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Sono responsabili per danno patrimoniale in senso stretto, danno da disservizio e danno all'immagine dell'amministrazione, i dipendenti che si allontanano dal posto di lavoro senza alcuna autorizzazione

Devono rispondere in termini di responsabilità amministrativa, a titolo di dolo, i dipendenti che si allontanano dal posto di lavoro senza alcuna autorizzazione, utilizzando porte secondarie e di servizio per non registrare l'effettivo orario di uscita e di rientro. La loro condotta illecita appare produttiva del danno patrimoniale in senso stretto, del danno da disservizio e del danno all'immagine dell'amministrazione. (Corte dei Conti UMBRIA,
Sentenza del 28 settembre 2005, n. 346)



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RITENUTO IN FATTO

Con Atto di Citazione n. G2005/03 del 15 febbraio 2005 (ritualmente notificato agli interessati) il Sostituto Procuratore Generale dell'Umbria della Corte dei Conti - previo Invito a dedurre del 30 settembre 2004, ai sensi dell'art. 5 della L. n. 19/1994 - ha citato in giudizio davanti alla Sezione Giurisdizionale Regionale dell'Umbria della Corte dei Conti il Sig. Ni. Bo. (nella qualità di medico del Servizio Oculistico aggregato al Dipartimento Chirurgico dell'Ospedale di G.) e la Sig.ra An. Mi. (nella qualità di infermiera professionale presso il Day Hospital oncologico del medesimo Ospedale) per sentirli condannare al pagamento in favore dell'Erario della complessiva somma di Euro 43.725,28, oltre alla rivalutazione monetaria, agli interessi legali ed alle spese di giudizio, ritenendoli responsabili del corrispondente danno erariale subito dalla A.S.L. n. 1 della Regione Umbria.

Con Provvedimento del 3 marzo 2005 (ritualmente notificato agli interessati) il Presidente della predetta Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria della Corte dei Conti ha fissato al giorno 5 luglio 2005 l'Udienza per la discussione del giudizio in questione assegnando a tutto il giorno 15 giugno 2005 il termine utile alle parti per il deposito di atti e documenti in Segreteria.

Entro la predetta data del 15 giugno 2005 sono state depositate in Segreteria le Memorie difensive e di costituzione in giudizio prodotte dall'Avv. Gi. La Sp. e dall'Avv. Fr. Ga. per conto del convenuto Ni. Bo. e per conto della convenuta An. Mi.

Nell'Atto di Citazione la Procura Regionale ha rappresentato che - a seguito di indagini svolte con l'ausilio della Compagnia dei Carabinieri di Gu. e dei relativi accertamenti (effettuati in particolare nei giorni 17 aprile, 24 aprile ed 8 maggio 2002) - è emerso che il citato Dott. Ni. Bo. e la citata infermiera An. Mi. durante l'orario di lavoro si sono ripetutamente allontanati dai rispettivi posti di lavoro senza alcuna autorizzazione, utilizzando porte secondarie e di servizio (per non registrare l'effettivo orario di uscita e di rientro) e facendo ritorno - la sola infermiera An. Mi. - sul posto di lavoro verso la fine dell'orario di servizio per provvedere alla timbratura dei cartellini magnetici (anche quello del Dott. Ni. Bo.), in modo da far risultare la loro permanenza in servizio per un tempo più lungo di quello effettivo (come accertato dai Carabinieri di Gu. a seguito dell'appostamento dell'8 maggio 2002, quando hanno fermato la Sig.ra An., sequestrando alla stessa anche il cartellino marcatempo assegnato al Dott. Ni. Bo.).

L'Atto di Citazione ha messo, poi, in rilievo che, da successive verifiche effettuate sui tabulati delle presenze relative ai predetti interessati, sono risultate, nel periodo 2001/2002, molte altre date in cui gli orari di entrata e/o di uscita dei medesimi interessati erano del tutto coincidenti (n. 33 entrate ed uscite, n. 23 uscite, e n. 23 entrate).

L'Atto di Citazione ha riferito, inoltre, che dopo essere stati attivati, nel maggio e nel giugno 2002, il procedimento disciplinare nei confronti dell'infermiera An. Mi. e la procedura di recesso per giusta causa nei confronti del Dott. Ni. Bo. - tali procedure sono state, poi, sospese, stante la pendenza, per gli stessi fatti, di un procedimento penale a carico dei medesimi interessati per truffa pluriaggravata (art. 640 c.p. e art. 61, n. 11, c.p.), conclusosi con Sentenza del GIP presso il Tribunale di Perugia n. 386/04 del 31 luglio 2004 emessa ex art. 444 e segg. c.p.p., con la quale il Dott. Ni. Bo. è stato condannato ad 1 anno e 4 mesi di reclusione (pena sospesa), oltre Euro 400,00 di multa, e la Sig.ra An. Mi. è stata condannata a 3 mesi e 4 giorni di reclusione (pena sospesa), oltre a Euro 94,00 di multa.

A seguito delle menzionate indagini la Procura Regionale con Invito a fornire deduzioni del 30 settembre 2004 ha contestato ai citati interessati: a) il danno patrimoniale in senso stretto (per Euro 3.000,00), b) il danno da disservizio (per Euro 10.000,00), ed il danno all'immagine ed al prestigio della A.S.L. n. 1 della Regione Umbria (per Euro 30.000,00); per un totale di Euro 43.000,00.

Con Note controdeduttive depositate il 17 dicembre 2004 il Dott. Ni. Bo. e la Sig.ra An. Mi. hanno ritenuto non fondata l'accusa per tutti i danni contestati ed hanno chiesto, in via preliminare, la sospensione del procedimento amministrativo contabile fino al passaggio in giudicato della Sentenza penale, perchè la indicata Sentenza n. 386/2004 ex artt. 444 c.p.p. è stata impugnata dal Dott. Ni. Bo. innanzi alla Corte di Cassazione, dove è tuttora pendente il relativo giudizio.

Non condividendo tali controdeduzioni e ritenuto che non sussistono motivi di sospensione del presente giudizio, la Procura Regionale ha convenuto in giudizio il Dott. Ni. Bo. e l'infermiera An. Mi. (nelle indicate qualità), chiamandoli a rispondere del complessivo danno di Euro 43.725,28 subito dalla A.S.L. n. 1 della Regione Umbria.

Quanto alla richiesta di "sospensione del giudizio" in relazione alla avvenuta proposizione del ricorso presso la Corte di Cassazione avverso la menzionata Sentenza penale, l'Atto di Citazione ha sostenuto che non sussistono i motivi di sospensione del presente giudizio ex art. 295 c.p.c., richiamando giurisprudenza consolidata della Corte dei Conti ed osservando, in particolare, che "nel caso di specie la sussistenza di una condotta illecita dei due convenuti è pacifica, vertendo l'esame in corso di svolgimento presso la Suprema Corte sull'esatta qualificazione penale della stessa ai fini della corretta attribuzione delle aggravanti ed attenuanti e, dunque, della quantificazione della pena, esito che non dispiegherebbe alcun effetto sul presente giudizio".

Quanto alla valenza probatoria della Sentenza di patteggiamento ex art. 444 e segg. c.p.p., la Procura ha fatto presente che tale Sentenza, pur non facendo stato nei giudizi civili ed amministrativi, "costituisce una fonte di cognizione soggetta al libero apprezzamento del giudice ... alla stregua di tutti gli altri elementi di prova di cui il giudice dispone".

L'Atto di Citazione ha messo in evidenza che le condotte illecite dei convenuti, "lungi dall'essere caratterizzate da episodicità e sporadicità ..., presentano i contorni di una sistematica pratica truffaldina ai danni della A.S.L.", sottolineando, in particolare, che nel caso di specie le condotte illecite sono molteplici: a) per la infermiera An. Mi.: "falsa attestazione della presenza in servizio attraverso l'omissione della timbratura del proprio cartellino all'atto dell'uscita effettiva (anticipata rispetto all'orario poi risultante dalla lettura del badge) e timbratura del cartellino di altro dipendente"; b) per il Dott. Ni. Bo.: "la consegna del cartellino marcatempo (personale ed incedibile) all'infermiera allo scopo evidente di far attestare (falsamente) la propria presenza, con corrispondente vantaggio personale (di natura patrimoniale) "; c) per entrambi i convenuti: "l'accordo truffaldino diretto a far apparire presente il Ni. Bo. quando questi invece era assente, attraverso l'utilizzo fraudolento del badge (in concreto effettuato dalla An. Mi.) ".

