Interpello e violazione accordi contrattuali.
Con sentenza n.5565 del 19/03/2004, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, nel nuovo sistema
risultante in seguito alla privatizzazione del lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni, il comportamento della pubblica amministrazione va valutato secondo
gli stessi parametri che si utilizzano per il privato datore di lavoro. In particolare,
il potere di determinare il luogo geografico di esecuzione della prestazione lavorativa
è atto di gestione del rapporto di lavoro, rientrante nel più ampio fenomeno della
mobilità. La tutela degli interessi dei lavoratori a fronte dello ius variandi del
datore di lavoro, può trovare protezione solo se il datore di lavoro assume impegni
negoziali sulle modalità di esercizio del potere
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILEO Vincenzo - Presidente -
Dott. CUOCO Pietro - Consigliere -
Dott. CELENTANO Attilio - Consigliere -
Dott. FOGLIA Raffaele - Consigliere -
Dott. PICONE Pasquale - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RENDINIELLO Pierina Antonietta o Antonella, elettivamente domiciliato in Roma, Via
San Damaso, n. 15, presso l'avv. Enzo Augusto, che la difende con procura speciale
apposta a margine de ricorso;
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica, legalmente domiciliato
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato che
lo difende;
- resistente -
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Potenza n. 25 in data
7 gennaio 2003 (r.g. 417/2002);
sentiti, nella Pubblica udienza del 10.2.2004: il Cons. Dr. Pasquale Picone che
ha svolto la relazione della causa;
l'avv. Costantino Ventura per delega dell'avv. Augusto;
il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. SORRENTINO
Federico che ha concluso per l'inammissibilita', in subordine per il rigetto, del
ricorso.
Svolgimento del processo
La Corte di appello di Potenza ha accolto l'impugnazione del Ministero della giustizia
e, in riforma della sentenza del Tribunale di Melfi, ha rigettato la domanda proposta
da Pierina Antonella Rendiniello, cancelliere presso il Tribunale di Melfi (inquadramento
in Area C, posizione economica C2, si sensi del CCNL comparto ministeri 1998-2001),
domanda che la decisione di primo grado aveva accolto limitatamente alla
richiesta di impartire all'amministrazione l'ordine di procedere a "interpello",
ai fini delle richieste di trasferimento, per tutti i posti vacanti di cancelliere
C2 preso gli uffici giudiziali della Regione Puglia, senza riservarli alle procedure
c.d. di assestamento del personale gia' in servizio e inquadrato nella posizione
C2 a seguito di procedura di riqualificazione. La dipendente, che aveva
presentato domanda di trasferimento per alcune sedi comprese nella Regione Puglia,
contestava la conformita' dell'operato dell'amministrazione
all'obbligo, assunto con l'art. 19 dell'accordo per la mobilita' del personale 28.7.1998,
di procedere all'assestamento del personale in servizio prima di assumere vincitori
di pubblici concorsi, atteso che, con il bando di concorso 15.2.2001 per la copertura
di 2112 posti di cancelliere C2 mediante corsi di riqualificazione, riservati al
personale in servizio con inquadramento in C1, aveva accordato precedenza assoluta
ai vincitori, cosi' destinando tutti i posti disponibili al personale cui la qualifica
sarebbe stata attribuita all'esito della detta procedura.
L'assunto della Rendiniello e' stato giudicato privo di fondamento dal giudice dell'appello
sul rilievo che, da una parte, l'amministrazione era libera di decidere quali posti
vacanti mettere a concorso tra gli aspiranti al trasferimento; dall'altra, non aveva
violato l'art. 19 dell'accordo perche' la selezione interna non era comparabile
con il pubblico concorso, al quale soltanto andava riferito l'impegno negoziale
di assicurare la precedenza ai dipendenti in servizio per la copertura delle sedi
vacanti.
La cassazione della sentenza e' domandata da Pierina Antonietta Rendiniello con
ricorso per tre motivi, ulteriormente precisati con memoria depositata ai sensi
dell'art. 378 c.p.c., al quale resiste con controricorso il Ministero della giustizia.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, denunciando "erronea manifestazione di presupposti
di fatto e di diritto e violazione degli art. 2 e 19 dell'accordo sindacale 29.7.1998",
viene, preliminarmente, precisato che non si contestava il potere dell'amministrazione
di decidere quali sedi vacanti ricoprire, ma si domandava l'adempimento dell'impegno
negoziale di mettere a disposizione degli aspiranti, mediante il previsto "interpello",
le sedi da coprire prima di assegnarle ai vincitori di concorso, mentre era avvenuto
esattamente il contrario, avendo l'amministrazione provveduto a ricoprire le sedi
vacanti con i vincitori del detto concorso, cui aveva assicurato precedenza assoluta
rispetto ai dipendenti gia' in possesso della qualifica.
