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Cass. Civ. n. 12557 del 08/07/2004

Svolgimento del processo

1 (omissis) con ricorso al Tribunale di Firenze aveva chiesto che fosse disposta la cessazione (o in subordine la riduzione) dell'assegno divorzile stabilito con sentenza n. 1487 del 1992 a suo carico, in favore dell'ex coniugo (omissis) nella misura originaria di lire 1.000.000 mensili, aumentato a lire 1.305.000 a seguito di rivalutazione monetaria. Deduceva un mutamento delle condizioni economiche proprie e della ex moglie. Il Tribunale, con provvedimento depositato il 27 luglio 2001, ritenuto sulla base di informative della Guardia di Finanza all'uopo assunte, che non vi erano stati apprezzabili mutamenti nella situazione economica delle parti, rigettava la domanda. Il (omissis) proponeva reclamo dinanzi alla Corte di appello di Firenze, che lo rigettava con decreto depositatoil 13 luglio 2001 e notificato il 5 settembre 2001, confermando la decisione del Tribunale. Avverso detto decreto il (omissis) ricorre a questa Corte con atto notificato alla (omissis) il 31 ottobre 2001.

La parte intimata resiste con controricorso notificato il 6 dicembre 2001.

Motivi della decisione

1 Con il ricorso si denuncia la violazione degli artt. 5 della legge n. 898 del 1970, 156 e 433 del cod. civ. Si deduce al riguardo che, al fine dell'accoglimento della domanda di revisione dell'assegno di divorzio di lire 1.305.000 mensili, stabilito in sede di divorzio in favore della ex moglie, casalinga, la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto del tutto ininfluenti una serie di circostanze pacifiche che dimostravano un mutamento dei rapporti economici fra iconiugi. Innanzitutto, non sarebbe stata presa in esame la cessazione da parte del ricorrente della libera professione medica, avvenuta fra il primo e il secondo grado del processo, ne il suo nuovo matrimonio, nè la circostanza che la sua seconda moglie avrebbe perso il lavoro dal 1^ gennaio 1999. Erroneamente, poi, la Corte di appello avrebbe ritenuta priva di rilevanza ex se la convivenza dell'ex moglie, da circa dieci anni, con un noto e ricco professionista, con il conseguente venire meno del presupposto assistenziale dell'assegno di divorzio e "la quiescenza dell'obbligo di mantenimento gravante sull'ex coniuge".

Si sostiene al riguardo che "una diversa interpretazione condurrebbe, di fatto, all'elusione della norma che dispone la cessazione dell'assegno divorzile col passaggio a nuove nozze dell'ex coniuge", così favorendosi le convivenze di fatto rispetto al matrimonio. Si deduca ancora che la Corte di appello erroneamente avrebbe omesso diconsiderare rilevante che la convenuta, vivendo nell'abitazione del convivente, risparmierebbe il canone locativo di una casa di abitazione, così da potere percepire reddito dagli immobili di sua proprietà, ricevendo dalla convivenza more uxorio un vantaggio anche sotto tale profilo.

Si lamenta, altresì, che, pur essendo state disposte indagini della guardia di Finanza sul patrimonio di entrambi gli ex coniugi, dell'esito di quello effettuato sulla ex moglie non vi sarebbe traccia in atti nè alcun cenno nella sentenza.

2 Va premesso che con 11 ricorso, ancorchè formalmente si denunci la violazione degli artt. 5 della legge sul divorzio, 156 e 433 cod. civ. (i due ultimi estranei al thema decidendum, riguardando il primo la separazione personale fra i coniugi e non il divorzio e il secondo gli alimenti in generale), nella sostanza si denuncia, oltre alla violazione dell'art. 5, anche la violazione dell'art. 9 della leggesul divorzio, che regola le modifiche delle condizioni di divorzio, sotto il profilo che a tal fine si deve, fra l'altro, tenere conto dei vantaggi derivanti al titolare dall'assegno dalla convivenza more uxorio instaurata. Si deduce, inoltre, un difetto assoluto di motivazione, per avere il decreto impugnato omesso ogni effettiva motivazione in ordine alla sussistenza di tutti gli altri elementi allegati a sostegno della domanda, indicati nel motivo.