Con riguardo alla osservazione formulata dal Dott. Ni. Bo. nelle Note controdeduttive circa l'insussistenza, per la dirigenza medica, dell'obbligo di effettuare un vero e proprio orario di servizio, con conseguente insussistenza del danno patrimoniale in senso stretto, la Procura Regionale ha richiamato il C.C.N.L. per il quadriennio 1998/2001 relativo alla Dirigenza medica e veterinaria, che ha confermato in 38 ore settimanali l'orario di lavoro dei medici e dei veterinari ed ha disposto che anche tale personale è tenuto al rispetto dell'orario di lavoro articolandolo in modo flessibile in relazione agli obiettivi ed ai programmi da realizzare.

A giudizio della Procura Regionale ciò che viene in rilievo è la mera sottrazione di energie lavorative alla A.S.L. rispetto all'orario di lavoro prefissato in 38 ore, con la conseguenza che tale sottrazione costituisce danno risarcibile anche nel caso in cui chi attesta falsamente la propria presenza in servizio appartenga alla dirigenza medica.

L'Atto di Citazione ha, quindi, contestato ai convenuti:

A) il danno patrimoniale in senso stretto, consistente nelle energie lavorative sottratte all'A.S.L. n. 1 e nella corrispondente monetizzazione del tempo lavorativo prestato solo figurativamente, con conseguente rottura parziale del sinallagma contrattuale.

Considerata la retribuzione media oraria dei convenuti ("Euro 21,67" per il Dott. Ni. Bo. e "circa Euro 10,50" per l'infermiera An. Mi.) e "ritenuto equo -in assenza di dati sull'orario di effettiva entrata/uscita dei due convenuti (dagli ingressi secondari) in ciascuna delle 79 giornate in cui si è verificato l'illecito- effettuare una media del tempo sottratto al servizio nei 3 giorni in cui è certamente avvenuta la doppia timbratura (media pari a 88 minuti = 1 ora e 28 minuti), e moltiplicare tale media per il numero dei giorni in cui ... (è avvenuta) la doppia timbratura (79) ed il tutto (6952 minuti, cioè 115,8 ore) per la retribuzione oraria", la Procura Regionale ha così ottenuto la monetizzazione del tempo lavorativo sottratto dai convenuti alla A.S.L. n. 1 dell'Umbria ed ha imputato al Dott. Ni. Bo. il danno patrimoniale in senso stretto di Euro 2.509,38 ed alla Sig.ra An. Mi. il danno patrimoniale in senso stretto di Euro 1.215,90, chiamando i convenuti a rispondere in solido per la parte riferita al Dott. Ni. Bo.;

B) il danno da disservizio, consistente nella sottrazione di energie lavorative ed intellettuali alla A.S.L. n. 1 dell'Umbria per distrarle ad altri fini, con minore resa del servizio, "in quanto il grave (anche perché reiterato) inadempimento contrattuale dei convenuti, inserendosi in un particolare modello organizzativo complesso di amministrazione pubblica, ha inciso negativamente sul generale funzionamento del servizio e sulla sua qualità, creando un indubbio disservizio nell'ambito dell'Ospedale di Gu. ... in relazione alle assenze dai rispettivi reparti dell'ospedale del medico e dell'infermiera".

La Procura Regionale ha richiamato, al riguardo, giurisprudenza della Corte dei Conti e, più in particolare, della Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria, ed ha quantificato tale danno, in via equitativa ex art. 1226 c.c., in Euro 10.000,00 (Euro 6.000,00 a carico del Dott. Ni. Bo. e Euro 4.000,00 a carico dell'infermiera An. Mi.), chiamando i convenuti a rispondere in solido per la parte riferita al Dott. Ni. Bo.;

C) il danno all'immagine ed al prestigio della A.S.L. n. 1 della Regione Umbria in relazione al grave illecito commesso dai convenuti, che hanno operato in base ad un rapporto organico di pubblico impiego, apportando discredito ad una istituzione, quale quella sanitaria, preposta alla tutela della salute dei cittadini, dove fenomeni di assenteismo arbitrario e di disservizio, quali quelli in esame, sono avvertiti dalla collettività in maniera particolarmente negativa.

La Procura Regionale ha richiamato, al riguardo, giurisprudenza della Corte dei Conti ed ha quantificato tale danno in via equitativa ex art. 1226 c.c. in Euro 30.000,00, utilizzando i criteri di tipo oggettivo, soggettivo e sociale individuati dalla citata giurisprudenza e chiamando i convenuti a rispondere in solido.

Per quanto riguarda l'elemento psicologico soggettivo, a giudizio della Procura Regionale esso consiste nel "dolo", e, più in particolare, nel "dolo di compartecipazione", "in quanto risulta evidente la consapevolezza e volontarietà individuale della violazione delle norme contrattuali e di diligenza professionale (che impongono al lavoratore di essere effettivamente presente nel luogo di lavoro nell'orario" di servizio), osservando che, per quanto attiene al Dott. Ni. Bo., il suo cartellino marcatempo è stato ritrovato dai Carabinieri, nella immediatezza dei fatti, "tra le mani della Sig.ra An. Mi.".

In conclusione, l'Atto di Citazione ha chiesto la condanna dei convenuti al pagamento della somma complessiva di Euro 43.725,28 in favore della A.S.L. n. 1 dell'Umbria, imputando Euro 38.509,38 in solido tra i due (il Dott. Ni. Bo. "per essere il legittimo titolare del badge, beneficiario della truffa ed autorizzante la timbratura"; la Sig.ra An. Mi. "per essere la materiale esecutrice") ed Euro 5.215,90 a carico esclusivo della Sig.ra An. Mi.

A seguito del riportato Atto di Citazione il convenuto Dott. Ni. Bo. si è costituito in giudizio con Comparsa dell'Avv. Gi. La Sp. e dell'Avv. Fr. Ga., depositata in data 15 giugno 2005, contestando la domanda attrice e ritenendo insussistente il danno erariale in questione.

La difesa del convenuto -fatto presente che in tema di responsabilità "valgono le norme di diritto comune" (artt. 1223 e 1226 c.c.) - ha, innanzitutto, osservato che "il danno, per essere risarcibile, deve essere conseguenza immediata e diretta del comportamento del debitore e ... (deve) essere certo sul piano ontologico, di talché ne è esclusa la determinazione in via equitativa laddove difetti tale condizione e laddove il danno non è di impossibile o di difficile quantificazione essendo l'Amministrazione nelle condizioni di avere tutti gli elementi per pervenire a dette quantificazioni.

Anche in relazione alla riferita Sentenza penale di patteggiamento (che è intervenuta -per quanto affermato dalla difesa- "pur non sussistendo a loro carico elementi di reità" e che solo formalmente è di condanna ma non sotto il profilo sostanziale, posto che l'art. 445 c.p.p. prevede che tale tipo di Sentenza non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi) a giudizio della difesa la fattispecie contestata "non ha in sé gli elementi della truffa", perché manca il profitto, atteso che "il cartellino marcatempo non ha mai costituito la base su cui calcolare la retribuzione", con la ulteriore conseguenza che, "se dall'operazione dell'improprio uso del cartellino marcatempo non è derivato alcun illecito contrattualmente rilevante in punto di retribuzione, è evidente come il danno patrimoniale non esiste".

La difesa ha, inoltre, sostenuto che non è condivisibile l'iniziativa della Procura Regionale che ha quantificato il danno "con riferimento a pretese verifiche effettuate, in via del tutto ipotetica oltre che generica, sui tabulati delle presenze relative ai due soggetti convenuti in giudizio nel periodo 2001/2002".

Sottolineato che i controlli in questione si riferiscono "soltanto a tre occasioni", in riferimento alle quali l'uscita dalle porte di servizio si è verificata "solo per evitare le code", a giudizio della difesa -oltre a dover escludere il danno patrimoniale in senso stretto per le ragioni già dette (mancanza di profitto da parte degli interessati e non possibilità di quantificazione di tale danno in via equitativa) - sono da escludere anche il danno da disservizio (perché manca la prova e la dimostrazione in fatto di tale ipotesi di danno, non essendo stata registrata, ad esempio, alcuna lamentela da parte dell'utenza) ed il danno all'immagine ed al prestigio della A.S.L. (anche perché lo stesso interessato, "proprio al fine di evitare ogni strepitus fori, ha optato per il rito alternativo del patteggiamento, quando aveva egli più di una ragione per far valere la propria innocenza").

