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La responsabilità del soggetto che ha in uso l'animale scatta solo quando lo utilizzi, anche in via di mero fatto, per la realizzazione di un suo autonomo interesse

In tema di danno cagionato da animali, perché scatti la responsabilità del soggetto che ha in uso l'animale stesso - pacificamente alternativa rispetto a quella del proprietario - è necessario che questi lo utilizzi, anche in via di mero fatto, per la realizzazione di un suo autonomo interesse e che, correlativamente, il proprietario si sia spogliato della facoltà di fare uso dell'animale o di ingerirsi nel governo dello stesso. (Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, Sentenza del 23 giugno 2009 n. 14632).



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele - Presidente

Dott. UCCELLA Fulvio - Consigliere

Dott. TALEVI Alberto - Consigliere

Dott. AMATUCCI Alfonso - Consigliere

Dott. AMENDOLA Adelaide - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 30083/2006 proposto da:

CA. MA. PI. (OMESSO), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II 33, presso lo studio dell'avvocato VIGNOLI PAOLA, rappresentata e difesa dall'avvocato DE MARINIS NICOLA giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

C. C. ;

- intimata -

avverso la sentenza n. 3643/2005 della CORTE D'APPELLO di ROMA, terza sezione civile EMESSA il 22/6/2.005, depositata il 06/09/2005, rg. 5121/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/05/2009 dal Consigliere Dott. AMENDOLA ADELAIDE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 7 dicembre 1996 C. C. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Velletri CA. Ma. Pi. , chiedendo il ristoro dei danni subiti a seguito del morso di un cane di proprieta' della convenuta.

Costituitasi in giudizio, CA. Ma. Pi. contestava la domanda, chiedendone il rigetto.

Con sentenza del 10 giugno 2000 il giudice di prime cure, ritenuta fondata la pretesa attrice, condannava la convenuta al pagamento della somma di lire 12.459.795, oltre spese di causa.

Proposto gravame, la Corte d'appello di Roma lo rigettava in data 6 settembre 2005.

Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione CA. Ma. Pi. , articolando tre motivi e notificando l'atto a C. C. .

L'intimata non ha svolto alcuna attivita' difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 99, 100, 101, 112, 115, 116 e 117 c.p.c., articoli 2697 e 2052 c.c., nonche' carenza e contraddittorieta' della motivazione, per avere la Corte d'appello accolto la domanda, benche' dalle concordi dichiarazioni delle parti fosse emerso che, al momento dell'incidente, vi era un soggetto diverso dalla convenuta, e segnatamente il figlio della stessa, che custodiva in via esclusiva il cane, e quindi, in violazione del principio per cui, in tema di danno cagionato da animali, la responsabilita' del proprietario ha carattere alternativo rispetto a quella del soggetto che lo ha in uso. In ogni caso, ove non avesse ritenuto decisive, in parte qua, le dichiarazioni delle parti, il giudice di merito avrebbe dovuto rigettare la domanda, non avendo la parte che ne era gravata fornito la prova del soggetto passivo del rapporto dedotto in giudizio.

1.2 Col secondo mezzo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2697, 2699, 2700, 2701, 2702 e 2703 c.c., nonche' carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte d'appello affermato che il cane era di proprieta' della convenuta benche' nella scheda dell'anagrafe canina prodotta in giudizio, avente pubblica fede, fosse attestato che esso, in data antecedente l'evento lesivo, era stato ceduto a Le.Cl. . Del tutto illogicamente la Corte territoriale avrebbe quindi affermato la valenza di atto pubblico del documento prodotto dalla Ca. solo nella parte in cui vi era annotato l'acquisto della proprieta' del cane da parte della stessa, ma non in quella in cui era annotato il trasferimento dell'animale al figlio.

Il giudice di merito non avrebbe inoltre valutato altra documentazione prodotta in giudizio, come le indicazioni contenute nel libretto sanitario per le vaccinazioni, ove figurava quale proprietario Le.Cl. , nonche' le dichiarazioni rese dalla Ca. in sede di interrogatorio formale in ordine alla titolarita' del diritto di proprieta' sul cane.

2.1 Le censure, che per la loro evidente connessione si prestano a essere esaminate congiuntamente, sono infondate.

Mette conto anzitutto evidenziare che le critiche relative alla affermazione della responsabilita' della convenuta sono state svolte sotto un duplice profilo: e cioe' contestando il negativo accertamento che il cane, ancorche' di proprieta' della Ca. , fosse, al momento dell'incidente, utilizzato da Le. Cl. , figlio della stessa, e lamentando il malgoverno delle emergenze processuali in punto di individuazione del soggetto titolare del diritto di proprieta' sull'animale, nella affermata prospettiva che questo fosse stato dalla convenuta trasferito al figlio.