Il secondo motivo denuncia: "Violazione ed erronea interpretazione dell'art. 19
dell'accordo sindacale 28.7.1998. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.
Illogicita' manifesta. Violazione dell'art. 97 Cost." Si sostiene che l'intento
degli stipulanti l'accordo era stato quello di privilegiare l'interesse del personale
gia' in servizio con una determinata qualifica professionale a essere sistemato
nella sede di servizio desiderata con preferenza rispetto a coloro che alla stessa
qualifica accedevano ex novo; che se la lettera dell'accordo menzionava il "concorso
pubblico" cio' trovava spiegazione nel fatto che, prima della stipulazione del contratto
collettivo 1998-2001, che aveva introdotto il sistema di inquadramento del personale
per aree funzionali, l'unico sistema di accesso alla qualifica funzionale superiore
era il pubblico concorso; che la progressione interna alla qualifica superiore doveva
avvenire per concorso pubblico secondo la giurisprudenza costituzionale, cosicche'
non era consentito differenziare concorsi pubblici e selezioni interne.
Il terzo motivo denuncia; "Violazione dei principi costituzionali di correttezza,
buon andamento ed imparzialita' cui deve ispirarsi la P.A. (art. 97 Cost.). Comportamento
discriminatorio. Contraddittorieta' ed illogicita' manifesta. Assume la ricorrente
che, in ipotesi analoghe (selezioni interne per la figure professionali B3 e C1),
era stato concordato con le organizzazioni sindacali di procedere all'assestamento
del personale gia' in servizio e un impegno in tal senso era stato assunto con il
protocollo di intesa 10.5.2001.
La Corte, esaminati congiuntamente i tre motivi, giudica il
ricorso privo di fondamento.
I motivi di ricorso fanno ripetutamente riferimento agli elementi sintomatici del
vizio di eccesso di potere degli atti amministrativi. E' necessario pertanto delineare,
in primo luogo, il corretto quadro di principi e norme entro il quale la controversia
va collocata.
Il fulcro della riforma denominata di "privatizzazione" del lavoro pubblico, attuata
con le norme attualmente raccolte nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 163 - Norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche - e'
costituito, da una parte, dall'essere stata resa contrattuale la fonte dei rapporti
di lavoro (art. 2, comma 3), dall'altra, nell'adozione delle misure organizzative
non espressamente riservate ad atti diritto pubblico (art. 2, comma 1), mediante
atti di diritto privato (art. 5, comma 2).
In ordine alla questione del regime giuridico degli atti e procedimenti di diritto
privato posti in essere dall'amministrazione ai fini della costituzione, gestione
e organizzazione dei rapporti di lavoro finalizzati al perseguimento di finalita'
istituzionali, non ignora la Corte la tesi, secondo cui non sarebbe conforme agli
attuali assetti ordinamentali la netta contrapposizione dell'attivita' di diritto
privato a quella di diritto pubblico, dal momento che l'amministrazione (al pari
di altri, numerosi, soggetti privati) persegue finalita' di interesse pubblico in
settori sempre piu' estesi mediante attivita' di diritto privato; la nuova prospettiva,
sostanziale e non formale, condurrebbe, quindi, a estendere il regime proprio dell'atto
amministrative a tutti gli atti che, provenienti da una pubblica amministrazione
(o soggetto equiparato), siano direttamente e immediatamente finalizzati alla cura
di un interesse pubblico specifico.
La tesi e' stata gia' disattesa dalla giurisprudenza della Corte (Cass. 7704/2003,
con riguardo all'inapplicabilita' delle disposizioni della l. n. 241/1990 agli atti
emanati dall'amministrazione in veste di datore di lavoro), e va ulteriormente confutata
con il rilievo che, contraddittoriamente rispetto alle premesse, finisce per privilegiare
proprio il dato formale della natura del soggetto. Al contrario, le tendenze attuali
dell'ordinamento privilegiano la sostanza a scapito della forma, consentendo di
qualificare come atti (oggettivamente) amministrativi, in ragione di tratti intrinseci,
anche quelli provenienti da soggetti privati; e, all'opposto, di attrarre nell'orbita
del diritto privato atti delle pubbliche amministrazioni (degno di nota e' il fatto
che il d.d.l. n. 1281, approvato dal Senato, intende introdurre, tra l'altro, con
l'inserimento del comma 1-bis, nel corpo dell'art. 1 l. n. 241/1990, il principio:
"Salvo che la legge disponga diversamente, le amministrazioni pubbliche agiscono
secondo il diritto privato"). E' dunque la natura dell'atto, non quella del soggetto
che ne e' autore, a determinarne il regime giuridico.