In conclusione, gli Avvocati Gi. La Sp. e Fr. Ga. hanno chiesto:

- in via principale, di respingere la domanda attrice perché inammissibile ed infondata;

- in via meramente subordinata, di pervenire ad una congrua riduzione dell'addebito.

Anche la convenuta Sig.ra An. Mi. si è costituita in giudizio con Comparsa dell'Avv. Gi. La Sp. e dell'Avv. Fr. Ga., depositata in data 15 giugno 2005, identica quella sopra riferita riguardante il convenuto Ni. Bo.

Alla discussione avvenuta alla Udienza pubblica del 5 luglio 2005, il P.M. e l'Avv. Gi. La Sp., per i convenuti Ni. Bo. e An. Mi., hanno illustrato le rispettive posizioni ed, ulteriormente argomentando, hanno concluso in conformità agli scritti.

La causa è, quindi, passata in decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I - PREMESSA

La pretesa attrice di cui all'Atto di Citazione n. G2005/03 del 15 febbraio 2005 del Sostituto Procuratore Generale dell'Umbria della Corte dei Conti nei confronti del Sig. Ni. Bo. (nella qualità di medico del Servizio Oculistico aggregato al Dipartimento Chirurgico dell'Ospedale di Gu.) e della Sig.ra An. Mi. (nella qualità di infermiera professionale presso il Day Hospital oncologico del medesimo Ospedale) ha alla base -come è stato specificatamente riportato in FATTO- la valutazione del danno erariale di complessivi Euro 43.725,28, oltre alla rivalutazione monetaria, agli interessi legali ed alle spese di giudizio, subito dalla A.S.L. n. 1 della Regione Umbria.

La vicenda in causa riguarda le irregolarità e la condotta illecita che -a giudizio della Procura Regionale- sarebbe stata posta in essere dai convenuti, i quali, durante l'orario di lavoro, si sono ripetutamente allontanati dai rispettivi posti di lavoro senza alcuna autorizzazione, utilizzando porte secondarie e di servizio (per non registrare l'effettivo orario di uscita e di rientro) e facendo ritorno (la sola infermiera An. Mi.) sul posto di lavoro verso la fine dell'orario di servizio per provvedere alla timbratura dei cartellini marcatempo (anche quello del Dott. Ni. Bo.), in modo da far risultare la loro permanenza in servizio per un tempo più lungo di quello effettivo, come accertato dai Carabinieri di Gu. a seguito dell'appostamento dell'8 maggio 2002, quando hanno fermato la Sig.ra An. Mi., sequestrando alla stessa anche il cartellino marcatempo assegnato al Dott. Ni. Bo.

L'Atto di Citazione ha riferito, in particolare, che il procedimento disciplinare attivato nei confronti dell'infermiera An. Mi. e la procedura di recesso per questa causa attivata nei confronti del Dott. Ni. Bo. sono stati sospesi, stante la pendenza -per gli stessi fatti- di un procedimento penale a carico dei medesimi interessati per truffa pluriaggravata (art. 640 c.p. e art. 61, n. 11, c.p.), conclusosi con Sentenza del GIP presso il Tribunale di Perugia n. 386/04 del 31 luglio 2004 emessa ex art. 444 e segg. c.p.p., con la quale il Dott. Ni. Bo. è stato condannato ad 1 anno e 4 mesi di reclusione (pena sospesa), oltre a 400,00 Euro di multa, e la Sig.ra An. Mi. è stata condannata a 3 mesi e 4 giorni di reclusione (pena sospesa), oltre a Euro 94,00 di multa.

L'Atto di Citazione ha messo in evidenza che le condotte illecite dei convenuti, "lungi dall'essere caratterizzate da episodicità e sporadicità ..., presentano i contorni di una sistematica pratica truffaldina ai danni dell'A.S.L." n. 1 dell'Umbria, sottolineando che i convenuti hanno sistematicamente sottratto energie lavorative alla predetta A.S.L. rispetto all'orario di lavoro definito dai Cc.c.N.L. del Comparto Sanità e della Dirigenza Medica e Veterinaria, con la conseguenza che tale sottrazione costituisce danno risarcibile.

L'Atto di Citazione ha rinvenuto, nelle condotte illecite tenute dai convenuti, l'elemento psicologico soggettivo del "dolo", e, più in particolare, del "dolo in compartecipazione", ed ha contestato ai citati convenuti:

a) il danno patrimoniale in senso stretto, quantificato in base alla retribuzione media oraria dei convenuti, per Euro 3.725,28, di cui Euro 2.509,38 a carico del Dott. Ni. Bo. ed Euro 1.215,90 a carico della infermiera An. Mi., chiamando i citati convenuti a rispondere in solido per la parte riferita al Dott. Ni. Bo.;

b) il danno da disservizio, quantificato in via equitativa ex art. 1226 c.c., per Euro 10.000,00, di cui Euro 6.000,00 a carico del Dott. Ni. Bo. ed Euro 4.000,00 a carico della infermiera An. Mi., chiamando i convenuti a rispondere in solido per la parte riferita al Dott. Ni. Bo.;

c) il danno all'immagine ed al prestigio della A.S.L. n. 1 della Regione Umbria, quantificato, in via equitativa, ex art. 1226 c.c., in Euro 30.000,00, chiamando i convenuti a rispondere in solido.

In conclusione, l'Atto di Citazione ha chiesto la condanna dei convenuti al pagamento della somma complessiva di Euro 43.725,28 in favore della A.S.L. n. 1 dell'Umbria, imputando Euro 38.509,38 in solido tra i due ed Euro 5.215,90 a carico esclusivo della Sig.ra An. Mi.

L'Avv. Gi. La Sp. e l'Avv. Fr. Ga., per il convenuto Ni. Bo. e per la convenuta An. Mi., hanno contestato -come specificatamente riportato in FATTO- le deduzioni e le richieste formulate con il riferito Atto di Citazione, avversando la domanda attrice e ritenendo non sussistenti i danni erariali in discussione.

In particolare, la difesa dei convenuti ha ritenuto non sussistente il danno patrimoniale in senso stretto per mancanza di profitto da parte degli interessati e per non consentita quantificazione di tale danno in via equitativa, essendo l'Amministrazione nelle condizioni di avere tutti gli elementi per pervenire a detta quantificazione.

Come riportato in FATTO, a giudizio della difesa sono da escludere anche il danno da disservizio (perché manca la prova e la dimostrazione in concreto di tale ipotesi di danno) ed il danno all'immagine ed al prestigio della A.S.L. (anche perché gli interessati, al fine di evitare ogni strepitus fori, hanno optato per il rito alternativo del patteggiamento, pur avendo motivi per far valere la loro innocenza).

In conclusione, la difesa dei convenuti ha chiesto:

- in via principale, di respingere la domanda attrice perché inammissibile ed infondata;

- in via meramente subordinata, di pervenire ad una congrua riduzione dell'addebito.

II - SENTENZA C.D. "DI PATTEGGIAMENTO" EX art. 444 C.P.P. E RICHIESTA DI SOSPENSIONE DEL PRESENTE GIUDIZIO A SEGUITO DEL RICORSO PER CASSAZIONE AVVERSO LA CITATA SENTENZA EX art. 444 C.P.P.

Come è stato già riportato in precedenza, in relazione alla vicenda in esame il procedimento disciplinare attivato dalla A.S.L. n. 1 della Regione Umbria nei confronti della Sig.ra An. Mi. e la procedura di recesso per giusta causa attivata dalla medesima A.S.L. nei confronti del Dott. Ni. Bo. sono stati sospesi stante la pendenza -per gli stessi fatti- di un procedimento penale a carico dei predetti interessati per truffa pluriaggravata (art. 640 c.p. e art. 61, n. 11, c.p.), conclusosi con Sentenza del GIP presso il Tribunale di Perugia n. 386/04 del 31 luglio 2004 emessa ex art. 444 c.p.p.

Questa Sentenza c.d. "di patteggiamento" -con la quale il Dott. Ni. Bo. è stato condannato ad 1 anno e 4 mesi di reclusione (pena sospesa), oltre a Euro 400,00 di multa, e la Sig.ra An. Mi. è stata condannata a 3 mesi e 4 giorni di reclusione (pena sospesa), oltre a Euro 94,00 di multa- è stata impugnata dal citato Dott. Ni. Bo. innanzi alla Corte di Cassazione, dove è tuttora pendente il relativo giudizio.