Sotto entrambe le angolature le doglianze non colgono nel segno.

Perche' scatti la responsabilita' del soggetto che ha in uso l'animale - pacificamente alternativa, rispetto a quella del proprietario - e' necessario che questi lo utilizzi, anche in via di mero fatto, per la realizzazione di un suo autonomo interesse e che, correlativamente, il proprietario si sia spogliato della facolta' di far uso dell'animale e di ingerirsi nel governo dello stesso (confr. Cass. civ., 3, 12 settembre 2000, n. 12025; Cass. civ., 3, 17 ottobre 2002, n. 14743).

2.2 Venendo al caso di specie, la Corte territoriale ha escluso che, nella fattispecie, fosse ravvisabile una utilizzazione autonoma del cane da parte di Le.Cl. , segnatamente argomentando il suo convincimento sulla circostanza che madre e figlio vivevano, all'epoca dei fatti, nella medesima abitazione e che la prima si trovava sul posto nel momento in cui avvenne l'aggressione.

Trattasi di apparato argomentativo plausibile e convincente, in quanto basato su un corretto approccio dogmatico dei criteri di individuazione del responsabile dei danni causati da animale, e su una applicazione degli stessi alla fattispecie concreta - per come emersa, nei suoi aspetti salienti, pacifici tra le parti, dalla compiuta istruttoria - conforme alle regole della logica e a massime di esperienza ampiamente condivisibile.

Non e' superfluo aggiungere che, a fronte dei dati di fatto richiamati dal decidente al fine di escludere che potesse ritenersi scisso il legame tra padrone e animale - con dismissione del governo del secondo da parte del primo - l'impugnante si e' limitata a opporre l'uso, nella descrizione che l'attrice ha fatto dell'eziologia dell'incidente, di termini pretesamente indicativi della autonomia dell'utilizzazione del cane, da parte del Le. , senza considerare che la qualificazione del rapporto tra utilizzatore e animale spetta esclusivamente al giudice.

2.3 Neppure hanno fondamento le denunce formulate con riguardo alla affermata perduranza della titolarita' del diritto di proprieta' del cane in capo alla convenuta, al momento dell'incidente.

Il riconoscimento della fede privilegiata alla sola parte della scheda dell'anagrafe canina in cui era annotato il diritto della Ca. , e non anche a quella in cui era riportato il trasferimento del cane al Le. , e' stato dal giudice di merito argomentato col rilievo che, mentre la prima annotazione risultava firmata dal veterinario, la seconda non aveva alcuna data certa ne' era stata sottoscritta da chicchessia.

Non e' dunque vero, come sostiene la ricorrente, che il giudice di merito abbia arbitrariamente riconosciuto e negato valore probatorio a due dichiarazioni sostanzialmente omogenee, perche' al contrario la valorizzazione dell'una e la svalutazione dell'altra sono avvenute nell'applicazione di corretti criteri di valutazione della prova scritta.

Quanto poi all'asserito malgoverno delle risultanze del libretto sanitario per le vaccinazioni, e' sufficiente rilevare, a sostegno della correttezza dei criteri di apprezzamento seguiti dal giudice di merito, che la loro capacita' dimostrativa e' smentita, a tacer d'altro, dal carattere puramente assertivo delle indicazioni in esse contenute, prive di qualsivoglia verifica e rilasciate in un contesto nel quale l'esatta individuazione del proprietario e' sostanzialmente neutra.

Infine non troppo chiaro e' il senso della doglianza relativa alla mancata utilizzazione delle risposte date dalla Ca. nel corso dell'interrogatorio formale, posto che questo mira a provocare la confessione, e cioe' il rilascio di dichiarazioni sfavorevoli al dichiarante e favorevoli alla controparte, con conseguente estraneita' alla nozione di prova legale di ogni allegazione che non possegga tali caratteri.

In definitiva le doglianze formulate nei primi due motivi sono prive di fondamento.

3.1 Col terzo mezzo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 99 e 112 c.p.c., articoli 2043, 2052, 2059 e 2697 c.c., articoli 42 e 43 c.p., e articolo 27 Cost., nonche' carenza e contraddittorieta' della motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte d'appello erroneamente aderito alla quantificazione dei danni operata dal giudice di prime cure.

