specie la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di appello che, valutati esaurientemente tutti gli elementi del caso concreto, aveva ritenuto sussistente la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. dei gestori di una palestra per i danni provocati ad un associato da una cyclette difettosa.



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto - Presidente

Dott. FICO Nino - Consigliere

Dott. TALEVI Alberto - Consigliere

Dott. AMATUCCI Alfonso - Consigliere

Dott. BISOGNI Giacinto - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F. M., TR. DO., elettivamente domiciliati in ROMA VIA CARONCINI 6, presso lo studio dell'avvocato CONTARDI GENNARO, che li difende, giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro

CO. AS. UN. SPA, in persona del suo procuratore dr.ssa Gi. Gi., elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell'avvocato GIANFRANCO GRAZIANI, difesa dall'avvocato MASSATANI ROBERTO, giusta delega in atti;

- controricorrente -

e contro

FO. RI., F. M. A. O AN. MA. AS.;

- intimati -

e sul 2 ricorso n. 25954/03 proposto da:

F. A. M. A., elettivamente domiciliata in ROMA VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo studio dell'avvocato GREGORIO IANNOTTA, che la difende, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

CO. AS. UN. SPA, in persona del procuratore dr.ssa Gi. Gi. elettivamente domiciliata in ROMA PLE CLODIO 14, presso lo studio dell'avvocato GIANFRANCO GRAZIANI, difesa dall'avvocato ROBERTO MASSATANI, giusta delega in atti;

- controricorrente al ricorso incidentale -

e contro

FO. RI., F. M., TR. DO.;

- intimati -

e sul 3 ricorso n. 30214/03 proposto da:

FO. RI., elettivamente domiciliato in ROMA VIA BERTOLONI 26/B, presso lo studio dell'avvocato ELOISA BRUGNOLETTI, che lo difende unitamente all'avvocato MARIO CLAUDIO BRUGNOLETTI, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

e contro

F. M. A., UN. CO. AS. SPA, F. M., TR. DO.;

- intimati -

avverso la sentenza n. 3098/02 della Corte d'Appello di ROMA, sezione quarta civile emessa il 14/06/2002, depositata il 04/09/02; RG. 4197/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/10/07 dal Consigliere Dott. Giacinto BISOGNI;

udito l'Avvocato GENNARO CONTARDI;

udito l'Avvocato ROBERTO MASSATANI;

udito l'Avvocato ANTONELLA IANNOTTA (per delega Avv. Gregorio Iannotta);

udito l'Avvocato MAURIZIO DELL'UNTO (per delega Avv. Mario Claudio Brugnoletti);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, rigetto ricorso incidentale " F. " e rigetto ricorso incidentale " FO. ".

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il signor Fo.Ri. agiva davanti al Tribunale di Viterbo per ottenere il risarcimento dei danni provocati da una cyclette difettosa nella palestra gestita dai sigg.ri F. M., F.A. M. e Tr. Do..

Costituendosi in giudizio i convenuti chiedevano e ottenevano di essere autorizzati a chiamare in garanzia la UN..

Con sentenza n. 5/2000 il Tribunale di Viterbo accoglieva la domanda quantificando in lire 21.186.000 il danno biologico temporaneo, in lire 47.922.000 quello permanente, in lire 16.000.000 quello morale e in lire 15.676.949 le spese mediche conseguenti al sinistro.

Il Tribunale rigettava la domanda di manleva nei confronti di Un..

Proponevano appello i gestori della palestra rilevando che mancava la prova dell'effettivo verificarsi dell'incidente, che il Fo., nella sua qualita' di socio, non era legittimato ad agire, che era comunque sussistente l'obbligo della Compagnia di assicurazione di garantirli.

Proponeva appello incidentale il Fo. al fine di ottenere una maggiore liquidazione dei danni.