In relazione a tale ricorso il Dott. Ni. Bo. nelle note controdeduttive all'invito a dedurre ha chiesto la sospensione del presente giudizio.

Su quest'ultima richiesta la difesa dei convenuti non ha più insistito nella Comparsa di costituzione in giudizio, dove, però, è stato argomentato in ordine alla natura ed agli effetti della Sentenza c.d. "di patteggiamento" ex art. 444 e segg. c.p.p.

Al riguardo, va fatto presente che nell'Ordinamento giuridico italiano vige ora il principio della separatezza e della autonomia dei giudizi e, quindi, -per quanto interessa in questa sede- il principio della separatezza e della autonomia del giudizio di responsabilità amministrativa/contabile rispetto ai giudizi civili, amministrativi e penali (per quest'ultimo giudizio vedasi l'art. 3 del nuovo c.p.p., che ha eliminato il precedente sistema della pregiudizialità obbligatoria del processo penale rispetto agli altri processi, affermando l'opposto principio dell'autonomia dei giudizi).

Come affermato dalla costante, consolidata e condivisa giurisprudenza della Corte dei Conti, nella vigente separatezza dei giudizi, il giudice della responsabilità amministrativa/contabile ben può, peraltro, egualmente ricavare elementi di valutazione -ai fini del proprio convincimento- dai fatti e dagli atti eventualmente emergenti dall'esistenza di altri fascicoli processuali secondo il valore probatorio (positivo o negativo) che essi rivestono, soprattutto in presenza di altri concordanti elementi di valutazione (cfr., in termini, tra le tante, Sent. n. 622/E.L./99 del 9 novembre/29 dicembre 1999 e, recentemente, Sent. n. 49/R/04 del 25 novembre 2003/18 febbraio 2004 della Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria).

In sostanza, gli altri procedimenti giudiziari (civili, amministrativi e penali), ancorché non conclusi in via definitiva, ben possono essere presi in esame dal Giudice amministrativo/contabile esclusivamente per la valutazione -ai fini del convincimento del Collegio giudicante- degli eventuali atti sottostanti ed interdipendenti: e ciò, in particolare, con riferimento alle fonti di prova (quali, ad esempio, le consulenze tecniche di ufficio, le valutazioni e le conclusioni operate da apposite Commissioni di studio, di indagini, ecc., esistenti o costituite presso le Amministrazioni Pubbliche, ecc.) ed alle dichiarazioni rese in sede di deposizione, di interrogatorio, ecc., (come affermato, in proposito, dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti con Sentenza n. 761 del 14 aprile 1992).

In tale situazione ordinamentale occorre anche considerare che -sebbene il vigente Ordinamento giuridico prevede (come già chiarito) il principio della separatezza e della autonomia dei giudizi ed ha eliminato anche il previgente principio della pregiudizialità obbligatoria del processo penale rispetto agli altri processi e, per quanto interessa in questa sede, rispetto al giudizio di responsabilità amministrativa/contabile- non è, però, venuto meno il potere del giudice amministrativo/contabile di valutare, caso per caso, l'opportunità anche di sospendere il giudizio di responsabilità amministrativa/contabile in attesa del risultato definitivo di altro concomitante processo civile, amministrativo o penale con Sentenza passata in giudicato.

Ebbene, in relazione alla avvenuta proposizione del ricorso per cassazione avverso la menzionata Sentenza penale "di patteggiamento", va fatto presente che non sussistono motivi di sospensione del presente giudizio ex art. 295 p.c., convenendo con quanto osservato, al riguardo, dalla Procura Regionale sul fatto che "nel caso di specie la sussistenza di una condotta illecita dei due convenuti è pacifica, vertendo l'esame in corso di svolgimento presso la Suprema Corte sull'esatta qualificazione penale della stessa ai fini della corretta attribuzione delle aggravanti e delle attenuanti e, dunque, della quantificazione della pena", esito, questo, che non dispiega alcun effetto sul giudizio in trattazione presso questa Corte.

Tenuto conto, inoltre, che nel presente giudizio si è più volte fatto riferimento alla Sentenza di patteggiamento (ex art. 444 c.p.p.) n. 386/04 del 31 luglio 2004 emessa dal GIP presso il Tribunale di Perugia, il Collegio reputa opportuno precisare, subito, che, ai sensi dell'art. 445, comma 1, c.p.p., la Sentenza pronunciata nel giudizio penale ai sensi dell'articolo 444 c.p.p. (cd. "patteggiamento") non ha alcuna efficacia vincolante nei giudizi civili ed amministrativi.

La Corte Costituzionale con Sentenza n. 251 del 22 maggio/6 giugno 1991 ha, peraltro, precisato che "l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta, anziché comportare un accertamento pieno di responsabilità, basato sul contraddittorio tra le parti", trova il suo fondamento primario nell'"accordo tra Pubblico Ministero ed imputato sul merito dell'imputazione (responsabilità dell'imputato) e pena conseguente (Sent. n. 66 del 1990) ", dal momento che chi chiede la pena pattuita "rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l'accusa (Sent. n. 313 del 1991) ."

Analoghi concetti sono contenuti anche nella precedente Sentenza n. 443 del 26 settembre/12 ottobre 1990 della stessa Corte Costituzionale con particolare riferimento alla posizione del danneggiato, costituito parte civile, per il quale "resta impregiudicato ... l'esercizio dell'azione in sede civile, evitandosi, al tempo stesso, di confliggere con le esigenze di speditezza del processo penale (Sent. n. 166 del 1985) ".

Né, al riguardo, può non essere considerato che -come rilevato in molteplici Sentenze delle Sezioni Giurisdizionali Centrali e Regionali della Corte dei Conti- la Sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti è emessa -come dispone testualmente l'art. 444 c.p.p.- oltre che sulla base del consenso della parte che non ha formulato la richiesta, previa la necessaria ed indispensabile valutazione da parte del Giudice dell'assenza dei presupposti utili ai fini del proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p.; valutazione di cui il Giudice penale deve dare conto nella Sentenza di condanna.

Escluso, quindi, che la Sentenza pronunciata nel giudizio penale a seguito del cd. "patteggiamento" ex art. 444 c.p.p. possa esplicare ex sé efficacia vincolante nel giudizio di responsabilità amministrativa/contabile, deve anche precisarsi -conformemente alla costante e consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti (fra le tante, cfr. Sez. II Centr. Sent. n. 32/A del 23 ottobre 1995; Sez. Giurisd. Regione Puglia, Sent. n. 11 del 5 febbraio 1996; e Sezione Giurisd. Regione Umbria, tra le tante, Sent. n. 381/E.L./98 del 19 febbraio/14 aprile 1998; Sent. n. 1087/R/98 dell'1/18 dicembre 1998; Sent. n. 147/R/99 del 26 gennaio/24 febbraio 1999; Sent. cit. n. 622/E.L./1999; Sent. cit. n. 49/R/2004; Sent. n. 448/E.L./2004 dell'8 giugno/11 ottobre 2004; ecc.) - che il Giudice della responsabilità amministrativa/contabile può, però, egualmente ricavare elementi di valutazione, ai fini del proprio convincimento, dai fatti e dagli atti emergenti dal fascicolo processuale penale secondo il valore probatorio (positivo o negativo) che essi rivestono, soprattutto in presenza di altri concordanti elementi di valutazione.

In sostanza, -come si è già accennato- il procedimento penale così conclusosi (c.d. "patteggiamento") ben può essere preso in esame dal Giudice amministrativo/contabile esclusivamente per la valutazione, ai fini del convincimento del Collegio, degli atti sottostanti ed interdipendenti; e ciò in particolare, con riferimento alle fonti di prova (quali le consulenze tecniche di ufficio) ed alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio (come affermato, in proposito, dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti con la citata Sentenza n. 761/1992).

Ribadita la separatezza del giudizio di responsabilità amministrativa/contabile rispetto ad altri precedenti giudizi civili, amministrativi e penali, nella presente fattispecie e nel presente giudizio, quindi, non possono non costituire utile fonte di cognizione e di valutazione i fatti emersi -secondo le risultanze del relativo fascicolo acquisito agli atti del fascicolo processuale del presente giudizio- nel menzionato giudizio penale, conclusosi con la citata sentenza c.d. di "patteggiamento" a carico del Dott. Ni. Bo. e dell'infermiera An. Mi.