Lamenta segnatamente l'insussistenza di un adeguato supporto probatorio al risarcimento per l'asserita assistenza domestica di cui avrebbe, in tesi, avuto bisogno la C. , desunta da non meglio precisati elementi medico - legali, segnatamente evidenziando che il pregiudizio derivante dalla limitazione delle facolta' motorie, e cioe' le spese occorse per ovviare a tale limitazione fisica, dovevano gia' intendersi comprese nel danno da inabilita', assoluta e relativa, riconosciuto alla C. .

Censura inoltre la liquidazione del c.d. danno morale, effettuata in assenza di domanda di parte, essendosi limitata la C. a chiedere il ristoro di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, senza mai instare per l'accertamento incidentale della responsabilita' penale della convenuta, necessario presupposto ai fini della liquidazione del danno morale.

In ogni caso l'imputazione della colpa sarebbe avvenuta sulla base di un criterio di carattere presuntivo, in contrasto con le regole che governano il riconoscimento della responsabilita' penale.

3.2. Anche tali censure sono prive di pregio.

La Corte territoriale ha liquidato il danno per l'assistenza domestica sulla base della indicazione, di carattere medico-legale, che la C. , per un certo periodo, perse ogni autonomia, da tanto desumendo che la stessa, pur soggiornando nella propria abitazione, dovette essere opportunamente coadiuvata.

Trattasi di apparato motivazionale che fa un uso prudente ed equilibrato della prova presuntiva, avendo il giudice di merito integrato il dato inoppugnabile, costituito dalla accertata inabilita' dell'infortunata per il tempo indicato dal consulente, con nozioni di fatto di comune esperienza.

Non e' dunque vero che sono stati violati i principi in tema di onere della prova, posto che questo, ove non vi ostino divieti di legge, puo' essere adempiuto anche a mezzo di presunzioni.

Quanto poi all'asserita sovrapponibilita' di tale voce di danno con quello da inabilita', con conseguente duplicazione del risarcimento, a fronte del medesimo pregiudizio, osserva il collegio che la doglianza introduce una questione non trattata nella sentenza impugnata. Conseguentemente, secondo il costante insegnamento di questa Corte, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita' per novita' della censura, aveva l'onere non solo di allegarne l'avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicita' di tale asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440). E invero i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilita' questioni gia' comprese nel "thema decidendum" del giudizio di appello, di modo che, salvo che si prospettino profili rilevabili d'ufficio, e' preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali: e cio' anche nel caso in cui le deduzioni non abbiano ad oggetto eccezioni in senso proprio e consistano invece in mere contestazioni difensive, involgenti comunque accertamenti non compiuti dal giudice del merito perche' non richiestone (confr. Cass. civ., sez. 1, 13 aprile 2004, n. 6989).

3.3 Infine neppure colgono nel segno le critiche relative alla liquidazione del danno morale.

E invero, a confutazione dell'assunto secondo cui esso sarebbe stato attribuito in mancanza di domanda di parte, e' sufficiente rilevare che, la C. , per come ammesso dalla stessa ricorrente, ha chiesto il risarcimento anche dei danni non patrimoniali.

Trattasi di richiesta sufficiente ai fini della liquidazione della pecunia doloris, perche' la connessione di questa con la commissione di un illecito penale non rende affatto necessaria la formulazione anche di un'istanza di accertamento della commissione del reato.

Quanto poi all'omesso accertamento della sussistenza dell'elemento psicologico della colpa dell'autore del pregiudizio, e' consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui al risarcimento del danno non patrimoniale derivante da reato, cui provveda il giudice civile, non osta il mancato, positivo accertamento della colpa dell'agente, se essa, come nel caso di cui all'articolo 2052 c.c., debba ritenersi sussistente in base a una presunzione di legge. E invero, non e' necessario che l'autore del fatto reato sia stato effettivamente punito nella sede propria o lo sia concretamente, essendo al contrario sufficiente che vi sia un fatto astrattamente previsto come reato e idoneo, conseguentemente, a ledere l'interesse tutelato dalla norma penale (confr. Cass. civ. 30 giugno 2005, n. 13972; Cass. civ. sez. un. 6 dicembre 1982, n. 6651).

In tale contesto il ricorso deve essere rigettato.

Nulla sulle spese, non essendosi l'intimato costituito in giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso. Nulla spese.

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