La Un. rilevava a sua volta che la garanzia, prevista dai due contratti di assicurazione operanti a favore del socio e dei gestori non operavano nel caso per cui si controverte in quanto per un verso, il Fo. non era tesserato presso l' U. e pertanto non poteva beneficiare della copertura assicurativa mentre, quanto ai gestori,, l'incidente era occorso prima dell'operare del contratto in loro favore.

La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 3098/02 del 14 giugno - 4 settembre 2002, respingeva l'appello dei gestori della palestra sia quanto alla legittimazione del Fo. e alla prova dell'incidente che quanto alla sussistenza della copertura assicurativa. Accoglieva parzialmente l'appello incidentale quanto al diritto del danneggiato di percepire la maggior somma di lire 24.300.000 per lucro cessante.

Ricorrono ora separatamente per cassazione da una parte la sig.ra F. e dall'altra i sigg.ri F. e Tr. con ricorsi basati rispettivamente su due e sette motivi di impugnazione.

La Un. e il Fo. si difendono con controricorsi e quest'ultimo propone a sua volta ricorso incidentale basato su un unico motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Sussistono le condizioni di legge per la riunione dei predetti ricorsi.

Il ricorso dei sigg.ri F. e Tr. si articola in sette motivi.

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 342, 347 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3.

I ricorrenti censurano il passaggio introduttivo della motivazione della sentenza di appello in cui si afferma che "il Fo. ha agito per ottenere il risarcimento dei danni... nell'ambito della responsabilita' extracontrattuale (tant'e' che il primo Giudice ha individuato la fonte della responsabilita' nell'articolo 2051 c.c.) senza che nei motivi di appello fosse dedotto che era stata esaminata una domanda non proposta (ultra petita) " e rilevano che la violazione del divieto di cui all'articolo 112 c.p.c., non giustificava la proposizione di un motivo di appello specifico essendo rilevabile d'ufficio dal Giudice del gravame.

La richiesta di cassazione della sentenza di appello in relazione alle predette deduzioni difensive si dimostra manifestamente infondata proprio perche' come rilevano i ricorrenti la qualificazione giuridica della domanda costituisce un potere del giudice coerentemente al principio di derivazione classica secondo cui e' compito delle parti prospettare un fatto e del Giudice di qualificarlo giuridicamente pronunciando la regolazione normativa che lo concerne.

Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 14 e segg., 18, 22 e 38 c.c.. I ricorrenti ritengono legittima e fondata l'eccezione relativa alla incompatibilita' della qualita' di socio del Fo. con l'azione di risarcimento proposta. Fanno inoltre rilevare che la responsabilita' potrebbe semmai farsi valere nei confronti dell'associazione, secondo la disposizione dell'articolo 38 c.c., e non degli amministratori che potrebbero essere considerati tenuti nei confronti dell'associazione, secondo le norme del mandato. ma nella specie difetterebbe comunque la prova del conferimento di un mandato a verificare la pericolosita' delle attrezzature in uso. Cosi' come difetterebbe la prova della conoscenza da parte degli amministratori della necessita' di un intervento sulla cyclette utilizzata dal Fo. il quale a sua volta avrebbe dovuto provare di non averne maldestramente regolato il sellino.

Sul punto la Corte di appello ha rilevato che "la domanda di responsabilita' extracontrattuale puo' essere proposta anche da un socio contro colui che dirige un'associazione non riconosciuta ove il danneggiato ritenga che sia stato violato il principio del neminem laedere". La Corte ha quindi ritenuto il riferimento all'articolo 38 cod. civ. erroneo, riferendosi la norma alla responsabilita' fideiussoria di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta rispetto ai terzi e trovando tale articolo applicazione nella responsabilita' contrattuale.