Si sostiene ancora che, anche escludendo che l'atto privato sia assoggettato alle
regole formali dell'atto amministrativo, non si potrebbe negare, sul terreno della
regole sostanziali, che i principi costituzionali di buon andamento e di imparzialita'
riguardano ugualmente l'attivita' provvedimentale e quella da cui derivano rapporti
giuridici di diritto privato, perche' l'attivita' dell'amministrazione e' sempre
volta al perseguimento dell'interesse generale ed e' ad esso strettamente vincolata.
L'immanenza nell'ordinamento di tali principi sarebbe stata poi esplicitata con
il nuovo assetto normativo dato ai rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni
pubbliche, divenuti, in via generale e non piu' eccezionale, di natura contrattuale.
Con riguardo agli atti di organizzazione e di gestione di questi rapporti di lavoro,
il supporto normativo viene individuato nel disposto del comma 1 dell'art. 5 D.Lgs.
n. 165/2001 che recita: Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione
organizzativa alfine di assicurare l'attuazione dei principi di cui all'articolo
2, comma le la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa.
Sarebbe stata cosi' scolpita, a livello di diritto positivo, la funzionalizzazione
dell'attivita' organizzativa di natura privata, con il giudice ordinario chiamato
a verificare l'eventuale contrasto dell'atto con le regole imperative desunte dall'art.
97 Cost ed esplicitate dalla norma in esame.
Ma efficacemente si e' replicato che gli obiettivi complessivi della riforma di
"privatizzazione dei rapporti di lavoro" resterebbero sostanzialmente vanificati,
ove il suo esito dovesse consistere nell'occupazione, da parte del giudice ordinario,
degli spazi sottratti al giudice amministrativo, mediante il controllo di tutti
gli atti organizzativi che l'amministrazione pone in essere con la capacita' del
datore di lavoro privato secondo i moduli di verifica della legittimita' degli atti
amministrativi, perpetuando cosi' la separatezza tra l'area del lavoro pubblico
e quello del lavoro privato.
Se, dunque, non puo' dubitarsi della scelta del diritto privato, operata dal comma
2 dello stesso articolo, deve operare il principio fondamentale secondo cui l'atto
privato e' tale proprio perche' non puo' essere funzionalizzato al perseguimento
dell'interesse pubblico senza contraddirne l'intima essenza di espressione dell'autonomia
dell'autore, non avendo il legislatore derogato specificamente a tale principio.
L'apparente contraddizione tra primo e secondo comma dell'art. 5, e' comunque agevolmente
risolvibile ove si consideri che, se gli atti sono ascritti al diritto privato,
non possono che essere assoggettati ai principi fondamentali dell'autonomia privata
e, in primo luogo, alla regola della normale irrilevanza dei motivi; e proprio in
tal senso si esprime il comma 3 dello stesso art. 5, laddove prevede che gli organismi
di controllo interno verificano periodicamente la rispondenza delle determinazioni
organizzative ai principi di cui all'art. 2, comma 1, anche al fine dell'adozione
di misure correttive e di sanzioni nei confronti dei responsabili della gestione.
Il controllo, quindi, e' disciplinato come esclusivamente interno all'organizzazione
del soggetto agente; la funzionalizzazione e' rilevante soltanto a questi fini,
senza influenzare la disciplina dell'atto.
D'altra parte, la scelta del legislatore in favore dei moduli di diritto privato
dell'azione amministrativa, con il conferimento all'amministrazione dei poteri propri
degli altri datori di lavoro, e' stata ripetutamente ritenuta conforme al principio
di buon andamento di cui all'art. 97 Cost. dalla giurisprudenza costituzionale
(C. cost. 313/1996, 275/2001, 11/2002).
L'esito finale del discorso generale condotto, rilevante ai
fini dell'esame dei motivi del ricorso, e' l'infondatezza giuridica di tutte le
prospettazioni della ricorrente fondate sull'applicabilita' di regole e principi
propri degli atti amministrativi e dell'azione di diritto pubblico dell'amministrazione,
dovendosi applicare la regola di giudizio secondo cui la conformita' a legge del
comportamento dell'amministrazione deve valutarsi secondo gli stessi parametri che
si utilizzano per i privati datori di lavoro. Nella fattispecie viene in considerazione
il potere di determinare il luogo geografico di esecuzione della prestazione lavorativa,
certamente atto di gestione del rapporto di lavoro adottato con la capacita' e i
poteri del privato datore di lavoro, rientrante nel piu' ampio fenomeno della "mobilita'"
del personale. Atteso che l'art. 2103 c.c., protegge gli interessi oppostovi dei
dipendenti rispetto allo ius variarteli del datore di lavoro, ma non anche gli interessi
pretensivi all'esercizio favorevole dello stesso potere, questa seconda tipologia
di interessi puo' trovare protezione soltanto se il datore di lavoro assume impegni
negoziali sulle modalita' di esercizio del potere.