III - MERITO

Passando al merito della causa, il Collegio è tenuto, nella fattispecie concreta del presente giudizio, a verificare la reale sussistenza del danno erariale, e la sua quantificazione, e ad accertare la sussistenza, in capo al convenuto, della responsabilità amministrativa-contabile in presenza del nesso di causalità nella condotta illecita commissiva od omissiva tenuta dallo stesso ed in presenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, come richiesto dalla vigente normativa in materia, recata, da ultimo, dall'articolo 58 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (ora art. 93 del T.U. n. 267 del 18 luglio 2000); dall'articolo 2 della legge 8 ottobre 1984, n. 658; dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19; dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20; e dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639.

Dalle norme contenute in tali leggi risulta ben evidente che l'istituto della responsabilità amministrativa-contabile è attualmente disciplinata da un ordinamento di settore con regole proprie e caratteristiche proprie definite dal legislatore, che non vanno considerate eccezioni alla regola generale, ma connotati suoi propri.

Tali caratteristiche -come si è precisato anche nelle recenti Sentenze n. 275/E.L./2004, n. 278/E.L./2004 e n. 49/E.L./2005 della Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria- comportano anche che l'istituto della responsabilità amministrativa-contabile si caratterizza quale responsabilità per danni con una sua specifica peculiarità rispetto alla tradizionale responsabilità civile. E ciò, sia per la posizione di amministratore, dipendente o agente pubblico del soggetto chiamato a rispondere del proprio operato in ragione del rapporto di ufficio, o di servizio, o di lavoro (anche di fatto) instaurato ed in atto con la Pubblica Amministrazione all'epoca dei fatti contestati, sia per la titolarità dell'azione affidata ad un organo pubblico, sia per l'attribuzione ad un giudice speciale, sia per il potere che il giudice amministrativo-contabile ha di porre a carico del responsabile tutto il "danno patrimoniale" accertato o parte di esso ed anche di determinare l'eventuale "danno non patrimoniale" arrecato all'Erario nell'esercizio e nell'esplicarsi del predetto rapporto di ufficio, di servizio, o di lavoro, (anche di fatto), con il quale il medesimo responsabile é legato alla P.A., con tutte le debite conseguenze in tema di prescrizione, di personalizzazione, di solidarietà e successione nel debito.

La più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte dei Conti ha ritenuto che, sulla base delle predette innovazioni normative recate dalle citate leggi, la giurisdizione amministrativa/contabile -sia dal punto di vista dei soggetti destinatari e sia da quello dell'oggetto del giudizio- é venuta oramai ad assumere carattere generalizzato, superandosi così la passata visione limitativa su cui si era attestata la pregressa giurisprudenza (cfr., da ultimo, le recenti Sentenze delle Sezioni Unite civili n. 19667/03 del 6 novembre/22 dicembre 2003 e n. 3351/04 del 18 dicembre 2003/19 febbraio 2004, che hanno riconosciuto la giurisdizione della Corte dei Conti per i danni arrecati all'Erario anche dagli amministratori, dipendenti o agenti pubblici degli Enti Pubblici Economici, delle Società ed Aziende municipalizzate, delle Società per Azioni con Capitale prevalentemente pubblico, ecc., avendo questi la gestione di danaro appartenute alle pubbliche finanze).

Come già affermato da questa Sezione Giurisdizionale Regionale dell'Umbria con più Sentenze (cfr., tra le tante, Sentt. n. 1087/R/1998, n. 622/E.L./1999, n. 557/R/2000, n. 98/E.L./2002, n. 275/E.L./2004 cit., n. 278/E.L./2004 cit., n. 49/E.L./2005 cit., ecc.), "il risarcimento o la riparazione del pregiudizio subito dall'Erario" -da ritenere proprio sia dell'illecito extracontrattuale e sia dell'inadempimento contrattuale-, a parte la tecnica della valutazione monetaria in relazione ai vari casi in cui ne é ammessa la tutela, in nulla si dovrebbe differenziare dal punto di vista concettuale dagli specifici casi in cui il bene leso aveva già in sé i connotati della patrimonialità e del valore economico di mercato". Le predette Sentenze di questa Sezione Giurisdizionale Regionale hanno anche precisato che "ciò che deve avere prevalenza é il c.d. effetto economico determinato dall'evento lesivo ingiusto nella sfera patrimoniale generale del soggetto danneggiato e tale effetto -quando il bene leso é giuridicamente tutelato- prescinde dalla originaria natura patrimoniale del predetto bene leso."

Ne discende, quindi, che la Giurisdizione della Corte dei Conti é "precipuamente preordinata alla tutela dell'interesse pubblico generale, alla conservazione ed alla corretta gestione dei mezzi economici dell'azione amministrativa"; laddove nel concetto di "mezzi economici" sono incluse tutte le utilità protette e le risorse costituite dal danaro e da beni fisici, da diritti reali o di credito e dai diritti su ogni altra utilità rivestita di valore economico, alla stregua degli altri beni immateriali tutelati, comunque attribuiti ad ogni soggetto pubblico, per la cui difesa agisce, con l'azione di danno, il Procuratore Generale (ed i Procuratori Regionali) presso la Corte dei Conti (cfr. Cass. Sent. n. 3970 del 2 aprile 1993).

In sostanza, sulla base delle precedenti considerazioni si va ad incidere sul concetto stesso di danno erariale e di bene pubblico, che ora deve essere correttamente inteso nel significato più ampio del c.d. "danno erariale", ovvero di "danno patrimoniale in senso ampio", per abbracciare in sé ogni forma di lesione ad utilità economicamente apprezzabile a carico della P.A. e delle finanze pubbliche, purché tale riconosciuta dal diritto positivo in capo ai singoli soggetti pubblici. Tale concetto di "danno erariale" é confortato anche dal contenuto letterale delle norme riguardanti la responsabilità amministrativa, in quanto sia quelle tradizionali e generali e sia quelle di recente intervenute non contengono alcuna ulteriore specificazione nel tipo di danno risarcibile, facendo univocamente riferimento soltanto al "danno" arrecato all'Amministrazione Pubblica o ai terzi (cfr. citate Sentenze Sez. Giur. Reg. Umbria).

Richiamati brevemente tali fondamentali principi, venendo ora alla specifica fattispecie in esame, come si è anticipato, la Procura Regionale dell'Umbria ha contestato al Dott. Ni. Bo. e all'infermiera An. Mi.: a) il danno patrimoniale in senso stretto; b) il danno da disservizio; c) ed il danno all'immagine ed al prestigio della A.S.L. n. 1 della Regione Umbria.

IIIa - DANNO PATRIMONIALE IN SENSO STRETTO

Come è stato già riportato in precedenza, la Procura Regionale ha messo in evidenza, in particolare, che -a seguito di indagini svolte con l'ausilio della Compagnia dei Carabinieri di Gu. e dei relativi accertamenti (con appostamenti specifici nei giorni 17 aprile, 24 aprile ed 8 maggio 2002) - è emerso che il Dott. Ni. Bo. e l'infermiera An. Mi. durante l'orario di lavoro si sono ripetutamente allontanati dai rispettivi posti di lavoro senza alcuna autorizzazione, senza timbratura dei rispettivi cartellini magnetici, e senza alcuna valida giustificazione, utilizzando porte secondarie e di servizio e facendo ritorno (la sola infermiera An. Mi.) sul posto di lavoro verso la fine dell'orario di servizio per provvedere alla timbratura dei cartellini magnetici (proprio e del Dott. Ni. Bo.), in modo da far risultare la loro permanenza in servizio per un tempo più lungo di quello effettivo, come accertato dai Carabinieri di Gu. a seguito dell'appostamento dell'8 maggio 2002, quando hanno fermato la Sig.ra An. Mi., sequestrando alla stessa anche il cartellino marcatempo assegnato al Dott. Ni. Bo.

La Procura Regionale ha messo, inoltre, in evidenza che -a seguito di successive verifiche effettuate sui tabulati delle presenze- sono risultate, nel periodo 2001/2002, molte altre date in cui gli orari di entrata e/o di uscita dei due convenuti erano del tutto coincidenti (n. 33 entrate ed uscite, n. 23 uscite e n. 23 entrate).

Sulla base di tali elementi, l'Atto di Citazione ha contestato ai citati convenuti il "danno patrimoniale in senso stretto", subito dalla A.S.L. n. 1 dell'Umbria, quantificato in base alla retribuzione media oraria degli interessati, per complessivi Euro 3.725,28, di cui Euro 2.509,38 a carico del Dott. Ni. Bo. ed Euro 1.215,90 a carico della infermiera An. Mi., chiamando i medesimi convenuti a rispondere in solido per la parte riferita al Dott. Ni. Bo.