Il riferimento all'articolo 38 c.c., e' sicuramente improprio in quanto tale norma si riferisce ad obbligazioni assunte nei confronti dei terzi da persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione (cfr. Cassazione civile sezione quinta, n. 5746 del 12 marzo 2001, Rv. 596612, secondo cui in tema di associazioni non riconosciute, la responsabilita' personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, prevista dall'articolo 38 c.c., in aggiunta a quella del fondo comune, e' volta a contemperare l'assenza di un sistema di pubblicita' legale riguardante il patrimonio dell'ente con le esigenze di tutela dei creditori, e trascende pertanto la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell'ambito della compagine sociale) mentre nel caso in esame il Fo. ha agito sulla base di una responsabilita' a contenuto extra contrattuale nei confronti dei responsabili dell'associazione e per l'omesso controllo sulla sicurezza degli attrezzi in uso nella palestra.

La pretesa incompatibilita' fra la qualita' di socio dell'associazione e quella di legittimato a proporre un'azione di responsabilita' nei confronti dell'associazione rectius dei suoi amministratori) non trova giustificazione se non in base a una specifica assunzione di responsabilita' degli associati per la gestione delle attrezzature che non e' mai stata dedotta e tanto meno provata nel corso di questo giudizio. Su tale presupposto deve conseguentemente scindersi il rapporto di partecipazione all'associazione che e' distinto e strumentale rispetto all'accesso degli associati all'utilizzazione degli impianti e delle attrezzature. Nel quadro di questo rapporto di utilizzazione (configurabile come un rapporto di prestazione di servizio) correttamente il Fo. e' stato considerato pienamente legittimato ad agire per i danni conseguiti a un infortunio dipeso dalla pericolosita' delle attrezzature in uso. Per altro verso pero' deve rilevarsi che la gestione di un'attivita' suscettibile di cagionare danni agli utilizzatori comporta degli obblighi di vigilanza a carico dei gestori corrispondenti ai principi dettati dal legislatore in materia di responsabilita' extracontrattuale e che non possono essere derogati sulla base di un rapporto contrattuale.

Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2050 e 2051 c.c.. I ricorrenti ritengono applicati erroneamente alla fattispecie i due articoli in tema di responsabilita' per cose in custodia e attivita' pericolosa.

Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., e articoli 115, 116 c.p.c., oltre che la omessa e insufficiente motivazione. Con questo motivo i ricorrenti censurano la valutazione probatoria compiuta dalla Corte di appello in merito all'effettivo verificarsi dell'incidente e al nesso eziologico con i danni, rilevando che nell'immediatezza l'incidente non provoco' conseguenze apprezzabili per il Fo..

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione logica e fattuale. Essi in parte si rivelano inammissibili perche' tendono a un mero riesame in fatto della controversia precluso in questa sede. Per quanto riguarda invece la dedotta erroneita' nell'applicazione degli articoli 2051 e 2050 c.c., va rilevato che, come e' noto, la responsabilita' per le cose in custodia, cui la Corte di appello ha fatto riferimento, presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa, una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa, tale da consentirne il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con essa (cfr. Cassazione civile sezione 3 n. 15119 del 12 luglio 2006, Rv. 591212). Va inoltre ricordato che l'articolo 2051 c.c., non esonera il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale fra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si e' prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa (Cassazione civile sezione 3, n. 1602 del 5 aprile 2005, Rv. 583874) mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione "iuris tantum" della sua responsabilita', mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioe' del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilita' e di assoluta eccezionalita' (Cassazione civile sezione 3 n. 2284 del 2 febbraio 2006, Rv. 586557).

Tutti questi elementi che integrano la prova della responsabilita' per il danno prodotto da cosa in custodia e l'eventuale esenzione di responsabilita' in favore del custode sono stati esaurientemente valutati dalla Corte di appello in relazione agli esiti dell'istruttoria svolta. In particolare la Corte nella motivazione ha dato atto dell'esito della prova testimoniale dalla quale e' risultato che l'incidente, che si verifico' mentre il Fo. stava usando una cyclette della palestra dell'associazione, fu causato dallo sganciamento del fermo del sellino che avveniva facilmente ed era successo altre volte. Inoltre la Corte di appello ha escluso che possa essere messo in dubbio il nesso causale fra l'incidente e il danno e in particolare ha escluso la rilevanza del fatto che il Fo. si sia allontanato normalmente dalla palestra dopo l'incidente poiche' il tipo di danno provocato (versamento ematico) si produce in un lasso di tempo piu' o meno lungo, cosicche' i segni della sua gravita' si percepiscono solo a distanza di tempo.