3 Il ricorso è infondato, per le ragioni appresso indicate, quanto alla dedotta violazione dell'art. 5 della legge sul divorzio, prospettata sostanzialmente sotto il profilo che tale norma imporrebbe l'automatica quiescenza dell'assegno di divorzio in caso d'instaurazione da parte del titolare dell'assegno di una convivenza more uxorio.

Riguardo alla incidenza della convivenza more uxorio instaurata daltitolare del diritto all'assegno di divorzio su tale diritto, va considerato quanto segue.

L'art. 9, comma 1, della legge n. 898 del 1970, nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987, prevede che l'assegno divorzile possa essere modificato qualora "sopravvengano giusti motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio", mentre l'art. 5 della stessa legge prevede quale specifica causa del venire meno dell'obbligo di corresponsione dell'assegno le nuove nozze del coniuge al quale sia stato attribuito.

Questa Corte, nell'interpretare l'art. 9, ha statuito che ai fini della revisione dell'assegno di divorzio è necessaria la duplice condizione della sussistenza di una modificazione delle condizionieconomiche degli ex coniugi e della idoneità di tale modificazione ad immutare il pregresso assetto realizzato dal precedente provvedimento sull'assegno (Cass. sez. un., 7 settembre 1995, n. 9415). I motivi sopravvenuti possono consistere in variazioni delle condizioni economiche di uno o di entrambi i coniugi, in quanto idonei a cambiare i termini della situazione esistente al momento della sentenza di divorzio (Cass. 26 novembre 1998, n. 12010; 24 marzo 1994, n. 2873).

Fra i fatti sopravvenuti, che possono mutare la situazione economica del coniuge al quale sia stato attribuito l'assegno di divorzio, vi è la instaurazione, da parte sua, di una convivenza more uxorio.

Nel vigore del testo della legge n. 898 del 1970 anteriore alle modifiche del 1987, mentre alcune sentenze di questa Corte avevano ritenuto che non incidesse sul diritto e sulla misura dell'assegnodivorzile la instaurazione da parte dell'avente diritto di una convivenza more uxorio, non implicando essa alcun diritto al mantenimento da parte del convivente (Cass, 20 novembre 1985, n. 5717; 11 novembre 1978, n. 5173; 19 febbraio 1977, n. 772), in altre decisioni era stata accolta la tesi opposta (Cass. 11 aprile 1986, n. 2569; 11 maggio 1983, n. 3253), in relazione alla incidenza che in concreto le prestazioni economiche del convivente potessero avere sulla situazione economica del titolare dell'assegno.

Successivamente, dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 74 del 1987, che ha conferito carattere esclusivamente assistenziale all'assegno di divorzio, questa Corte ha ribadito che a norma dell'art. 5, comma 10, della legge sul divorzio, solo le nuove nozze dell'ex coniuge creditore dell'assegno di divorzio fanno cessare exse l'obbligo, posto a carico dell'altro dalla sentenza di divorzio, di corrispondergli l'assegno, non essendo a tal fine, per l'inapplicabilità della norma in via analogica o estensiva, sufficiente la semplice convivenza more uxorio, la quale, a differenza del nuovo matrimonio, non implica alcun diritto al mantenimento (Cass. 30 ottobre 1996, n. 9505).

Si è, peraltro, parallelamente consolidato l'orientamento, in materia di attribuzione dall'assegno di divorzio, secondo il quale i vantaggi di ordine economico derivanti da una stabile convivenza al coniugo richiedente l'assegno, vanno valutati al fine di accertare se il richiedente abbia mezzi "adeguati" a mantenere il tenore di vita goduto durante il matrimonio (Cass. 9 settembre 2002, n. 13060; 2 giugno 2000, n. 7328; 24 novembre 1999, n. 13053), poichè in relazione alla valutazione delle condizioni economici dei coniugi,per l'attribuzione e la liquidazione dell'assegno, concorrono a formare la situazione reddituale del coniuge richiedente l'assegno anche eventuali elargizioni, non meramente saltuarie, ma continuative e protraentesi nel tempo, ricevute da un terzo con il quale egli conviva (Cass. 20 settembre 1999, n. 13053).