Le ingiustificate assenze dal servizio costituirebbero -a giudizio dell'attore- il fatto doloso, da cui sarebbe scaturito il danno erariale in senso stretto per indebita percezione di emolumenti non dovuti in relazione ai periodi di assenze ingiustificate dal servizio.

In ordine alla vicenda in causa il primo e più importante aspetto da considerare è quello relativo alla determinazione dell'orario di servizio e dell'orario di lavoro (o del tempo di lavoro) che il dipendente pubblico è tenuto a rendere all'Amministrazione di appartenenza, e le modalità del relativo controllo, per la fondamentale ragione che l'orario ed il tempo di lavoro servono, da un lato, per definire la misura della prestazione dovuta dal dipendente pubblico, e, dall'altro lato, per commisurare la retribuzione ad esso spettante in relazione all'orario ed al tempo di lavoro prestato, costituendo tali elementi il sinallagma contrattuale prestazione/retribuzione, che caratterizza il rapporto di lavoro.

Con la contrattualizzazione a regime di diritto privato del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti (c.d. "privatizzazione") la materia dell'orario di servizio e dell'orario di lavoro è stata disciplinata dall'art. 60 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, che ha anche risolto una serie di incertezze normative e giurisprudenziali riscontrate da tempo in tale materia.

Questa norma è stata, poi, abrogata dall'art. 22 della L. 23 dicembre 1994, n. 724, che ha nuovamente disciplinato la materia (rimasta affidata alla contrattazione collettiva), fissando regole e criteri per l'articolazione dell'orario di servizio nelle Amministrazioni Pubbliche, per la determinazione dell'orario mensile e settimanale di lavoro ordinario da rendere nell'ambito dell'orario di servizio e dell'orario d'obbligo contrattuale, introducendo e definendo i concetti dell'orario di servizio, dell'orario di apertura al pubblico e dell'orario di lavoro (e relative articolazioni) dei dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche, e precisando anche i conseguenti controlli da operare (il comma 3 di tale norma ha stabilito, a tale ultimo riguardo, che "l'orario di lavoro, comunque articolato, è accertato mediante forme di controllo obiettivo e di tipo automatizzato").

A seguito delle riferite disposizioni legislative, la disciplina dell'orario di servizio e dell'orario di lavoro nelle Amministrazioni Pubbliche, e dei relativi criteri organizzativi, è stata illustrata dalla Presidenza del Consiglio/Dipartimento della Funzione Pubblica con le Direttive/Circolari n. 8/93 del 9 marzo 1993 (G.U. n. 60 del 13 marzo 1993), n. 3/94 del 16 febbraio 1994 (G.U. n. 43 del 22 febbraio 1994), n. 7/95 del 24 febbraio 1995 (Suppl. Ord. n. 36 alla G.U. n. 73 del 28 marzo 1995) e n. 21/95 dell'8 novembre 1995 (G.U. n. 270 del 18 novembre 1995), sottolineando più volte -per quello che interessa in questa sede- che l'osservanza dell'orario di lavoro costituisce un obbligo del dipendente pubblico, anche del personale con qualifica dirigenziale, quale elemento essenziale della prestazione retribuita dalla Amministrazione Pubblica" e che "l'orario di lavoro, comunque articolato, deve essere documentato ed accertato mediante controlli di tipo automatici ed obiettivi, come disposto dalle vigenti normative in materia".

A quest'ultimo riguardo le predette Direttive/Circolari hanno precisato che "i sistemi automatizzati di rilevazione dell'orario di lavoro dovranno ... essere utilizzati per determinare direttamente la retribuzione principale e quella accessoria, da corrispondere a ciascun dipendente", per cui "ciò comporta che ad ogni eventuale assenza, totale o parziale dal posto di lavoro (che non sia giustificata dalla vigente normativa in materia) consegue -oltre alla proporzionale automatica riduzione della retribuzione- anche l'attivazione, da parte dei Dirigenti responsabili, delle procedure disciplinari previste dalla normativa vigente".

In proposito, -sottolineato che anche "i permessi brevi fruiti dai dipendenti pubblici per esigenze personali" (tra i quali rientrano certamente anche le consumazioni al bar fuori dell'edificio presso il quale i dipendenti pubblici sono in servizio) devono essere autorizzati e recuperati successivamente secondo modalità definite dal Dirigente, e sottolineato che, ai sensi delle Direttive/Circolari più volte citate, "i Dirigenti sono responsabili dell'osservanza dell'orario di lavoro da parte del personale dipendente"- va, infine messo in evidenza che -ai sensi delle medesime Direttive/Circolari- "eventuali violazioni dei dirigenti responsabili e del personale dipendente, conseguenti a dolo o colpa grave, che comportano una mancata prestazione, con relativo danno erariale, concretano una violazione penale, oltre che responsabilità disciplinare e contabile".

In materia di orario di lavoro, -dopo varie ed ulteriori disposizioni intervenute in sede di contrattazione collettiva- recentemente è stata emanata la Direttiva/Circolare n. 8/2005 del 3 marzo 2005 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (redatta d'intesa con il Dipartimento della Funzione Pubblica "per le parti riguardanti anche il personale dipendente dalle Pubbliche Amministrazioni"), con la quale è stato illustrato il D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66 integrato e modificato dal D.Lgs. 19 luglio 2004, n. 213 adottati ai fini del recepimento pieno anche nel nostro Ordinamento della Direttiva dell'Unione Europea n. 93/104/CE del 23 novembre 1993, e successive modificazioni ed integrazioni, con l'obiettivo di dare un assetto organico alla disciplina del tempo di lavoro e dei riposi, "garantendo un ampio spazio di intervento all'autonomia collettiva per ciò che riguarda la modulazione dei tempi di lavoro (orario normale multiperiodale, gestione degli straordinari, limiti di orario massimo, ecc.) in rapporto alle esigenze produttive ed organizzative".

Richiamato quanto sopra, si mette in rilievo che in presenza di accertata dolosa o colposa inadempienza nella dovuta prestazione lavorativa da parte dei pubblici dipendenti, è pacifica e consolidata la giurisprudenza della Corte dei Conti nel riconoscere la responsabilità amministrativa contabile dei predetti dipendenti pubblici, ritenendo che il danno è, in questi casi, quanto meno pari alla spesa sostenuta dall'Amministrazione Pubblica datrice di lavoro per la retribuzione complessivamente erogata a favore dei dipendenti pubblici in questione nel periodo in cui essi non hanno reso la dovuta prestazione lavorativa, fatti salvi comunque gli ulteriori danni che possono essere stati causati a motivo della assenza arbitraria nella gestione dei servizi ai quali i predetti dipendenti pubblici erano addetti o preposti (cfr., fra le tante, Sez. Giurisd. Reg. Molise, Sent. n. 226 del 22 novembre 1996; Sez. Giurisd. Reg. Toscana, Sent. n. 275 del 20 maggio 1996; Sez. Giurisd. Reg. Veneto, Sent. n. 238 del 29 novembre 2000; Sez. Giurisd. Reg. Marche, Sent. n. 807 del 28 ottobre 2003; Sez. Giurisd. Reg. Sicilia, Sent. n. 2375 del 23 agosto 2004; Sez. Giurisd. Reg. Liguria, Sent. n. 704 del 19 maggio 2005; e di questa Sezione Giurisdizionale Regionale dell'Umbria, tra le varie, Sent. n. 50/E.L./96 del 17 gennaio 1996; Sent. n. 152/R/96 dell'11 marzo 1996; Sent. n. 290/E.L./97 del 21 luglio 1997; Sent. n. 831/R/98 del 2 ottobre 1998; Sent. n. 52/R/99 dell'8 febbraio 1999; Sent. n. 379/E.L./99 dell'1 luglio 1999; Sent. n. 424/R/2000 del 31 luglio 2000; Sent. n. 2/E.L./2004 del 9 gennaio 2004, ecc.)