Infine la Corte ha anche discusso nella motivazione la sussistenza della qualita' di custodi della cosa in capo ai gestori e ha concluso per affermarla richiamando la giurisprudenza che, ai fini della responsabilita' per danni cagionati da cosa in custodia, ritiene custode della cosa, che possa presentare pericolo per chi la usa o ne viene in contatto, colui che esercita un potere di fatto su di essa.

Deve pertanto ritenersi che la motivazione della sentenza non sia affetta da contraddittorieta' e insufficienza, sia in ordine alla qualificazione della responsabilita' come responsabilita' da cosa in custodia sia in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'affermazione in concreto di tale responsabilita'. Deve anche rilevarsi che la motivazione ha riscontrato l'esistenza di una serie di elementi probatori tali da far ritenere comunque integrata la responsabilita' per attivita' pericolosa e quella generale ex articolo 2043 c.c..

Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 312 e 347 c.p.c..

Con il sesto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1882 c.c., e articoli 115, 116 c.p.c., oltre che la omessa e insufficiente motivazione.

Con il settimo motivo infine si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1882 c.c., e articoli 115, 116 c.p.c..

I tre motivi che possono essere esaminati congiuntamente mirano a dimostrare l'erroneita' della decisione relativa alla esclusione della operativita' della polizza assicurativa diretta a coprire i danni alla persona del Fo. e l'attivita' dei gestori.

In particolare i ricorrenti deducono che la Corte di appello ha errato, violando l'articolo 347 vecchio testo c.p.c., nel non valutare la produzione di documenti che attestano il tesseramento UI. sia del Fo. che della palestra. Ritengono inoltre violato l'articolo 1882 c.c., dall'interpretazione della Corte di merito secondo cui la tessera di adesione del Fo. alla palestra se considerata, per ipotesi, come adesione all'UI., avrebbe potuto azionare la polizza assicurativa, che copre i rischi per l'attivita' del nuovo socio, solo a partire delle ore 24.00 del giorno di rilascio della tessera.

Tutti i predetti motivi sono infondati. Essi comportano un riesame in fatto della controversia su tali specifici punti senza integrare la deduzione di vizi della motivazione che possano essere ritenuti fondati. La motivazione si e' basata infatti sul riscontro dei documenti prodotti ritualmente in corso di causa dai gestori (tale non puo' considerarsi, invece, la deduzione e produzione documentale attinente a un ulteriore rapporto assicurativo, avvenuta nella comparsa conclusionale di appello), documenti dai quali la Corte di appello non ha potuto evincere il tesseramento ne' del Fo. ne' della palestra all'UI., condizione questa per l'operativita' della garanzia assicurativa della UN.. La considerazione sull'ipotetico tesseramento indiretto all'UI. del Fo. e' stata messa dalla Corte di appello in relazione al dato testuale della polizza assicurativa che prevede la copertura del rischio solo a partire dalla fine della giornata in cui e' avvenuto il tesseramento. Si tratta di una disposizione, diretta evidentemente a prevenire tesseramenti successivi alla verificazione di infortuni di non tesserati che esclude la arbitrarieta' della interpretazione recepita dalla Corte di appello. Le deduzioni relative al sesto e settimo motivo di ricorso sono comunque prive di autosufficienza in quanto impongono una verifica del contenuto dei documenti invocati che e' preclusa a questa Corte (cfr. Cassazione civile sezione 3 n. 12239 del 25 maggio 2007 Rv. 597291).

Il ricorso della F. si fonda su due motivi di impugnazione.

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 212 c.p.c., (e del divieto di ultrapetizione) e degli articoli 2051 e 38 c.c., e articoli 115, 116 c.p.c., oltre che la insufficiente e contraddittoria motivazione. La ricorrente rileva in particolare il difetto di legittimazione e l'erronea qualificazione dell'azione.

