Responsabilità medica: Guide e Consulenze Legali

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Non è punibile il medico di base che non visita a casa l'assistito che lamenta la solita patologia

Anche se il paziente poi ricorre alle cure ospedaliere, il professionista non può essere perseguito per rifiuto di atti d'ufficio: manca l'elemento soggettivo del reato, il dolo. Non rileva la semplice colpa



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSINI Giangiulio - Presidente

Dott. MANNINO Saverio Felice - Consigliere

Dott. AGRO' Antonio - Consigliere

Dott. MILO Nicola - Consigliere

Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

FR. Ca., nato il (OMESSO);

avverso la sentenza della Corte d'appello di Ancona 26 novembre 2007 n. 1701;

Letti i motivi nuovi proposti dal ricorrente con memoria depositata il 16 aprile 2008;

Sentita la relazione svolta dal Cons. Dott. S. F. MANNINO;

Sentita la requisitoria del PROCURATORE GENERALE, in persona del Dott. Carlo DI CASOLA, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Osserva:

IN FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 5 ottobre 2005 n. 264 il G.u.p. del Tribunale di Pesaro dichiarava Fr.Ca. colpevole del reato previsto dall'articolo 328 c.p., commesso in (OMESSO), e lo condannava, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di tre mesi di reclusione, con interdizione dai pubblici uffici per la durata corrispondente e con i benefici di legge.

Avverso la sentenza l'imputato proponeva appello a mezzo del difensore, chiedendo di essere assolto per difetto dei presupposti del reato; e, in subordine, la riduzione della pena con applicazione delle attenuanti generiche nel massimo e la revoca della condanna al risarcimento dei danni o, almeno, la riduzione dell'importo di esso.

Con sentenza del 26 novembre 2007 n. 1701 la Corte d'appello di Ancona rigettava l'appello e confermava la sentenza di primo grado.

Avverso tale sentenza il Fr. ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:

1. erronea applicazione dell'articolo 328 c.p., (articolo 606 c.p.p., lettera b)), il quale richiede che il rifiuto opposto dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di un pubblico servizio sia indebito, cioe' antidoveroso perche' dovuto alla mancata assunzione da parte di un soggetto che era tenuto a compierlo e ne aveva consapevolezza, sicche' per la commissione del reato di rifiuto di atti d'ufficio e' necessario che si sia agito con dolo e non per semplice colpa; per le visite domiciliari il Decreto del Presidente della Repubblica n. 270 del 2000, articolo 33, (Regolamento di esecuzione dell'Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale) prescrive che il medico di base visiti il paziente di norma se la richiesta gli perviene entro le ore 10, altrimenti entro le ore 12 del giorno successivo: la visita immediata, urgente, da soddisfare nel piu' breve tempo possibile, non puo' che essere subordinata a una valutazione della situazione operata alla luce dei sintomi riferiti dal paziente o da chi per lui e, soprattutto, alla sua conoscenza dell'anamnesi del paziente; nella specie la paziente era trasportabile perche' venne portata in ospedale con autovettura privata e non con ambulanza e li' la sua condizione fu classificata col codice verde, corrispondente ai casi meno gravi; l'errore del medico si giustifica col fatto, che la curava da anni e la sapeva affetta da patologia dolorosa premestruale, per cui le prescriveva periodicamente degli analgesici;

2. mancanza o manifesta illogicita' della motivazione (articolo 606 c.p.p., lettera e)) in ordine alla trasportabilita' della paziente; alla pregressa dismenorrea, rispetto alla quale non erano stati riferiti sintomi diversi; alla comunicazione del miglioramento della paziente in seguito all'assunzione del farmaco antidolorifico e, in genere, alla qualificazione come rifiuto di atti d'ufficio, malgrado l'insufficienza di una valutazione diagnostica a determinare l'attribuzione al ricorrente della consapevolezza dell'antidoverosita' del suo comportamento.

L'impugnazione e' fondata.