L'indicata evenienza viene in considerazione nella fattispecie per aver concluso
il Ministero della giustizia apposito accordo sindacale sulla mobilita' interna
del personale, pattuendo procedure e criteri di selezione. L'accordo sindacale in
questione partecipa della natura dell'accordo integrativo, legittimato dalla devoluzione
della materia a questo livello di contrattazione dall'art. 4 del Contratto collettivo
nazionale di lavoro relativo al personale del comparto ministeri per il quadriennio
1998/2001 e biennio economico 1998/1999 (cfr. art. 40, comma 3. D.Lgs. n. 165/2001).
Ne segue che si esula dalla previsione di cui al comma 5 dell'art. 63, che consente
di denunciare direttamente, con il ricorso per Cassazione, la violazione o falsa
applicazione dei contratti e accordi collettivi, previsione che e' stata limitata
a quelli nazionali di cui all'articolo 40 (ai quali si riferisce esclusivamente
anche il successivo art. 64), ed esclusi i contratti integrativi contemplati dallo
stesso articolo, il cui testo contrappone chiaramente questo livello di contrattazione
a quello "nazionale".
Pertanto, l'interpretazione data all'accordo dalla Corte di Potenza non puo' essere
sindacata dalla Corte nella sua rispondenza alla volonta' delle parti stipulanti,
dovendosi il controllo di legittimita' arrestarsi sulla soglia della verifica del
rispetto dei canoni di cui agli art. 1362 c.c. e ss e all'assolvimento dell'obbligo
di motivazione sufficiente e non contradditoria. Orbene, nei limiti del detto controllo,
le censure della ricorrente sono tutte prive di fondamento.
Non rientra tra i criteri interpretativi degli atti negoziali ne' l'aderenza al
principio di parita' di trattamento (del resto, inesistente in via generale nell'ordinamento
del lavoro subordinato e assicurata, per il lavoro pubblico, dall'art. 45 D.Lgs.
n. 165/2001 con esclusivo riferimento al trattamento economico), ne' la ragionevolezza
del risultato degli assetti negoziali pattuiti (cfr. Cass., s.u. 4570/1996 e 6030/1993).
Il significato attribuito dal giudice del merito all'espressione "concorso pubblico"
adoperata nell'accordo sindacale, non puo' essere validamente contestata con riferimento
ai comportamenti successivamente tenuti dalle parti stipulanti, atteso che la stessa
ricorrente ammette che erano intervenuti in alcuni specifici casi appositi accordi
di deroga, confermativi, quindi, di quel significato.
L'interpretazione restrittiva della medesima espressione (concorso aperto agli esterni),
non puo' essere scalfita dal rilievo che nel contesto normativo dell'epoca dell'accordo
sindacale non erano contemplate ipotesi di accesso concorsuale alla qualifica superiore
riservate agli interni. Il rilievo, infatti, si colloca sul piano dei presupposti
tenuti presenti ai fini della manifestazione di volonta', ma non e' idoneo a mutarne
i contenuti, ricostruiti dalla sentenza impugnata - con il minimo indispensabile
di plausibilita' logica che vale ad escludere il controllo di legittimita' - nel
senso che la priorita' era stata sancita per gli interni aspiranti al trasferimento
nella sola ipotesi di concorso per l'accesso alla qualifica dall'esterno.
Del tutto inconsistente, sul piano della ricostruzione della volonta' negoziale,
e', infine, il richiamo della giurisprudenza costituzionale secondo cui l'art. 97
Cost. impone il concorso pubblico per accedere alle qualifiche superiori, cosicche'
tale qualificazione meritava anche la procedura di qualificazione riservata alla
selezione interna. E' agevole, infatti, replicare - anche prescindendo dalla circostanza
che nella fattispecie le prove selettive non erano dirette a permettere l'accesso
di personale gia' in servizio a fascia o area superiore, su cui vedi Cass., s.u.,
18886/2003 - che l'eventuale violazione della regola del concorso pubblico nel caso
concreto avrebbe comportato l'invalidita' della procedura di selezione interna,
ma non la modificazione dei contenuti dell'accordo sindacale sui trasferimenti,
cosicche', come ha osservato in modo sostanzialmente corretto la sentenza impugnata
residuerebbe inalterato il potere dell'amministrazione di decidere se, come e quando
procedere alla copertura dei posti vacanti, dovendosi escludere l'automatismo dell'obbligo,
correlato alla pretesa della ricorrente, di procedere all'interpello per i posti
vacanti della qualifica.
La natura della controversia e la novita' delle questioni induce a compensare interamente
le spese del giudizio di Cassazione.