Sul punto ci si riporta a quanto detto a proposito dei primi tre motivi di ricorso dei sigg.ri F. e Tr.. Sono state gia' ampiamente illustrate le ragioni per le quali si ritiene corretta la decisione che si e' fondata sul riconoscimento di una responsabilita' dei gestori a seguito del riscontro dei presupposti per l'affermazione di una responsabilita' ex articolo 2051 c.c.. Tale affermazione di responsabilita' non ha posto in essere alcuna ultra (o extra) petizione da parte del giudice di merito che ha pronunciato, a seguito della proposizione di un'azione di risarcimento basata sull'affermazione dell'omessa vigilanza, da parte degli amministratori dell'associazione che gestisce la palestra in cui e' avvenuto l'infortunio, su una attrezzatura in stato difettoso e quindi pericolosa. Ne' puo' ritenersi che la qualificazione della responsabilita' come extra contrattuale abbia avuto l'effetto di eludere il difetto di legittimazione attiva del danneggiato in quanto socio e passiva dei gestori. La qualita' di socio, e' stato rilevato correttamente dalla Corte di appello, non esclude la proponibilita' e la fondatezza di una azione risarcitoria nei confronti dei gestori dell'associazione che abbiano posto in essere un comportamento lesivo del principio del neminen laedere.

Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.c., e la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. La ricorrente rileva che la Corte non ha affatto valutato la applicabilita' della assicurazione della responsabilita' civile, una volta esclusa l'applicabilita' dell'assicurazione contro gli infortuni. La ricorrente si riferisce alla polizza esistente a suo favore e per la sua qualifica di dirigente che la Corte di appello non ha preso in considerazione perche' presupponente una nuova domanda di garanzia proposta tardivamente nella comparsa conclusionale di appello. La decisione della Corte di appello e' fondata come si e' detto in precedenza. Non si e' trattato infatti di una semplice produzione documentale ma di una deduzione di un ulteriore rapporto assicurativo che presuppone evidentemente una domanda nuova non proponibile nella comparsa conclusionale.

Il ricorso incidentale del sig. Fo. si basa su un unico motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2043 c.c., e del principio della risarcibilita' del danno patrimoniale futuro, escluso immotivatamente dalla Corte di appello nonostante la presumibile incidenza negativa dell'incidente sull'attivita' professionale futura di architetto. Il motivo e' infondato. Il ricorrente incidentale non ha infatti portato alcuna valida motivazione alla deduzione di violazione dell'articolo 2043 c.c., e del principio di risarcibilita' del danno patrimoniale futuro che, seppure liquidabile in via equitativa, presuppone una prova certa sull'an. Una prova che non e' stata considerata raggiunta con la presunzione, del tutto opinabile, dell'impedimento dell'architetto Fo. alla frequentazione dei cantieri per effetto dei postumi permanenti derivatigli dall'infortunio e con la ulteriore presunzione, anche essa controvertibile, di una incidenza sul reddito professionale futuro. Si tratta comunque di valutazioni in fatto, non censurabili in questa sede, che la Corte di appello ha compiuto rifacendosi agli esiti della CTU la quale ha attestato la limitazione di alcuni movimenti di flessione e rotazione della gamba scarsamente rilevanti per l'attivita' preminentemente intellettuale svolta dal Fo. e quindi difficilmente produttivi di una riduzione del suo reddito professionale futuro.

Tutti i ricorsi vanno pertanto respinti e i sigg.ri F., F. e Tr. condannati in solido al pagamento delle spese processuali del presente giudizio in favore di Fo.Ri. e della UN. As. nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna in solido i sigg.ri F., F. e Tr. al pagamento delle spese processuali del presente giudizio in favore di Fo.Ri. e della UN. As. che liquida rispettivamente in complessivi euro 2.500,00, di cui 100,00 euro per spese, e in complessivi 3.500,00 euro di cui 100,00 euro per spese.


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