Orientamento questo accentuato da una più recente decisione (Cass. 8 agosto 2003, n. 11975), secondo la quale allorchè la convivenza more uxorio sia iniziata immediatamente dopo la separazione e si caratterizzi per la sua stabilità e continuità, tanto da venire ad assumere i connotati della così detta "famiglia di fatto", caratterizzata da libera condivisione di valori e modelli di vita, anche economici, il parametro di valutazione da parte del giudice dall'"adeguatezza" dai mazzi economici a disposizione dell'ex coniuge, deve tenere conto dalla recisione, finchè duri tale convivenza - e ferma rimanendo in questa fase la perdurante rilevanzadel solo eventuale stato di bisogno in sè, ove non compensato all'interno dalla convivenza - di ogni plausibile connessione con il tenore di vita della pregressa fase di convivenza matrimoniale e, con ciò stesso, del venir meno del presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile fondato sulla conservazione di esso.

La convivenza more uxorio, quando abbia acquistato carattere di stabilità, secondo l'ormai consolidato orientamento di questa Corte, può rilevare, pertanto, ai fini della quantificazione dell'assegno (escludendo peraltro, Cass. 9 settembre 2002, n. 13060 - in parziale contrasto con le citate sentenze nn. 11975 del 2003 e 7328 del 2000 - che essa possa comportare di per sè la sua esclusione).

Orientamento analogo si è andato formando anche in materia di assegno di separazione (Cass. 4 aprile 1998, n. 3503; 5 giugno 1997, n. 5024; 22 aprile 1993, n. 4761; 27 marzo 1993, n. 3720).

Il consolidarsi dell'orientamento giurisprudenziale relativo alla rilevanza della convivenza more uxorio ai fini dell'attribuzione e dalla quantificazione dall'assegno di divorzio comporta, in materia di revisione di tale assegno, quale logica conseguenza, che la instaurazione da parte dell'avente diritto all'assegno divorzile di una convivenza more uxorio avente le caratteristiche della famiglia di fatto, contrassegnata cioè dalla non formalizzata ma libera assunzione di un modello di vita analogo a quello della famiglia instaurantesi con il matrimonio, possa costituire - ma non costituisce necessariamente - giustificato motivo di revisione dell'assegno ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970 nel testo vigente.

In proposito, si deve sottolineare che la disposizione dell'art. 5,comma 10, della legge sul divorzio (secondo la quale "l'obbligo di corresponsione dell'assegno cessa sa il coniuga al quale deve essere corrisposto passa a nuove nozze"), prevedendo una causa di cessazione ex lege, che esplica un effetto estintivo del relativo diritto automatico e non collegato con la previsione dell'art. 9, comma 1 - prescindendo dalla situazione economica che il nuovo matrimonio determina per il titolare del diritto all'assegno - non esclude che altre situazioni, diverse da un nuovo matrimonio, possano far venir meno ex art. 9, comma 1, il diritto all'assegno.

Va, peraltro, esclusa l'assimilabilità al nuovo matrimonio - e l'applicabilità in via analogica della norma dell'art. 5, comma 10 - delle convivente more uxorio, anche se questa Corte deve prendere atto, ed ha preso atto (vedasi soprattutto la sentenza n. 3507 del 1998), dall'evoluzione del costume, che ha portato a una diversa valutazione e consistenza sociale di tali convivenze, evolventisiverso modelli di vita analoghi a quelli che si instaurano con il matrimonio, dando luogo a famiglie di fatto, inquadrabili fra le formazioni sociali oggetto della tutela prevista dall'art. 2 della Costituzione.