La sentenza impugnata non ha preso in considerazione l'analisi in fatto svolta nei motivi d'appello, nei quali si segnalavano circostanze sicuramente rilevanti per la ricostruzione della vicenda. La prima e' che Pi.Ba. rientrando da (OMESSO) si reco' direttamente a casa, senza ritenere di passare dall'ambulatorio dell'imputato, e che, scendendo dall'autovettura dei suoi amici, benche' dolorante, non ebbe necessita' di speciale assistenza.

Il particolare e' rilevante riguardo alla trasportabilita' della paziente, la quale, quando piu' tardi si decise di portarla in ospedale, vi fu trasportata in macchina senza che fosse necessario ricorrere all'autoambulanza. Questa circostanza, rilevante ai fini del regolamento approvato con Decreto del Presidente della Repubblica n. 270 del 2000, articolo 33, non e' stata riportata nel capo d'imputazione, nel quale il rifiuto si riferisce solo all'urgenza della chiamata, mentre la sentenza di appello l'ha data per presupposta, limitandosi a definirla come riferita ed appresa.

Non pare dubbio pertanto che la Pe. sia stata sempre trasportabile, malgrado i forti dolori che lamentava, perche' in effetti lo e' stata e a tarda sera, quando si e' deciso di portarla all'ospedale.

La circostanza e' rilevante non solo con riferimento alla previsione normativa, per definire indebito il rifiuto, ma altresi' per la ricostruzione della vicenda nel suo svolgimento complessivo.

Infatti il comportamento della ragazza e quello della madre, che le disse di rientrare a casa e non di farsi portare dal medico e, tanto meno, in ospedale, e' stato posto in relazione con la dichiarazione dell'imputato di avere in cura la ragazza per dismenorrea, per la quale le prescriveva pillole progestiniche e analgesici alla manifestazione della patologia, consegnando di regola (prevalentemente) le prescrizioni alla madre, Co. Ma. Va., che andava in ambulatorio ogni due o tre mesi.

Appare evidente che nessuno dei tre protagonisti della vicenda - paziente, congiunta e medico - ravvisarono nella sintomatologia dolorosa della ragazza una qualche novita' rispetto alle crisi precedenti, tenendo conto che la stessa era al primo giorno del ciclo mestruale, sicche' l'imputato le prescrisse i soliti analgesici, non ritenendo necessaria, date le circostanze, la visita a domicilio.

La ricostruzione proposta dall'appellante appare logica e dimostra da un canto che non si trattava di formulare una diagnosi in base ai sintomi riferiti, bensi' di riferire i sintomi alla diagnosi certa, gia' formulata; e dall'altro, che la visita domiciliare non e' stata omessa perche' la ragazza era trasportabile - come in effetti era - ma perche' il medico, attribuendo i sintomi alle crisi ricorrenti in coincidenza con le mestruazioni, non l'aveva ritenuta necessaria ed aveva prescritto i soliti farmaci.

Il medico aveva avuto un riscontro dell'esattezza del suo riferimento alla sintomatologia nota dalla telefonata che gli aveva fatto alle ore 20,15 la madre della ragazza per comunicargli che questa, dopo l'assunzione del medicinale, stava leggermente meglio. Aveva allora prescritto una nuova somministrazione dell'analgesico dopo quattro ore ed aveva chiesto all'interlocutrice di chiamarlo dopo un'ora, perche' voleva essere aggiornato sulla situazione (l'espressione adoperata e' che voleva stare tranquillo).

La sig.ra Co. aveva preferito far controllare la figlia da un medico amico di famiglia, che alle ore 21,15 aveva visitato la Pe. e ritenuto necessario che fosse portata in ospedale.

La conclusione e' che mancano, nei fatti acquisiti dai Giudici di merito, le condizioni per ritenere che il dr. Fr. abbia opposto un indebito rifiuto di eseguire la visita a domicilio, che in realta' non ritenne necessaria.

Indubbiamente una maggiore attenzione da parte sua alle sollecitazioni della madre della ragazza - che pure avrebbe potuto portargliela in ambulatorio - avrebbe risolto il caso senza traumi, ma sotto il profilo giuridico non ricorrono gli estremi per riscontrare nel suo comportamento quanto meno gli estremi del dolo del reato che gli e' stato addebitato.

Pertanto deve disporsi l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perche' il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

LA CORTE

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' il fatto non costituisce reato.

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