Facendo applicazione al caso di specie del richiamato e condiviso indirizzo giurisprudenziale, si deve convenire con la Procura Regionale sulla irregolare, dolosa ed eticamente riprovevole condotta (di cui si dirà specificatamente anche nel seguito) tenuta, nella circostanza, dal Dott. Ni. Bo. e dall'infermiera An. Mi., i quali -quantomeno nelle date del 17 aprile, 24 aprile e dell'8 maggio 2002 (date degli appostamenti da parte dei Carabinieri) - si sono assentati dai loro uffici durante l'orario di lavoro senza autorizzazione, senza timbratura dei rispettivi cartellini magnetici e senza alcuna giustificazione, utilizzando porte secondarie e di servizio e facendo ritorno (la sola infermiera An. Mi.) sul posto di lavoro verso la fine dell'orario di servizio per provvedere alla timbratura dei cartellini magnetici (proprio e del Dott. Ni. Bo.), in modo da far risultare la loro presenza in servizio per un tempo più lungo di quello effettivo.

In sostanza, nella fattispecie che ci occupa i convenuti sono venuti meno, con dolo, ai loro precisi obblighi di servizio, allorché -senza la prescritta autorizzazione, senza timbratura dei rispettivi cartellini magnetici (personali e non cedibili) e senza alcuna giustificazione- si sono assentati dai loro rispettivi uffici per i motivi innanzi detti, sottraendo un certo periodo di tempo all'orario di lavoro ed al tempo di lavoro contrattualmente definito.

Nella vicenda in esame il danno patrimoniale in senso stretto sussiste ed è chiaramente da imputare alla violazione del sinallagma prestazione/retribuzione contrattualmente definito, non essendo stato recuperato da parte dei convenuti il tempo di lavoro arbitrariamente e dolosamente sottratto all'Amministrazione Pubblica datore di lavoro, pur in presenza di regolari percezioni delle intere retribuzioni.

Né, al riguardo, si rende possibile accedere alle argomentazioni della difesa dei convenuti in ordine ad una eventuale compensazione del tempo di lavoro sottratto, di cui si discute, con ore di lavoro straordinario prestate e non retribuite, sia perché non si rinviene in proposito alcuna possibilità giuridica di pervenire a tale compensazione (essendo stata del tutto arbitraria e non autorizzato l'allontanamento dei citati dipendenti pubblici dai rispettivi posti di lavoro), e sia perché le ore di lavoro straordinario alle quali si fa cenno sono del tutto ipotetiche e non precisate, e senza alcuna traccia negli atti del fascicolo processuale.

Né può essere condivisa anche l'altra affermazione della difesa dei convenuti circa la mancanza di profitto da parte degli interessati "atteso che il cartellino marcatempo non ha mai costituito la base su cui calcolare la retribuzione", con la ulteriore conseguenza che, "se dall'operazione dell'improprio uso del cartellino marcatempo non è derivato alcun illecito contrattualmente rilevante in punto di retribuzione, è evidente come il danno patrimoniale non esiste". A tale proposito, -premesso che, per quanto finora esposto e considerato, sono da ritenere del tutto gratuite ed inesatte le riportate affermazioni della difesa dei convenuti, richiamando, in merito, le indicate Direttive della Presidenza del Consiglio dei Ministri/Dipartimento della Funzione Pubblica, il C.C.N.L. per il Comparto "Sanità" (che ha confermato in 36 ore settimanali l'orario di lavoro del personale non medico e non dirigente di tale Comparto di contrattazione collettiva) ed il C.C.N.L. per il personale della dirigenza medica e veterinaria (che ha confermato in 38 ore settimanali l'orario di lavoro del personale medico e veterinario del Servizio Sanitario Nazionale) - si deve ulteriormente sottolineare che nella circostanza è stato sottratto, arbitrariamente e senza alcuna autorizzazione, tempo di lavoro al sinallagma prestazione/retribuzione contrattualmente definito, con conseguente profitto da parte dei convenuti (in relazione al tempo di lavoro arbitrariamente non prestato) e con conseguente correlativa perdita in termini economici da parte della A.S.L. n. 1 della Regione Umbria, il cui danno patrimoniale subito deve essere ora monetizzato e deve essere risarcito dai citati convenuti (cfr. Corte di Cass., Sent. n. 21000/1993) a seguito del presente giudizio di responsabilità amministrativa contabile.

Né può essere in alcun modo condivisa l'altra affermazione dei convenuti in base alla quale l'uscita dalle porte di servizio si sarebbe verificata "solo per evitare le code". In breve, nel contesto normativo in materia, in precedenza illustrato, tale affermazione non può che essere ritenuta assolutamente gratuita, oltre che indimostrata, tale da non meritare alcun ulteriore commento.

Il Collegio deve, peraltro, osservare che nel caso di specie la Procura Regionale non ha fornito una esatta e corretta quantificazione dell'ipotizzato danno patrimoniale in senso stretto, in ordine al quale deve dirsi che è certamente provato il fenomeno, ma non tutte le singole assenze ipotizzate né la loro durata nel tempo.

In sostanza, partendo da una rilevazione di un fatto accertato (quello delle assenze arbitrarie del 17 aprile, del 24 aprile e dell'8 maggio 2002, rilevate a seguito degli indicati appostamenti dei Carabinieri), mancano precise prove, e relativa documentazione, in merito agli altri 79 casi ipotizzati, anche se dalle verifiche effettuate sui tabulati delle presenze relative al periodo 2001/2002 è stata riscontrata coincidenza di orario da parte di entrambi i convenuti: n. 33 volte sia in entrata che in uscita, n. 23 volte soltanto in uscita e n. 23 volte soltanto in entrata.

Per questi ulteriori 79 casi non si può, in verità, affermare -con l'assoluta certezza che il caso richiede- che vi è stato un allontanamento dal posto di lavoro di entrambi i convenuti con rientro da parte della sola infermiera An. Mi. poco prima dell'orario di uscita per timbrare i cartellini magnetici (il suo e quello del Dott. Ni. Bo.), soprattutto quando si è trattato di coincidenza di orario soltanto in entrata.

Il metodo utilizzato per la quantificazione del danno patrimoniale in senso stretto operato dalla Procura Regionale non è sorretto, in definitiva, da prove affidabili in assoluto, anche se esso è logico/deduttivo, e non presuntivo, perché basato su una serie di indizi concomitanti (appostamenti dei Carabinieri in tre giorni diversi ed a non brevissima distanza tra loro, coincidenza di orario in ben 79 casi), tali da lasciare fondatamente ritenere che si sia trattato di una pratica messa in opera dai convenuti con i caratteri della sistematicità, e non della sporadicità, utilizzata ogni volta per assenze non di una decina di minuti, ma di un periodo di tempo piuttosto consistente, valutabile intorno ad un'ora.

Ebbene, -considerato che, oltre alle assenze rilevate dai Carabinieri il 17 aprile, il 24 aprile e l'8 maggio 2002, altre assenze arbitrarie e non autorizzate dal lavoro da parte di entrambi i convenuti si sono certamente verificate (come, peraltro, ammesso dalla stessa difesa dei medesimi convenuti che nella Udienza dibattimentale ha sostenuto, al riguardo, il carattere della sporadicità e non della continuità- si deve concludere che la quantificazione del danno patrimoniale in senso stretto da assenze ingiustificate, di cui al presente giudizio, non può che essere definito in via equitativa ex art. 1226 c.c.

Sulla base di tali considerazioni e valutazioni -precisato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dei convenuti, nei giudizi innanzi alla Corte dei Conti è sempre ammesso il ricorso, con prudente apprezzamento del giudice, alla valutazione equitativa ed alla riduzione dell'addebito- il Collegio, tenuto anche conto del diverso apporto causale dei due convenuti e della diversa retribuzione e posizione professionale e funzionale dei medesimi convenuti, ritiene equo -ai sensi del citato art. 1226 c.c.- determinare nella misura complessiva di Euro 2.500,00 (comprensiva di interessi legali e rivalutazione monetaria) il risarcimento del "danno patrimoniale in senso stretto" subito dall'A.S.L. n. 1 della Regione Umbria, imputando Euro 1.700,00 al Dott. Ni. Bo. ed Euro 800,00 all'infermiera An. Mi., con il vincolo della solidarietà tra i due convenuti.

IIIb - DANNO DA DISSERVIZIO

La Procura Regionale ha contestato ai convenuti anche il "danno da disservizio" subito dalla A.S.L. n. 1 della Regione Umbria, quantificato in via equitativa ex art. 1226 c.c., per complessivi Euro 10.000,00, di cui Euro 6.000,00 a carico del Dott. Ni. Bo. ed Euro 4.000,00 a carico dell'infermiera An. Mi., chiamando i citati convenuti a rispondere in solido per la parte riferita al Dott. Ni. Bo.