Al riguardo costante è, infatti, l'insegnamento della corte costituzionale, secondo il quale "la convivenza more uxorio, basata sull'affectio quotidiana, liberamente e ad ogni istante revocabile, presenta caratteristiche così profondamente diverse dal rapporto coniugale da impedire l'assimilazione delle due situazioni", trattandosi di un rapporto di fatto, privo di quei caratteri di stabilità e di reciprocità di diritti e di doveri che nascono soltanto dal matrimonio (da ultimo ordinanze Corte Cost. n. 204 del 2003 e 313 e del 2000; sentenze nn. 352 e 461 del 2000; n. 2 del 1998; n. 451 del 1997; n. 8 dal 1996; n. 310 del 1999; n. 166 del 111998). Principio, questo, che esclude il ricorso ad interpretazione analogica di norma riguardanti il rapporto matrimoniale, e che è stato ribadito dalla Corte costituzionale anche quando ha dato rilievo alla convivenza more uxorio, con pronuncia di illegittimità costituzionale, motivandosi la illegittimità costituzionale sotto profili diversi dall'assimilabilità di dette convivenze ai rapporti nascenti da matrimonio (vedasi la sentenza n. 404 del 1988).

Devo ritenersi, quindi, che - contrariamente a quanto deduce 11 ricorrente - in assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all'assegno di divorzio, in linea di principio, di per so permane, nella misura stabilita dalla sentenza di divorzio, anche se il suo titolare instauri una convivenza more uxorio con altra persona, salvo che sussistano i presupposti per la modifica della sentenza didivorzio ai sensi dell'art. 9, comma 1, della legge n. 898 del 1970.

E cioè che sia data la prova, da parte dell'ex coniuge onerato, che tale convivenza ha determinato un mutamento in melius - pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidato e protraentesi nel tempo - delle condizioni economiche dell'avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, o quanto meno da risparmi di spese da questa derivantigli.

La relativa prova, pertanto, non può essere meramente limitata a quella dell'instaurazione e del permanere di una convivenza more uxorio dell'avente diritto con altra persona, essendo detta convivenza di per sè neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche del titolare, potendo essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio idonei a determinarlo e dovendoessere l'incidenza economica di detta convivenza valuta in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano.

L'attore, onerato dell'assegno in forza della sentenza di divorzio della quale chiede la modifica, per ottenerla, deve perciò offrire specificamente la dimostrazione del mutamento in melius delle condizioni economiche dell'avente diritto, in conseguenza di stabili apporti economici del convivente in suo favore, ovvero di risparmi di spesa ragionevolmente ricollegabili con la convivenza.

Detta dimostrazione può essere data con ogni mezzo di prova, anche presuntiva, soprattutto con riferimento ai redditi e al tenore di vita della persona con la quale il titolare dell'assegno convive, i quali possano fare presumere - secondo il prudente apprezzamento del giudice - che dalla convivenza more uxorio il titolare dall'assegno tragga benefici economici idonei a giustificare la revisionedell'assegno, secondo il principio generale posto dall'art. 9, comma 1, della legge sul divorzio.

Deve comunque considerarsi che, avendo detti benefici natura intrinsecamente precaria e costituendo elargizioni o risparmi di spesa giuridicamente non garantiti, debbono essere ritenuti limitatamente incidenti su quegli assegni di divorzio, o su quella parte di essi, che, in relazione alle condizioni economiche personali dell'avente diritto, debbano ritenersi destinati ad assicurargli quelle condizioni minime di autonomia economica giuridicamente garantita che l'art. 5 della legge sul divorzio ha inteso tutelare e l'art. 9 non ha inteso sottrarre al titolare dell'assegno - finchè contragga un nuovo matrimonio - onerandone l'ex coniugo, ove le sue condizioni economiche lo consentano, secondo un equo contemperamento riservato al giudice di merito.

Ne deriva che l'assegno di divorzio, per tale parte, non potràessere in nessun caso eliminato ancorchè nell'ambito della convivenza more uxorio instaurata il titolare dell'assegno possa ricevere benefici di ordine economico, mentre potrà essere ridotto nell'ambito di una ponderata valutazione comparativa della situazione economica complessiva dell'avente diritto e dell'obbligato.

Dalle considerazioni che precedono deriva che il ricorso e infondato nella parte in cui con esso il ricorrente deduce la rilevanza ex se, ai fini della revisione dell'assegno di divorzio, della instaurazione di una convivenza more uxorio da parte del titolare dell'assegno.

4 Quanto ai rimanenti profili del ricorso, va considerato che il decreto con il quale la Corte di appello provvede, a seguito di procedimento in Camera di consiglio, su reclamo di parte, in merito alla revisione delle condizioni inerenti alle condizioni patrimoniali fra ex coniugi, pur non essendo ricorribile con ricorso ordinario per cassazione ostandovi il disposto dell'art. 739. comma 3, c.p.c.,avendo carattere decisorio e definitivo, è ricorribile in Cassazione ex art. 111 Cost., cioè soltanto per violazione di legge, con conseguente deducibilità del vizio di motivazione solo in caso di carenza assoluta di questa, ovvero di motivazione meramente apparente o perplessa, estrinsecatesi in argomentazioni inidonee a rivelare la ratio decidendi del provvedimento, o fra loro inconciliabili o obbiettivamente incomprensibili, concretizzatesi in una nullità processuale per difetto del requisito di motivazione prescritto dall'art. 737 c.p.c., dovendosi invece ritenersi inammissibili censure volte m provocare un sindacato sulla motivazione ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (da ultimo Cass. 24 settembre 2002, n. 13860; 28 giugno 2002, n. 9484; 6 giugno 2000, n. 7558; 10 maggio 1999, n. 4623).

Il decreto impugnato ha respinto il reclamo avverso il provvedimento con il quale il Tribunale aveva rigettato la domanda di modifica dell'assegno di divorzio, ribadendo in diritto la potenziale incidenza, ai fini della revisione dell'assegno, della instaurazione, dopo la sentenza attributiva dell'assegno di divorzio, di un convivenza more uxorio da parte dell'avente diritto, ma affermando che per l'incidenza in concreto era necessario che l'attore provasse che il titolare del diritto all'assegno riceveva "stabilmente dal convivente prestazioni di assistenza economica di tipo familiare".

Quanto a tutti gli altri elementi, relativi a fatti dedotti come incidenti sul reddito dell'obbligato (cessazione della liberaprofessione medica; nuovo matrimonio; perdita del lavoro da parte della seconda moglie), nonchè alla percezione di reddito immobiliare da parte del titolare dell'assegno in relazione al risparmio di spesa relativo alla casa di abitazione, la Corte di appello si è limitata all'affermazione che al riguardo era "mancante ogni seria prova circa rilevanti modificazioni della situazione reddituale degli ex coniugi rispetto all'epoca della sentenza di divorzio".

In tali statuizioni è ravvisabile, sulla base dei principi sopra affermati, per un verso, una violazione dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970 nel testo vigente, dovendo essere presi in considerazione, ai fini di un'eventuale riduzione dell'assegno di divorzio - sempre che ve ne sia la prova e nei limiti sopra menzionati - le eventuali riduzioni di spese che derivino al titolare dell'assegno dalla convivenza more uxorio. Per altro verso, èravvisabile una carenza assoluta di motivazione, stante la completa apoditticità dell'affermata mancanza di prova delle situazioni reddituali delle parti, non correlata all'esame di alcuna delle deduzioni formulate al riguardo con il reclamo.

Il decreto impugnato deve, quindi, essere cassato, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, che statuirà anche sulle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa il decreto impugnato e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.

Così deciso in Roma, il giorno 8 marzo 2004, nella Camera di consiglio della prima sezione civile.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 marzo 2004.