La Procura Regionale -richiamando, al riguardo, giurisprudenza della Corte dei Conti- ha sottolineato che nella circostanza tale danno è la conseguenza della sottrazione da parte dei convenuti, di energie lavorative ed intellettuali alla A.S.L. n. 1 dell'Umbria per distrarle ad altri fini, con minore resa del servizio e con una incidenza negativa sul generale funzionamento del servizio e sulla sua qualità, creando un indubbio disservizio nell'ambito dell'Ospedale di Gu.

La difesa dei convenuti ha contrastato tale richiesta della Procura Regionale, sostenendo, in particolare, che manca la prova e la dimostrazione in concreto di tali ipotesi di danno, non rinvenendosi alcuna lamentela della resa del servizio da parte dell'utenza.

In merito al "danno patrimoniale da disservizio", la Sezione Giurisdizionale Regionale dell'Umbria con diverse Sentenze (cfr. Sez. Giurisd. Reg. Umbria, tra le tante, Sent. n. 152/R/96 dell'11 marzo 1996, Sent. n. 1/E.L./98 del 4 dicembre 1997, Sent. n. 252/R/98 del 29 gennaio 1998, Sent. n. 501/E.L./98 del 14 maggio 1998, Sent. n. 831/R/98 del 9 aprile 1998, Sent. n. 582/E.L./99 del 19 ottobre 1999, Sent. n. 27/E.L./2000 dell'11 gennaio 2000, Sent. n. 424/R/2000 del 7 giugno 2000, Sent. n. 511/R/2001 del 29 novembre 2001, ecc.) da tempo ha avuto modo di precisare che i connotati del danno all'Erario possono essere rinvenuti anche nei casi di "disservizio" (ovvero di "disservizio da illecito esercizio di pubbliche funzioni", ovvero di "disservizio da mancata resa del servizio", ovvero di "disservizio da mancata resa della prestazione dovuta") causato da un amministratore, da un dipendente (anche di fatto) o da un agente pubblico con una condotta commissiva od omissiva dolosa o gravemente colposa produttiva di effetti negativi nella gestione di un pubblico servizio, consistendo il "disservizio" -in presenza di organizzazioni pubbliche con investimenti e costi di gestione giustificati dalle attese di utilità dei previsti corrispondenti benefici da parte dei cittadini- "nel mancato raggiungimento delle utilità che erano state previste nella misura e qualità ordinariamente ritraibile dalla quantità delle risorse investite" e perciò "in maggiori costi dovuti a spreco di risorse economiche o nella mancata utilità ritraibile dalle somme spese, a ragione della disorganizzazione del servizio", ovvero a ragione della "mancata resa del servizio" o della "mancata resa della prestazione dovuta" da parte dei predetti amministratore, dipendente ed agente pubblico.

In sostanza, il tratto comune unificante delle varie situazioni di "danno patrimoniale da disservizio" consiste nell'effetto dannoso causato alla organizzazione ed allo svolgimento dell'attività di una Pubblica Amministrazione -cui l'agente, il dipendente e l'amministratore pubblico erano tenuti in ragione del proprio rapporto di servizio, di ufficio o di lavoro- con una minore produttività dei fattori economici e produttivi nella stessa Amministrazione Pubblica profusi dal bilancio della medesima P.A.; produttività ravvisata sia nel mancato conseguimento della attesa legalità dell'azione e dell'attività pubblica, sia nella inefficacia o inefficienza di tale azione ed attività pubblica.

Il "danno patrimoniale da disservizio" consiste, quindi, nel mancato conseguimento della legalità, della efficienza, della efficacia, della economicità e della produttività dell'azione e della attività di una Pubblica Amministrazione, causato dall'amministratore, dall'agente o dal dipendente pubblico -a ragione della "disorganizzazione del servizio", ovvero in ragione della "mancata resa del servizio" o della "mancata resa della prestazione dovuta"- con una condotta commissiva o omissiva connotata da dolo o da colpa grave.

La "mancata resa del servizio" -evidentissima, come nel caso che qui interessa, nei casi di violazione, protratta per un certo periodo di tempo, della normativa vigente in materia, con conseguenti danni patrimoniali per l'Erario- costituisce già di per sé un danno patrimoniale, che -oltre che nei costi generali sopportati dalla P.A.- è ravvisabile -come si è detto anche in precedenza- nell'alterazione del rapporto sinallagmatico tra resa della attività lavorativa e corresponsione dello stipendio o di altri emolumenti.

Tale assunto è avvalorato con il richiamo alle disposizioni contenute nelle leggi n. 142/1990, n. 241/1990, n. 20/1994, n. 59/1997, n. 127/1997 e nei Decreti Legislativi n. 77/1995 e n. 29/1993 e successive modificazioni ed integrazioni, nelle quali i ricordati valori sono stati affermati come propri della attività delle Pubbliche Amministrazioni e posti a fondamento del rapporto di lavoro, di ufficio o di servizio degli pubblici amministratori dipendenti ed agenti pubblici, introducendo la c.d. "responsabilità del risultato", che consente di considerare -ai fini della determinazione del danno risarcibile- non solo la perdita subita, ma anche il mancato guadagno.

Al riguardo, -ripetendo quanto si è già detto in precedenza- occorre tenere presente che l'istituto della responsabilità amministrativa-contabile é attualmente disciplinato da un ordinamento di settore con regole proprie e caratteristiche proprie definite dal legislatore (cfr. leggi indicate), che -come pure si è già detto- non vanno considerate eccezioni alla regola generale, ma connotati suoi propri.

In relazione a quanto sopra argomentato e sulla base degli elementi di giudizio in precedenza riportati, nel presente giudizio -oltre a riconoscere, come già affermato, la responsabilità, per dolo (di cui si dirà nel seguito), del Dott. Ni. Bo. e dell'infermiera An. Mi. per l'indicato "danno patrimoniale in senso stretto"- deve, inoltre, essere riconosciuta, sempre per colpa grave, la responsabilità dei medesimi convenuti anche per il "danno patrimoniale da disservizio" di cui si discute, in relazione -a quanto risulta dagli atti di causa- alla riferita sistematica (e non sporadica) "mancata resa del servizio" ed alla "mancata resa", da parte dei citati convenuti, della "prestazione del servizio", consistente nel mancato o inesatto adempimento degli obblighi di servizio in ragione della ripetitività, per un determinato periodo di tempo, di comportamenti contrari alla normativa vigente nelle materie che qui interessano ed alle regole della buona amministrazione.

Ciò è chiaramente rilevabile -come si è già evidenziato- dalle assenze ripetute nel tempo messe in atto dai predetti convenuti durante l'orario di lavoro, senza la prescritta autorizzazione, senza timbratura dei rispettivi cartellini magnetici (personali e non cedibili) e senza alcuna giustificazione, sottraendo arbitrariamente energie lavorative, intellettuali e professionali, all'orario di lavoro ed al tempo di lavoro contrattualmente definito da rendere alla A.S.L. n. 1 dell'Umbria/datore di lavoro.

Tale minore e/o mancata resa della prestazione dovuta da parte dei convenuti ha comportato anche ulteriori, e non giustificati, costi generali pregiudicando, comunque, il corretto e regolare funzionamento del servizio sanitario, con sprechi di macchinari ed indubbi turbamenti nella organizzazione di detto servizio in conseguenza dell'abbassamento, quantitativo e qualitativo delle prestazioni del servizio, come è stato attestato -contrariamente a quanto osservato dalla difesa dei convenuti- dalle telefonate e dai fax di protesta e di lamentele ricevute, sulla vicenda in questione, dai Carabinieri di Gu.

Quanto evidenziato ha prodotto effetti negativi nella gestione del predetto pubblico servizio in termini di legalità, efficienza, economicità e produttività, e, conseguentemente, il riscontrato "danno da disservizio", di cui il Dott. Ni. Bo. e l'infermiera An. Mi. devono rispondere.

Precisato tutto quanto sopra, occorre, ora, quantificare il "danno patrimoniale" dovuto a "disservizio", da porre a carico dei citati convenuti.

Al riguardo, va osservato che il "danno patrimoniale da disservizio", si pone in rapporto ed in riferimento con il più generale danno che si ripercuote sul funzionamento del Servizio che viene coinvolto dal comportamento non corretto del soggetto o dei soggetti colpevoli.

Tale danno patrimoniale deriva, da un lato, -secondo i principi propri del rapporto di ufficio, di servizio e di lavoro dell'Amministratore, dell'agente e del dipenden

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